LA RAGAZZA DI CARTA
Aveva mentito, in effetti, si era innamorato.
Era una ragazza bellissima, la rincarnazione della dea Afrodite, pensava che anche lei ricambiasse, ma non era stato così.
Per questo era così chiuso, aveva paura di soffrire un’altra volta.
Guardò di sfuggita l’orologio, era mezzanotte, mancavano due ore.
E come al suo solito si era perso nel rimuginare i suoi ricordi, tanto da dimenticarsi di dover ancora iniziare il disegno.
Voleva fare l’esatto opposto della ragazza che gli ha spezzato il cuore; capelli castani, occhi color petrolio, naso all’insù e labbra carnose.
Eccola, si era lei!
Muoveva la mano e il polso sincronizzati a una velocità spaventosa, aveva una scarica d’idee che gli fluttuavano nella testa.
Si fermò un secondo, e guardò il viso, era maledettamente realistico.
Passò al corpo, era magro, con le curve al punto giusto.
Sapeva che infondo il disegno non sarebbe mai stato perfetto, perché siccome la sua bravura, nessun’essere umano non aveva difetti.
Il ritratto immaginario era finito, si sentiva completo e pieno di sé.
Ormai erano le due in punto, finalmente toccava anche a lui di ritornare a casa.
Il foglio su cui aveva appena disegnato, lo ripose nel cassetto aperto prima, lo chiuse a chiave.
Prese la sua giacca di pelle nera dall’attaccapanni, il mazzo di chiavi e la sua borsa.
Spense tutte le luci, sia del corridoio sia della stanza.
Uscì.
Chiuse la centrale e avanzò verso il suo fuoristrada.
Schiacciò il tasto di apertura, aprì lo sportello e salì nella sua auto.
Era un regalo dei diciotto anni, probabilmente il migliore della storia.
Infilò la chiave nella toppa, la fece girare un paio di volte e finalmente si sentì il rombo
. Tra pochi minuti poteva finalmente stendersi sul suo letto, con tanto di piumone caldo e cuscino di penne d’oca.
Sì perché lui amava la comodità, poteva passare anche tutta la giornata immerso sotto le mille coperte che si buttava addosso.
Quello si che era essere pigroni!
Amava stare in solitudine, anche se molte volte lo rendeva pensieroso, e poteva capitare che si sedesse sul divano a pomeriggio iniziato e si risvegliasse dal suo coma a pomeriggio inoltrato.
Molte volte lo spaventava ridursi così, ma siccome aveva lasciato Bradford – la sua cittadina – da qualche mese, fare conoscenze nella sua nuova città – Londra – era abbastanza difficile, non conoscendo nessuno.
Si può dire che conosceva solo due strade, per la centrale –andata e ritorno da casa- e quella per arrivare al ristorante Nando’s.
Mangiava lì quando il frigorifero era vuoto, o semplicemente quando mangiare cibo surgelato lo aveva stancato e gli serviva qualcosa di più sano.
Molto spesso andando in quel ristorante, incontrava un biondo ossigenato, gli pareva si chiamasse Niall.
Quel ragazzo era sempre lì e diventava quasi bello parlarci, il quasi sta poiché conosceva poco di quel diciannovenne e non si fidava ancora del tutto, ma a segnare punto a suo favore ci stava il suo viso angelico.
Si era appena accorto di essere davanti alla palazzina dove risiedeva; era color mogano, ampi balconi con finestre altrettanto grandi.
Parcheggiò nell’area per i coinquilini, chiuse l’auto con l’antifurto –non bisogna mai abbassare la guardia- e si avviò verso l’entrata.
Spinse il portone di vetro, e prendendo l’ascensore si diresse al quinto piano.
Uscì dalla cabina e cercò il suo monologo abitativo, girovagava con lo sguardo – purtroppo non era ancora in grado di ricordare dove risiedeva- e finalmente ecco il numero 512.
Una scritta in metallo ricoperta da vernice color oro, era attaccata alla porta di legno chiaro, la maniglia della stessa tonalità del numero con l’estremità arcuata.
Prese l’ennesima chiave ed entrò nell’appartamento; era molto moderno, i colori che predominavano erano il bianco e il nero.
Ora non aveva voglia di ispezionare la casa, era spoglia e doveva ancora sistemarlo, infatti, tra pochi giorni sarebbe venuta in casa un’arredatrice di giovane età.
Sfilò le scarpe e rimuginando cioè che era successo durante il pomeriggio, si accoccolò sul letto.
Una giornata lo stava aspettando…