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Autore: SabrinaPennacchio    29/07/2013    1 recensioni
Dopo i vari avvenimenti a Fell's Church e la delusione da Katherine ed Elena, per Damon è arrivato il momento di affrontare un altro problema.
I sentimenti e l'umanità, non svaniscono solo perché lo si vuole.
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Nuovo personaggio, Quasi tutti | Coppie: Elena Gilbert/Stefan Salvatore
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Importante: Avendo modificato i capitoli precedenti, aggiungendovi varie cose, suggerisco a chi ne ha la pazienza, di rileggerseli prima di leggere questo capitolo. Se non ne avete voglia, potete chiedermi spiegazioni nella recensione o in privato, su una cosina presente in questo capitolo - perché aggiunta negli scorsi solo ieri - e vi spiegherò in breve xD grazie e buona lettura <3


--- Capitolo Ventunesimo ---





«So che la scelta repentina può non piacerti, amore, ma vedrai che ti troverai bene a Fell’s Church. È una città estremamente misteriosa e piena di enigmi»
Rosalie sorrise, mentre portava a tavola un piatto di Lasagna. Come al solito suo marito Joseph era in ritardo, chiuso nel suo studio per sistemare le ultime cose da mandare all’Editor.
La scelta di trasferirsi in una nuova città, solo per potersi concentrare meglio sul lavoro, era stata dettata dagli ultimi avvenimenti che in questa si erano presentati, e di cui avevano parlato al notiziario.
Quasi la metà della popolazione si diceva che fosse andata incontro a qualche virus inspiegabile, e che poi fosse guarita come se nulla fosse mai accaduto.
Qualcuno aveva poi messo a tacere la notizia, ma i coniugi Evans non potevano farsi scappare quella ghiotta occasione.
Vivere in un luogo talmente spettrale e pieno di mistero, avrebbe dato spunto per altri thriller emozionanti.
Di certo quella che era meno entusiasta della cosa era la loro unica e amata figlia, Sabrina, la quale avrebbe dovuto cambiare stile di vita e amicizie al solo ultimo anno di liceo non ancora iniziato.
«Io non sono d’accordo» borbottò la ragazza di diciassette anni, giocherellando con la forchetta nella sua porzione di cibo, senza alcuna voglia di nutrirsi.
Le stavano chiedendo, da giorni ormai, di abituarsi ad abbandonare Angel e tutti i suoi amici – Mattew compreso. Lei che tanto sperava che fra loro potesse accadere qualcosina di più di una semplice amicizia - «ma alla fine cosa conta il mio parere?! Da minorenne, sono costretta a seguirvi»
«Amore…» la donna dai capelli ramati sospirò, sedendosi accanto alla figlia per poi appoggiarle una mano sul braccio «cerca di capire. È lavoro. E non sono molte ore di treno da qui. Potrai vedere i tuoi amici quando vorrai»
«Possiamo chiudere qui la discussione.» Sabrina borbottò ancora una volta, alzando gli occhi al cielo.
In quel momento soltanto, Joseph Evans varcò la soglia della cucina e si avvicinò alla sua adorata bambina, chinandosi per poi darle un bacio sulla fronte «Ancora discussioni, donne?»
«Mh» mugugnò soltanto, questa, salutando a sua volta il padre con un bacio «dobbiamo davvero trasferirci, papà?»
«Non è un obbligo» rispose l’uomo, sedendosi al suo posto tavola per poi addentare la cena già nel piatto, servito poco prima da sua moglie «vogliamo farlo. Tutto qui» accarezzò i capelli corti della figlia, allungando un debole sorriso «Ti farai nuovi amici. Quella cittadina non sembra tanto male, nonostante le dicerie della quale è vittima»
Sabrina non rispose e Rosalie parlò «Credo sia un bene anche per te, cambiare città, dopo l’avvenimento degli scorsi mesi con Nathaniel.»
un silenzio quasi assordante si fece padrone della piccola stanza composta da solo il mobilio necessario ad una cucina.
Volete allontanarvi solo per vergogna, quindi?! Ma quelle parole la ragazza le pensò soltanto, non riuscendo a trovare il coraggio per esprimerle ad alta voce. Credete che io sia una pazza assassina e che sia meglio scappare, ora che i processi e le sedute dagli psicologi e psichiatri sono finiti.
Si alzò, scusandosi per non aver concluso la cena e si allontanò, dirigendosi alla propria stanza.
Non le era stata affibbiata una colpa d’omicidio e alla fine la sentenza era stata “Legittima difesa e mancanza di facoltà d’intendere e di volere, sotto fase di shock”. Ma questo non voleva dire che lei non si sentisse colpevole. Non ricordava nulla di quella sera, era vero, ma rimaneva che Nat fosse morto dopo esserle saltato addosso… e sicuramente la colpa doveva essere sua, dato che erano soli.
Si stupiva ancora che gli amici non l’avessero allontanata ma che anzi, le fossero rimasti accanto ancor con più amore, soprattutto Angel White, la sua migliore amica d’infanzia.
Sospirò pesantemente, sedendosi sul davanzale della finestra al secondo piano del loro appartamento condominiale e alzò gli occhi al cielo, perdendosi nel pallore di quella luna che quella sera sembrava sempre più grande.
Forse, però, era davvero meglio che cambiasse aria e seguisse i suoi genitori senza fare troppe storie.

Fell’s Church non era tanto male come cittadina, e dopo i primi giorni, ambientarsi non era stato tanto difficile.
Una cosa che aveva apprezzato particolarmente era stata la presenza di quella foresta a poco da casa sua, la quale le dava la sensazione di trovarsi ancora nel suo vecchio appartamento, portandola per qualche attimo fuori dalla realtà tanto schifosamente dura.
La cittadina era piccola e con pochi abitanti quindi arrivare un po’ ovunque anche senza auto, non era un problema, e le persone sembravano molto socievoli a dire il vero.

«Mamma?! Papà?!» 
Forse era rientrata a casa ad un’ora troppo tarda e i suoi stavano già dormendo. Stupido cellulare scarico! Pensò, infilando le chiavi di casa nella serratura, accorgendosi solo in quel momento che la porta d’ingresso era aperta.
Inarcò le sopracciglia e un senso di soffocamento le riempì il petto, facendole venire una sorta di brutto presentimento.
«Mamma?! Papà?!» urlò ancora una volta, con voce appena tremante e spaventata stavolta, mentre ispezionava le stanze del piano terra, non trovando però, alcuna traccia dei suoi genitori.
Si fermò davanti alle scale, mettendo una mano salda sulla ringhiera, indecisa se salire o meno al piano superiore.
Si fece finalmente coraggio e mosse qualche primo passo, salendo con esitazione un gradino alla volta, sino a trovarsi nel corridoio principale del secondo piano di quella villetta color giallo antico. Dei suoi genitori sembrava non esserci nemmeno l’ombra.
Quando finalmente si decise ad andare a controllare nella loro camera, un’ odore nauseante le pervase le narici man mano che si avvicinava alla loro porta.
Splash.
Il suono procurato da una scarpa che calpesta l’acqua le fece abbassare lo sguardo, quando si ritrovò davanti alla porta bianca della camera da letto dei due coniugi, con la mano ferma sulla maniglia.
… liquido rosso..?!

Col corpo appena scosso da un tremore di paura e dalla consapevolezza di cosa – senza che se lo spiegasse – sapeva ci fosse lì dentro, aprì la soglia e gli occhi le si sgranarono, paralizzandola appena: i suoi genitori erano in terra, fatti a pezzi in una pozza di sangue.
«Questo è il mio piccolo dono per te» il respiro del proprietario di quella voce le sfiorò l’orecchio sinistro, mentre delle mani le afferravano saldamente le braccia.

Riaprì gli occhi con un urlo, ritrovandosi davanti quelli bui come la notte di Damon Salvatore.
Non si era neanche accorta di essersi addormentata e solo la presenza del ragazzo corvino davanti a sé, le fece rendere conto che purtroppo tutto ciò che la mente le aveva proiettato in sogno, non fosse solo frutto di Morfeo.
Il vampiro, dal conto suo, si era precipitato nella camera della Evans non appena aveva sentito un lamento, temendo in un ritorno di quel maledetto demone Kitsune.
«Damon…» ella farfugliò, per un attimo ancora spaesata su dove si trovasse e sulla situazione avvenuta, mentre si guardava poi intorno, come in cerca di qualche indizio che le spiegasse cosa stesse accadendo.
Ma dentro di sé sapeva benissimo che ciò che era accaduto non poteva cambiare solo perché lei non voleva accettarlo: i suoi genitori erano morti ore prima e la cosa non poteva cambiarla nessuno.
Il Salvatore rimase in silenzio a guardarla, sapendo che da un momento all’altro quel piccolo corpo sarebbe scoppiato in qualche modo che non riusciva a prevedere.
«sono morti…» continuò Sabrina, quasi esitante nell’allungare quel flebile sorriso lungo il volto. Ancora una volta lui non cambiò espressione né si mosse, attendendo che lei sfogasse quel che sentiva dentro. «sono morti sul serio…» le labbra di lei iniziarono a tremare appena, mentre pronunciava quelle parole che le trafiggevano il cuore ad ogni sillaba «sono morti!» ed urlò, infine, ritrovandosi a colpire il petto del moro con dei pugni, per sfogare con qualcuno quella rabbia che sentiva dentro e che non riusciva a controllare. Sapeva che non era colpa di Damon Salvatore se fosse accaduto tutto ciò, e che i Kitsune l’avevano puntata sin dalla sua cittadina di nascita… ma sentiva anche che era solo con lui che poteva sfogarsi senza farsi alcun problema.
Di certo Elena era stata dolce a starle accanto, ma lei non aveva bisogno di qualcuno che cercasse di tirarla su di morale, che tentasse di farle passare lo shock e le ricordasse che al momento era più urgente organizzare una scusa per la morte e un funerale per i suoi genitori.
Non aveva bisogno di tutto questo.
Aveva bisogno di qualcuno che la sentisse urlare in silenzio e la confortasse senza parole di consolazione o di circostanza e che non cercasse di ricordarle cosa fosse giusto e cosa invece sbagliato.
Damon la lasciò sfogarsi, permettendole di colpirlo con tutta la forza che poteva avere in corpo e solo quando i colpi di affievolirono l’afferrò per i gomiti, stringendola al suo petto.
Sabrina sgranò appena gli occhi a quel gesto per poi stringerli appena, di nuovo, lasciandosi andare ad un’ulteriore pianto e stringendosi poi a lui, a sua volta. «Damon…»
«Non ti dirò cosa è giusto e cosa no» iniziò lui, guardando davanti a sé, fuori da quella finestra dove il tempo ormai preannunciava pioggia. Indurì lo sguardo «ti dico però, che quei due moriranno.» non stava cercando di consolarla, confortarla o altro, semplicemente stava facendo quello che, ancora una volta, quel suo stupido cervello gli diceva di fare, e che forse sicuramente avrebbe rimpianto. Ma al momento non importavano i suoi conflitti interiori sul suo pulsante difettoso dell’umanità. «Li ucciderò con le mie stesse mani»








Oo Angolino dell'Autrice oO



Ammettetelo, avete pensato: questa ci ha abbandonato di nuovo! XD Eh no, stavolta vi aggiorno più frequentemente - se 4 mesi possono ritenersi tali.... ma vabbé -
Che dire, gli scorsi giorni ho aggiustato, modificato e aggiunto cose negli scorsi capitoli - che spero rileggiate - e ora sono soddisfatta al cento x cento della FanFiction.
Dopo tanto che non scrivo, devo ammettere di non essere soddisfatta al cento per cento di questo capitolo, ma mi piace comunque :) il casino vero e proprio succedetà nei prossimi.
Rileggendo ho anche constatato che, come dicevate voi, i miei personaggi sembrano davvero quelli dei libri D: cavolo! Non credevo che fossi così brava (viva la modestia(?)). No, seriamente, sono soddisfatta come mi capita di rado xD
Ci vediamo nel capitolo 22. Grazie a tutti voi che da anni continuate a seguirmi, e grazie ai nuovi arrivi, che recensite o leggete soltanto <3 Un bacio e alla prossima.

MikuChan (Si, ho cambiato nick xD)
   
 
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