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Autore: KiarettaScrittrice92    31/07/2013    2 recensioni
Questa è stata la mia prima fanfiction in assoluto e ho deciso di pubblicarla, ovviamente correggendola e rendendola più leggibile e apprezzabile...
La mia storia comincia con Shinichi di nuovo adulto. Ai gli ha dato l'antidoto e ha raccontato a Ran il segreto di Conan Edogawa. Shinichi è riuscito a far arrestre i pezzi grossi dell'organizzazione con molte difficoltà, ma scopre con enorme dispiacere che deve lasciare Beika e tutti i suoi amici perchè suo padre ha bisogno del suo aiuto a Sendai! Due giorni dopo la sua partenza quelli dell'organizzazione evadono dalla prigione, quella stessa sera succederà ciò che meno vi aspettate...
La nostra storia inizia due anni dopo la partenza di Shinichi per Sendai sopra un treno che va a Beika...Tenetevi forte alle sedie perchè questa volta il detective liceale non riuscirà da solo a vincere la battaglia...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei ricordi'
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Uno strano microchip

Shinichi era sdraiato sul letto della sua stanza, a casa Kudo. Si era davvero divertito quel fine settimana, sebbene la prima sera era stata movimentata e anche un po’ misteriosa, gli uomini in nero non si fecero più vedere né sentire e il resto del week-end passò sereno, oltretutto Kaito, dopo ciò che era accaduto quella sera, era diventato più cordiale e gentile, come se avesse pensato che non aveva alcun senso fare il permaloso e l’asociale con due amici, che sebbene fossero suoi rivali, avevano un profondo rispetto per lui, come lui ne aveva per loro. 
In quel momento però, Shinichi, non stava pensando a come aveva passato il week-end o a come Kaito aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti, ma a ciò che Kaito gli aveva detto la prima sera del campeggio sull’opale verde: quando tutti e tre rimasero per ore al freddo senza più dire una parola.
Doveva iniziare a mettersi all’opera. Heiji aveva ragione, non poteva stare con le mani in mano e aspettare come un bambino spaventato che gli eventi facessero il loro corso: doveva agire, doveva cercare di capire come fermare quei pazzi criminali. L’aveva fatto già una volta, sotto le sembianze di Conan e poteva farlo di nuovo.
Decise perciò di chiamare Ai, probabilmente lei sapeva qualcosa riguardante quella pietra, o magari sapeva qualcosa di meno preciso, che comunque lo avrebbe portato più vicino alla verità.
Scese al piano di sotto, prese il telefono di casa e digitò il numero. Al telefono rispose subito la bambina.
«Qui studio del dottor Agasa, parla la segretaria.»
«Segretaria? Studio? Ai che stai dicendo?» chiese il ragazzo confuso.
«Oh Kudo, sei tu! Pensavo fossi un’altro cliente del professore!» rispose la bambina con un sospiro di sollievo.
«Cliente di cosa?» chiese sempre più stupito.
«In questi due anni il dottor Agasa ha aperto un’azienda aggiusta computer e mi ha assunta come segretaria!» rispose lei.
«Davvero?»
«Sì sì, l’ha fatto quando io avevo deciso di trasferirmi altrove: mi ha detto che comunque anche se ero adulta avevo l’aspetto di una ragazzina e non potevo andare a vivere da sola. Così mi ha assunto, pagandomi e dicendomi che in questo modo avevo un motivo per rimanere con lui.»
«Certo che se le inventa tutte!» disse, senza riuscire a trattenere una risata.
«Già non dirlo a me! - rispose lei, ma Shinichi non poteva vedere che sul suo viso era comparso un piccolo sorriso nel sentirlo ridere - A proposito, che mi dovevi dire?»
All’improvviso Shinichi si ricordò perché aveva chiamato la sua piccola amica e tornò improvvisamente serio.
«Volevo chiederti se per caso sai qualcosa sull’opale verde.»
La ragazzina rimase immobile e silenziosa. Non sapeva se stava zitta perché conosceva qualcosa e la sua domanda l’aveva spaventata, oppure perché stava pensando. Poi, ad un tratto, parlò.
«Mai sentito! Perché?» chiese.
«Riguarda l’organizzazione! Kaito pensa che sia l’alimentatore per il laser.» spiegò lui.
«Mi spiace. Non so proprio niente! - ma la sua voce, questa volta, era indecisa e lui capì che mentiva, poi continuò - Farò delle ricerche a riguardo e ti farò sapere. Ora devo andare, ciao.» e chiuse il telefono in faccia al povero Shinichi.
Dopo aver chiuso la conversazione la ragazzina si sedette sul divano verde acido e ripensò a quel giorno in cui per la prima e forse unica volta aveva sentito di quella pietra. 
Ricordava ogni dettaglio come fosse stato il giorno prima. Ricordava cosa indossava sua sorella, cosa indossava lei. Ricordava la conversazione. Ricordava anche la determinazione ai limiti della stoltezza di sua sorella nel voler scoprire a cosa servisse quell’opale verde che aveva trovato per caso nell’ufficio di Vermouth. Ricordava persino il piano che aveva escogitato, un piano che in realtà faceva acqua da tutte le parti, ma che lei voleva assolutamente mettere in atto per poter finalmente incastrare l’organizzazione e poter dare la libertà ad entrambe.


Shinichi era rimasto davanti al mobile del telefono, pensieroso. Aveva capito dalla voce di Ai che ne sapeva di più di quanto sembrava e doveva scoprire ciò che la tormentava, eppure non poteva né costringerla a parlare né rimanere con quel dubbio che lo assillava.
Proprio mentre pensava a ciò squillò il suo cellulare, che teneva nella tasca dei pantaloni. Non guardò neanche il display per vedere chi fosse a chiamarlo e automaticamente premette il tasto verde e si avvicinò l’apparecchio all’orecchio. 
«Pronto?»
«Ciao Shinichi, come stai?» chiese una voce intimidita dall’altra parte del telefono.
Il ragazzo si poteva aspettare di tutto ma non sentire la sua voce. Rimase per qualche secondo stranito poi, quello stupore, in modo alquanto strano e improvviso, si trasformò in felicità nel sentire proprio lei.
«Ran… - disse, dopodiché cercò di creare una frase sensata - Perché mi hai chiamato?»
«Beh… Volevo sapere come stavi così ho pensato di chiamarti. Ti disturbo?»
Anche lei era intimidita e un po’ impacciata e il ragazzo sorrise divertito.
«No figurati. Non stavo facendo niente… Però, non è vero che mi hai chiamato solo per sapere come stavo.»
La ragazza dall’altro lato del telefono si stupì, ma solo per un attimo. Quello era il suo Shinichi, quel ragazzo che anche per telefono riusciva a capirla come un libro aperto e a cui non poteva assolutamente mentire. Nonostante avesse perso la memoria quel ragazzo dall’altro lato della cornetta era proprio il suo Shinichi.
«Beh ecco… Heiji ha parlato a Kazhua del campeggio e lei l’ha riferito a me. Quindi volevo sapere se… beh ecco… se hai scoperto qualcosa di nuovo.» rispose.
«No, non ho scoperto niente! Ma ancora non mi stai dicendo la verità!» disse Shinichi schietto.
«Ok, ok… pensavo… Ti va di andare a fare un giro domani? Solamente io e te?» chiese, dopodiché si zittì.
Shinichi rimase immobile e zitto: quella proposta proprio non se l’aspettava. Era rimasto lì, imbambolato a pensare a come sarebbe stato un vero appuntamento con Ran, poi, misteriosamente, gli tornò in mente il bacio all’ospedale e non capì più nulla.
«Shinichi? Ci sei?» domandò Ran, dall’altra parte del telefono, riportandolo alla realtà, scosse la testa e cercò di tornare serio per rispondere, finalmente, alla ragazza.
«Va bene! Ci vediamo domani alle dieci da me. Ora devo scappare, a domani.» e, dopo aver ricevuto la risposta della ragazza, chiuse velocemente il contatto.
Appena staccò la chiamata si dannò per aver dato quell’appuntamento a Ran. Insomma ancora non ricordava nulla di lei, se non qualche minimo flash. Come poteva farle passare una bella giornata? Non conosceva i suoi gusti, le sue passioni. Nulla.
Si sedette abbattuto sul divano e si concentrò al massimo, sopportando il mal di testa che lo assillava. Doveva trovare qualcosa da fare, qualsiasi cosa.


Il giorno dopo arrivò più in fretta del previsto. Ran era da due minuti davanti al cancello di casa Kudo, aveva già suonato e Shinichi le aveva risposto che stava per arrivare. 
Finalmente la ragazza, dopo quei due lunghi minuti, lo vide uscire dalla porta principale, mentre si chiudeva la porta alle spalle, facendo due giri di chiave e iniziando a percorrere il vialetto.
Rimase per l’ennesima volta stupito da quanto fosse bella quella ragazza e, per tutto il percorso del vialetto, la guardò ammirato. Indossava una maglietta a maniche corte e una gonna lunga, entrambe celesti, in modo da intonarsi quasi perfettamente ai suoi occhi violetti. Arrivato di fianco a lei si salutarono un po’ intimiditi, come fosse davvero la prima volta. Fu Ran ad essere un po’ più coraggiosa e parlare per prima.
«Allora dove mi porti di bello?» domandò.
«Beh…ecco…» anche questa volta non sapeva che rispondere, non sapeva il motivo, ma ogni volta che aveva lei di fianco si sentiva impacciato.
«Non importa! - intervenne di nuovo lei - Sarà una sorpresa…!»
Si fecero una lunga passeggiata di circa di venti minuti, chiacchierando di qualsiasi cosa passasse loro nella mente, soprattutto Shinichi, raccontò della sua vita a Sendai. Dopo quei venti minuti di cammino arrivarono ad un laghetto fuori città che pareva davvero poco frequentato: sparse sul prato e sulle panchine potevano esserci non più di una decina di persone. Si sedettero su una delle tante panchine bianche che circondavano il piccolo specchio d’acqua e rimasero per qualche secondo ad ammirare il bel paesaggio.
Dopo un po’ Shinichi decise che era arrivato il momento di porgere a Ran il pacchetto che teneva sotto braccio da quando era uscito di casa.
«Questo è per te!» disse, sperando con tutto il cuore di essersi ricordato bene i suoi gusti.
Ran fissò il pacchetto per qualche secondo, incuriosita, poi lo prese in mano e lo scartò. Dentro vi era un abito da sera di seta turchese e una collana che aveva come ciondolo una piccola stella. La ragazza rimase stupita e incantata da quel dolce regalo e pensò che in qualche modo dovesse ricambiare.
«È bellissimo!» esclamò la ragazza.
«Sono contento che ti piaccia.» rispose lui sorridendo e a quel sorriso la ragazza decise come ricambiare quel piccolo pensiero.
«Anch’io ti devo dare una cosa... chiudi gli occhi!»
Il ragazzo all’inizio fu un po’ titubante, poi però si fidò di lei e chiuse gli occhi.
Per la seconda volta in pochi giorni sentì quella sensazione stupenda delle labbra di lei appoggiate sulle sue. Aprì gli occhi esterrefatto: Ran, con gli occhi chiusi e gli zigomi leggermente rossi per l’emozione, lo stava baciando e questa volta non era un semplice bacio a stampo come quello all’ospedale. Le labbra di lei scivolavano dolcemente sulle sue cercando di baciare ogni centimetro del sua bocca.
Fu lui a prendere coraggio: chiuse di nuovo gli occhi, alzò il braccio e le iniziò ad accarezzare i capelli castani, poi schiuse le labbra e sentì il suo caldo respiro in bocca.


Erano passate due ore dal bacio al lago. I due ragazzi avevano pranzato in un simpatico ristorante a self service, ovviamente tutto offerto da Shinichi, dopodiché avevano preso la metropolitana, per dirigersi al certo del quartiere di Beika. 
Stavano parlando di quanto fosse divertente la giostra spaziale di Tropical Land e alla fine della discussione si misero a ridere divertiti. Ci fu qualche minuto d’imbarazzante silenzio, in cui i due non sapevo più di che parlare, poi fu Ran ha riprendere la discussione. 
«Il vantaggio del fatto che tu hai perso la memoria è che non mi parli più di Sherlock Holmes come facevi in tutti i nostri appuntamenti!» disse e tutti e due scoppiarono nuovamente a ridere di gusto.
Poco dopo i due ragazzi scesero dalla metro e Shinichi alla fermata, prima di andare alla loro ultima destinazione per l’appuntamento, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una benda nera e la mise sugli occhi della ragazza.
«Ma che fai?» chiese lei un po’ scocciata.
«Tu fidati di me.»
Camminarono per un paio di minuti, ma ad un certo punto Ran riprese con la sua protesta.
«Shinichi, si può sapere perché mi hai messo la benda agli occhi» domandò un po’ offesa.
«Aspetta e vedrai!»
Shinichi si fermò, andò dietro la ragazza e le tolse la benda.
Lei rimase stupita da ciò che vide, d’avanti a lei c’era un grosso cartello con su scritto: Solo per oggi “La Leggenda Del Filo Rosso”.
«Shinichi tu…!» disse voltandosi verso di lui.
«Ho pensato a tutti i posti in cui ti potevo portare e quando ho pensato al cinema... mi sono ricordato di quella volta…»

«Posso accettare a una sola condizione…»
«Dimmi quale…» rispose lui con il cambia voce in una mano e il telefono della cabina nell’altra.
«Vorrei che mi accompagnassi al cinema sabato sera, c’è uno spettacolo speciale!» rispose lei.
«Che cosa?»

«Qual è il film che lo porterai a vedere?» chiese il padre della ragazza.
«È “La Leggenda Del Filo Rosso!”»
«La leggenda del filo rosso?» chiesero in coro lui e l’uomo.
«Ma come, non lo conoscete? Parla di uomini e donne destinati fino alla nascita a stare insieme per il fatto che sono legati da un filo rosso che portano al mignolo... è un film estremamente romantico, un’appassionante storia d’amore…»
Il solito polpettone… pensò lui, ringraziando il cielo che non l’avrebbe visto.

«Grazie Shinichi!» esclamò la ragazza contenta.
Durante il film Ran aveva gli occhi puntati sullo schermo mentre Shinichi, stava quasi per addormentarsi, pentendosi quasi immediatamente di aver deciso di vedere quel film: era uno dei film più noiosi che avesse mai visto e avrebbe volentieri schiacciato un pisolino.
«È stato bellissimo e poi lui era un ragazzo così affascinante! " disse Ran, all’uscita dal cinema, contenta della giornata trascorsa.
«Se devo essere sincero, non l’ho trovato così bello il film e poi, non ti offendere, ma lui era uno scorfano!» disse il ragazzo seccato.
«Come uno scorfano, ma ti sei visto?» rispose la ragazza a tono.
«Beh, se mi ami ci deve pur essere una ragione, o sbaglio?»
Lui abbassò lo sguardo, lei divenne tutta rossa e, dopo quella frase, rimasero in silenzio fino a casa di Shinichi.
«Vieni dentro, ti devo far vedere una cosa.» disse il ragazzo e lei lo seguì.
Entrarono in casa che era tutto buio e l’opaca luce della luna filtrava dalle finestre. 
Fu un attimo: il ragazzo non ebbe nemmeno il tempo di accendere la luce a pochi passi dall’ingresso che Ran si ritrovò tenuta stretta da un uomo, mentre una donna stava puntando una revolver proprio a lui. 
Il panico più totale percorse ogni cellula del suo corpo e quando sentì la sua voce ebbe in brivido.
«Ora tu vieni con noi senza troppe storie, cool guy!» disse la donna e lui non potendo fare altrimenti accettò, chiedendo però che lasciassero andare Ran.
L’uomo che la teneva, perciò, le diede un colpo in testa per fare in modo che non chiamasse subito la polizia e a quel gesto il ragazzo s’infuriò coi due, ma sotto la minaccia della pistola dovette quietarsi e seguirli in macchina, lasciando lì la povera Ran.
Solo in auto, una Mercedes nera coi vetri dietro oscurati, il ragazzo, di nascosto dai suoi due aguzzini, mandò un messaggio ad Ai in modo che potesse soccorrere Ran.


Circa un’ora dopo si ritrovò di nuovo nel covo dell’organizzazione, questa volta, però, l’ufficio in cui si trovava era diverso: era quello di Vermouth. La donna lo aveva legato a una sedia, con le mani dietro la schiena e lo stava fissando incuriosita e ammirata.
«Si può sapere perché ce l’avete con me?» chiese il ragazzo, lanciando uno sguardo di rabbia alla donna che teneva in mano la pistola.
«È una lunga storia, cool guy… ma sarò lieta di raccontartela prima di ucciderti... - si sedette su un altra sedia a qualche metro da lui, incrociò sensualmente le gambe e iniziò a raccontare - Devi sapere che i tuoi genitori, che si erano messi d’accordo con Akai e Jodie, due dell’FBI casomai non ti ricordassi ancora di loro, avevano deciso di piazzare un microchip all’interno del tuo corpo. Lo scopo era di nasconderlo a noi. Nessuno avrebbe mai pensato che un microchip così importante per l’FBI potesse essere dentro il corpo di un bambino giapponese. Ovviamente i due agenti avevano assicurato i tuoi genitori che esso non avrebbe fatto danni al tuo corpo. Noi, all’inizio, non sapevamo dove fosse quel microchip, poi quattro anni fa scoprimmo che si trovava nel corpo di un ragazzo che doveva avere più o meno sedici anni, facemmo delle ricerche, così la lista dei ragazzi si rimpicciolì. Tre anni fa tu andasti al Tropical Land e Gin e Vodka ti seguirono perché eri uno di quella lista. In realtà erano lì, anche, per concludere un’affare, ma dopo che Vodka si fece beccare da te, Gin non poté fare a meno che decidere di eliminarti con la putoxina. Qualche mese dopo scoprimmo che eri proprio tu il ragazzo e il boss s’infuriò con Gin e Vodka. Il giorno che ci arrestarono, quando tu venisti da noi ancora sotto le sembianze del marmocchio, furono tutti euforici di non aver perso l’ultima speranza. Io l’avevo capito da un po’ che in realtà tu eri Shinichi, ma sai non volevo smuovere troppo le acque: sono una che si fa spesso gli affari suoi. Ora, però, più che mai quel chip è di vitale importanza per noi. Perciò eccoti qui!»
Il ragazzo rimase in silenzio per qualche minuto, spaesato. Ciò voleva dire che lui era immischiato in quella faccenda fin dall'inizio, non era cominciato tutto quando si era trasformato in Conan. Lui, in quella storia, c’era fino al collo già da bambino, ma allora perché i suoi genitori non gli avevano mai detto niente? Perché non gli avevano raccontato questo grande segreto? Insomma ormai aveva vent’anni, aveva tutto il diritto di sapere quelle cose.
«E a cosa vi serve il microchip?» chiese nervoso.
«A secrets makes for woman woman... - rispose lei mettendosi il dito indice sulla bocca - E ora addio cool guy.»
La donna si alzò dalla sedia, puntò la pistola al suo petto e premette il grilletto.
Shinichi riuscì solo ad avvertire il dolore lancinante al petto e a vederla avvicinarsi col suo ghigno terribilmente affascinante, poi tutto divenne buio.

  
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