Cara Melisanna, grazie per il tuo costante incoraggiamento.
Il richiamo a 1984, l'hai riconosciuto, non è casuale.
Come al solito, c' è la possibilità di discutere più
in dettaglio al http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=4642&idd=8397&p=3.
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PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Elyon affida a Vera, una copia di sè stessa che appare come una ragazza più grande, l'incarico di rintracciare le gocce astrali, le sosia create dalle guardiane, e ribellatesi ad esse più di un anno prima . La goccia di Cornelia si chiama Carol. Quella di Irma, Irene. Quella di Hay Lin, Pao Chai. Quella di Taranee, Terry. Quella di Will, Wanda. Elyon propone alle gocce di collaborare con Vera a raccogliere informazioni tecnologiche per modernizzare Meridian. Vera dimostra subito di essere in grado di materializzare documenti e denaro falsi, ma perfetti. Le gocce sono entusiaste di lei, tranne Carol, che ne è gelosa e vorrebbe riprendere i contatti direttamente con Elyon. Le gocce si trasferiscono, con Vera, in due eleganti appartamenti contigui. Come copertura, fingeranno di essere delle studentesse universitarie; ognuna riceve una lista di argomenti e l'incarico di individuare degli esperti su ciascuno. Le gocce vengono addestrate ai poteri mentali, quali la lettura e trasmissione del pensiero, lo sguardo del comando e la telecinesi. In alcune occasioni, le ragazze commettono goffaggini che attirano l'attenzione della polizia e perfino dei giornali. Wanda convince Vera che la polizia segreta, che già la ha rapita in passato quando era la goccia di Will, potrebbe rimettersi sulle loro tracce. Il problema della segretezza crea alcune situazioni tese, che però, in seguito, sembrano risolte dalla formula magica "E con cio?", che sopprime la percezione delle incongruenze nelle persone a cui è recitata. Si crea un rapporto più stretto tra Carol e Elyon, che è ammirata per le sue capacità di cavarsela in ogni situazione. |
Cap. 26
Due aquile
Sotto di loro si stendono le colline con le pendici coltivate a viti
e frutteti, sempre più alte e costellate da boschi a mano a mano
che si allontanano dalla città. Il sole nitido mitiga l’aria frizzantina
che investe le penne.
Una corrente ascensionale si leva da una cava esposta a sud, e permette
di prendere quota con lente volute, risparmiando i muscoli già un
po’ dolenti. Percepire il discreto aiuto dell’aria sulle remiganti le ripaga
dello sforzo fatto per prendere quota.
Dopo un po’ una delle due aquile lascia, quasi malvolentieri, le lente
evoluzioni circolari e veleggia verso la strada che si inerpica tra
le colline. Non serve voltarsi, sa già che l’altra la seguirà.
Infatti bastano pochi secondi per vedere la sagoma amica accostarsi alla
sua ala.
Per un po’ volano fianco a fianco. Gli occhi acutissimi seguono la
strada che serpeggia sul bordo della collina, fino a raggiungere un edificio
sul versante est, appena sotto la cima di un colle che potrebbe quasi chiamarsi
montagna.
A quelle viste da aquila non sfuggono gli edifici rurali, né
quello nuovo, di pietra, con un ampio terrazzo coperto che dà verso
valle, e neppure i recinti con animaletti da fattoria minuscoli come granelli
di sabbia con le zampe.
Anche da quassù, si intuisce il nervosismo che la vista dei
rapaci stagliati contro il cielo, mai troppo lontani, ha creato tra gli
uccelli da cortile. Granelli screziati di marrone sembrano spingere nuvole
di puntini gialli al riparo di una minuscola scatolina.
Quello è il posto che cercavano.
In picchiata!
No, pazza, aspetta…
La prima aquila ripiega all’indietro le ali, e si inebria dell’aria
che le fischia attorno al becco mentre il terreno le viene incontro. Dopo
qualche istante di esitazione, anche l’altra la segue.
Dopo avere percorso metà della folle picchiata, le ali si estendono
di nuovo, rallentando e deviando gli uccelli verso il boschetto che si
estende al dilà degli edifici.
La signora Johanna, uscendo nel cortile, segue con gli occhi i due rapaci
mentre spariscono come fulmini dietro le cime degli alberi. Bene. Da
quando abbiamo teso la rete sopra il pollaio, non ci provano più.
Prima di rientrare in casa, le sembra di sentire un fruscio distante,
e una lontana voce femminile che sbraita “Pazza! Sia l’ultima volta!”,
seguita da miagolii di scuse di una vocina più sottile.
Che qualcuno si sia fatto male?
Si volta verso il marito, all’interno. “Thomas, ho sentito qualcuno
nel bosco”.
L’uomo le viene incontro sulla porta. “Johanna, l’acqua sta bollendo,
ed i primi clienti hanno già ordinato”.
“Ma ho sentito un grido!”.
Alza un sopracciglio. “Di aiuto?”
“No. Di rabbia”.
“Ottimo motivo per tornare in cucina”.
Mentre sua moglie riprende il suo posto di combattimento, il signor
Thomas inforca gli occhiali per osservare se qualche automobile in salita
lungo la strada faccia presagire l’arrivo di qualche altro cliente. In
un giovedì di fine settembre, l’agriturismo Chickens and Hens non
può sperare in molta gente a pranzo.
Torna a voltarsi verso il bosco. Toh, due ragazze che scendono dal
sentiero. Non le avevo viste salire.
Osserva una biondina buffa, con le trecce, ed un’altra più grande,
con un’aria un po’ arrabbiata e la chioma raccolta in una coda che sembra
reduce da un accapigliamento. Tutte e due hanno vestitini azzurri e gonne
spiegazzate. Si fermano un attimo, e la più grande china la testa
borbottando qualcosa che forse è meglio non capire, mentre l’altra
le districa un rametto profondamente conficcato tra i capelli. Poi riprendono
decisamente il sentiero verso il locale.
Quando si sono avvicinate di più, percepisce qualcosa dei loro
discorsi: “In fondo, Vera, se tu non avessi tenuto gli occhi sul mio didietro
fino quasi a terra, non ti saresti poi trovata a dover scegliere tra una
roccia ed un cespuglio di rovi”.
Ma… ma guarda che tempi!
L’altra le fa cenno di tacere, poi accende un largo sorriso di circostanza
mentre si avvicinano. “Buongiorno. E’ una locanda?”.
L’uomo si sforza di assumere un atteggiamento professionale. “Benvenute
nell’agriturismo Chickens and Hens, signorine. Desiderate un tavolo?”.
“Sì, grazie. Magari sulla terrazza”, dice la piccola.
“Ed un bagno…”, aggiunge l’altra lisciandosi i capelli. “Sa, devo riordinarmi…”.
“Lo credo. Prego, quello è lì sulla destra”.
“Grazie”. Prova ad aprirlo. “Oh, no, è occupato”.
L’altra la tira per una manica. “Cara, scegliamoci il tavolo, prima”.
L’uomo fa caso agli strappi sulla gonna della grande. “Avete fatto
una… passeggiata nel bosco?”.
“Eh, sì…”. Vera si guarda il vestito lacerato. “So che questi
abiti non erano adatti, ma ho voluto far contenta la mia sorellina…”.
“Certo, certo…”, risponde l’uomo, cercando di non sembrare scettico.
Una
sorellona paziente... come se non vi avessi capite. Fa strada fino
alla terrazza. “Ecco. Che ne dite di quel tavolo?”.
“Possiamo avere quello nell’angolo?”, chiede Vera, indicando il più
lontano dagli altri due già occupati.
“Come preferite. Volete ordinare?”.
Pochi minuti dopo, Vera ritorna al tavolo dove Elyon sta osservando
beata il panorama. “Bene, Ellie, ora sono di nuovo a posto”. Segue lo sguardo
dell’altra verso l’orizzonte. “Oggi siamo state fortunate. Il primo giorno
di sole dopo la pioggia, e una visibilità stupenda”.
“Non è stata solo fortuna”, le sorride Elyon. “Qualche volta
la precognizione può essere utile”.
“Parla piano”, le sussurra Vera. Si accosta, e la guarda per un po’
con una punta di invidia. “Ecco una capacità che io non ho”.
“Meglio per te”. Elyon scrolla le spalle. “Credimi, crea più
vincoli che opportunità”. Guarda lontano. “Soprattutto quando riguarda
cose sulle quali credi di avere potere, ed invece… è già
tutto scritto”. Si morde il labbro. “Però non bisogna limitarsi
a ciò che le profezie dicono, ma soprattutto considerare ciò
che non dicono”. Scuote il viso, a scacciare qualche spettro.
Riprende con un tono allegro e squillante: “Ma oggi è una giornata
splendida. La ho dedicata a te. Sei contenta?”.
“Certo, Ellie”. Le sorride. “Ne sentivo il bisogno”. La studia
di sottecchi: “In particolare da quando hai iniziato a frequentare Carol
da sola”.
“Gelosa?”. Scuote il viso. “Non devi. Sai, lei è in gamba e
sa insegnare tante cose… ma tu sei importantissima per me. Anzi, sapessi
come mi è piaciuto quando mi hai chiamata la tua sorellina…”.
“Ehm, ehm”. Il signor Thomas, alle loro spalle, è arrivato con
le bevande ed il cestino del pane. “Tenete!”. Mette giù di peso
il suo carico, e si allontana velocemente seguito dai loro sguardi un po’
sorpresi.
Sorellina e sorellona… bah! Se fossero figlie mie…
Elyon si volta a guardarlo mentre sparisce in cucina. “Un po’ scortese”.
“Sarà stanco. Bah! Cambiamo discorso”. Vera tira fuori, da chissà
dove, un fascicoletto di fogli graffettati. “Ho le liste degli esperti,
finalmente!”.
“Fantastico”, salta su Elyon con voce fin troppo squillante. “Possiamo
passare alla fase successiva: copiare i ricordi”.
“Parla più piano, Ellie”. Vera le fa un cenno con la mano sulla
bocca, e le si accosta di più. “Spiegami meglio”.
“Bene”. Le si accosta anche lei. “Tutti quei cervelloni hanno delle
vere miniere d’informazioni nei loro ricordi: fatti noti, capacità
di collegamento, tutto ciò che li rende esperti nel loro campo.
Tutte cose che possono essere copiate, selezionate e trasferite ad altre
persone”.
“Fantastico, Ellie!”. Vera quasi saltella sulla sedia mentre l’altra
le spiega. “Anni di studi e di esperienze trasferiti così, in pochi
minuti… E a chi sono destinati questi ricordi?”.
“A seconda di ciò che serve: a me, a te, alle gocce, ai futuri
tecnici di Meridian”.
“Tecnici di Meridian?”. Resta perplessa. “Se questi ricordi sono riconoscibili
come provenienti da un altro mondo… non creerà qualche complicazione?”.
“Non credo”. Elyon fa spallucce. “Sanno tutti che vado e vengo dalla
Terra”.
L’altra scuote la testa. “E se, assieme alle cognizioni tecniche, tra
i ricordi si nasconde qualcos’altro di imprevisto che può alterare
le loro credenze, con conseguenze imprevedibili? Ideologie politiche, pregiudizi,
valori estranei a quel mondo?”.
“Non preoccuparti, cara. Andremo per gradi”.
“Se lo dici tu, sono tranquilla”. Il viso di Vera dimostra tutt’altro.
“E… quando inizierai?”.
“Ecco, cara… sarai tu a farlo”.
“Io?”. Si allontana, un po’ sorpresa. “Ma io non so come!”.
“Come no?”. Elyon abbassa la voce. “Sei ben capace di sincronizzare
i ricordi con me. Userai lo stesso sistema anche con gli altri”.
Vera resta gelata. “Ma… richiede il contatto fronte a fronte per parecchi
minuti”.
“Già!”. Elyon inizia a giocherellare con il suo tovagliolo.
“Per tenere questo tipo di contatto con un uomo senza destare sospetti,
dovrei sedurlo”.
“Sono certa che sapresti farlo benissimo. Sei stupenda”. Il tovagliolo
con cui Elyon sta giocando si trasforma, piega dopo piega, in un bellissimo
origami a forma di gallo.
“No! Io non voglio sedurre nessun uomo”, sbotta Vera a braccia conserte.
“Non se ne parla!”.
“Ehm ehm”. Il cameriere si schiarisce la voce alle loro spalle, facendole
sobbalzare. “Le vostre lasagne”. Gliele sbatte di malagrazia sul tavolo
e si allontana veloce.
Guardano le belle porzioni dalle molte sfumature di rosso e di giallino.
“Sono ancora bollenti”, commenta Elyon disfacendo il suo bell’origami per
appoggiarselo sul grembo.
Vera mette giù la lista sul tavolo, di malumore. “Non intendo
sedurre nessuna delle teste d’uovo di questa lista”.
Elyon la guarda di traverso. “Se sei decisa, non posso obbligarti…
certo, è un incarico importante. Per mettere Carol in grado di eseguirlo,
dovrei insegnarle ancora molte cose ed abilitarla a nuovi poteri”.
Carol! Vera reprime un moto di disappunto. Taglia con rabbia
malcelata un boccone di lasagne e se lo infila in bocca. Quella là…….
AAAHHHIII! Annaspa verso il bicchiere, e si versa un po’ d’acqua
in bocca per estinguere l’incendio.
“Cara! Ti sei scottata?”. Elyon mette giù la forchettata sulla
quale stava soffiando con impegno.
“Wo, wo, wa huhho wene”, risponde Vera mentre la sua lingua tenta di
palleggiare il boccone rovente da una guancia all’altra.
Dopo un attimo di quasi panico, l’infortunata riesce a deglutire, e
ci trangugia sopra un altro bicchierone. “Mi sono scottata!”, esala alla
fine.
“Mi hai fatto prendere un po’ di paura”.
“Passa… è passato. Sono una pelle dura”.
“Meno male”.
“Tornando alla memoria: lascia fuori Carol. Il piano B è questo:
io avvicino gli esperti, chiedo un appuntamento con una scusa, li ipnotizzo,
vi appoggio la fronte quanto serve, sperando che non gli puzzi l’alito,
poi copio tutto; infine loro si dimenticano di me, e niente love story.
Che ne dici?”.
“Che è perfetto, cara”.
Dopo un po’, la signora Johanna viene a ritirare i piatti vuoti
ed a portare due grandi terrine di insalata.
“Con permesso….”
Elyon la studia. Sarà anche lei scortese come quell’uomo che
ora le evita ostentatamente? “Il vostro locale è proprio delizioso”,
azzarda.
“Vero?”, risponde soddisfatta la signora. “E’ la mia piccola azienda
di famiglia… a suo tempo, ho conquistato Thomas più con questa che
con altro”.
Poveraccia. La biondina si sforza di sorridere ancora di più.
“E poi il cibo è squisito”.
“E’ tutto genuino, i polli sono del nostro cortile. Niente a che vedere
con allevamenti in batteria, surgelati da supermercato, prodotti chimici
e altre diavolerie”.
Vera scorre il menù. “Ma questi asterischi….”.
La locandiera si stringe tra le spalle. “Beh, può capitare che…
abbiamo un po’ di selvaggina in freezer, ma è un’eccezione. Sa,
non sempre si fanno impallinare su ordinazione”.
Vera assente. “Siete voi che cacciate?”.
“Spesso è mio marito, oppure acquistiamo cacciagione da amici…
sapete, lui ha un’ottima mira, ma qualche volta si fa un po’ prendere la
mano. Gli è successo di impallinare un paio di rapaci”.
Due sguardi allibiti danno alla donna l’impressione di avere fatto
una gaffe. Si affretta a rassicurare le clienti: “Tranquille, non li ho
mai serviti in tavola!”.
Mezz’ora dopo, le due hanno finito le onoranze funebri di lasagne, insalata
e dolce, e restano come ipnotizzate dal filo di vapore che si alza dalle
tazzine di caffè lungo.
“Ellie….”
“Sì….”.
“Prima che ci appisoliamo, che ne dici di dare un’occhiata alla lista
degli esperti?”. Le porge nuovamente il fascicolo.
“Volentieri”. Allunga la mano per prenderlo, e lo guarda pigramente.
Si sa che dopo pranzo la luce si propaga più lentamente, per
cui gli occhi socchiusi di Elyon scorrono per un po’ sulla lista prima
che il cervello dia l’ordine alla bocca di aprirsi e chiedere: “Cosa significano
gli asterischi accanto ad alcuni nomi?”.
“Sono quelli che sembrano più promettenti”.
“Bene”. Elyon gira pagina. “E cosa vuol dire se ci sono due asterischi
sullo stesso nome?”.
“Come… fammi vedere!”. Le riprende la lista. “Michael Raeder… assistente
di chimica organica a Midgale… esperto in materie plastiche…. Non so. Mi
sembra un pesce piccolo”.
“E le materie plastiche non sono tra le nostre priorità”, riflette
Elyon.
Vera scorre le altre pagine. “Questo foglio è di Irene. Credo
che ciò spieghi qualcosa”.
“Sono curiosa”. Elyon si riguarda l’appunto. “E poi è proprio
di Midgale. Cominceremo da lui”.
L’altra scrolla le spalle. “Uno vale l’altro”.
“Lo faremo oggi”. La scuote per un braccio. “Andiamo!”
Vera esala a lungo prima di riaprire gli occhi. Guarda la tazza di
caffè che non fuma più. “Fuori il dente, fuori il dolore”.
Midgale, università
Attenuato da una porta socchiusa, uno strillo si fa strada fino al corridoio
affollato di studenti.
“EEK! UN UOMO! Cosa ci fa qui…”.
“Cosa ci fate voi, bionde!” “Questo è il bagno degli uomini”
“Eravate anche chiuse nello stesso gabinetto”.
“E con questo?”. Una voce da ragazzina sembra mettere fine alla questione.
Le due escono di corsa, con le facce di un rosso acceso come la targhetta
“MEN” sulla porta.
“Oh, cavolo”, sbuffa Vera. “Non sempre il teletrasporto è preciso
come dovrebbe”.
“Meno male che conoscevi bene la destinazione, no?”, la stuzzica Elyon.
“Sempre meglio che farsi impallinare da quell’antipatico”, taglia corto
Vera. “Ecco, quello in fondo
è l’atrio”.
Le due percorrono il grande corridoio fino ad un grande locale
costellato di cartelli di indicazione.
“Istituto di chimica… Ecco, di là”. Una freccia indica
di imboccare un corridoio di cui a malapena si vede la fine.
Molti “Di là” dopo, le due arrivano davanti ad un corridoio
più stretto, chiuso da una larga porta a vetri. “Istituto di chimica”,
recita finalmente la targa affissa sul muro.
“Ci siamo”. Vera si guarda attorno. “Non c’è molta gente, qui”.
“Meglio così, cara. Procedi tu, io ti faccio da palo”, la incoraggia
Elyon scrutando l’orizzonte dall’alto del suo metro e cinquantasei.
Superata la porta a vetri, procedono con circospezione lungo il corridoio,
incrociando quello che sembra un compunto laureando con una borsa piena
di carte. Osservano le porte tutte uguali degli uffici tutti uguali. Alcuna
sono aperte, e fanno vedere che, almeno nel disordine, quegli stanzini
trovano una parvenza di individualità.
Ecco l’ufficio. “Michel Raeder, assistente”, recita Vera. Guardano
attraverso la porta aperta. Il computer è acceso. Titoli accademici
incorniciati fanno bella mostra di sé alle pareti.
Elyon si ferma a guardare una foto appesa alla parete. “Questo professor
Raeder sembra molto più vecchio di quanto pensassi”.
Sguardo di compassione. “Ellie, quello è il presidente. Non
vedi la bandiera?”.
“Oops... ma non è quello che ricordo io”, cerca di giustificarsi.
“E poi, non ce l’ha mica scritto in faccia!”.
Vera guarda alcune foto di un’intera squadra di baseball in posa.“Forse
è uno di questi. Ma quale?”.
Con la coda dell’occhio, vede sparire il riflesso dello schermo del
computer dagli armadietti a vetri. Muove leggermente il mouse, e l’immagine
si riforma subito. “Tetris! Poverino, è pieno di lavoro il nostro
prof!”.
Dei passi nel corridoio catturano la sua attenzione. ‘Bene’, pensa Vera.
‘Appena entrato, chiudiamo la porta e… Ellie? Sei già sparita?’.
Quando varca la porta, l’uomo sembra stupito nel vedere la sconosciuta
che lo sta aspettando. Si guardano.
Che uomo! Vera resta impalata a fissare il giovanotto alto ed
elegante che ha di fronte. Quegli occhi… verdi, profondi, come non li ha
mai visti… E quel mento deciso, quella fronte spaziosa, quei capelli castani
ed ondulati, quegli occhiali con le stanghette seducenti… whow!
“Buongiorno, signorina. Cercava me?”.
Che voce profonda, calma, gentile… E’ perfetto, più perfetto
di come Vera abbia mai potuto immaginare. E poi, un abile giocatore di
Tetris… che sogno!
“Signorina… va tutto bene?”
‘Chiudi la bocca, Vera’ , fa eco una vocina nella sua mente.
Vera si scuote dallo stato di catalessi. “Si,… si, tutto a meraviglia,
grazie!”.
“Cercava me?”.
“Sì!”. E poi? Cosa può dire?
‘Vera, svegliati, dì qualcosa, o lo perdi’.
“Ecco… La cercavo perché … perché...”. Perché
cosa?
‘Perché ho scommesso con un’amica che avrebbe accettato un
invito a cena’.
‘Ellie! Che cavolate mi vuoi far dire?’
‘Fidati, è spiritosa. Gli piacerà. E poi, hai altre
idee?’.
Vera fa appello a tutto il suo coraggio. “Vede… ho fatto una scommessa
con una mia amica. Sì… Abbiamo scommesso se lei avrebbe accettato
un invito a cena”.
L’uomo resta stupito e divertito. “Con chi ho il piacere?”.
“Vera. Vera… Portland”.
“Raeder. Michel Raeder. Immagino conoscesse già il mio nome”.
Vera annuisce con enfasi, cercando una risposta brillante. “Sssì…”.
L’uomo la squadra da testa a piedi, con soste intermedie. “Ci siamo
già visti prima?”.
Che domanda poetica! Universi di possibilità si aprono davanti
agli occhi di Vera. Magari, nella loro reincarnazione precedente, sono
stati teneri amanti fino a tarda età, o forse i protagonisti di
una storia drammatica in cui hanno promesso che si sarebbero…
‘Rispondi, furba’, le risuona nella testa. Guarda l’uomo che sta ancora
attendendo.
“Non avrei potuto dimenticarlo”.
“Significa no?”.
“…”. Cosa può rispondere? Vorrebbe raccontare un romanzo, ma
non sa quale.
L’uomo ha ben capito di aver fatto colpo. “Signorina Vera, cosa dovrei
dire ad una bella sconosciuta che si presenta con un invito a cena, poi
resta ad occhi e bocca spalancati e si incanta senza dire più niente?”.
Rispondi, Vera. Ora o mai più. “Do… dovrebbe dire: ciao
Vera, chiamami pure Michel. Sarò onorato di venire a cena con te”.
L’uomo ride, poi ripete: “Ciao, Vera. Chiamami pure Michel. Sarò
onorato di venire a cena con te”.
Whooowwww! “Michel…che bel nome! Non era di un arcangelo?”.
Michel ridacchia. “Forse, ma non era mio parente”. La guarda compiaciuto.
“Hai preferenze per il locale?”.
Whow, com’è spiritoso… Il locale…quale locale? Ah, già…
“Mi…mi fiderò della tua scelta”.
“Allora, che ne dici del Black Flower?”.
“Benissimo”, sorride estasiata. Chissà dov’è…
“Alle otto, allora, di fronte al Black Flower”. La studia, ben ringalluzzito.
“Contenta? Così ti ho fatto vincere la tua scommessa”.
Lei si stringe nelle spalle. “Veramente… l’ho persa. Avevo scommesso
contro di me”.
“Oh!”.
“Ma verrò. Alle otto, allora…”
“Fantastico, Vera”. Guarda l’orologio sul muro “Purtroppo, ora ti devo
congedare. Tra pochissimo sono atteso a lezione”.
Quando l’uomo le sfiora un braccio, Vera sussulta come se scottasse.
Sta tremando. Chissà se se n’è accorto… “Mi… mi piacerebbe
venire a sentirti!”.
“No, meglio di no, ti annoieresti. Cosa importa ad una bella bionda
come te delle reazioni tra eteri diglicidici del bisfenolo A e ammine aromatiche?”.
Una risposta, una risposta qualsiasi… ma certo, stupidina, te la
sta suggerendo lui stesso. “So che sono molto esotermiche, e portano
ad una reticolazione irreversibile”.
L’uomo sembra un po’ sorpreso mentre la accompagna lungo il corridoio.
“Vedo che ne sai di chimica”.
“Qualcosina soltanto”, si schermisce Vera, poi si volta verso di lui,
stringendogli le mani. “Allora alle otto”. Gliele lascia andare lentamente,
esitando a staccare gli occhi dai suoi, e fa qualche passo verso l’uscita.
SBONNG. Ahi, la porta a vetri. Vera barcolla dopo essersi schiantata.
“Vera! Ti sei fatta male?”.
“”No, non è niente. Tutto a meraviglia”, rassicura con un sorriso
largo che cerca di sembrare disinvolto.
Ochescemachescema, si ripete appena chiusa la porta, prendendosi
il naso fra le mani. Proprio davanti a lui. Ma da chi ho preso?
La risposta appare accanto a lei, ridacchiando mentre la accompagna.
“Non dovevamo eseguire il piano B?”.
“Hai voglia di sfottere, vero Ellie? Dillo, che non ti sei mai divertita
come oggi”.
“‘Ho scommesso con un’amica…’. Non è stato un colpo di
genio?”.
“Insomma… in assenza di meglio…”.
“Mi sembrava quasi di vedere nuvole di fiorellini uscirti dagli occhi”.
“Io… E’ che mi sembra un tipo passabilmente interessante”, si schermisce
con un tentativo di nonchalance. “Vorrei solo conoscerlo un po’”.
Appartamento delle Gocce
Din donn.
Appena la porta si apre, è il viso aperto di Irene ad accoglierle.
“Ehi, Vera! Ehi, ciao, piccoletta!”.
“Vostra altezza reale, prego”, ridacchia Elyon.
Appena entrate, Irene le studia un attimo. C’è qualcosa di insolito.
“Perché quei sorrisini ebeti?”.
“Tutto bene, tranquilla”, le risponde Vera lontana.
L’altra la guarda ancora. “Vera, non eri tu che ci avevi vietato categoricamente
di fumare cose strane?”.
Si riscuote un po’ dal suo stato di beatitudine. “Ma che dici! Sono
di buon umore, tutto qui!”.
Elyon ridacchia. “Se la avessi vista prima… si è schiantata
contro una porta vetrata, ha camminato come in trance, e se non la avessi
trattenuta per un braccio avrebbe attraversato le strade senza guardare”.
“Che vuol dire!”, replica l’altra stizzita. “Eravamo sulle strisce
zebrate, o no?”.
“Ti avrebbero stirataaaaa!”, la canzona Elyon.
“Tutta invidia!”, tira corto.
Irene ha studiato il battibecco, un po’ stupita. “Ah, ho capito!”.
Si avvicina a Vera facendole un occhiolino. “Allora, chi è il fortunato?”.
“Il…. Cosa vuoi dire?”. Naturalmente lo sa benissimo.
“L’uomo che ti coglierà come una pera matura”.
“Ma che dici?”. Vera arrossisce sempre più e si trincera dietro
le braccia conserte. “Io sarei una...?”.
“Non è mica una brutta cosa!”, replica Irene fingendosi ferita.
“Le pere mature sono dolcissime”.
“Allora TU torna pure in cucina tra la frutta! IO non sono così!”.
“Vabbè, dicevo per dire. Un bignè caldo…”.
“BASTA!”, grida Vera fuori di sé. “Hai passato il segno! Continua
a sfottermi, e passerai la serata seduta in gabinetto!”.
“Vabbè, vabbè, scusa”. Irene alza le mani. “Posso almeno
sapere chi è?”.
Vera resta trincerata dietro le sue braccia. E’ Elyon a rispondere
con un risolino: “E’ il tuo due asterischi, Irene”.
“Ah, il bel Michel”, si illumina. “Valeva la pena di vederlo, vero?”.
“Insomma…”, minimizza Vera con ostentata sufficienza.
“Quel tipo è molto popolare tra le studentesse. Avrai una concorrenza
agguerrita”.
“Ci vado solo a cena!”. Vera cerca di nascondere uno sguardo di preoccupazione.
“Prima di arrivare al dolce, devi sapere che il bel Michel è
un tipo farfallone”.
Vera fa un passo indietro, sempre più piccata: “Sciocchezze!
Si vede subito che è un tipo serio!”.
Irene le rivolge uno sguardo materno. “Aspetta, prima di costruirci
un castello”.
E’ troppo! “Ma che castelli! Non sono mica una ragazzina
come…”. Si interrompe troppo tardi.
“Come Elyon, dillo pure”, completa Sua Altezza Reale.
Sguardo imbarazzato. “No, Ellie, non volevo dire questo”.
“Non importa”, risponde un po’imbronciata. “Consideriamola come una
missione. Stasera ti accompagnerò fino al locale”.