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Autore: Melitot Proud Eye    04/08/2013    3 recensioni
[vecchio titolo -> Doveri]
«Thor, tu hai bisogno di una moglie.»
«Io ho già una moglie» dice lui. «E un marito, e un fratello e un amico. E sei tu. Non ho bisogno di sconosciuti nel mio letto.»

Doveri e desideri di due sovrani.
{Presso fuochi di campo e troni di re incoronati - XII}
[future!fic post-Avengers/TDW] [Thorki-Thunderfrost + Jarnsaxa/Thor]
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Loki, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Presso fuochi di campo e troni di re incoronati'
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Nota: eccomi finalmente! Doveri era partita in quinta e ora mi fa disperare.
Piccole note:
Þrymheimr (in antico norreno "casa del tuono"), Glæsisvellir e la città-fortezza di Utgard erano luoghi importanti di Jötunheim, tutti ricordati dai testi antichi;
- tigliegi, cetride e patronimico di Jarnsaxa sono inventati. Per l'ultimo ho cercato in lungo e in largo, ma la mitologia non lascia notizie sulla sua ascendenza;
- nel mio headcanon, come si sarà capito, Jarnsaxa è nato quasi piccolo come Loki (è più alto) e possiede un po' di magia;
- ...sì, mi piace dare a Gerð una voce un po' isterica XD
Va bene, vi lascio proseguire alla seduzione di Thor. Haha, una rosa, Jarn? Really?

Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che seguono questa storia :) mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate!
[edit 2/3/14]

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Strategia del dolore



I


«Meditate ancora» esclama Járnsaxa, scherzoso, quando lo trova sulla terrazza.
Thor è alla Biblioteca Sovrana. Seduto sul parapetto monumentale, un dito nel libro che dovrebbe leggere, si gode lo splendore degli alberi di tigliegio in fiore, i colossi maestosi del parco di Ýdalir. Tutto è bianco, verde e azzurro. Sereno.
Non si rende davvero conto di chi ha parlato finché Járnsaxa non continua.
«I poemi e i veterani vi cantavano uomo impetuoso. Ora invece vi scopro riflessivo. La vita è davvero generosa, con me.»
Torna in sé e si gira, sorpreso. Poi scuote la testa.
«I veterani mi ammirano anche troppo, per loro bontà» dice, mettendo definitivamente da parte il volume. «E i poemi – perdonami, ma son quasi tutte panzane.»
Il sorriso di Járnsaxa si allarga, e finiscono per ridere insieme.
«Ah, ora vi riconosco.» Si avvicina. «Refrattario al fronzolo. Amante delle cose terrene e delle forze selvagge.»
Appoggia un fianco alla balaustra di marmo Vanir, venato di viola, incrociando le braccia. Oggi non indossa volpe bianca: solo trasparenti sete color zafferano e monili in corallo – bracciali, collane, pettini per capelli; perle di tormalina occhieggiano alle sue caviglie. Davanti a tanto rosso Thor non può che ricordare un'altra gemma, un grande rubino, e alla fronte che spesso illumina nel grigiore di Jötunheim. La sua allegria si fa forzata.
«Forse un tempo, amico mio. Ma sono cambiato. I principi avventati ereditano troni oberati d'impegni.»
Járnsaxa annuisce, senza mai distogliere gli occhi da lui.
«Gerð-Regina se ne lamenta spesso.»
Scende il silenzio. La biblioteca è tranquilla; dal parco provengono voci di bambini.
«Qualcosa vi turba» osserva Járnsaxa, alla fine.
La sua sollecitudine è un piacere e un disagio.
«Riflettevo soltanto» dice Thor, riprendendo il libro in mano. A un suo cenno aggiunge: «Questioni noiose, te l'assicuro. Governo, leggi, diplomazia. Il destino. Il fatto che regno da molte, molte estati ma ancora non ho dato una regina al mio regno, né un erede alla mia casa.»
«Queste non mi sembrano cose noiose» afferma Járnsaxa, sorridendo. «Anzi, sarei felice di saperne di più.»
Poi sembra colto da un pensiero e, con le guance scure, volge lo sua attenzione ai tigliegi. La brezza porta fino alla terrazza un profumo dolcissimo, intenso come quello dei mughetti e dei fiori d'arancio.
Nonostante navighino un argomento infido, Thor si scopre curioso.
«Su Jötunheim i figli sono un bene prezioso» dice.
«Il più grande.»
«E tu non hai figli?»
«No» risponde Járnsaxa, malinconico, afferrando un petalo in volo e posandoselo sulla lingua. «Tra gli Álfar non sono in molti ad esser attratti da queste lande gelate.» Mostra il braccio, marchi azzurri, pelle blu. «O pronti ad affrontarle.»
Poi sorride, incontrando gli occhi di Thor.
«Dicono invece che gli Aesir siano un popolo di guerrieri temerari, con un'inspiegabile amore per il ghiaccio.»
Una delle sue cosce infinite fa capolino fra i lembi della veste di seta. Thor deglutisce, distogliendo lo sguardo.
«È così. Forse avrai più fortuna, se visiterai Asgard.»
«Lo spero.»
E la voce di Járnsaxa, a scapito dei legittimi sospetti, è sincera.


II


È una sensazione familiare, risorta dal passato: il più profondo senso d'inadeguatezza; la certezza di venire per secondo agli occhi di tutti, ma soprattutto di Thor.
Risveglia in lui una rabbia che ha sete di sangue.
E un'altra cosa: la consapevolezza latente ma non dimenticata che mai Thor fa le cose a metà. Se prenderà qualcun altro al suo fianco, lo farà completamente, nel rispetto e nell'amore.
Loki ricorda allora la solitudine di un tempo – la perdita della fiducia e la dura strada percorsa per riconquistarla. Il silenzio di Thor.
L'attesa davanti a porte chiuse.
Cose che non vuole rivivere, e che non credeva possibile rischiare ancora. Eppure, con l'ostinazione perversa che avvelena il suo carattere, vi sta tornando. Se ne rende conto solo ora.
Loki spia Járnsaxa con occhi che vedono e arrivano ovunque; immagina di avvicinarlo e aprirgli quella bella gola con le unghie. Lo spruzzo del suo sangue blu sulle guance di Thor.
Stringe i pugni per fermarsi.
Non è più quel tipo di persona, si dice. Non lo è più.
Ma non te lo lascerò prendere, a qualunque costo, pensa. Mi dispiace, ho cambiato idea.



III


Thor ama profondamente il compagno della sua vita, ma le illusioni giovanili l'hanno abbandonato da tempo.
Loki resta Loki. E la gelosia sarà sempre il suo più feroce piacere.
A distanza di secoli, davanti alla prospettiva dell'abbandono, il veleno torna ad accumularsi: Thor lo avverte nelle sue parole, lo vede nei suoi occhi. Un disastro in avvicinamento, qualunque forma deciderà di assumere. Ma stavolta Thor non è impreparato. Se Loki ama ancora nutrire la propria rabbia per aspergerla sugli altri, si dimostra prevedibile; e quindi manipolabile. Se è manipolabile, può esser guidato nella direzione giusta.
Da mio padre non ho preso solo la forza del braccio, pensa Thor.
E' diverso da loro due, perché complottare non gli darà mai alcun piacere. Tuttavia, nella vita ha concluso abbastanza compromessi da accettar questo come inevitabile. Nient'altro che vittoria, su questo campo di battaglia. Non esiterà, né lascerà che la tenerezza lo tradisca.
(Ha già funzionato una volta.)
Forse Loki non aveva idea di cosa gli stesse facendo, cercando di mettere qualcuno fra loro – quanto Thor si sia sentito tradito, rifiutato, ridicolizzato.
Ora lo sa.
Thor guarda dentro di sé ed è tranquillo. Il suo cuore non è cambiato: vuole la stessa cosa di sempre.
Se tentenna... se talvolta si confonde... è perché ogni creatura vivente è fallace.



IV


«Vi voglio, Thor.»
Infila le dita nelle pieghe della sua mantella e stringe la presa. Il punto d'equilibrio lo aiuta nel movimento: aggira lo scranno, solleva una gamba e gli si arrampica in braccio.
Thor inspira con asprezza e alza le mani. Per un attimo, Járnsaxa crede che lo colpirà.
Invece resta così, a bocca aperta, corpo che non sa cosa fare. Járnsaxa ne approfitta per circondargli il collo con le braccia e sedersi più in alto.
Quello che sente non è armatura.
Thor gli afferra i fianchi e Járnsaxa ride, estatico, offrendo la bocca.

Járnsaxa Jønirson è stato fortunato, nella vita.
Nato minuscolo in un inverno durissimo, appena prima della guerra che avrebbe devastato Jötunheim, era destinato ad essere esposto; ma l'amore dei suoi genitori e la generosità del suo villaggio lo hanno salvato. Quel pugno di vecchi, consumati dal desiderio di nuove generazioni, lo ha curato, protetto, nutrito con la delicatezza che solo un infante debole e piccolo fra gli Jötnar può richiedere.
Bambino estremamente curioso, ha avuto nonni pazienti in contadini, pescatori, cacciatori – e in un cantastorie, in un veterano delle guerre durante le quali Borr Búrison ancora gattonava. È stato ben nutrito a pesceargento, muschi e leggende.
Sveglio, libero come un drago bianco.
E poi, quand'è stato il momento, i suoi hanno capito che vivere in un villaggio avrebbe finito per svilirlo. Hanno preso, fatto fagotto e l'han portato in ciò che restava delle grandi città – un atto di coraggioso sacrificio del quale sarà loro sempre grato.
Járnsaxa ha così avuto il privilegio di vedere Glæsisvellir, di vivere a lungo in Utgarð; di apprendere tutto quanto Thrymheimr poteva dargli. Ha conosciuto elfi poeti e discorso di magia con Vanir di furtivo passaggio.
Ha conosciuto Gerð, la prima mente in cui risuonasse il suo stesso desiderio di modernità. E infine, durante un'escursione spericolata, insieme a Gerð ha incontrato Freyr.
Járnsaxa era appena divenuto adulto quando loro due hanno deciso di unirsi. Gerð gli ha chiesto di andare con loro, e abbandonare il relitto che era la loro terra.
«Pensa alla vita, alla cultura di Álfheim» gli ha detto. «Prendi e porta anche i tuoi genitori, se vuoi. Non voglio farti sentire in colpa. Ma parti e vieni via con noi.»
Ha accettato. Anche se i suoi genitori non han voluto lasciare il mondo che scorre nel loro sangue e nelle loro ossa, è partito, con la nostalgia nel cuore.
Via, lontano dalla miseria che l'entusiasmo giovanile non poteva più smorzare.
La ricchezza opulenta di Álfheim l'ha stordito. E' un mondo di foreste verdi e praterie solcate da strade di pietra, caldo, colorato, accecante. Già allora tra le sue fronde stridevano uccelli variopinti, lungo i suoi viticci fiorivano infinite corolle. Aveva frutte succose per ogni dove e piante aromatiche in abbondanza. Branchi di animali pasciuti. Aveva città di palazzi altissimi, con botteghe, biblioteche, statue e monumenti, fiere chiassose. Un magnifico, eterno caleidoscopio.
La fatica del caldo costante è un piccolo prezzo da pagare per tutto questo, e mitigabile con la magia.
Non molto tempo dopo il loro arrivo, Járnsaxa ha ottenuto di entrare come apprendista all'accademia di Ýdalir, invidiata da tutti i mondi. La sua vita è stata molto diversa da quella di tanti suoi coetanei, dunque – di tanti vecchi e giovani di Jötunheim.
Abilità, perseveranza, ma anche tanta fortuna.
E questa, pensa, è la fortuna più grande di tutte: Thor Odinson, biondo e bello come il sole, che gli sorride parlando delle cose che Járnsaxa ama di più.
Abbastanza vicino da poter essere toccato. Preso, conquistato.
Járnsaxa non ha un carattere propenso al riso, perché la desolazione di Jötunheim gli è rimasta dentro. I suoi sorrisi son più diplomatici che sentiti; il suo cantato fascino è una facciata per l'ambiente capriccioso della corte. Ma con Thor... con Thor sente emergere un'allegria che non credeva gli appartenesse.
Járnsaxa ha conosciuto Odino, e avuto paura di lui. Suo figlio è diverso. E' tutto luminoso, tutto calore.
Anche ai prodromi di una tempesta.
Forse è davvero destino che Járnsaxa e Gerð siano regine insieme.

Ma Thor, come tutte le rose, non manca di spine. I difetti di un grand'uomo – dicono – sono grandi, e lui ne ha di notevoli. Innamorato, Járnsaxa fatica a vederli finché di essi non si rivela il più temibile.
Thor ha un'ombra che non segue le leggi del sole. È il principe di cui una volta nessuno sapeva, la fenice che ha incenerito Jötunheim per risorgerne e farla risorgere. Loki, figlio di Laufey, l'ultimo re. Colui che è cresciuto accanto a un altro scettro e ne ha assorbito tutta la pompa, ridando vita, quando nessuno se l'aspettava o lo desiderava, al trono dei suoi antenati.
Di Laufey ha i lineamenti, di Odino lo sguardo penetrante. È il re padrone del ghiaccio e del Seiðr.
E del cuore di Thor.
Loki è arrivato prima... Loki ha millenni di storia condivisa con lui.
Che importa?, si chiede Járnsaxa. Lo sta umiliando. Lo ferisce deliberatamente. Rinuncia a lui.
Corruga la fronte, cercando di non pensare al modo in cui lo ha guardato trovandolo insieme a Thor. Al fatto che si sia presentato ad Álfheim senza preavviso.
Non lo merita.
Osserva il figlio di Odino, che sorride con la tristezza negli occhi ma riesce ugualmente a vedere il suo desiderio; Thor, che non lo rifiuta.
Forse non è solo illusione. Forse c'è davvero speranza, e Járnsaxa decide di continuare.

«Non ti vedevo legger poesia dalla nascita di Fjolnir. Sei innamorato?»
Sotto l'arco che dà accesso alla sua biblioteca privata, accanto alla tenda di velluto verde, c'è Gerð-Regina. Indossa una tunica ambrata che vela i seni in crescita ma offre il ventre alla vista; dalla tiara d'argento scendono nei suoi capelli cascate di perle e topazi. E' bello e raffinato, come sempre. E Járnsaxa dovrebbe pensarlo al femminile, ora: dopotutto, questa è l'usanza della loro vecchia terra per chi è gravido.
«Devo preoccuparmi del tuo silenzio?» chiede Gerð con un sorriso beffardo, piedi che scivolano sul tappeto.
«Forse» gli risponde.
Si alza dal triclinio, s'inchina e, al suo gesto, riprende il suo posto e il suo libro. Gerð va alla gabbia degli uccelli.
«Quindi il nostro Jarn è innamorato» canticchia. «E chi è il fortunato?»
«Non ho detto che lo sono–»
«Ma interessato?» fa Gerð, malizioso. «Arrapato?»
Járnsaxa si passa una mano sulla faccia, sentendosi scurire. «Vorrei che non foste così volgare...»
Un cetride azzurro gorgheggia.
«Oh, perdonami: titillato
Finisce per ridere. «Sì. Oh, sì.»
Gerð smette di carezzare una cresta gialla per voltarsi. «Inevitabile: è un uomo straordinario, e non lo dico perché è figlio di Odino e siede sull'Alto Trono.»
«Voi lo conoscete meglio di me.»
«Non saprei. L'ho visto più volte negli anni, certo, ma non abbiamo parlato a lungo. Sì, è bello. Sì, è forte e intelligente, anche se talvolta un po' ingenuo. E indossa bene la corona di suo padre. Credo che pochi non vorrebbero farselo» dice. Poi, dopo che hanno riso come ragazzine, il suo sorriso si smorza. «E che pochi ci siano riusciti. Nessun avventuriero, negli ultimi quattro secoli.»
Járnsaxa storce la bocca, sfogliando il suo codice a tempo perso. Gerð sembra allarmato.
«Tu... non stai facendo sul serio, vero?» chiede. «Sai quel che si dice di un suo possibile matrimonio?»
Járnsaxa annuisce. Gerð fa qualche passo verso gli scaffali, tocca una costola di cuoio rosso, una verde smeraldo.
«Io non so a che gioco stiano giocando, ma...» lo guarda dritto negli occhi, con un tintinnio di perline. «Il re di Jotunheim è potente, Jarn. E possessivo. Non sfidarlo.»
Lui finisce per deglutire. Ha la forza del desiderio dalla sua, ma è pur sempre un erudito, non un guerriero.
«Credo che sia troppo tardi.»
Gerð gira su se stesso, imprecando sottovoce. «Che hai fatto?»
«Non gli ho mancato di rispetto, ve lo giuro. Non sono un suicida. Ho solo mostrato interesse per l'uomo a cui sta cercando di trovare moglie da mesi.»
«Oh, Norne.»
«E Thor–»
Al nome, Gerð spalanca gli occhi. «Thor? Norne, aiutateci! Ti rendi conto–»
«Sono uno Jötun libero» fa Járnsaxa, un po' offeso da tutto quel melodramma. «E lui mi ha dato il perme–»
«Sei un pazzo» strilla la sua regina. «Vuoi distruggerci
«Calmatevi» implora, «pensate al bambino.»
«Stai dicendo che sono isterica?» soffia Gerð, puntandogli contro un dito. «Perché se anche fosse, avrei ottime ragioni.»
Járnsaxa alza le mani per placarlo, poi inarca le sopracciglia. «Dove andate?»
«A chiamare Freya, per amor di buonsenso!»
E Gerð svanisce, inghiottito dal palazzo buio.
Járnsaxa si riappoggia allo schienale, stringe la mascella e riprende a leggere, cercando di ignorare il vago senso d'inquietudine lasciatogli dal volto di Gerð, serio, col nome di Loki sulla bocca.

Si assopisce in biblioteca, quella sera. Gli scaffali hanno molte ali e molti piani, ricchi di nicchie; bastano un lume schermato e una coperta contro gli spifferi per sentirsi le uniche creature rimaste al mondo. Lì si può sempre trovare un po' di pace – e sperare in un incontro amoroso.
Non è Thor a raggiungerlo, tuttavia. Járnsaxa sta dormendo con la fronte sui polsi e le braccia incrociate sulle ginocchia, come faceva da apprendista, quando un fruscio lo disturba. Una veste femminile. Un profumo di gelsomino.
Il dorso di una mano bianca gli sfiora la guancia, poi scende sotto il mento, sollevandogli il capo con gentilezza. Járnsaxa riconoscerebbe quelle efelidi fra mille.
«Cosa ti affligge, mio carissimo amico?»
E quella voce, vellutata come foglie di salvia. Alza gli occhi sul volto limpido di Freya.
E' venuta davvero.
«Desidero Thor Odinson» mormora.
La dea inclina il capo. Una cascata di luce scorre giù per i suoi capelli, rame vivo e vibrante sotto i trafori di una lampada d'ottone.
«Per la tua regina? Per un'alleanza?»
Járnsaxa pensa a Gerð e ai giochi di potere della sua corte. «E per me stesso» confessa.
Il bel viso di Freya intristisce.
«Come temevo» dice, lasciando ricadere la mano fra le sete cangianti del vestito.
«Mi aiuterete?» chiede, girandosi sulla panca. «Voi conoscete bene Loki Laufeyson.»
«E l'allievo ha da molto superato la maestra.»
«Ve ne supplico...»
Freya lo guarda a lungo, in silenzio. Intorno a loro, la biblioteca è una caverna dalle profondità insondabili.
«Ti aiuterò» dice alla fine. «Come posso. Proprio perché lo conosco bene.»
Járnsaxa cerca di non sentire quel che non dice: perché è già troppo tardi.

L'equinozio passa senza che nessuno commenti il ritardo sul programma, però Thor non può restare oltre un quarto lunare – della luna più grande, purtroppo. I Nove Mondi chiamano, mentre Álfheim trattiene i suoi eruditi. E' una situazione incerta.
Per fortuna i mesi passano svelti: quando l'estate vira in autunno, da Asgard annunciano un'altra visita e il cuore di Járnsaxa si rianima, abbandonando progetti di espatrio. Thor sta cercando qualcosa, nella loro biblioteca; forse non solo libri. E lo avrà, oh se l'avrà.
Nonostante i propositi, tuttavia, non si vedono all'arrivo della delegazione. Gerð è molto vicino al parto: fremono i preparativi, abbondano gli impegni e i capricci. E' nel tardo pomeriggio che Thor richiede la sua assistenza in biblioteca, proprio quando Járnsaxa stava per scappare urlando. (A cercarlo.)
Entra, splendente in armatura leggera e manto scarlatto. La sala s'illumina.
Agli inferi la dignità. Járnsaxa gli va incontro quasi a balzi, bracciali e collane che tintinnano.
«E' bello riavervi qui.»
Thor gli stringe il polso nell'antico saluto, ricambiando il suo sorriso. La sua mano è caldissima.
«Il piacere è reciproco, amico mio.»
Poi si guardano, senza separarsi, e per un attimo l'aria è greve di aspettativa. Parole non dette. Una decisione dalle conseguenze inscrutabili.
Járnsaxa è il primo a ritrarsi. Si scosta i capelli dal viso, cercando di sistemarli intorno al collo, e fa cenno a Thor di seguirlo. Lo conduce al tavolo più grande della biblioteca, dove sono sistemati codici, rotoli di pergamena, vecchie mappe acquerellate e qualche lastra di marmo.
«Quando abbiamo avuto notizia del vostro ritorno, Padretutto, mi sono permesso di selezionare per voi documenti che rispondessero alle esigenze della vostra ricerca» dice, indicando la raccolta. «Spero non vi dispiaccia.»
Risparmierete tempo per altro, pensa, incontrando i suoi occhi.
Gli porge un volume senza neanche controllarlo.
Thor sorride, spontaneo, e si siede sullo scranno intarsiato di Freyr.
«Dispiacermi? Ti sono debitore!»
Come l'acqua liberata dalla morsa dell'inverno, a quella risata il corpo di Járnsaxa si risveglia. Non può produrre calore, ma le linfe crescono, sgorgano, chiamando vita; chiamando Thor. Lo vuole.
Lo vuole.
Lo guarda negli occhi, ignora quanto dice e protende una mano. «Venite con me» mormora.
Lui sembra perplesso. «Dove?»
«Nelle mie stanze.»
La mano che stava per raggiungere la sua si ferma; torna indietro.
«Vi ho aspettato col fiato sospeso, per tutti questi mesi» confessa Járnsaxa, abbandonando ogni prudenza. «Volevo disertare i miei doveri e scappare ad Asgard. Venire da voi.»
Thor distoglie lo sguardo. D'improvviso sembra riluttante. «Amico mio–»
«Solo amico?» Járnsaxa avanza, e sa di osare molto. «Io vorrei essere di più. Vorrei venerarvi ogni giorno, con tutto me stesso, per tutta la vita.» Lentamente, gli posa un palmo sulla spalla sinistra e scende fin quasi al polso. «Vedo solo voi, Thor. Voglio solo voi» sussurra, abbassandosi. «E vedo come voi mi guardate.»
Thor, che seguiva con ambiguità i suoi movimenti, s'irrigidisce.
Járnsaxa diviene cosciente del proprio cuore. Corsa folle, una stretta.
«O forse mi sbaglio?» dice, tirandosi indietro per chinare rispettosamente il capo. «Se è così vi chiedo perdono.»
Ciò che segue è poco più di un mormorio, riluttante e forse involontario.
«No, non sbagli.»
Non può che respirare e vivere quella confessione. La sua mano formicola.
Poi si muove. Tocca le incisioni che decorano le fibbie d'oro sulle spalle di Thor; infila le dita nelle pieghe della sua mantella e stringe la presa. Il punto d'equilibrio lo aiuta nel movimento: aggira la sedia, sollevando una gamba, e gli siede in braccio.
Thor inspira con asprezza e alza le mani. Per un attimo, Járnsaxa crede che lo colpirà.
Invece resta così, a bocca aperta, corpo che non sa cosa fare. Il suo respiro sa di idromele; la sua pelle di cuoio e grano. Járnsaxa approfitta dell'esitazione per circondargli il collo con le braccia e sedersi più in alto, stringendogli le cosce intorno alla vita (sia lodato Freyr col suo gusto per la comodità).
Quello che sente non è armatura.
«Vi voglio, Thor» sussurra.
«J–»
È a disagio. Rigido, ma non nel punto giusto.
Non l'ha ancora buttato a terra, però. Járnsaxa si morde l'interno di un labbro, vibrando come la corda di un'arpa.
«Sono troppo audace, Alto Sovrano?»
I capelli gli scivolano oltre la spalla destra in una cascata nera e lucida. Sa di essere attraente. Sa di avere le qualità per conquistarlo. Le loro bocche potrebbero baciarsi, ora–
Ma Thor distoglie lo sguardo, rivolgendo le mani verso chissà cosa. «Non... necessariamente, ma–»
Járnsaxa gli tocca il viso, passa le dita nella sua barba.
«Allora, forse inopportuno?»
Il momento passa, e lui lo scruta con una calma che ha qualcosa d'inquietante. Járnsaxa curva la schiena, avvicinandosi, respirando la sua aria.
Thor, Thor, Thor.
«Vi voglio con tutto me stesso. Prendetemi
Le cosce sotto le sue natiche sono roccia, e Járnsaxa non indossa niente sotto il kjálta. Basterebbe scostarlo un poco, aprirgli i calzoni. Si unirebbero lì, nel luogo che ama di più – veloce, intenso e bestiale. I libri non tradirebbero il loro segreto.
«Sono vostro.»
Abbassa il capo, abbassa una mano.
Thor gli affonda le dita nei fianchi e Járnsaxa ride, estatico, offrendo la bocca.
(Vorrebbe chiedergli quanto bene conosce il corpo Jötun – chiedergli di farlo godere sfruttando ogni più fine segreto della sua esperienza. Vorrebbe insegnargli quali sono le differenze di specie e quelle individuali, mostrandogli cosa gli piace di più e ricambiando con scrupolosità. Non si è portato a letto molti asgardiani. Ma Járnsaxa è un animale di corte, oltre che un poeta istupidito dalla passione: non alludi ai rivali mentre cerchi di sedurre l'oggetto del tuo amore. Soprattutto in questo caso.)
Ma prima che possa accadere qualcosa, qualsiasi cosa, nella biblioteca risuonano un'esclamazione e un tonfo.
Si voltano con un sussulto per vedere il primo consigliere di Freyr che cerca di fingersi ignorante di quanto ha visto. Accanto a lui, uno dei piccoli scaffali da consultazione è riverso in terra, circondato di volumi deformati.
Dannato, pensa Járnsaxa, preso fra due risentimenti.
Thor lo solleva di peso e si alza., spiccio
«Padretutto» dice Aslak, con ammirevole disinvoltura. «Il mio sovrano mi invia a domandare se gradireste unirvi alla gran caccia, prima di partire.»
«Sarà mio piacere, figlio di Gudrik.»
Avuta la risposta, Aslak non perde tempo a sparire. Non corre perché è un politico di lunga esperienza, e ha una dignità da salvare; ma di certo non se la prende comoda. Járnsaxa dubita che fosse venuto solo per quello – un primo consigliere non esegue commissioni da paggio. Comunque non può lamentarsi del suo giudizio: davanti a una scena come quella che hanno offerto lui e Thor, l'opzione migliore è levarsi dai piedi.
Si chiede piuttosto se e come userà quella conoscenza. Aslak è un intrigante. E Gerð, con le sue paure eccessive, è diventato peggio di un segugio. Potrebbe esser difficile trovare un'altra opportunità.
Maledizione.
«Perdonatemi» dice, deluso e un po' scosso. «Credevo di aver chiuso tutte le porte.»
Thor accenna un gesto. Sembra rimuginare qualcosa, mentre impila l'uno sull'altro tre libri rilegati in pelle. Nonostante la sua praticità della corte, Járnsaxa non sa come procedere.
«Mi domandavo, Járnsaxa...»
Oh, non promette bene.
«Sì?»
«Gradiresti venire ufficialmente in visita ad Asgard? Credo che Gerð e Freyr non avrebbero alcuna obiezione.»
Per un attimo crede di aver sentito male.
Poi guarda Thor, che aspetta una risposta accanto al tavolo, e capisce di averlo sentito davvero. Gli si mozza il respiro, il calore di Álfheim soffonde il suo corpo.
Può significare una cosa sola.
Ci sono obblighi e impegni di cui occuparsi, forze contrarie alla sua inclinazione. Ma, con tutto il cuore, sì. Sì, vuole andare.
«Più di qualunque altra cosa.»
   
 
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