Midnight in
Greenwich
La bionda
fa irruzione in casa con un sorriso smagliante stampato sul volto. A
volte mi
chiedo come faccia a trovare la gioia in ogni piccola cosa. Una lunga
giornata
di lavoro è appena trascorsa, lei ha dovuto perfino subire
gli straordinari, ma
nonostante tutto non riesce a non sorridere alla vista della mia
famiglia a
casa nostra. Nemmeno fosse la sua
di
famiglia.
Forse
questa è l’unica cosa che invidio di lei.
Non
invidio il suo fisico più formoso del mio, che è
quasi completamente asciutto.
Non invidio i suoi capelli sempre in ordine. Non invidio il suo
guardaroba o la
sua trousse. Invidio la capacità con la quale riesce a
rendere tutto più facile
e felice. Sempre, in ogni circostanza.
Riesce ad
alzarsi anche dopo la caduta più dolorosa. E’ un
po’ come l’arcobaleno dopo la
pioggia: fa capolino con i suoi colori e la sua allegria, nonostante
l’atmosfera sia ancora scura e cupa.
E
nonostante
tutto, sono entusiasta al pensiero di aver già ricevuto
questo arcobaleno nella
mia vita.
Arrivata
in soggiorno, si mette davanti a noi e porta entrambe le mani alla
bocca, dalla
quale esce qualche gridolino strozzato dall’emozione. Inizia
perfino a
saltellare.
“Finalmente
vi conosco!” annuncia
tutta contenta,
tipico della mia migliore amica. Rido, scuotendo la testa. E’
proprio
impossibile; sta conoscendo la mia famiglia, non il suo cantante
preferito o lo
stilista che ha disegnato la borsa che ama.
Damon mi
scruta con i suoi occhi cristallini, forse più vivi del
solito.
Incrocio
le braccia, mentre mi stendo il più possibile sul divano.
“Aspetta
di scoprire chi ha finito il gelato.” Dico guardandola
velocemente, per poi
distogliere lo sguardo da lei e puntarlo negli occhi del mio migliore
amico.
Alzo le
sopracciglia come per dire ‘l’adorerai anche
adesso?’ mentre Hayley accenna ad
una risata e poggia il capo sulla mia spalla. L’accolgo con
tutta la dolcezza
possibile, mentre mi ritorna alla memoria la domanda che le avevo posto
qualche
minuto fa. Chi è il padre dei miei futuri nipotini?
Decido di
non indagare ulteriormente, infondo è stata una giornata
pesante e piena zeppa
di novità e notizie sconvolgenti. Purtroppo non ho la
capacità di Caroline di
gioire continuamente, perfino nei momenti più impensabili.
“Perché,
a
chi l’hai dato questa volta? Sentiamo.” Mi incita
la bionda che ho davanti,
mentre poggia le mani sui fianchi. Alzo gli occhi al cielo. Non riesco
nemmeno
a mettere in cattiva luce il Salvatore. Giustamente le viene in mente
quell’episodio lontano –ma non troppo- nel quale
invitai Vicki a casa e le
offrii l’ultimo Ben&Jerry’s. Il penultimo
ce l’avevo io. Quello fu un caso
eccezionale, in cui facemmo scorta di gelato che avrebbe dovuto
bastarci per
più di due settimane.
Ma in
fondo stiamo parlando di me e Caroline e, se la matematica non
è un’opinione,
noi due sommate a tanto gelato diamo origine ad un numero relativo il
cui segno
è negativo: tante vaschette andarono a ruba, e la sua
necessità non fu esaudita
a sufficienza, anche –e soprattutto- a causa mia. Diciamo che
fu una sorta di
vendetta, ripicca nei suoi confronti che mi aveva costretta a guardare
due
volte di seguito il suo film preferito, ‘La mia miglior
nemica’. Non che non
fosse una commedia divertente, ma in quel periodo ero particolarmente
su di
giri nei confronti di spose che non si accontentavano mai.
Insomma:
vedere quel film fu una vera tortura. Dato che la vendetta è
un piatto che va
servito freddo, offrii, con tanta e quasi inspiegabile
generosità, l’ultima
vaschetta di B&J’s -come ho già detto- a
Vicki, che non si fece scrupoli a
prenderla e gustarla con me. La rabbia di Caroline raggiunse livelli
esorbitanti, tanto che la sua sfuriata causò il litigio
più lungo mai successo
fra noi due.
Non ci
rivolgemmo la parola per quasi due settimane.
Mi
perdonò solo quando organizzai la nostra solita serata fra
amiche, a base di
centinaia di pellicole, popcorn, gelati a volontà e pigiami,
tutto
rigorosamente sul mio letto. Le promisi che non avrei mangiato
più quel gelato
per una settimana (la settimana più lunga della mia vita!).
Ovviamente
lei mi perdonò, e non perse tempo nel mangiare la sua
vaschetta di fronte ai
miei occhi che chiedevano umilmente pietà in silenzio.
“Damon.
Il problema è che non gliel’ho offerto io, si
è servito da solo.”
Rispondo alla sua domanda, tentando di far
apparire sotto una cattiva luce il mio Salvatore.
Ma so che
non succederà. Caroline è facilmente
impressionabile.
E’
attratta dagli uomini pericolosi, affascinanti, e Damon rientra in
tutte queste
categorie.
Poi lui
le fa gli occhi dolci, mettendo ulteriormente in mostra il suo animo da
‘modesto’.
Lo
detesto.
In senso
buono.
“Oh,
allora possiamo fare un’eccezione per oggi.”
Afferma con nonchalance, mostrando
una dolcezza che non sapevo possedesse, e, comunque, non avrei mai
immaginato
potesse usarla con colui che le ha rubato il gelato
–tecnicamente lo ha rubato
a me-.
Alzo gli
occhi al cielo, mentre Damon e mia sorella ridacchiano.
Incrocio
le braccia, proprio come fanno i bambini quando, da piccoli, si
arrabbiano e
nessuno è dalla loro parte. Se c’è
qualcosa che posso fare per far imbestialire
il Salvatore, però, è sconfinare negli argomenti
che dovrebbero essere
proibiti, almeno fra noi due.
“Allora,
Damon. Come sta Stefan?” ammicco nella sua direzione,
catturando la sua
attenzione ma –stranamente-
anche quella
di mia sorella. Stefan
Salvatore adesso
è un ventenne, cresciuto in tutto e per tutto con mio
fratello Jeremy. Hanno
entrambi la stessa età *, ed è come se fossero
fratelli.
Per
questo considero la nostra un’unica famiglia. Siamo
più che semplici migliori
amici, siamo come uniti da un legame di sangue.
Proprio
per questo motivo non potrei mai provare alcun sentimento nei confronti
di
Damon, o per giunta Stefan. Lo stesso vale per i Salvatore con mia
sorella.
Quando avevo sedici anni, però, Jeremy mi
confessò un segreto di Stefan. Aveva
una cotta per me; io l’ho sempre ignorata, anche
poiché a quel tempo era un
dolce ed ingenuo quindicenne ed io stavo con Matt. Un giorno Damon lo
venne a
sapere, ed andò su tutte le furie. Non poteva permettersi
che suo fratello
provasse qualcosa per una persona da considerare come ‘sua
sorella’. No,
no,
ed assolutamente no.
Da quel
momento diventò molto più protettivo nei miei
confronti, e anche se a Stefan
passò il suo debole per me, continuò a provare un
leggero astio nei nostri
confronti.
Quando,quindi,
ha la meglio su di me –come con Caroline - , cerco di sviare
l’argomento per
raggiungere il capitolo proibito denominato
‘Stefan’. Lo stesso faceva il
piccolo Salvatore quando, quelle poche volte, ci alleavamo contro di
lui.
E’
uno
spasso totale.
“Benissimo.”
Afferma con durezza, con un tono serio che non sembra appartenere
all’ironico e
sarcastico Damon di sempre. Per giunta serra la mascella, e non mi sono
mai
sentita così in colpa per aver tirato in ballo
l’argomento ‘Stefan’ come
adesso.
Il
sorriso di Caroline sempre spegnersi pian piano, ma ringrazio il cielo
di aver
una migliore amica così perfetta. Un giorno la
porterò in qualche negozio
famoso –magari in Italia, o magari a fare
‘colazione da Tiffany’-
o a qualche sfilata per ringraziarla,
cosciente del fatto che non sarà mai abbastanza.
“Volete
rimanere per una notte in casa Forbert?”
domanda con enfasi la bionda, ma sono sicura che un po’ del
suo entusiasmo sia
finto, giusto per alleviare la tensione creatasi fra me e Damon.
Ammesso che
sia fra noi. Non ci era mai successo.
Un
momento… casa Forbert?
Sul serio?
Hay
sgrana gli occhi divertita, mentre Damon sembra leggermente
riprendersi,
accennando un lieve sorriso. Sospiro. Cosa ho fatto?
“Forbert.”
Spiega la mia amica. “Forbes e Gilbert.” Continua
con uno sguardo sorpreso,
come se fosse assolutamente normale unire i nostri cognomi. Mi alzo
affiancando
la mia coinquilina.
“Questo
perché non siete a contatto con la cultura Elenoline.”
Dico con finto disprezzo nei confronti della mia famiglia. Abbraccio la
mia bionda,
l’amica che mi completa; oscilliamo a destra e sinistra fino
ad arrivare alla
cucina, dove le chiedo se può preparare qualcosa di meglio
che il succo ed il
gelato per gli ospiti. Lei risponde affermativamente, scuotendo la
testa
divertita. Mormora anche qualcosa come ‘non imparerai mai a
cucinare!’.
“Restate,
quindi?” domando con tono angelico ad Hay e Damon.
I due si
guardano, e rispondono contemporaneamente.
“Se
non
disturbiamo…” dice Hay. “Magari
un’altra volta.” Sussurra Damon.
Alzo per
un secondo le sopracciglia guardando Damon, interdetta dalle sue parole.
“Puoi
dormire nel mio letto. Avrai bisogno del tuo spazio.” Mi
rivolgo a Hay che
annuisce e capisco che è molto stanca. Il viaggio deve
averla stressata più del
previsto.
L’accompagno
in camera, al piano di sopra.
La mia
camera è piccola ma accogliente. Una parete è
composta da mattoni rossi,
differente dalle altre, tutte bianche. Il letto è completato
con qualche
cuscino in stile vintage-retro, ad eccezione di uno regalatomi a Natale
dalla
mia coinquilina. E’ bianco panna con una nostra foto stampata
sopra.
Le porgo
anche un mio pigiama, che prendo dall’armadio adiacente al
letto di una piazza
e mezza; stranamente, non hanno con sé nemmeno una valigia,
ma solo una borsa.
Forse
è
dato dal fatto che non prevedevano di restare, forse nemmeno di
parlarmi.
Noto che
Hay si guarda curiosa attorno, come se stesse entrando in un mondo che
non le appartiene,
ma è comunque felice di visitare.
Prima di
scendere, l’abbraccio. Un abbraccio forte, per quanto cerchi
di non farle male.
Voglio
tanto bene a mia sorella.
Lei
è
tutto per me.
Scendo le
scale, con l’intenzione di recarmi in cucina. Non entro
poiché delle risate
attirano la mia attenzione.
Avvicinandomi
di poco, e facendo attenzione a non essere vista, scorgo Care e Damon
seduti al
tavolo intenti a parlare e scherzare animatamente.
Il
sentimento di sentirsi di troppo, di essere il cosiddetto
‘terzo incomodo’ si
impadronisce di me.
Non so
cosa gli abbia fatto, nè cosa ho detto che lo abbia ferito.
L’unica
certezza è non è affatto da Damon fare
l’infantile.
Li lascio
discutere come se fossi io l’estranea e non Caroline.
Vado a
dormire. E’ quasi mezzanotte. Oggi è stata una
giornata pesante.
***
Sento
improvvisamente del freddo avvolgermi, e noto con un gran dispiacere
che è
giunta la mattina di un giorno che si prevede intenso.
Ho dormito nel letto di Caroline, che ha deciso di
avvolgersi completamente nel piumino, scoprendomi del tutto.
E’
impossibile dormire con lei. Ogni volta accade la stessa cosa: si deve
aggiudicare tutto il calore possibile, perfino in estate. Per fortuna
capita
raramente di dormire insieme: le uniche volte sono quando ha bisogno di
qualcuno che la faccia addormentare, tipica reazione dei momenti
‘no’, come ad
esempio momenti di poca autostima, fine di una breve relazione, film
drammatici.
Mi volto
verso destra, ma mi ricordo di essere nella camera di Care,
così mi giro dal
lato opposto: cerco di leggere che ora sia, ma trovo una lieve
difficoltà dato
la mia vista ancora offuscata per il sonno.
Le otto e
mezza di mattina. Il sole è già sorto, ma la
temperatura sarà notevolmente
bassa.
Londra,
come sempre.
Ho
un’incredibile voglia di cioccolata calda. Lo Starbucks qui
vicino è
sicuramente aperto**, quindi farò un salto lì e
comprerò qualcosa per la
colazione della ‘ famiglia’.
Mi piace
alzarmi presto al mattino. Non che non mi piaccia dormire, non
fraintendete. E’
solo che spesso è bello uscire ed apprezzare la
tranquillità di una giornata
che si prospetta dura, poiché lavorativa, o per il semplice
motivo di vedere
una Londra differente da quella frenetica e caotica.
Sbadiglio
e mi porto una mano alla bocca.
Mi alzo
con molta cautela, cercando di non svegliare la mia amica.
Una volta
in piedi, controllo che dorma ancora, ed in effetti è
così. Essendo sabato,
Caroline dorme di più, e suppongo che Hay e Damon stiano
riposando
profondamente, causa jet lag.
In bagno,
mi osservo allo specchio. I capelli sono un disordine vivente. Devo
ancora
capire il segreto di Care sono-sempre-perfetta Forbes, nonostante abbia
seguito
il suo consiglio, quello di farmi un taglio scalato differente dai miei
soliti
capelli lunghi e lisci.
Cerco di
ravvivarmeli alla meno peggio, e mi sembra di aver fatto un leggero
progresso.
Sorrido istantaneamente, mentre mi lavo i denti. Con
lo spazzolino in bocca, vado nella mia
camera, camminando come faceva
Con mio
grande stupore noto che anche Damon è nel mio letto, con la
bocca lievemente
aperta e il suo torace che si alza e abbassa ad un ritmo regolare.
L’unico
sentimento che provo guardandolo è stupore misto ad odio.
Non riesco ancora a
capire cosa possa avergli fatto da averlo addirittura ferito, ma, al
contrario
delle altre volte, dovrà essere lui a fare il primo passo se
mi rivuole come
migliore amica-confidente.
Afferro
il primo paio di jeans scuri che trovo, con una lunga ma semplice e
chiara
camicia bianca, non troppo pesante né troppo leggera per la
stagione, essendo
appena l’inizio di aprile.
Abbino un
paio di stivaletti ed un blazer al mio completo, cercando di non
sembrare
ridicola ai passanti. Per cui lo osservo per qualche secondo,
realizzando che è
okay per una mattina di desolazione totale.
Ritorno
in bagno, dove mi sciacquo anche il viso e chiudo il tubetto del
dentifricio
alla menta.
Mi cambio
mentre scendo le scale e raggiungo il salotto.
“Dov’è
la
borsa?” mormoro a me stessa a voce alta.
Mordo
lievemente il labbro inferiore mentre scuoto la testa da una parte
all’altra
della stanza fino a che la scorgo in un angolo remoto del divano. La
afferro
subito, contenta di non aver impiegato troppo tempo a cercarla dato il
mio
costante disordine.
Aggrotto
un attimo le sopracciglia, sentendo un lieve rumore dietro di me.
Non
c’è
nessuno, quindi sarà semplicemente qualcuno che si rigira
nel letto.
***
Sono
poggiata alla ringhiera oltre
Di fronte
a me c’è il fiume, mentre addirittura oltre
c’è un fantastico panorama della
City Londinese, consistente in enormi grattacieli che, di sera,
compongono i
panorami tipici dei film ambientati nella capitale.
Cerco di
godermi, chiudendo gli occhi, questa pace, questo silenzio rotto solo
dal lieve
rumore del vento, che mi scompiglia in modo non poco evidente i
capelli.
Vorrei
che tutto si potesse fermare, anche solo per qualche minuto. Solo
così potrei
trovare la forza per continuare il mio amato ma stressante impiego,
capire cosa
passa nella testa di mia sorella –e nella sua pancia-,
cercare di far capire
alla mia migliore amica che il suo capo è cotto di lei, e
iniziare a conoscere
un nuovo Damon, uno irascibile ed infantile.
Mi rigiro
il bicchiere fra le mani. Alla fine ho optato per un semplice
caffè macchiato,
non per una cioccolata poiché penso che avrei speso
un’intera mattinata –se non
addirittura di più- nella caffetteria. Sono fatta
così. La cioccolata mi serve
nei momenti in cui mi sento assolutamente giù di morale, e
non gradisco la
presenza di nessun mio conoscente, nemmeno di Caroline che, quando
riesce ad
udire un mio ‘Voglio la cioccolata calda’, alza gli
occhi al cielo e sgombera
la camera in cui mi trovo, per farmi rimanere sola. E’
semplice, una sorta di
codice che abbiamo. E poi, la cioccolata mi fa riflettere. Quasi quanto
il
caffè macchiato che sto sorseggiando in questo momento.
Quando
schiudo le palpebre, è facile notare una presenza accanto a
me. Soliti turisti,
immagino.
E’
un
uomo.
Lo
osservo.
Capelli
corvini, carnagione chiara, labbra rosee e carnose, occhi cerulei
adesso
puntati nei miei… Non un turista qualsiasi. Damon Salvatore.
“Non
sei
troppo elegante per un semplice caffè?” domanda
con un mezzo sorriso, dopo
avermi osservato attentamente. Ed è in quel momento che mi
rendo conto che
quella domanda è uno spiacevole inconveniente.
Perché la risposta fa quasi più
male che vederlo accanto a me, mentre mi rivolge la parola, sorvolando
su come
si è comportato nei miei confronti.
“Non
mi
conosci, Damon.” Affermo con un tono di voce basso, nella
speranza che non
senta ciò che sto dicendo. “Non
più.” Continuo, osservando il paesaggio di
fronte a me.
“Lo
so.”
Sussurra, abbassando il capo. Da quando sono partita, sono…
diversa. Sono
entrata a far parte di un mondo che a Mystic Falls potevo solo vedere
in TV o
leggere nei romanzi. Vorrei rassicurarlo, dicendogli che è
tutta apparenza, che
sono cambiata solo esteriormente, che ho appreso nuove cose ma che sono
sempre
io. Non lo faccio. Non perché non sono più la
ragazza che usciva di casa
conciata come le pareva, che aspirava a diventare una famosa
giornalista, che
non litigava mai con la sua famiglia.
Perché,
per la prima volta nella mia vita, non sono sicura che lui capirebbe.
O forse
sarebbe l’unico a farlo per davvero. “Ma
lo stesso vale per te , ragazzina.” Ammette, puntando un dito
contro di me.
Sospiro abbattuta, lasciando che continui il suo discorso. “Altrimenti non
avresti messo in ballo
Stefan.” Alza le sopracciglia, dopo aver utilizzato un tono
di voce che mi dà
ai nervi. E lui lo sa. Odio quando fa finta di essere qualcuno che la
sa lunga,
odio sembrare più piccola ai suoi occhi. Non mi dispiace se
a volte mi chiama
‘ragazzina’, né se a volte mi coccola
proprio come si fa ai fratelli minori o
ai propri figli.
“Ho
trascorso l’ultimo anno della mia vita a Londra, non a Mystic
Falls. Quindi
scusami se non sono aggiornata tanto quanto tu lo sei con
me.” Affermo
sarcastica. Durante tutto questo tempo ci siamo parlati, abbiamo
chiacchierato,
scherzato e discusso su quando ci saremmo visti per davvero.
Ho
cercato di esserci nella sua vita, nella loro –se considero
anche quella di Hay-,
ma mi hanno allontanata. Il mio “cambiamento” era
quasi normale, dovuto. Sono
cresciuta ormai, e sto vivendo in un mondo differente che sta
influenzando
anche la mia quotidianità. Lavorare per una rivista
femminile, di moda, con
talvolta articoli sulle spose, avere come capo
Impazzirei.
Quindi,
se ci tiene alla mia amicizia, dev’essere ancora
lui a fare un passo avanti.
“Non
potevamo dirti della gravidanza per telefono, Elena.” Dice
seccato,
osservandomi come sto facendo io con lui. “E non potevi
sapere di quello che
sto passando con Stefan in questo periodo. Certe cose si devono dire
faccia a
faccia.” Continua, ma non capisco dove voglia arrivare.
Perché se la prende con
me, quindi? Io non c’ero, lui ne è a conoscenza.
“Dunque
scusami. Talvolta mi dimentico di avere una sorella
dall’altra parte del
mondo.” Sorride flebilmente, e sospiro un’altra
volta. Sta tornando il mio
Damon di sempre.
Continuo
ad osservarlo, e mi domando se perdonarlo o meno.
Non
riesco a stare senza di lui, ora che mi ha raggiunta.
E poi non
sono così egoista da
rovinare il
nostro trio, perché se continuassimo a non parlarci, Hay
sarebbe costretta a
decidere fra uno di noi due, e nessuno vuole che questo accada;
soprattutto
adesso che mia sorella ha bisogno di noi, e non poco.
“Scusami
tu se ho tirato in ballo un argomento tabù.”
Sorrido allora impacciata,
diversamente da quando mi scuso di solito nei suoi confronti. Anche a
casa
litigavamo, ma il secondo successivo ci perdonavamo. Questa
è una delle
discussioni maggiori mai avute con lui, non so bene come comportarmi.
Mi
avvicino a lui che apre le braccia, e mi getto a capofitto in esse.
Poggio la
testa nell’incavo del suo collo, cercando di riempire i miei
polmoni del suo
profumo più che posso, mentre mi stringe a sé.
Chiudo
gli occhi, sentendomi questa volta più sicura per affrontare
la giornata.
Il mio
umore è cambiato repentinamente.
Venti
minuti dopo siamo quasi arrivati al nostro appartamento, con due buste
dello
Starbucks in mano. Come promesso, abbiamo la colazione per tutti. Ci
siamo
trattenuti un po’ nella caffetteria, a causa del tepore
interno e dell’aroma
del caffè. Le nuvole hanno fatto capolino nel cielo e si
trattengono tutt’ora,
rovinando una giornata che stava prendendo una piega decisamente
migliore.
Porgo a
Damon la mia busta, troppo impegnata nel cercare le chiavi
dell’appartamento
buttate nella borsa e immerse in un disordine affatto
descrivibile. Tra fazzoletti, caramelle, cellulare, buste,
specchietto, un rossetto, una sciarpa e perfino un paio di ballerine,
le trovo.
Ecco,
erano proprio sotto le scarpe.
Sorrido a
Damon che scuote la testa, consapevole che non sarò mai
ordinata, mentre le
giro nella toppa, aprendo la porta e facendolo entrare. Sobbalzo per lo
spavento quando vedo Hayley sveglia in cucina, alla ricerca di qualcosa
da
sgranocchiare. Poverina, non immagina come ci arrangiamo io e la bionda
per
mangiare. Sicuramente non facendo la spesa come delle comuni
persone. A meno che non si tratti di Starbucks, cibo
d’asporto o gelato. Ma ho
dei seri
dubbi riguardo il fatto che quelle siano ‘compere’.
“Ehi,
Lee.”
Le dice Damon, scompigliandole i capelli.
Non so
come comportarmi nei confronti di mia sorella… Ricordo che
non era un angelo la
mattina, dopo essersi svegliata e catapultata giù dal letto.
Non oso immaginare
come lo sia adesso con la gravidanza. E’ troppo presto per
gli sbalzi d’umore
repentini? O per le voglie? Non ne ho la minima idea.
“Hay.”
La
saluto io, e in quel momento mi scruta attentamente, fino a che i suoi
occhi
non s’illuminano notando le buste che portiamo.
“Colazione!” urla come una
bambina, come non ha mai fatto in tutta la sua vita –infanzia
compresa! Damon
deve aver notato il mio volto leggermente sbalordito
dall’atteggiamento di mia
sorella, e accenna ad una risata. Si avvicina al mio orecchio.
“E’
adorabile tanto quanto lo
è stata a casa
mia per tre mesi, Elena.”
Mormora
mettendo più enfasi nel mio nome, facendomi ricordare che io
non c’ero nei
primi mesi di vita dei miei due nipoti, e lasciando che il suo sospiro
caldo
s’infranga sul mio collo. Odio quando mette il dito nella
piaga. Ma so che
scherza. Come risposta, gli do un leggero pugno sul braccio, che non lo
scalfisce minimamente.
“Stavo
morendo di fame.” Dice Hayley, con gli occhi sgranati, mentre
addenta una
ciambella, dimezzandola con un morso. Okay,
mi dico, non ti scandalizzare Elena. Deve
pur sfamare tre pance.
Mi
impongo di sorridere a mia sorella, non propriamente tornata in me
stessa, dopo
aver visto una Hayley differente. Lei non ha mai mangiato
–divorato- qualcosa
con tanta fretta.
Eppure
non dovrei essere così scandalizzata.
E’
incinta, e per giunta di due bambini.
Quindi
devo inspirare ed espirare. Ecco fatto.
Caroline
ed i suoi consigli per mantenere la calma. Devo ringraziarla. E davvero
tanto.
A
proposito… “Dov’è
Care?” domando, ritornando nel mio mondo a Londra lontano da
Mystic Falls, in una delle tante colazioni a casa Gilbert, con anche
Lauren,
Stefan e, ovviamente, Damon.
Sia mia
sorella che Damon scrollano le spalle, per dirmi che non lo sanno.
Suppongo
sia di sopra, quindi mi dileguo lasciando la mia famiglia a sfamarsi e
salgo le
scale.
“Care.”
Urlo, ma senza ottenere risposta. Ad un certo punto la porta del bagno
si
spalanca, lasciandomi intravedere una coinquilina assonnata ma che si
è
rinfrescata il volto.
“Colazione
giù in cucina.” Dico solamente, e lei mi capisce,
aggiungendo un cenno con la
testa. Rimango un secondo ad osservarla, mentre sbadiglia e si porta
una mano
sulla bocca; gli occhi ridotti a due fessure, i capelli scompigliati
dal sonno
ma comunque perfetti. Almeno per me.
Istintivamente
l’abbraccio, ricordandomi di quando l’ho conosciuta
e quanto mi sentivo sola.
La sua presenza mi ha aiutata ad affrontare numerosi momenti di
solitudine. Ero
terribilmente timida ed
insicura
quando ho trovato lavoro nel giornale come aiutante della seconda
segretaria di
Isobel. Devo ringraziare dunque sua figlia –seppure non la
sopporti
minimamente- per aver organizzato una feste fra colleghi della stessa
struttura, e per
avermi costretta ad
accettare a parteciparvi. La figlia di Isobel è una donna
ricca sfondata –come
tutta la sua famiglia-, egoista ed altezzosa, che lavora come
segretaria di un
avvocato che gestisce lo studio dove anche la bionda ci lavora,
perché la
giustizia e la lealtà “scorrono
nelle sue
vene” –o almeno così dice
quella stupida e piccola figlia di Flemming.
Bene,
approfittò dell’inaugurazione del Vertigo 42 ad
Old Broad Street per permettere
ai nuovi arrivati –tra cui c’ero io- di conoscere i
colleghi, o gli avvocati
più importanti – ma ovviamente lei non perse tempo
nell’abbordare i più
‘belli’. Lì conobbi Caroline, sua
collega che cercava disperatamente una
coinquilina, perché i prezzi dell’affitto
dell’appartamento in cui viveva erano
a più di quattro cifre, dato che abitava a due passi
dall’ufficio a Brompton
Road. La seconda cosa che ho imparato quando ho messo piede a Londra
è che più
si va nel centro della città, più tutti i costi
aumentano. Affitti, negozi,
centri commerciali, perfino le pizze
d’asporto. Per questo il mio monolocale si trovava a qualche
decina –circa
dodici o tredici- di fermate di metro dalla redazione del giornale a
Knightsbridge. La prima cosa che ho imparato, se qualcuno se lo sta
chiedendo,
è che bisogna farsi valere. Londra è un
po’ come New York, come Parigi, come
tutte le metropoli degne di tal nome. Per questo dopo aver avuto
fortuna con
lavoro e coinquilina, ho cercato di lavorare con una certa costanza
fino a
sentirmi male, fino ad essere definita da Forbes una stakanovista.
Non
importa se io e la bionda ci conosciamo da appena un anno e mezzo: a
volte il
tempo non conta. E’ la mia migliore amica perché
è riuscita a conoscermi in men
che non si dica, ad aiutarmi, ad essere una presenza fondamentale per
me. E’
un’amicizia solida, la nostra, basata sulla fiducia
reciproca. Spesso
scherziamo, litighiamo, ci contendiamo i gelati, ma se non ci fossero
questi
momenti non saremmo Caroline ed Elena,
ma due coinquiline fredde e distanti, unite solo dall’affitto
da pagare.
“Qualcuno
qui soffre di mancanza d’affetto.”
Dice Caroline ridendo, sottolineando il fatto che non esco con un uomo
da
quando mi sono lasciata con il mio ex a Mystic Falls. Lei insiste sul
volermi
fare uscire con uno dei proprietari dello studio legale, che ha una
cotta per
me, a detta sua.
Magari una
sera di queste, penso.
No, Elena!
Categoricamente no!
Devi stare vicino a tua sorella. Mi rispondo.
“Mia
sorella ha bisogno di me, Care. Non c’è tempo per
svagarsi.” Ammetto poggiando
il naso nell’incavo del collo. Lei mi carezza i capelli.
“Tesoro,
è questo il tuo problema. Basta pensare agli altri, sii un
po’ egoista. Con
questo non dico che tu debba abbandonare Lee –e nel caso tu
lo facessi, sappi
che ti ucciderei-, ma che devi uscire un po’ più
spesso, venire con me in
quelle serate dell’alta società che tu dici di
odiare tanto.”
Lo so. So
che probabilmente è giusto quello che dice. Che Hayley se
l’è cavata senza di
me tre mesi, e può cavarsela adesso anche solo con il mio
supporto morale. Ma
voglio starle vicina, qualcosa in me dice che è
così, che ciò è quello che deve succedere.
“Ci
penso
su.” Rispondo vaga, sbattendo le palpebre e sciogliendo
l’abbraccio.
La mia
amica sorride, prendendomi per mano e conducendomi giù in
cucina.
Ci penso su, mi ripeto.
Non
sarebbe un peccato vivere la propria vita.
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*In
questa fan fiction, Elena, Damon e Hayley hanno la stessa
età e sono i più
grandi, mentre Jeremy e Stefan sono i più piccoli e sono
entrambi ventenni.
**Gli
orari di apertura e chiusura sono veri.
***Nave
presente a Greenwich. Si chiama anche così una fermata di
metropolitana.
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Lo so,
sono davvero in ritardo con l’aggiornamento. Per farmi
perdonare ho postato
questo capitolo molto lungo –spero non vi annoi- nel quale si
spiegano un paio
di cose e si entra quasi nel vivo della vicenda. Ho già
scritto tre pagine del
prossimo capitolo, quindi dovrei essere al passo con i tempi. I
prossimi
aggiornamenti saranno più brevi ma non vi assicuro che li
posterò in orario –mi
dispiace, davvero mi dispiace, il mio problema è che non ho
quasi mai tempo per
scrivere. Siete in tante a leggere, e questo mi gratifica molto. Grazie
a chi
mi da pareri.
Un bacio