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Taemin si pentì tardi della sua scelta.
Lo capì solamente quando apparve una donna
sulla soglia
della porta di fronte a lui. Giovane e bella, dai lunghi capelli
castani, lisci
e fluenti.
Si irrigidì immediatamente di fronte a quel
volto.
Con non poca fatica, cercò di tornare il
solito ragazzo
sorridente. Fece un leggero inchino e fu tentato dal voltarsi e
andarsene di
corsa, ma la voglia di incontrarlo era forte.
“Hem, salve. Sono un amico di Kibum.
E’ in casa, per caso?”
Il suo sorriso sembrò convincerla.
“Oh, si, te lo chiamo subito. Ma non stare
lì, entra, dai”
Aprì la porta, facendogli cenno di entrare.
E così era quella, la sua casa. Lì
che era venuto ad
abitare.
Si guardò un po’ intorno, notando
varie cornici appese,
alcune appoggiate su degli scaffali.
“Vieni pure, Taemin”
La donna lo accompagnò in soggiorno
sospingendolo con una
mano tra le scapole.
Quel contatto fece intuire molte cose al ragazzo,
che
sorrise mestamente, comprendendo subito quale fosse la natura della
donna e
probabilmente del marito: il suo tocco era gentile, delicato; non
apparivano
segni di rabbia o incomprensione. Quella famiglia, di sicuro, era una
di quelle
dove i genitori spingono i figli a seguire i propri sogni e li
sostengono in
tutte le loro scelte. Una famiglia perfetta per Kibum.
Mentre la madre andava al primo piano per chiamare
suo
figlio, Taemin si permise di sbirciare un po’ qua e là.
Dovevano essere dei
tipi nostalgici, le foto erano ovunque e ritraevano marito e moglie
appena
sposati, i due assieme a Kibum, qualche parente in pose divertenti e
molte,
moltissime foto di ogni genere di Kibum.
Taemin si fermò davanti ad una in
particolare.
Doveva essere stata scattata durante una vacanza:
l’ambientazione era marittima, Kibum era ritratto di profilo,
seduto sul
limitare della spiaggia, l’acqua gli lambiva le gambe poggiate a
terra. Il
cielo illuminato dai chiari raggi del sole all’alba, donava
un’aria dolce al
volto del ragazzo, che probabilmente aveva intuito di essere mira di un
obiettivo e aveva girato il capo, sorridendo come un bambino, mostrando
la
perfetta dentatura.
I suoi capelli non erano biondi, ma castani e
abbastanza
corti e scompigliati, un ciuffo gli avrebbe coperto la fronte, se non
fosse
stato per il gel che lo teneva alto e disordinato.
“Taemin?”
La sua voce arrivò inaspettata alle
orecchie del più
piccolo, che indietreggiò imbarazzato per essere stato scoperto
in un momento
così impiccione.
“Oh, ciao, io.. stavo guardando le
foto” Si tolse subito
dall’imbarazzo.
“Ho notato” Rise Kibum.
Rimase poi in silenzio a guardarlo, in attesa di
una
spiegazione del perché fosse venuto a trovarlo
all’improvviso.
“Ho guardato il tuo indirizzo su internet,
non ti ho spiato,
lo giuro” Taemin si permise di scherzare, visto che il biondo
sembrava
apprezzare ogni sua battuta. Infatti questo soffocò una risatina
in gola.
“Perché questa visita?”
“Beh, volevo chiederti se questa sera ti va
di venire al
locale dove lavora mio fratello.”
Kibum si sorprese di quella richiesta. Usciva
raramente, la
sera, e sempre solo con persone che conosceva da moltissimo tempo.
Quella
proposta però era allettante, proprio perché lo stava
chiedendo Taemin.
“Beh, dovrei.. chiedere ai miei
genitori”
“Suvvia, hai diciotto anni Kibum, e poi
sarai con me”
Sorrise ammaliatore il piccolo.
“Mh..” Il biondo ci pensò su,
poi si diresse in cucina sotto
lo sguardo attento di Taemin.
“Mamma, questa sera volevo andare con Taemin
al locale di
suo fratello. Torno per le undici, d’accordo?”
La donna parlò a bassa voce, probabilmente
indaffarata in
alcune faccende domestiche, e dopo poco Kibum tornò in salotto
con un’aria
soddisfatta.
“Dimmi l’ora e il posto”
Jonghyun non capiva come facesse ad essere
così difficile
studiare il corpo umano. Finchè si trattava di sistemi,
apparati, cellule e
argomenti simili, ci stava. Ma addentrarsi addirittura nelle formule
chimiche
della riproduzione cellulare dei tessuti ossei, o i nomi di azioni
delle leve,
beh, era davvero troppo.
Minho era accanto a lui, tranquillamente disteso
sul tappeto
e già al capitolo venti.
Jonghyun guardò insoddisfatto la propria
pagina: capitolo
tre.
“Ma come diamine fai, tu? Riesci a farti
entrare in testa
queste cose?” Disse spazientito al più giovane, che
ghignava divertito dell’espressione
imbronciata dell’altro.
“Sei tu che non ti applichi, hyung”
“Applico? Io mi applico in cose ben
più sensate di questa…
questa… roba” Prese il malloppo di fogli pinzati assieme e
lo lanciò lontano,
infastidito.
“A proposito di cose sensate, questa sera in
città c’è la
Notte Rossa”
“La notte
che?” Jonghyun
rise di gusto. Aveva sentito parlare di notte bianca, ma della notte
rossa, era
la prima volta.
“I locali rimangono aperti fino a tardi
lasciando che
cantanti o musicisti, famosi e non, prendano parte alla competizione.
Questa
sera ci sono le eliminatorie e questo fine settimana ci saranno le semi
finali.
Jong! Tu sei sia cantante e sia musicista, diamine, devi
partecipare!”
Jonghyun aggrottò le sopracciglia, pensando
a ciò che gli
aveva appena detto l’amico.
“Non so nemmeno quali sono le regole e i
generi” Borbottò
andando a riprendersi i fogli caduti accanto alla parete.
“Bisogna iscriversi entro la mezz’ora
dall’inizio della gara.
I generi sono principalmente rock, e cose del genere” Minho
vaneggiò con una
mano, facendo capire che non s’intendeva delle definizioni dei
generi musicali
nello specifico. “Notte rossa, per un motivo, no?”
Giusto. Aveva senso.
Avrebbe anche potuto partecipare. Magari con una
sua
canzone. Ne aveva composte alcune per voce e chitarra elettrica, anche
se senza
batteria sarebbe stato svantaggiato.
Si grattò il mento, pensandoci un attimo.
“Non so..”
Minho lo guardò spazientito.
“Cavolo, Jonghyun, sei un genio con la
chitarra e lo sai.
Buttati!”
“Devo pensarci, Minho.”
“Si, dici sempre così, ma alla fine
le cose non le fai mai.
Devi smettere di pensare troppo alle cose e prendere le
opportunità al volo,
altrimenti ti sfuggiranno dalle dita e ti troverai con niente, alla
fine.”
Jonghyun strinse le dita attorno alla carta
stampata. Era
vero.
Ricordò cos’aveva pensato qualche
giorno prima, alla mensa,
riguardo Kibum.
Forse quello sarebbe stato un inizio. Forse
intendeva
proprio quello, nel dirgli che doveva stare più attento.
Più attento alle occasioni che gli si
presentavano.
“Bene allora. Portami l’amplificatore
in garage. Voglio che
la gente si faccia una bella idea di cos’è davvero il
rock” Si alzò dal divano
senza aspettare Minho, afferrò deciso la sua chitarra elettrica
che se ne stava
appoggiata accanto alla libreria del salotto e si diresse deciso fuori
casa,
per prepararsi a quella sera.
Le luci psichedeliche rendevano la visuale poco
comprensibile.
Era tutto nuovo, per lui. Non aveva mai messo
piede in un
locale del genere, e la cosa lo metteva in difficoltà. Taemin
capì i suoi
pensieri e gli afferrò un lembo della maglia per poi avvicinarsi
al suo
orecchio per parlare.
“Andiamo verso il bancone, ti va? E’
li mio fratello!” Urlò
per farsi sentire e Kibum annuì.
Appena si appoggiarono al marmo chiaro del
bancone, Kibum si
sentì in salvo. Aveva qualcosa a cui aggrapparsi,
un’ancora di salvezza in
mezzo ad alcool, luci scarlatte e canzoni che di armonico avevano ben
poco.
“Hei, fratellino!” Jinki si
pulì le mani con l’asciugamano
che portava legato in vita e scompigliò i capelli di Taemin, che
gli dedicò un
ampio sorriso, guardando poi verso il palco mentre afferrava il
bicchiere di
vetro contenente il suo solito the al limone che Jinki preparava
appositamente
per lui.
“Kibum! Ci sei anche tu! Taemin è
riuscito a convincerti eh?”
Rise ad alta voce il ragazzo dietro al bancone, mentre preparava un
drink per
alcune ragazze a fianco del biondo.
“Eh…già..” Disse a bassa
voce. Per un attimo si pentì di
aver accettato. Quei luoghi non facevano proprio per lui. Troppe voci,
troppo
caldo, musica troppo alta.
“Non lasciarti ingannare. Questo posto di
giorno è un
normale locale tranquillo dove ci si può prendere un cappuccino
e studiare ai
tavolini” Taemin urlò di nuovo al suo orecchio,
regalandogli poi un sorriso
comprensivo.
Quello era un punto a suo favore.
Una
voce si espanse
nello spazio del locale.
Una
voce roca e
bassa, accompagnata da una chitarra acustica attaccata ad un
amplificatore.
Le luci
si spensero,
lasciando solo un fascio chiaro al centro del palco, verso quel ragazzo.
Kibum
girò il capo e
lo vide.
Aveva
gli occhi
chiusi, suonava con forza le corde della chitarra che portava a
tracolla.
Una
melodia struggente
e potente invase le orecchie di tutti i presenti, ammutoliti
all’istante.
Il
biondo schiuse le
labbra, stupito da quella voce.
Quella
voce.
Quella
voce.
Quella
voce…
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