Jeez, avrei voluto
aggiornare prima però ho perso tutti i miei appunti (e
metà del capitolo scritto su carta, in un quaderno che non
riesco a trovare): è stato difficile riscrivere a memoria
mantenendo la lunghezza e l'atmosfera che mi aveva permesso di
innamorarmi della prima versione del capitolo.
Infatti ho fallito: non mi piace molto, anche se contiene tutto
ciò che volevo contenesse.
Pazienza.
La citazione
è di Baudelaire.
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What
strange phenomena we find in a great city,
all we need do is stroll about with our eyes open.
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Jack sorride. La sua bocca si
piega in una
curva amara, ora che ha riconosciuto il misterioso visitatore, e quel
misto di
paura e rassegnazione gli scivola dalle dita come sabbia finissima.
“Non
è una cosa, Daniel:
è magia.”
Se
avesse scordato (come accade la metà delle
volte) di chiudere la tenda della finestra che dà sulla
strada, la luce dei
lampioni svelerebbe come l’espressione sul suo viso sia
improvvisamente
cambiata, il suo sorriso rilassato.
Non ce n’è bisogno perché Atlas
è praticamente steso sopra di lui, a contatto
dal ginocchio al diaframma, la schiena e gli addominali in tensione per
mantenere la posizione, e non toccare le sue labbra con le proprie.
La
risata di Atlas riempie Jack di
soddisfazione, e le mani che si avvolgono intorno al suo collo non lo
spaventano: ha già sperimentato la morte una volta o due.
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Parigi
accadde rapidamente: uno schioccare di
dita, battere tre volte il tacco della scarpa, e si trovarono nel
Vecchio
Continente con gli occhi pieni di progetti non loro.
Non
vi era una gerarchia, fra i Cavalieri:
ognuno eseguiva il proprio compito e non metteva bocca in quello di
altri,
seguendo le istruzioni alla lettera: era troppo importante raggiungere
l’obiettivo.
In questo modo, mentre Atlas ed Reeves studiavano i disegni e trovano i
materiali, Wilder e McKinney svolgevano ricerche sui polli.
Era decisamente Merritt ad avere più successo, riuscendo a
trovare l’accesso a qualsiasi genere
d’informazione, però Jack era
sorprendentemente ricco di risorse.
All’inizio
fu difficile trovare modo di
collaborare in maniera pacifica – Daniel tendeva al proprio
ruolo di showman e
leader naturale, ed Henley voleva a tutti i costi dimostrargli quanto
fosse
maturata negli anni di separazione.
All’inizio
fu difficile; poi andò anche peggio.
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Quando Daniel uscì dal bagno aveva la guardia abbassata;
aveva smesso di
guardare con sospetto gli altri Cavalieri in meno di una settimana,
rassicurato
dalla consapevolezza che, per riuscire a raggiungere il loro obiettivo,
avrebbero dovuto farlo insieme.
Non ebbe quindi occasione di reagire al pugno di Henley.
Con un’esclamazione indietreggiò di scatto,
andando a sbattere con la testa
contro la cornice della porta e nascondendo il naso fra le mani. Era
cieco a qualsiasi
cosa, con gli occhi pieni di lacrime e il dolore che gli pulsava in
testa come
se non fosse mai esistito null’altro.
Impiegò
un paio di minuti a rendersi conto di
ciò che avveniva intorno a lui.
Si trovava seduto a terra di fronte al lavandino del bagno, con Jack
chino a
ispezionare il suo viso e Merritt appoggiato contro il muro, le braccia
incrociate sul petto e una risata divertita sulle labbra.
La donna torreggiava su di lui, le mani sui fianchi e
un’espressione di pura
furia.
“Tu
sei pazza!” mugugnò, quasi
incomprensibile. Cercò di alzarsi in piedi per affrontarla,
e quando il ragazzino
tentò di fermarlo Daniel lo
spinse lontano. “Una pazza psicopatica, una megera, una
stupida —”
“Hai
cambiato il mio ordine,” lo interruppe lei,
e con entrambe le mani lo mandò contro il lavello; lui si
portò istintivamente
entrambe le mani sul naso, e se la Reeves non fosse stata impegnata a
odiarlo
con tutta se stessa ne avrebbe probabilmente riso.
“Che
cosa?”
“Io
ti avevo detto che ci sarebbero
serviti quei pannelli supplementari, ti
avevo detto che li avrei aggiunti all’ordine, e tu
cos’hai fatto? Hai aspettato
che io uscissi per annullare la mia richiesta. Sai cosa ti dico, coglione egocentrico?”
Mentre
parlava Henley gli stava addosso;
stringeva i pugni avvolti nei guanti di pelle e digrignava i denti
durante ogni
pausa drammatica. Tutto ciò a cui Daniel riusciva a pensare
era che il suo
alito odorava di caffè e menta, e che nascondeva una mentina
sotto la lingua
come era sua abitudine anni prima, e che le erano rimasti dei frammenti
di
cereali nell’ultimo molare destro dalla colazione.
“Dimentica i pannelli supplementari e tutti gli sciocchi
tentativi di conquistarsi
la tua ammirazione. Non ne sei degno. Se l’Occhio ha deciso
di affidarti una
missione tanto importante buon per te, ma è la mia fiducia
che dovrai
conquistare.”
L’escapologa
si allontanò di mezzo passo, appoggiando
il peso su una gamba sola e incrociando le braccia in una posa
(studiata)
inconsapevolmente sensuale.
“Non
hai bisogno di guardarti le spalle,” sorrise,
e camminò all’indietro per uscire dal bagno senza
dover mai allontanare il viso
dagli occhi di lui: “non ne vale la pena.”
Atlas rimase a osservare il vuoto per minuti interi, come svuotato:
permise a
Jack di terminare la propria ispezione senza riconoscere la sua
presenza nella
stanza, né insultò Merritt per la risata sguaiata
che si lasciò sfuggire di
fronte alla sua espressione.
Parve riscuotersi solo quando vide Henley passare di fronte alla porta
del
bagno, con indosso un paio di scarponcini e la sua giacca
più pesante: ritrovò
velocemente il controllo delle proprie gambe, raggiungendola
nell’ingresso.
“Dove
hai imparato a fare a botte?”
“Donna
sola a Las Vegas, baby.” Gli sorrise
ancora una volta, ogni traccia di ostilità assente dal suo
bel viso. “Voglio
che quei pannelli siano al deposito in due giorni.”
Detto
questo uscì, lasciandosi alle spalle un
Daniel ancora lievemente sconvolto e un McKinney in preda a risate
isteriche.
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Life swarms with innocent
monsters.