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Autore: Birra fredda    01/08/2013    2 recensioni
La vita normale non è per tutti. Con vita normale intendo un qualcosa tipo: genitori rompiscatole, non permissivi, che credono i figli adolescenti dai santerelli del sabato sera, scuola odiata, professori visti come satana, compagni di classe con cui combinare solo guai, tanti trip in testa, escogitare modi per andare alla festa del secolo senza dire nulla ai genitori o mettere da parte dei soldi per il nuovo tour degli U2.
Ma io mi chiamo Nicole Haner mica per nulla, eh. E sono la figlia di Brian Elwin Haner Jr., meglio conosciuto come Synyster Gates, chitarrista degli Avenged Sevenfold, mica per nulla.
La mia vita non è normale, e proprio non so come potrebbe esserlo.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You will always be my heart.'
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Neanche lo so quanto tempo è passato dalla mattina seguente del compleanno di Johnny. Il mio calendario sostiene una settimana, e questo significa che il mio cervello è andato in pappa. Avrei giurato ne che fossero passate minimo tre, di settimane.
Papà ha lasciato mamma, senza neanche degnarsi di riservare al momento parole meno forti o più privacy. Io e i miei fratelli eravamo appena saliti nelle nostre stanze, dopo cena, che papà già le aveva detto di sedersi perché doveva parlarle.
Noi ci siamo appostati in corridoio, respirando a stento per non farci scoprire a origliare la conversazione e, allo stesso tempo, per non perderci neanche una parola.
“So che mi odierai, dopo quello che ti dirò, Michelle” ha esordito mio padre. “Sarai libera di picchiarmi, se vuoi, perché mi merito tutta la tua ostilità nei miei confronti.”
A quel punto io e i miei fratelli ci siamo guardati come se ci avessero appena detto che il Natale era stato spostato ad agosto. Papà, egocentrico e vanitoso, che permette a una persona di picchiarlo?
“Sono sicura che potremo risolvere ogni cosa” ha risposto mamma con voce tremante.
“No, questa volta no” le ha detto lui, tirando un grosso sospiro. “Mi dispiace.”
Per qualche secondo mi è parso che il mondo si fosse fermato. Come se stessimo dentro un orologio a cucù e stessimo aspettando mezzogiorno. Siamo rimasti tutti immobili, in attesa. Ogni cosa si ingrigiva, l’aria, persino, credo che si sia immobilizzata.
“Io ti ho tradita, Michelle. Ti ho tradita con Zacky” ha detto papà poi.
Il suono dei tacchi di mamma, che doveva essersi alzata all’improvviso, è riecheggiato fino alla soffitta. “Cosa… cos’hai fatto?” ha detto.
Non credo che si sia arrabbiata, all’inizio, credo che si sia sentita ferita. Aveva una famiglia, una bella casa, belle e tante scarpe, bei vestiti, un mucchio di soldi non indifferente e anche un bel marito. E improvvisamente la sua vita si è frantumata accanto alle scarpe col tacco firmate.
Mi sono sporta appena in avanti e l’ho vista tremare in modo incontrollabile mentre papà cercava di accarezzarle un braccio, dispiaciuto.
“Quando?” ha mormorato mamma.
Papà ha chinato il capo. “Giuro, Michelle, che non avrei mai e poi mai voluto farti soffrire. Lo sai che ti ho sempre rispettata come donna e che non avrei mai voluto spezzarti il cuore…”
“Dimmi quando cazzo mi hai tradita!” ha gridato mamma, con fare isterico.
Connor, alle mia spalle, ha mormorato a papà di tacere o mentire. Ma lui non ha fatto nessuna delle due cose. “Io… da sempre. Io e Zacky ci frequentiamo clandestinamente da quando ci conosciamo, praticamente” ha detto mestamente.
Mamma gli ha dato appena il tempo di concludere la frase, prima di tirargli un sonoro ceffone in pieno viso. Papà non ha reagito, ha chinato il capo e la ha chiesto scusa.
Allora lei si è infiammata. Improvvisamente ha smesso di tremare e ha cominciato a gridargli rabbiosamente di uscire di casa e non tornarci mai più, prendendolo a pugni ovunque riuscisse ad arrivare.
Papà, sulla porta e con le mani in avanti per parare i colpi, le ha chiesto nuovamente scusa quasi piangendo. Poi ha chiuso la porta e mamma è crollata, in quel momento credo che sia venuta fuori tutta la sua rabbia, perché si è tolta una scarpa e ha cominciato a sbattere furiosamente il tacco alto e spesso contro la porta d’ingresso.
Due istanti dopo è arrivata zia Val, alla quale papà aveva scritto un messaggio prima di cominciare a parlare con mamma. Zia ha stretto mamma tra le braccia e l’ha lasciata singhiozzare per tutta la notte, mentre noi ce ne stavamo uno sull’altro in corridoio a piangere silenziosamente.
La mattina dopo mi sono svegliata nel mio letto, e qui sono rimasta nell’ultima settimana. Esco solo per andare in bagno e andare a fare i pasti a casa di Johnny, che ci viene a prendere e riportare in macchina ogni giorno.
Cosa faccio a letto? Ascolto la musica a tutto volume nelle cuffiette, fumo e studio, non suono neanche più.
Per tutto il giorno ascolto i Misfits, i Pantera, i Megadeth e altra musica in grado di offuscare il rumore dei miei pensieri, fumando uno dopo l’altro interi pacchetti di sigarette.
Studio, sebbene io e i miei fratelli (e anche tutti gli altri) non stiamo andando a scuola. Non ne abbiamo la forza e, per di più, la notizia della storia di papà e Zacky si è già diffusa ad Huntington Beach e non crediamo che ci faccia bene frequentare posti così pieni di occhi indiscreti.
A dire il vero l’altro giorno, credo che sia stato ieri, sono andata dallo psicologo. O almeno, sono uscita per andarci.
Zia Val, che si è trasferita momentaneamente a casa nostra, mi è venuta a chiamare in pieno pomeriggio. Non è stata molto gentile con me. È entrata in camera mia, ha sbraitato per un po’ ma io, dato che stavo sentendo i Pantera a tutto volume, non l’ho sentita. Allora lei mi ha strappato le cuffiette dalle orecchie e mi ha gridato di vestirmi, perché tra dieci minuti sarebbe passato suo marito e mi avrebbe portata dallo psicologo. Prima di uscire dalla mia stanza ha aperto la finestra, dicendo che dentro la mia stanza si soffocava per colpa della puzza di fumo.
Zio Matt è arrivato puntuale e, mentre salivo in macchina, gli ho quasi fatto prendere un colpo.
“Ma si può sapere che diavolo stai combinando in questi giorni?” mi ha chiesto preoccupato, facendomi alzare il viso prendendomi il mento con una mano e scrutandolo.
Io non ho risposto, ho sospirato e ho aspettato che la smettesse di esaminami come se fossi un animale raro.
“Credo che anche io verrò a stare qualche giorno da voi. Non mi piace per niente il modo in cui ti stai riducendo” ha detto, mettendo in moto.
Durante il viaggio sono stata molto silenziosa, ma zio se n’è fregato e mi ha parlato della nuova cotta di Nathan. Del discorso ricordo solo che zio l’ha definita passabile e guardabile, nient’altro.
Dallo psicologo non è andata molto meglio: sono scappata di nuovo, ma questa volta ho battuto il mio record personale per quanto riguarda la velocità. Sono andata via dopo soli cinque minuti.
Ho sceso le scale correndo, urtando un ragazzo biondo sono uscita all’aria aperta. Zio era sulla panchina davanti al palazzo a fumare e, quando il portone alle mie spalle ha sbattuto e si è girato, mi ha sorriso.
“Sapevo che saresti uscita subito” mi ha detto, alzandosi.
Non gli ho chiesto come facesse a saperlo, ma ho accolto volentieri l’abbraccio che mi ha regalato un attimo dopo. Ho pianto, per la prima volta dopo la sera in cui i miei si sono lasciati. Anch’io, come mamma, ho pianto dopo un po’, come se il dolore dovesse prima lievitare all’interno del mio corpo.
Zio non mi ha detto nessuna parola di conforto, ha lasciato che piangessi tutte le mie lacrime inzuppandogli la giacca. Mi ha stretta a sé fino a quando non mi sono staccata e, singhiozzando, gli ho detto che volevo tornare a casa.
Quando siamo arrivati a casa, zio ha parlato a me e ai miei fratelli di cosa sta combinando mio padre.
Dire che mi sarei potuta aspettare tutto, persino la tossicodipendenza, da lui, ma non questo, è dire poco. Dire che sono rimasta così shockata che Jim ha dovuto assestarmi diverse gomitate per farmi continuare a seguire il discorso di zio, forse rende l’idea.
Mio padre si è messo in mezzo al commercio di armi.
Commercio di armi.
Dannazione.
Il solo pensiero mi disgusta.
È un concetto troppo grande per me e per i miei fratelli, una cosa talmente tanto grande da risultare quasi impossibile da assimilare.
Già da giovane papà si era mischiato con questi affari loschi in nero, ma il tutto era durato solo per un paio d’anni, poiché poi, con l’uscita di City Of Evil si era voluto concentrare solo sulla musica. Per uscire da quel giro d’affari era stata dura, ci dice zio Matt, poiché molti lo contattavano anche a casa, pur di rintracciarlo e non accettavano l’idea che lui non potesse più essere il loro venditore abituale e fidato.
Aveva rischiato di rimetterci la pelle in diverse occasioni ma, evidentemente, la lezione non gli era bastata.












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Eccomi qui tornata con questo capitolo che rivela un po' tutte le carte ancora coperte.
Michelle finalmente ha saputo la verità, i ragazzi vengono a sapere del commercio delle armi del padre e... boh, vi piace l'idea?
...spero di sì, perché ho fatto di tutto per non cadere nel banale e spero proprio di essere riuscita anche solo lontanamente nel mio intento!

Fatemi sapere cosa ne pensate :3
Grazie a tutti quelli che ancora seguono questa storia,
Echelon_Sun
  
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