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Autore: Ruth Spencer    01/08/2013    4 recensioni
Sembriamo fatte su misura, per stare insieme ed essere amiche: ognuna con i propri sogni da realizzare e le sue paure intrappolate sotto il cuscino ma, comunque frammenti di uno stesso mosaico, uniti da una promessa che intendiamo mantenere.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutte: oggi sono puntuale come un orologio svizzero…più o meno. Ho tardato solo di qualche ora, dai.
Prima di lasciarvi  alla lettura vera e propria, volevo fare un enorme ringraziamento alle lettrici che hanno recensito gli scorsi capitoli e a tutte quelle che preferiscono/ seguono questa raccolta di One Shot. Siete dolcissime <3
Per insultarmi   qualsiasi domanda o curiosità, mi trovate su ask:http://ask.fm/RuthSpencer 
Spero vi piaccia,
con affetto, Ruth :)

 

 
 
                                                     Argilla
 
                                  Ad Audrey, perché “chi l’avrebbe mai detto che saremmo diventate amiche?”
 
 
 
E poi ci sei tu, Audrey: diciassette anni e un metro e settanta di razionalità, sarcasmo e frasi taglienti.
Mi sono sempre chiesta se disponessi di un manuale apposito per rifilare agli interlocutori indesiderati delle risposte a tono così pertinenti.
Tu ed io siamo come il giorno e la notte, lo yin e lo yang. Diverse, per certi aspetti addirittura opposte, ma ugualmente inseparabili. Esisterebbe il giorno, se non giungesse la notte e viceversa? Lo yin sarebbe completo senza l’altra metà, e lo yang?
Siamo diverse, ma forse, solo apparentemente. “L’ho pensato anch’io”, “Davvero? E’ capitato anche a me”, “Non ci credo. Sai che avrei voluto dirtelo pure io?”.
Ostenti un’indifferenza beffarda, che conoscendoti non ti appartiene affatto, di fronte all’opinione degli altri sul tuo conto, vorresti che il resto del mondo ti considerasse cinica, ambiziosa e forte abbastanza da cavartela da sola. Ma, è semplicemente una posa, una stupida maschera che ti sei appiccicata in faccia.
Sei perspicacie, intuitiva, ombrosa e talvolta taciturna; sensibile e terribilmente permalosa. Anzi, direi quasi irascibile.
I capelli sbarazzini ti incorniciano il viso squadrato e spigoloso. Ti sistemi una ciocca dietro l’orecchio, lasciando scorrere i pollici sulla tastiera del cellulare. Lo fai spesso per rispondere ai messaggi di Sean.
Ripenso alla nostra reciproca antipatia durante il primo anno di conoscenza, quando la mia esuberanza ti innervosiva ed io mi chiedevo come fosse fatto un tuo sorriso, perché effettivamente non sorridi spesso. Lo fai ad una battuta di spirito, gli angoli della bocca si sollevano verso l’alto e gli occhi si accendono di puro divertimento, oppure davanti all’obbiettivo quando sfoderi il tuo sorriso forzato come a voler biascicare a denti stretti: “Sbrigatevi. Odio le foto”.
Poi, siamo cresciute. Sono cambiata e tu hai imparato a conoscermi d’accapo. Abbiamo iniziato a telefonarci ogni domenica mattina, quasi l’avessimo appuntato sul calendario appeso in cucina; tu od io, una delle due alzava la cornetta per sentire l’altra. All’inizio ci confrontavamo sui compiti assegnati, poi sui professori che trovavamo insopportabili; parlavamo dei compagni arrivati da poco, fino alle discussioni con i genitori, ai ragazzi che ci piacevano e alle nostre passioni diverse, ma che ci procurano le medesime sensazioni. Mi raggomitolavo sul divano, con il pigiama ancora indosso e una tazza di latte che scottava tra le dita e ti ascoltavo. Ti ascoltavo e basta. Condividevamo emozioni, circostanze, parole che ci avevano toccato, scalfito oppure appena sfiorato; parole che ci avevano colpito, urtato o ferito nell’animo. Condividevamo scene, colori, semplici immagini perché le tue paure si rispecchiano nelle mie e le mie nelle tue.
Ed è stata proprio una di quelle domeniche che me l’hai confidato. –Ruth, voglio farlo con Sean-.
Io ho deglutito contro la cornetta prima di risponderti e forse tu te ne sei accorta. Ero la prima a cui lo dicevi, ma non perché fossi la più adeguata con cui parlarne. Semplicemente ero lì, in quel momento, mentre tu sentivi il disperato bisogno di confidarti con qualcuno, ed io ero felice di esserci, di poterti consigliare senza che me lo chiedessi, di aiutarti ad affrontare un momento che non si sarebbe più ripresentato.
-Sei preoccupata?-.
-No… Un po’, forse-. E nella tua voce carica di tensione ho colto le mie stesse insicurezze. Non volevi che ti giudicassi e non l’ho fatto.
Poi, il tuo attaccamento per Sean è aumentato e così la domenica mattina lo trascorrevi con lui: la nostra routine è scesa in secondo piano, sei diventata distratta e talvolta totalmente assente. Hai cominciato a liquidarmi con scuse banali ed io ho finito con lo smettere di chiamarti. Ma, forse ho sbagliato: avrei dovuto essere caparbia come Naima, insistente quanto Shatze, dirti che non era giusto trascurare le amicizie per un ragazzo, magari farti anche una scenata di gelosia. Sapevo però che avresti frainteso. “Non è vero”. Ecco, la frase che sai pronunciare meglio. Accampi scuse ed io sono stanca di sentirle.
Forse dovremmo imparare a tenerci per mano, invece di punzecchiarci appena possibile. Le nostre dita si intreccerebbero e l’argilla si fonderebbe con l’argilla, si solidificherebbe al sole. Allora tutte le nostre paure scivolerebbero via come pioggia sull’asfalto e al loro posto ci sarebbero solo le nostre mani, strette fino a farci male.
 
Tu sei Audrey, un caso umano. Prendere o lasciare. Ed io prendo.
  

   
 
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