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Autore: Xiyouji    04/10/2004    1 recensioni
La fan fiction è stata composta cercando di rimanere aderenti il più possibile al manga di Kazuya Minekura. Ogni riferimento non meglio chiarito andrà dunque ricercato all'interno della storia originale! leggete e commentate!
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 19

Quando aprì la porta di casa, alla domestica che serviva da Maya per un pelo non prese un colpo: non era tanto per il fatto che la sua padrona non era rincasata all’ora che aveva stabilito… capitava spesso che, a causa di improvvisi impegni, Maya tornasse a casa in ritardo, e lei ci era abituata. No, la cosa che la fece sobbalzare fu il vedere COME Maya, quella sera, fosse tornata! La scena l’aveva lasciata tanto senza fiato che non si era nemmeno accorta di essere rimasta imbambolata davanti alla porta, impedendo l’ingresso. Tenpou rimase in attesa qualche istante, aspettando che la donna si facesse da parte e gli permettesse di entrare; poi, visto che quella sembrava non volerne sapere, chiese: “È permesso?”
La domestica, cadendo dalle nuvole a quelle parole, borbottò qualcosa come: “Sì, prego…” e si spostò in modo da farlo passare. Tenpou, ancora reggendo in braccio Maya, si fece avanti silenziosamente. Era la prima volta che entrava in casa sua, e non sapeva da che parte andare… e farsi guidare dalla ragazza era inutile, visto che le ultime vicende l’avevano tanto shockata che, mentre la portava lì, si era addormentata…
“Chiedo scusa… dov’è la sua camera?” domandò col suo solito fare gentile alla cameriera. Quella arrossì visibilmente, tanto da convincere il generale a fornire qualche altra spiegazione: “Maya si è sentita male… ha bisogno di distendersi e riposarsi…”
La giustificazione, per quanto fosse la verità, sembrò non bastare per sciogliere la domestica dal suo irrigidimento; tuttavia, vedendo la sua padrona in condizioni non propriamente ottime, sospirò e iniziò a fare strada attraverso la casa.
Tenpou la seguì con passo tranquillo, anche se sentiva addosso a sé gli occhi del resto della servitù; del resto, dopo tutte le voci che giravano sul loro conto, vedere proprio lui riaccompagnare a casa Maya e chiedere di portarla in camera da letto non poteva che fare scalpore… di certo l’indomani le malelingue del regno celeste avrebbero avuto un gran bell’osso da rosicchiare…
La donna davanti a lui si fermò davanti a una porta e l’aprì, scostandosi immediatamente per lasciarlo entrare. Tenpou raggiunse il letto e vi appoggiò sopra Maya, ancora addormentata.
“Che cosa… che cosa ha avuto?” domandò timidamente la cameriera.
“Nulla di grave…” rispose il generale, senza smettere di guardare la ragazza, “… solo un mancamento. È comunque meglio che stia qui a riposare…”
“Io… vado a prendere un po’ d’acqua…” balbettò la domestica, affrettandosi fuori dalla stanza. Rimanere con quei due la faceva sentire in tremendo imbarazzo.
Il dio sospirò tristemente, e cercò una sedia. Nemmeno lui poteva dire di sentirsi troppo bene: infondo, quella disgrazia era capitata tra capo e collo anche a lui… si sentiva come se qualcuno lo avesse colpito alle spalle… ma soprattutto sentiva un peso opprimente schiacciargli il petto. Perché era successo? Da quando aveva cominciato a sospettare di Li Touten, aveva sempre fatto attenzione a tutto. Non c’era stata volta in cui non avesse considerato rischi e vantaggi di una loro azione, e non c’era stata volta in cui non avesse studiato e previsto le contromosse del loro nemico. Era sempre stato scrupoloso e attento, sempre. E allora come era potuto succedere questo? Perché non era riuscito a prevederlo? Eppure sapeva quanto Kazue fosse legata a Nataku… perché non aveva immaginato la possibilità che la donna sarebbe andata comunque a quel maledetto appuntamento?
Si morse il labbro, nervosamente: Maya ripeteva che era colpa sua per quello che era successo, perché Kazue era con lei quando avevano sentito quella dannata conversazione… ma, se dovevano considerare le cose sotto a quel punto di vista, allora anche lui era responsabile… e forse molto più di lei…
Il dio guardò con aria colpevole la donna, ancora addormentata accanto a lui: anche se la stanchezza l’aveva fatta crollare, Maya non aveva trovato la pace nemmeno nel sonno… era ancora agitata, si vedeva benissimo. Se solo fosse stato più attento…
“Io non posso fare più niente per te, Kazue…” sussurrò pianissimo, accarezzando lievemente la guancia della ragazza, “…se non vendicarti. E lo farò. Te lo giuro.”
Dalla soglia fecero irruzione la domestica che gli aveva aperto seguita da altre accorse a soccorrere la loro padrona. A quella vista, Tenpou si affrettò a ritirare la mano e ad alzarsi in piedi.
“Pensate voi a lei…” disse solamente, uscendo dalla stanza.
Senza dire altro, e senza aspettare che qualcuno pensasse ad accompagnarlo, si diresse fuori dalla casa e poi, con passo deciso, verso la sua meta. Prima di rientrare, quella sera, doveva andare ancora in un posto. E ascoltare ancora una persona.

Muovendosi nel buio silenzioso come un gatto, Tenpou strisciò tra le ombre del giardino. Ormai non mancava molto: sarebbe bastato superare quel muro e sarebbe penetrato nella casa di Li Touten. Aspettando il momento più propizio, rimase acquattato nella semioscurità offerta dalle piante: stava rischiando tantissimo. Perfino troppo, per quelli che erano i suoi gusti… se appena qualche ora prima qualcuno gli avesse predetto che sarebbe finito a tentare di intrufolarsi nella casa del suo peggior nemico in cerca di informazioni e prove, probabilmente avrebbe riso di lui… e invece eccolo lì, a improvvisarsi una spia… e improvvisare non era il suo forte. Per questo doveva stare assolutamente attento ad ogni cosa.
La luce della luna illuminava appena la sagoma del dio, accucciato nella vegetazione lì attorno: solo un attento osservatore avrebbe notato il brillio dei suoi occhi spiccare tra le foglie.
Tutto intorno era il silenzio più totale: non si muoveva nulla, nemmeno l’erba. Tenpou si ritrasse, preoccupato: c’era fin troppa calma… e questo lo innervosiva. Che ci fosse qualcosa sotto? Del resto, non era possibile che Li Touten sospettasse qualche sua visita… aveva deciso su due piedi di imbarcarsi in quell’impresa, come avrebbe potuto l’altro venirlo a sapere? Il dio scosse la testa, ridendo di sé: stava esagerando con le sue paure… ormai vedeva pericoli dappertutto, anche dove non c’erano. E per questi sciocchi dubbi assurdi, stava gettando alle ortiche un’occasione unica per intrufolarsi in quella casa senza dare nell’occhio.
Con un’agilità che pochi avrebbero attribuito ad un tipo sedentario come lui, Tenpou si avvicinò al muro, cercando di studiare il modo migliore per oltrepassarlo. Stava giusto per iniziare l’arrampicata quando sentì dei passi provenire dal giardino interno della casa… passi che si stavano dirigendo fuori, proprio dove era lui. Col cuore in gola, Tenpou si affrettò a scomparire dalla vista, rituffandosi nel sicuro nascondiglio offertogli dalle piante lì attorno.
“Maledizione!” imprecò tra sé e sé, “Avrei dovuto decidermi prima!”
Appiattendosi nell’ombra, scrutò coi suoi occhi verdi a chi appartenessero quei passi… una sagoma esile comparve nel giardino. Tenpou cercò di riconoscerla nonostante l’assenza di luce, ma era impossibile senza avvicinarsi. Senza muovere un muscolo rimase ad osservare lo sconosciuto avanzare verso di lui.
Quel modo di incedere era piuttosto singolare, doveva ammetterlo: sembrava quello di una persona ubriaca, stordita, per via del leggero ondeggiamento che non riusciva a controllare… e tuttavia risultava a suo modo deciso, quasi nervoso… In poco tempo aveva già coperto una distanza considerevole e aveva preso posto su una panchina poco distante dal suo nascondiglio. Tenpou resistette a stento all’impulso di indietreggiare: immerso com’era nella vegetazione, avrebbe fatto di certo troppo rumore per passare inosservato. L’unica cosa saggia che poteva fare era aspettare che quello scocciatore se ne andasse e, intanto, fingere di non esistere.

Il tempo sembrava essersi fermato: Tenpou cominciava a sentirsi le membra indolenzite per la posizione in cui le costringeva, ma non osava ancora muoverle. Riusciva a distinguere benissimo la sagoma del notturno passeggiatore, benché gli stesse dando le spalle e la panchina fosse seminascosta dall’albero a cui era appoggiata… lui era ancora lì, seduto. O almeno in una posizione simile: il dio non avrebbe potuto dirlo con sicurezza, ma sembrava che quello strano tipo se ne stesse curvo, con le mani raccolte come in una specie di preghiera, come se cercasse di scaldarsi. E dondolava. Si dondolava avanti e indietro, come a volersi cullare. Il generale si fece più attento: non riusciva a capire che cosa stesse succedendo, e questo gli faceva suonare mille e più campanelli d’allarme nella testa. Chi era quello strano individuo? E che cosa stava facendo lì fuori? Tenpou sentì il sudore cominciare a scorrergli sulla fronte: non era abituato a non capire che cosa gli succedesse attorno…
“Calma…” si impose, “Calmati, Tenpou…”. Se si fosse lasciato prendere dal panico, sarebbe stata la fine. Si guardò rapidamente intorno: a parte lui e il misterioso nottambulo, non sembrava esserci nessun altro lì attorno. Forse era meglio tentare di scavalcare il muro da un’altra parte… con movimenti fluidi e passo quasi felino il generale indietreggiò, cercando di fare il minor rumore possibile. Poi, uscito dalla macchia di vegetazione che lo nascondeva ad occhi indiscreti, scrutò per l’ultima volta in direzione della panchina: quella persona era ancora là. Ma se non altro, non sembrava essersi accorta di lui. Aveva appena mosso un passo, quando una sinistra, leggera risata gli risuonò nelle orecchie, gelandogli il sangue. Il dio si fermò all’istante, credendosi scoperto, ma non era così. Non c’era nessuno che l’avesse braccato, nessuno che l’avesse notato. Era il tizio sulla panchina. Era lui che rideva. Per qualche motivo incomprensibile… ma era lui che stava ridendo.
“Lui… o lei?” si chiese Tenpou, fissando incuriosito nella sua direzione: non aveva potuto distinguerlo bene per via della distanza e della scarsità della luce, ma quella gli era parsa la voce di una donna… Rimase in attenta attesa, sperando di cogliere qualche altro indizio: proprio in quel momento il vento soffiò, portando all’orecchio del dio un inquietante miscuglio di fruscii di foglie e di strani vaneggiamenti.
“Io non lo sapevo, forse? Io non lo sapevo? È per questo che ho sopportato… sì… perché lo sapevo che sarebbe successo… hehehe… sì... sì…”
Tenpou non riusciva a staccare gli occhi dalla panchina: dove, dove aveva già sentito quella voce? E soprattutto che cosa significavano quelle parole? Che cosa era successo? Chi era quella persona?
Il generale si morse un labbro mentre, velocissimamente, passava in rassegna tutti i possibili abitanti della casa di Li Touten di cui era, in un modo o nell’altro, venuto a conoscenza…
“…finire così male… e cosa credeva?… stupida… se l’è meritato…” gli giunse all’orecchio grazie ad un’altra leggera folata di vento. Il suo cuore sobbalzò: finire male? Che quel delirio potesse essere messo in relazione alla… alla morte di Kazue? Ma come faceva quella donna a saperlo? D’accordo che abitava nella stessa casa di Li Touten, ma gli risultava difficile credere che uno come lui fosse così sciocco da rivelare così facilmente le sue trame… anche se a persone che condividevano il suo tetto…
“Che cosa c’è sotto?” mormorò con un filo di voce. Scrutò per l’ultima volta il giardino: era sgombro da qualsiasi presenza, a parte loro due. Tenpou si fece coraggio e decise di rischiare: del resto, era andato lì per cercare informazioni sulla morte di Kazue, non era così? Beh, qualcosa gli diceva che a quel punto le avrebbe trovate…
Con passo silenzioso e cauto, si diresse verso la donna: più si avvicinava, più il suo aspetto gli risultava familiare, e tuttavia non riusciva ancora ad identificarla.
Le era ormai giunto alle spalle quando quella si accorse della sua presenza e si girò di scatto.
Tenpou rimase senza fiato: quella… quella era la moglie di Li Touten! La cosa lo aveva sorpreso e soprattutto spaventato come poche volte in vita sua: se si fosse messa a gridare, che cosa avrebbe potuto fare lui? Anche se, infondo, quello era pur sempre un giardino aperto a tutti, Li Touten avrebbe capito che la sua presenza da quelle parti non si giustificava così facilmente… insomma, se proprio lui decideva di scomodarsi per aggirarsi lì, di notte, non era certo per farsi una passeggiata… La donna, dal canto suo, sembrava essere letteralmente terrorizzata: inizialmente Tenpou aveva creduto che quella reazione fosse stata causata dallo spavento di essersi trovata davanti lui… ma allora perché più passava il tempo, più quegli occhi sembravano gridare di paura?
Tentando di essere il più rassicurante possibile, il dio sussurrò: “Signora… vi prego… non dovete temere, io…”
“Vattene!” sibilò lei, interrompendolo con voce strozzata dallo sgomento, “Vattene via! Altrimenti non verranno!”
Il generale rimase interdetto a guardarla: “Chi? Chi non verrà?” chiese, guardandosi preoccupato intorno. Che stesse arrivando qualcun altro? Doveva stare in guardia…
La donna riprese a dondolarsi avanti e indietro, massaggiandosi le braccia come se avesse freddo. Fece una lunga pausa prima di rispondere, ma quando lo fece, il suo sguardo perse tutta la tensione che aveva mostrato fino a quel momento, lasciando il posto a una tenerezza tanto irrazionale quanto inspiegabile: “…i miei figli…” rispose sorridendo, “… i miei piccoli…”
Tenpou non riusciva a capire: di che figli stava parlando? Di quali piccoli?
“Nataku? Nataku sta venendo qui?” la incalzò, nel disperato tentativo di trovare un senso in quelle parole biascicate.
Lo sguardo della donna diventò furioso: “I miei piccoli ho detto! I MIEI!” gridò, quasi fuori di sé; il generale sbiancò, per il terrore che qualcuno potesse udirla e venire a controllare, e subito si affrettò a calmarla. Solo in un secondo tempo cominciò a interrogarsi seriamente su quanto aveva sentito: ma quali piccoli? Lei e Li Touten non avevano avuto figli, a parte Nataku che però, per quanto ne sapeva, era figlio di una donna mortale, non suo… Il dio si schiarì la voce: “I vostri piccoli… verranno a farvi visita qua? Qua fuori?”
“Sì…” rispose la donna, riassumendo l’espressione colma di tenerezza che aveva avuto poco prima, “…sì… lo so che verranno… vengono sempre…”. Rimase dondolante e sognante per qualche secondo; poi guardò Tenpou come se fino a quel momento non si fosse nemmeno accorta di lui, e gli sibilò di nuovo terrorizzata: “Non puoi stare qui! Altrimenti non verranno!”. Vedendo che l’altro non dava segno di muoversi, cominciò a implorarlo con le lacrime agli occhi: “Ti prego… io devo essere sola…”
Tenpou esitò: quella donna era in confusione totale…Sapeva che la moglie di Li Touten non usciva mai di casa… forse era perché era malata, e per curarsi doveva assumere sostanze che potevano annebbiare la mente, o dare allucinazioni… forse…
“Signora… qui non verrà nessuno…” cercò di spiegarle, “…i vostri figli non verranno…”
“Che significa ‘non verranno’?” chiese lei, fissandolo spiazzata e portandosi d’istinto le mani alla bocca.
“Signora… voi non avete figli… Natak…”
“NO!” urlò di nuovo la donna, interrompendolo prima di riuscire a pronunciare per intero quel nome, “NON E’ VERO!” piegandosi poi come a dover sopportare un dolore terribile.
Sotto agli occhi sbalorditi del giovane, la moglie di Li Touten continuò a ripetere la stessa frase a mezza voce dondolandosi avanti e indietro: “Non è vero… non è vero… no, no, non è vero…”
Tenpou era paralizzato: quella donna… era impazzita… Per qualche motivo che non riusciva ancora a capire, ma era impazzita…
Non riusciva a staccare i suoi occhi da quell’espressione desolata, da quello sguardo privo di senno, quando la donna si rialzò di scatto all’improvviso. Tenpou indietreggiò: ormai non sapeva più cosa aspettarsi da lei…
“Perché non verranno? Perché? Cosa ne sai tu? Chi sei, cosa vuoi?” lo aggredì, presa di nuovo dal panico. Il dio si guardò di nuovo attorno preoccupato: le grida della donna avrebbero potuto metterlo nei guai… l’unica cosa buona di tutta quell’assurda situazione era che non sembrava averlo riconosciuto…
“Nulla… nulla… state calma, vi prego…” cercò di placarla di nuovo, avvicinandosi cautamente a lei senza smettere di controllare, coi suoi occhi vigili, la situazione lì attorno.
La donna cominciò a singhiozzare piano, abbassando la testa: “Perché non verranno?” ripeté con voce strozzata, tra un singhiozzo e l’altro, “Io sono sempre stata fedele a lui, io… ho sempre fatto tutto quello che… mi ha chiesto di fare…io… l’ho fatto, sempre, sì…”
Tenpou si irrigidì: credeva che ormai parlare con quella donna fosse inutile, solo infinitamente pericoloso… ma forse la moglie di Li Touten avrebbe potuto rivelargli un sacco di cose… approfittando del fatto che non l’aveva riconosciuto, se fosse stato attento avrebbe potuto venire a capo del segreto che stava dietro allo strano legame che legava Kazue a Nataku… e di conseguenza a Li Touten…
“Li Touten… Li Touten vi ha chiesto di fare qualcosa?” azzardò il generale con un filo di voce, per paura di scatenare altre reazioni incontrollate.
Lei lo fissò con espressione stralunata, a bocca aperta: “Sì…” rispose alla fine, sorridendo come un bambino che sta raccontando qualche sua bravata, “…Sì, molte cose…”
Tenpou si inginocchiò davanti a lei, lentamente: “…Quali cose?” le sussurrò, fissandola con gli attenti occhi verdi.
La donna piegò la testa di lato, come nello sforzo di ricordare qualcosa di molto remoto: “Beh…le scale...”
“Le scale…?” ripeté il giovane, ma la donna non sembrava aver intenzione di dare spiegazioni, quanto di continuare quella sua strana, incomprensibile confessione: “…e… la stanza…”
“La stanza…” le fece eco Tenpou, nel tentativo di fissarsi in mente gli indizi che stava raccogliendo.
“Sì…” confermò la donna, annuendo vistosamente; poi, riprendendo il suo discorso, alzò gli occhi al cielo nel tentativo di riportarsi alla mente altro: “…la vasca… la vasca… la vasca…”
“Vasca? Quale vasca?” balbettò il dio, ma la sua voce venne subito coperta dal monotono soliloquio dell’altra: “la vasca… la vasca…”. Sembrava che, col proseguire di quel racconto assurdo, la tensione nella donna stesse salendo: infatti, di nuovo, cominciò a dondolarsi, come nel tentativo di calmarsi: “E poi… e poi… quel bambino…”
“Nataku? È di Nataku che parlate?” chiese il giovane, aggrappandosi disperatamente ai pochi punti di riferimento che aveva.
“Quel bambino… quel… quel… mostro!” continuò lei, assumendo un tono di totale ripugnanza. Tenpou stavolta non permise che il discorso cadesse su altro: sentiva di essere spaventosamente vicino alla verità, non poteva lasciarsela sfuggire proprio in quel momento!
“Che cosa c’entra Nataku? Parlate, che cosa c’entra lui?” La donna cominciò ad agitarsi, guardandolo con terrore: “Smettila! Smettila! Non ricordo! Lasciami in pace! Non ricordo! Io non ho ucciso nessuno, è stata lei ad andare! Non mi ricordo!”
“Lei chi? Kazue?” insistette Tenpou, ma l’altra continuò a ripetere sempre più spaventata: “Non mi ricordo! Non ho ucciso nessuno! Non voglio sentire più niente! Lasciami in pace, lasciami stare!”.
La donna cominciò a cercare di spingerlo lontano da sé, ma il generale le fermò le mani: “Lei chi? Chi è stato ucciso? E perché avete nominato Nataku?”
Lei continuava a scuotere la testa, nel tentativo disperato di sottrarsi alle domande del dio, e – non riuscendoci – ricominciò a piangere: “Non lo so… io ho guardato, ma non sono stata io a mandarla là! C’era tanta polvere, e rumore! E fumo! La attaccavano da ogni lato! Sono stati loro! Non io! Non sono contenta per quello che è successo, non è vero! Ha fatto tutto lei! È lei che è andata!”
Tenpou le lasciò le mani libere: ormai la donna aveva perso tutta la sua carica aggressiva e non faceva altro che piangere. “Kazue… è morta così? Voi l’avete visto?”
L’altra, continuando a singhiozzare silenziosamente, non disse niente, ma guardò negli occhi il dio: e da quello sguardo Tenpou non ci mise molto a capire che era andata proprio in quel modo.
“Ma… perché? Voi sapete perché è andata a quell’appuntamento?”
“Per… perché era lei…” balbettò la donna, calmatasi con la stessa velocità con cui si era agitata.
“Cosa? Lei era cosa?” la incalzò il dio, non sopportando più di essere sballottato in quel mare di frasi senza senso.
“Nataku…” rispose solo quella, ripiombando poi nel suo silenzio stralunato.
Tenpou sorrise amaramente, scuotendo la testa: “Lei era Nataku? Cosa significa?”
“Lei era Nataku…” ripeté assente la donna, in un modo tale che il giovane non riuscì a capire se la sua fosse una vera affermazione o se si fosse limitata a ripetere le sue parole.
“Sì, ma…” iniziò il dio, ma un rumore gli fece balzare il cuore in petto: qualcun altro si stava avvicinando, e lui doveva assolutamente andarsene… anche se la moglie di Li Touten non l’aveva riconosciuto, non poteva sperare di essere così fortunato due volte… Immediatamente si allontanò, lasciando la donna a parlare da sola. Purtroppo, impegnato com’era a scomparire alla vista, non riuscì a distinguere le parole che lei stava dicendo e quando finalmente si fu nascosto tra le piante, al sicuro, era troppo tardi: un’inserviente era uscita e stava già riaccompagnando dentro la moglie di Li Touten.
Tenpou rimase nell’ombra, incapace di allontanarsi da quel luogo: aveva sentito molte cose, quella sera, ma ancora gli sfuggiva il nesso che le collegava... Anche se la donna con cui aveva parlato non era per niente in sé, quello che aveva rivelato non sembravano essere le chiacchiere vuote di un pazzo… c’era una logica dietro ai suoi discorsi… e se solo fosse riuscito a trovare la chiave per comprenderle, tutto si sarebbe finalmente spiegato. Tutto quanto.

  
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