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Autore: Orveon    01/08/2013    0 recensioni
Un anziano stregone si precipita in casa di un amico scrittore, Roen, per indurlo a partire con lui. Necessita del suo aiuto, ma non vuole rivelargli alcunché.
Roen attraverserà un mondo di cui aveva letto solo nelle pagine di antichi tomi polverosi. Incontrerà strane creature, occulte città e vivrà esperienze che pochi, in quel mondo devastato dalla guerra e dall'oscurità, hanno mai vissuto.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole declinava dietro le colline, vestendo gli abeti con abiti di fuoco. Le finestre rifulgevano della stessa luce, accecando le mandrie ritardatarie. Muggiti e fischi vibravano per tutto il villaggio, e vibravano persino nelle orecchie di Roen, immerso nelle sue intense letture. Le immagini di sogno generate dalle frasi di un libro si disfecero nell'etere, spazientendolo. Spense la candela e scese al pianoterra. Cenò col raccolto del giorno precedente.

Quando la luna ammiccò alle finestre, si sedette su una sedia divorata a metà dalle termiti e dal tempo, e meditò. Le stelle sbocciarono e appassirono, mentre l'orlo del mondo si colorava di fiamme d’oro. Infine spalancò gli occhi. La conclusione della lunga riflessione si confuse nell'aria tramite un flebile sussurro. 
Tornò in silenzio nella sua camera da letto.
 
Mezzogiorno era da poco passato e le nubi cominciavano toste ad addensarsi in cielo, quando qualcuno picchettò prima lentamente, poi con più forza, alla porta d’ingresso. Roen tentò di non farci caso, continuando a scrivere; ma allorché i colpi si fecero insistenti, fu costretto a vedere chi fosse. Spalancò furioso la marcia porta della camera, scardinandola. Si precipitò al piano terra e aprì al visitatore.
Se dapprima il suo cuore covava tutta la rabbia che un Uomo sia capace di tenere dentro di sé senza impazzire, quella stessa rabbia venne subito sostituita dalla gioia.
«Se continui a far pregare i visitatori in questo modo, la gente di qui verrà conosciuta come la più religiosa. Penso tuttavia di intuire la causa della tua riluttanza.»
«E intuisci giusto, vecchio Ilgis! Qual buon vento?»
«Vento di tempeste, mio buon amico. Su, lasciami riposare in casa tua, sì accogliente seppur tetra. Temo tu possa tramutarti in pipistrello, un giorno.»
«Fai complimenti a questa casa fatiscente? Porti dunque notizie assai brutte di guerre e miseria.»
Roen lasciò che l’amico si sedesse. Questi pareva emanare una luce ignota dai capelli nivei. Ricadevano su un manto azzurro, cielo attraversato da sentieri stellari. 
La polvere non osava intaccare la bianchezza dei suoi capelli. Pensò che dovesse trattarsi di qualche artificio magico. 
«Ahimè, se si trattasse solo di guerre e miseria! No, qualcosa di ben più grande ha preso a serpeggiare dalle coste occidentali. Rimpiango quando, al lume della luna piena, osservavo le onde sciabordare. Allora portavano solo spuma e conchiglie. Le buone maniere ti sono sconosciute, vedo. Offri qualcosa a un vecchio stanco!»
«Non ho che qualche lattuga. I terreni si inaridiscono, i venti sferzano con più ferocia. L’aria è empia di qualcosa che non saprei definire. Forse i tuoi non sono i vaneggiamenti di un povero pazzo.»
«Dunque è questo ciò che pensi di me! Ma la tua idea muterà totalmente, se mai oserai varcare i confini di questo villaggio. E a proposito di ciò...». Il vecchio lasciò che qualche istante passasse prima che la frase venisse completata. «E a proposito di ciò, avrei da riferirti qualcosa che potrebbe interessarti.»
«Bene, sono pronto ad ascoltarti». Roen non era poi tanto sorpreso: erano rare le volte in cui Ilgis si precipitava in casa sua senza proporgli una gita sui colli vicini o una passeggiata fra gli sterpi della landa ai piedi del villaggio. Avrebbe declinato l’offerta, ma voleva carpire più informazioni possibili sul male prima accennato: sarebbe potuto essere un buon argomento da introdurre nei suoi racconti e nelle sue poesie.
«Conosci bene il passato che mi accompagna, o quantomeno il necessario per giustificare i miei vagabondaggi e i miei timori mai infondati. Penso tuttavia che sia necessario rinfrescarti la memoria, poiché la mia ultima narrazione risale a poco prima che tu compissi vent’anni. Quanti inverni sono volti al termine da allora! Ancora rivedo le macerie fumanti della mia casa, distrutta dai carri e dalle asce delle legioni del Nord (checché se ne dica, sono loro i pazzi in questo mondo malato). Io e mia moglie fuggimmo in tempo, ma troppo tardi ci accorgemmo dello sbaglio commesso: nostra figlia era rimasta dietro di noi, e da molto tempo ormai non avvertivamo più il suo fiato. Tornammo quindi indietro, pronti a combattere e cadere, se fosse stato necessario. 
«Lì ove poco prima si ergeva la nostra casa giaceva il corpo straziato di Brelen. La visione fu orribile... Poco tempo passò prima che mia moglie espiasse delle colpe inconsistenti ricorrendo all’ausilio del cappio. Non starei qui ad importunarti, se gli Dei delle stelle non mi avessero donato la Speranza. 
«Sondai la mia anima, trovandovi nascosti energia e coraggio. Mi feci carico del dolore e della disperazione della mia famiglia oramai distrutta, e partii. Vagai per cavi monti e fiumi di sabbia prima che una serie di circostanze mi portasse all’evento che mi fece correre qui come un pazzo. Alle mie spalle il mare lasciai, i cui di spuma tentano ancora adesso di spiarmi». Nel silenzio, l’affannoso respiro di Ilgis.
«Corresti qui come un pazzo e portasti la pazzia, mio vecchio amico. Le tue parole non sono altro che un buono spunto per racconti e poesie da vendere ai viaggiatori. Molto tempo è passato dal mio ventesimo compleanno.»
«Sciocchezze!» tuonò il vecchio. «Fuori di qui accadono cose i cui contorni non appaiono definiti nemmeno nei sogni degli uomini annebbiati dall’oppio. Ami così tanto i libri: non pensi sia meglio viverle, le avventure, anziché leggerne?»
«È più facile scampare a un duello, se questo sta solo nella tua testa.»
«A meno che non si tratti di un duello contro te stesso. Ma che sfide e battaglie possono essere mai presenti in quella tua testa vuota?»
Si alzò e prese a camminare. Bofonchiava parole sconosciute sotto la candida barba, mentre la mano rovistava fra tasche e taschini nascosti. All’improvviso s’arrestò. 
«Pensi che anche questo sia il frutto del delirio?»
Un lungo artiglio marrone emerse da sotto il mantello. Riluceva della tremula luce di un sole stanco. La punta pareva troppo affilata per essere un manufatto intagliato in qualche strano minerale, e in ogni caso emanava un non so che di arcano, palpabile manifestazione di mondi sconosciuti celati dall’ignoranza.
L’artiglio - o forse era un dente? - turbò profondamente Roen. Nella sua testa mille pensieri nacquero e soffocarono. Il vecchio rise: aveva colto la natura del suo silenzio.
«Che ridi? Metti via quell’affare, potrebbe cavare l’occhio a qualcuno.»
«I tuoi pensieri sono stati turbati dalla verità, nevvero?»
«Nient’affatto. Lasciami riposare adesso, questa notte non ho chiuso occhio.»
Il vecchio si congedò, adesso libero da un grande fardello. Con un gran sorriso si diresse all’unica taverna della città. 
Trascorse lì il resto della giornata, meditando sulle parole da adoperare quando Roen si fosse sentito pronto per un’altra discussione. 
 
Il cielo del giorno dopo prometteva pioggia e fulmini. Il vecchio sgattaiolò fuori dalla sua stanza, tenendosi lontano dalla gente che s’apprestava a riparare bestie e fieno. Presto fu innanzi la casa dell’amico, una triste figura piegata dal degrado. Le finestre del piano superiore, per metà crollato, oscillavano pericolosamente al vento. Per quanto ancora la struttura sarebbe stata in grado di sostenere il proprio peso, non lo sapeva. 
Bussò alla porta e fu subito accolto in casa. Non ebbe nemmeno il tempo di accomodarsi, che Roen attaccò discussione.
«Niente parole inutili: il tempo è denaro, e la penuria di finanze testimonia quanto siano seccanti i miei vicini.»
«A me pare che sia tu quello che preferisce perder tempo fra riflessioni e inutili divagazioni.»
«Silenzio!» esclamò. Pareva febbricitante: l’idea di ammirare ciò di cui aveva sempre letto e sognato adesso lo esaltava. Aveva intenzione di partire immediatamente, ma senza darla vinta così facilmente al vecchio. «Intuisco che tu non mi stia proponendo una semplice escursione. No, scorgo qualcosa di più profondo nei tuoi occhi. Ahimè, so che mi sto cacciando in qualche enorme guaio.»
«Quanta fretta di partire!»
«Fretta di partire? Non ho alcuna fretta di partire.»
«Mi fido delle tue parole», disse con tono sarcastico. «Comunque sia, non importa. Hai prima centrato la natura della mia proposta: essa è ben più ardua e pericolosa,» e qui Roen sussultò, «ma vedo in te qualcosa... la fiamma di una candela che desidera inondare di luce i recessi della tua mente, ottenebrati come sono dalla vacuità della vita che conduci.»
Roen aprì bocca, poi la richiuse. Fuori proruppe il fragore di un tuono. 
«Temo tuttavia che non troverai più tempo da dedicare ai tuoi cari libri.»
«Se accettassi, quale sarebbe il mio compito?»
«Portare un messaggio ad un re lontano.»
«Tutto qui? Immagino tu non voglia pronunciare il nome delle creature che ostacoleranno il nostro sentiero.»
«Solo gli Dei scorgono i profondi abissi dell’avvenire.»
«Un modo carino per dire che avevo ragione. Sella i cavalli e procura vettovaglie, io non ho che questa penna e questo blocchetto di fogli. Mi terranno compagnia durante i bivacchi.»
Ilgis rise. L’amico aveva infine tradito i suoi pensieri, ma pareva non prestarvi troppa attenzione. Roen chiuse le finestre e nascose i suoi libri e i suoi manoscritti. «Qualche bimbetto fastidioso entrerà di certo a rovistare fra la mia roba. Rimarrà allora deluso: soltanto la polvere e il legno marcio avrà con cui giocare.» 
 
Lasciarono la casa nell’istante in cui la pioggia prese a scrosciare. Roen s’addolorò molto: i foglietti nella tasca della giacca andavano sciogliendosi. E forse non si trattava di questo: alle sue spalle lasciava amici cui non aveva avuto il coraggio di dire addio.
  
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