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Autore: p a n d o r a    06/08/2013    2 recensioni
Harry Styles è un fiero ragazzo omosessuale, non molto popolare ma con abbastanza amici quanto basta. Louis Tomlinson è, invece, un ragazzo solo, strano e triste, ma soprattutto nei suoi occhi non c'è niente, è come se fosse morto. Ed è quando Harry nota che in Louis c'è qualcosa che non va, sarà per il suo corpo troppo magro, per la sua espressione sempre triste o altro che decide di volerlo conoscere e, possibilmente, aiutarlo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dead eyes.
- Sesto Capitolo.




La mattina dopo, mi alzo, controvoglia, ma mi alzo. Mi trascino in bagno e faccio una doccia veloce, apro l’armadio e sto lì davanti per circa un quarto d’ora. Ho voglia di parlare di nuovo con Louis, oggi, e voglio fare una bella figura. Arrossisco e scuoto la testa al pensiero che devo davvero sembrare una ragazzina al suo primo amore, ma ci tengo davvero a non fare la figura del trascurato. Lui, anche se non credo metta molto impegno nell’abbigliamento, ha sempre uno stile abbinato, un modo di vestirsi tutto suo, che lo rappresenta. Non potrei mai tenergli testa. Così, dopo aver osservato a lungo l’armadio aperto, prendo un maglioncino blu, pantalone bianco e toms blu. Scendo le scale abbastanza in fretta, indosso il cappotto e prendo lo zaino. Mi faccio accompagnare da mia madre per non ritardare ancora di più. Arrivo a scuola giusto in tempo prima che suoni la campanella. Non voglio andare ne da Demi, ne da Zayn. Ieri, lei mi ha bombardato di messaggi e chiamate alle quali, ovviamente, non ho risposto, mentre lui si è limitato ad un messaggio su Twitter dicendo “Sei sempre il solito, non cambierai mai.” Quindi non ho proprio voglia di parlare con loro o anche solo vederli. Mi guardo in giro alla ricerca di Liam, ma lo vedo impegnato a parlare con la sua ragazza quindi non infierisco. Prendo un respiro. Non pensavo di doverlo incontrare fino alla fine delle lezioni, ma non ho altra scelta. Provo ad andare laddove l’ho trovato il giorno prima ed, infatti, eccolo. Seduto al solito posto, in tutta la sua perfezione, a leggere il libro che ha iniziato il giorno prima. Rimango a guardarlo imbambolato per qualche minuto poi lui, alza lo sguardo verso di me, i suoi occhi pari al ghiaccio si posano su di me e sento un calore alle guance e un bruciore all’altezza dello stomaco; Poi fa un gesto che non mi sarei mai aspettato: picchietta con la mano l’erba al suo fianco. Mi sta ... invitando a sedermi? … Vicino a lui? Non esito nemmeno un secondo e mi precipito accanto a lui. Gli rivolgo un sorriso e «Buongiorno.» dico sedendomi. Lui prende dallo zaino un altro foglio di carta, ma noto che non trova la penna, così scatto a frugare nella mia borsa per porgergliela. Scribacchia qualcosa. “Pensavo che dopo ieri non mi avresti più rivolto la parola.” Rimango un po’ stupito da quell’affermazione. «Perché non dovrei?» Scrive. “Non vado molto a genio ai tuoi amici.” Ecco, di nuovo quella morsa allo stomaco. Sento i nervi scendermi giù per il braccio e devo chiudere la mano in un pugno per trattenermi. Abbasso lo sguardo. «Sono degli idioti.» I miei occhi vengono nascosti dai miei ricci perciò riesco a notare la sua espressione stupefatta, meravigliata, quasi non credesse alle sue orecchie. Sento la sua mano sulla mia coscia e mi irrigidisco. Alzo lo sguardo e vedo che mi sta rivolgendo un sorriso. È il suo primo sorriso che vedo ed è stupendo. Potrei drogarmi con quel sorriso, resterei a guardarlo sorridere per il resto della mia vita. I miei occhi incontrano per un attimo i suoi ma, a differenza della sua bocca, non stanno sorridendo, sono ancora spenti, tristi. Perché non riesco a provocare un luccichio in quelli occhi? Perché non ci riesco? Voglio vedere quei due diamanti illuminarsi e sapere che ne sono io la causa. Lo desidero con tutto me stesso. Purtroppo però quel sorriso dura poco, troppo poco; e la sua mano lascia la mia gamba presto, troppo presto. Torna a concentrarsi sul libro e io ne approfitto per guardarlo, in tutta la sua bellezza. Non sembra dargli fastidio oppure è troppo concentrato a leggere per darmi attenzioni, quando io, tutte quelle che ho a disposizione, le sto dedicando a lui. Quando finisce il quarto capitolo, chiude il libro e si alza. Io lo assecondo. Fa cenno di saluto con la mano e cerca di superarmi, ma io lo fermo bloccandolo per il polso. Sento un senso di deja vu. Ho compiuto la stessa azione il giorno prima, ma oggi, è un po’ diversa perché, appena alza lo sguardo nella mia direzione, «Domani posso tornare qui a guardarti mentre leggi?» dico. Sono stupito io stesso delle mie parole. Arrossisco ma non smetto di guardarlo negli occhi, sono in stato di trans. Tutta quella perfezione mi fa male. Lo vedo arrossire pesantemente, molto pesantemente. Annuisce come un forsennato, si libera dalla mia presa e scappa via. Appena è abbastanza lontano mi riprendo giusto il tempo per darmi uno schiaffo in faccia. Ma cosa mi è venuto in mente?! Devo essergli sembrato un maniaco. Però ha annuito, perché? Ultimamente la mia vita è incentrata su troppi ‘perché’ e su troppo Louis Tomlinson. Sento una mano posarsi sulla mia spalla strappandomi ai miei pensieri. Mi giro trovandomi davanti due occhi marroni. «DOVE CAZZO TIENI IL TELEFONO?!» La voce squillante di Demi quando è arrabbiata mi rimbomba nelle orecchie. Io la guardo con un sopracciglio alzato mentre lei si impegna a farmi la predica. «TI AVRÒ CHIAMATO CIRCA VENTINOVE VOLTE E TI HO LASCIATO SETTANTASEI MESSAGGI!» Io la supero per entrare nell’edificio. Ho saltato le prime due ore e ieri non sono proprio entrato. Mi conviene farmi le restanti tre ore se non voglio che il preside chiami mia madre. Sento che la mia amica mi corre dietro, raggiungendomi e «PERCHÉ NON HAI RISPOSTO?» urlando. Io mi giro solo un secondo verso di lei, più serio che mai, congelandola con i miei occhi verdi. «Ti è balenata nel cervello l’idea che non avevo voglia di sentire la tua voce?» concludo voltandomi e entrando dentro. La lascio lì, da sola, senza aggiungere altro, ma non mi interessa. Non voglio vederla, non dopo che mi ha rimproverato per aver parlato con Louis, non dopo che lei, colei che non discrimina mai nessuno, che dice che la bellezza si trova dentro e non fuori, che non si giudica un libro dalla copertina, sì, proprio lei, ha criticato quel ragazzo. Non voglio sentire la sua voce, non voglio sentire la voce di nessuno, nemmeno la mia. Vorrei poter sentire quella di una persona soltanto, ma non essendomi possibile, non voglio sentire quella di nessun altro. Forse è per questo che supero la mia classe e vado a rinchiudermi nel bagno, rimanendo là fin quando non suona l’ultima campanella di quella mattinata.

-

Sono due settimane che ripeto sempre la stessa routine e che non parlo con nessuno dei miei amici, forse saluto solo Liam. Giorno per giorno. Sempre la stessa cosa. Mi alzo, mi lavo, mi vesto, vado a scuola e salto l’ultima ora per andare nel cortile, sedermi accanto a Louis e guardarlo leggere. Non si lamenta, non dice niente, non ci muoviamo, a stento respiriamo. E per quanto poco possa sembrare tutto ciò, a me basta. Mi basta poterlo guardare mentre i suoi occhi scorrono veloci sulle pagine, mi basta poter vedere apparire il suo sorriso quando nel testo succede qualcosa di comico, mi basta accorgermi che ogni tanto il suo sguardo slitta su di me come per controllare che sono ancora lì, che non me ne sia andato. Mi basta poterlo sentire vicino a me, non importano più le parole, non importano i gesti. Non conta più nulla. Anche se un’altra domanda mi sta balenando in testa da tre giorni a questa parte: perché se ne va sempre in anticipo? Voglio dire, anche se è il figlio del preside, è un normale studente come gli altri. Allora, perché se ne va sempre prima? Non aspetta mai la sesta campanella come i suoi compagni di quinto. Come mai? Non riesco a capire. È questo il pensiero che tormenta il mio cervello mentre, tanto per cambiare, lo guardo intento a leggere il suo terzo libro da quando abbiamo iniziato questi incontri un po’ strani. Sto cercando di persuadere la mia lingua affinché stia zitta, ma sento che non riuscirò a controllarla ancora per molto, mi ci vuole qualcosa per distrarmi. Prendo un quaderno da dentro il mio zaino e una penna e gliela porgo. Lui mi guarda con un sopracciglio alzato, naturale. «Parlami di te.» dico sorridendo. Lui si irrigidisce, me ne accorgo. Ho forse toccato il suo punto debole? Cazzo, devo riuscire a non spaventarlo. «Intendo … i tuoi hobby, progetti per il futuro, gusti. Cose così.» Vedo che tira un sospiro di sollievo. Inizia a scribacchiare, poi mi passa il quaderno. “Beh, studio per diventare dottore … In realtà pediatra, mi piacciono i bambini.” «Abbiamo una cosa in comune!» esclamo non appena finisco di leggere. «Anche io amo i bambini. Sono così puri e innocenti, e poi, riesco a stabilirci subito un contatto, meglio delle persone grandi.» lui mi regala un altro sorriso come quello che mi ha rivolto qualche settimana fa. Dio! Potrei morire per quei sorrisi. Come fa un ragazzo così semplice, così taciturno, così strano ad essere contemporaneamente l’individuo più bello della Terra? Mi prende il quaderno da mano e continua a scrivere: “Io non sono molto bravo a fare amicizie, ma quando succede, giuro fedeltà a quella persona, qualsiasi cosa accada.” Capisco che quella frase non è solo una considerazione dell’argomento ‘bambini’. Capisco che quella frase, in un certo senso, è diretta anche a me. Ha forse paura di farsi amici? Ma perché? Cosa c’è di male nel farsi qualche amico? O forse non riesce a fare amicizia perché nessuno vuole essere suo amico? Non capisco come fanno a dirmi di stare lontano da lui, quando l’unica cosa che sento di volere è proprio di restare accanto a lui per il resto della mia vita. Mi passa di nuovo il quaderno. “Se … se ti faccio sentire la mia voce, prometti di non ridere?” Me l’ha davvero chiesto? Vorrebbe farmi sentire la sua voce? So che può sembrare assurdo ma è come se mi avesse chiesto di sposarlo, credetemi. Non esito ad annuire immediatamente. Lui prende un respiro, mi guarda negli occhi e «Posso chiamarti Hazza?» chiede. La sua voce è così sottile, elegante, proprio come la sua scrittura. È un po’ femminile, forse è per questo che se ne vergogna? Ma non importa. È perfetta. Lo rende perfetto. Ancora più perfetto della perfezione stessa. Sfido chiunque a trovarmi qualcuno o qualcosa più perfetto di Louis Tomlinson al mondo e, se qualcuno ci riuscisse, dovrei morire nel preciso istante in cui la vedo. Rimango incantato da quella voce così cristallina per qualche minuto. Poi però mi ricordo della domanda che mi ha fatto e «Hazza?» ribatto. Lui arrossisce un po’ e abbassa lo sguardo sorridendo. Mai visto nulla di più dolce. «Sì, è un soprannome per il nome Harry.» di nuovo quella voce così calda e dolce, mi sa di casa. Potrei stare ad ascoltare il suono melodico con cui dice ‘hazza’ per ore e ore senza stancarmi mai, ma mi viene in mente che questa settimana non abbiamo mai parlato e che lui già sapeva il mio nome. «Come facevi già a sapere che mi chiamo Harry?» Dei brividi percorrono la sua schiena e arrossisce ancora di più. Non vuole rispondermi, ma, caro mio, hai trovato la persona sbagliata alla quale non rispondere. Detesto essere lasciato nel dubbio. Agisco d’impulso, come al mio solito, e gli afferro il polso. Vorrei stringerglielo per spronarlo a parlare, ma non me la sento a fargli del male. Appena le mie dita entrano in contatto con la sua pelle sento che è liscia, morbida però è fredda e soprattutto piena di … cicatrici? Lui ritira il braccio e sospira. Si alza e fa per andarsene ma, prima di superarmi e andare via, si ferma e mi guarda. «Non sei l’unico a cui è permesso osservare gli altri.» conclude andandosene verso la macchina che lo sta aspettando. Sento il rosso che mi vela le guance, degli elefanti mi stanno calpestando lo stomaco, ne sono certo, sento il cuore leggero, che batte incredibilmente veloce, sento un sorriso enorme fiorirmi sulle labbra. Metto una mano laddove ci dovrebbe essere il mio cuore per controllare che sia ancora lì e che non se ne sia scappato dalla gola. Mi sento felice, leggero, positivo. Non so bene come mi sento, so solo che potrei morire anche in questo preciso istante e starei bene, stupendamente. Perché sai cosa hai fatto Louis? Sai cosa hai combinato? Caro Louis Tomlinson, mi hai appena colpito dritto al cuore; e se prima non capivo bene cosa mi passava per la testa, mi vergognavo di sembrare una ragazzina cotta, non volevo dirlo a nessuno, ora non è più così. Ora non me ne infischio di cosa posso sembrare agli occhi degli altri, ora vorrei gridarlo al mondo perché ora ho capito cosa è successo, caro Louis: mi sono innamorato.
  
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