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Autore: Nereisi    06/08/2013    1 recensioni
Un passato condiviso, un segreto inconfessabile, due vite che finalmente torneranno a incrociarsi.
Riuscirà l'amore tra Misa e Usui a vincere, o il passato di lui getterà un'ulteriore ombra sulla loro storia? Chi ordisce in segreto contro i due?
Riusciranno a stare insieme?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Misaki Ayuzawa, Nuovo personaggio, Takumi Usui
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Imprevisti e ospiti indesiderati                                                                                                                                                                                      

 
 
 
 
Percorremmo la strada di casa mano nella mano.
Quel contatto di pelle su pelle non ci era nuovo, dato che eravamo abituati fin da piccoli a tare così vicini, ad essere così intimi; eppure, quel gesto così innocente e naturale, misto a tutte le nuove consapevolezze che il tempo, l’età e gli eventi appena accaduti avevano portato, risultava essere un contatto molto più elettrizzante, più vero e consapevole. Intendiamoci bene, non c’era niente di malizioso in tutto ciò; però tenerci la mano in quel modo era molto diverso dal darci la mano di quando eravamo piccoli. Donava sensazioni molto differenti.
 Mantenei comunque la lucidità. Non ero più una bambina! Ora ero la presidente del consiglio studentesco, ed era mio preciso dovere mantenere un contegno ; quindi mi imposi di non fissarlo; anche se, ogni tanto, contravvenivo io stessa a questa mia imposizione, permettendomi un’occhiatina di tanto in tanto.
E, puntualmente, ogni volta mi ritrovavo il ghigno di Usui che mi squadrava, come per dire “ beccata! ”  che mi faceva  avvampare ogni dannata volta.
 
Gli stetti con il fiato sul collo  tutto il tempo, ansiosa di farmi raccontare tutto quello che era successo in quegli anni di vuoto. 
Fu molto paziente, e io molto felice. Finalmente l’avevo ritrovato, avevo ritrovato la persona di cui mi potevo fidare, il mio principe. Rispose a tutte le mie domande. Mi raccontò dei suoi studi e della sue scuola a Tokio, ove si era trasferito quando io e la mia famiglia ce ne siamo andati da mia nonna, mi descrisse le sue amicizie e i suoi compagni di classe, alcuni veramente strampalati, mi mise al corrente persino dei suoi piccoli gesti quotidiani, che non erano cambiati molto dai tempi della tenera età.
Solo una cosa mi tacque: il motivo del suo trasferimento. Per quanto cercassi di saperlo, non mi rispondeva oppure cambiava argomento; cercando di non darlo a vedere.
Alla fine smisi di insistere. Se non voleva parlarne, ci sarà stato un motivo valido, no?
 
Verso l’ora di cena arrivammo a casa.
Riuscii con molto imbarazzo a chiedergli se  volesse fermarsi a mangiare, ma lui, con mia grande sorpresa e delusione, si rifiutò.
E restammo lì, sulla soglia di casa, in silenzio. Un silenzio alquanto imbarazzato, anche. Quel silenzio carico di una qualche aspettativa indefinita che avevo visto molto spesso nei film o letto nei libri.
 
Santo cielo, stiamo per baciarci! E se non lo faccio bene? E se faccio una faccia strana? E se sbattiamo coi denti o ci diamo una testata in fronte?? Mamma mia che imbarazzo!
 
Chiusi comunque gli occhi e sollevai leggermente il mento, cercando di non apparire sfacciata, ma… nulla accadde. Tentennai per un bel po’, poi decisi di aprire gli occhi, e restai accecata dal flash del telefonino di Usui, posto a qualche centimetro dal mio naso, che mi aveva appena scattato una foto. Mi sfregai le iridi doloranti da sopra le palpebre, poi mi girai verso di lui, furiosa.
 
<< Ma che ti salta in mente, idiota?! >> gli abbaiai
 
Per tutta risposta, lui baciò in modo misterioso il display del cellulare, sullo sfondo del quale campeggiava ora il primo piano del mio viso catturato poco prima, guardandomi con occhi maliziosi e bisbigliando un << Hei… che ti aspettavi? >>
 
Avvampai all’istante, memore delle mie precedenti azioni. Gli diedi uno spintone, strillando << C-Chi, io?! P-Proprio niente! >> in modo parecchio isterico.
Lui rise, arruffandomi leggermente i capelli, incurante delle maledizioni che gli stavo lanciando, prima di stringermi a sé con trasporto.
Mi arresi al suo comportamento, che di logico e coerente aveva ben poco. Per non dargli soddisfazione, però, invece di rispondere all’abbraccio mi aggrappai ai bordi della sua maglietta.
Restammo uniti per un po’.
 
<< Puzzi. >>
<< Oh, grazie. >>
<< No, sul serio. Fatti una doccia. >>
<< È un invito? Come sei audace! >> sogghignò
<< Scemo, intendevo a casa tua! >> risposi frettolosamente
<< Oh… mi cacci? >>
<< Sì, ti caccio. Aria, sciò, pussa via! >>
<< Cattiva. >>
<< Non sai quanto. >>
 
Ci ridemmo praticamente addosso, tenendoci la pancia con le lacrime agli occhi.
Sereni, ci salutammo sul cancello disastrato di casa mia e lui si incamminò verso il suo appartamento.
Restai a guardarlo dalla soglia finché non girò l’angolo, poi entrai e chiusi per bene la porta.
 
 
 
 
 
Il giorno seguente fui impegnata fino al limite del concepibile:  mi dovetti destreggiare fra verifiche, esami e doveri di presidente del consiglio studentesco.
Di solito svolgevo tutte queste cose con il massimo della solerzia e di buon grado; però alla fine mi lasciavano inevitabilmente senza forze.
Quel giorno, però, ero piena di un’energia talmente straripante da consentirmi di fare tutto senza il minimo sforzo. Che centrasse in qualche maniera un certo Takumi, su questo non c’era dubbio.
La seguiva dappertutto, fregandosene altamente dell’altrui opinione, lasciando gli altri studenti, che ben si ricordavano dell’astio che provava la presidentessa nei suoi confronti, a scrutarlo con tanto d’occhi mentre seguiva la sopraccitata presidentessa con serafica tranquillità e  un sorriso pacifico a illuminargli il volto.
Ma ciò che destò più scalpore non solo fu come il terribile pugno della giustizia del comitato disciplinare non solo lo lasciava fare, ma anche come appariva del tutto a suo agio in quella situazione, continuando a chiacchierare con se stessa, o meglio, con lui, conscia che era sempre dietro le sue spalle a seguirla.
Nemmeno si voltava, tanto era sicura della sua presenza.
Da tutti gli studenti, professori, bidelli e quant’altro, quello venne ricordato come il giorno in cui io, Misaki Aizawa, sorrisi per la prima volta.
Personalmente, trovai tutto ciò un tantino esagerato, ma quel giorno non mi preoccupai di niente e di nessuno se non di lui. Provavo un’eccitante ebbrezza a muovermi in continuazione parlando quasi sottovoce, gongolando del fatto che lui era costretto ad aumentare continuamente l’andatura per potermi stare vicino ed ascoltarmi; ma questo non lo dissi mai ad anima viva.
 
 
Talmente presa dal senso di potere e dai vari impegni che mi affollarono la mattina non mi accorsi del tempo che passava, tant’è che quando suonò la campanella che annunciava la fine della giornata scolastica mi bloccai nel bel mezzo del movimento che stavo compiendo, con un’espressione interdetta che scatenò l’ilarità del biodo ragazzo che mi aveva seguita tutto il tempo.
Un senso di calma mi pervase i nervi. Rilassai le spalle.
Potevo considerarmi in pausa, almeno per il momento.
 
<< Andiamo? >> Usui mi guardava dalla porta della classe, appoggiato svogliatamente contro di essa, il solito sorriso intrigante sul volto.
Dire che mi sentii inebriare da quel sorriso è dire poco.
<< Andiamo. >>
 
Lo affiancai, raggiungendo insieme a lui l’uscita.
Ci salutammo davanti ai cancelli, non consapevoli di essere spiati.
 
                                                                                   ***
 
 
Davvero, Misa-chan è cresciuta! Altro che bambina, adesso è una donna fatta e finita…. Ma sarà sempre la mia piccola Misa-chan.
 
 
Frugai qualche secondo nelle tasche dei pantaloni prima di riuscire a sentire il tintinnio familiare delle chiavi di casa nella mia mano.
Con gesti ormai meccanici, aprii la porta, lasciai cadere le suddette chiavi su un mobiletto di fiano alla porta, dal quale estrassi anche le pantofole da interno, appesi la giacca dell’uniforme sull’attaccapanni e mi levai la cravatta. Passando di fianco al divano per andare in cucina gliela lasciai sopra, poi raggiunsi il frigo e presi la bottiglia di latte giornaliera. Ne bevvi la metà, il resto era per Kuro e Shira, sarei passato da loro più tardi.
Sospirando mi aprii i primi bottoni della camicia e mi scompigliai i capelli, mentre l’intorpidimento prendeva possesso del mio corpo.
Il mio appartamento era molto spoglio, c’era giusto l’essenziale. A me piaceva così, in fondo; però a volte vorrei che fosse più rumoroso.
Ciabattai fino al letto, e mi ci sarei lasciato cadere sopra con molto piacere, se non  fu che il campanello annunciò l’arrivo di un ospite. Totalmente inatteso. E indesiderato, soprattutto.
Andai ad aprire, ma chi mi trovai di fronte mi fece salire l’istinto di sbattere la porta e barricarmi in casa.
 
<< Buongiorno, Takumi-kun. >>
Al di sotto di una voluminosa massa di capelli rossi, degli occhi verdi  intenso mi fissavano con falsa innocenza. La maglietta, fin troppo scollata, era di un colore fin troppo acceso, quasi un pugno in un occhio, secondo in fastidio soltanto dopo l’eco del ticchettare dei tacchi delle sue scarpe. Come al solito, quella tipa mi faceva venire in mente solo un aggettivo: esagerata.
<< Reina. Cosa ci fai tu qui? >>
<< Oh, niente di particolare. Passavo di qui e sono venuta a salutarti. >>
<< Non raccontarmi balle. Non ti avrei mai detto il mio domicilio. >>
<< Lo so, infatti ti ho pedinato. Alla fine me l’hai detto lo stesso, anche se non proprio di tua volontà… >>
 
Strinsi il pomello della porta. Ci aveva seguiti? Aveva visto Misa?
 
<< Cosa vuoi? >>
<< Ow, che scortese. Non mi fai entrare?  Non si fa attendere una signora sul pianerottolo di un appartamento, sai? >>
 
La guardai con durezza, ma mi feci da parte lo stesso.
<< I tuoi genitori sanno che sei qui? >>
<< In un certo senso… sì. >>
<< Non so cosa stai macchinando ma io non voglio saperne niente. >>
<< Io non sto macchinando proprio niente, Takumi-kun. >> disse di nuovo con quella sua finta innocenza << ti chiedo solo di ospitarmi per qualche giorno. >>
La fissai intensamente, ma non riuscii a leggere niente nei suoi occhi. Come al solito.
 
<< E sia. Ma sappi che lo faccio solo in nome della gratitudine che ho nei confronti di tuo padre. Se scopro che è all’oscuro del fatto che tu sei qui, te la farò pagare. >>
<< Oh, che cattivo, come mi fai paura! >>  mi scimmiottò.
 
La ignorai e mi levai la camicia, gettando anche quella sul divano.
 
<< La camera degli ospiti è la penultima a destra. Io adesso vado a farmi una doccia, non infastidirmi ulteriormente. Ho poca pazienza. >> e sbattei la porta del bagno, deciso a porre un confine tra me e quella vipera. Vederla mi aveva fatto venire in mente brutti ricordi e l’ira che credevo di aver seppellito riaffiorò prepotentemente.
Non volevo avere nulla a che fare con lei, proprio ora che avevo ritrovato la mia Misa, e per questo non la degnai nemmeno di un’attenzione.
Solo dopo avrei capito il mio errore; dovevo tenerla d’occhio eccome.
 
                                                                                    ***
 
La ragazza si vide sbattere in faccia la porta del bagno e appena l’ultimo spiraglio di luce generato dalla lampada del bagno scomparve dal suo volto, il suo viso perse tutto il self control e la sue espressione innocente si trasformo una smorfia di rabbia. Lasciò cadere la borsa sul divano vicino alla camicia e si mise a curiosare in giro, rovistando anche tra gli effetti personali del padrona di casa.
Chi era, chi eracolei?
Chi aveva osato portaglielo via?
 
Dopo un po’, si stufò di rovistare. Rimise tutto a posto e si spaparanzò sul divano, come se fosse a casa sua, massaggiandosi le caviglie per il prolungato sforzo sopra i tacchi. Non le importava del dolore, davanti a lui doveva essere sempre perfetta. Proprio in quel momento Usui Takumi fece la sua comparsa in accappatoio, le volute di vapore che ancora di levavano dal suo corpo a causa della doccia calda appena fatta, probabilmente protratta fino all’inverosimile per evitare di doverla vedere di nuovo.
La fulminò con lo sguardo per poi andare dritto in camera sua, premurandosi di chiudere con forza la porta.
Lei sopportò la sua occhiata con una sprezzante e noncurante.
Non sei la benvenuta ”  era il messaggio che le aveva lanciato. Non le importava, lo avrebbe ignorato.
 
Una volta sicura che non sarebbe uscito per un po’, si mise di nuovo alla ricerca, ma nel bel mezzo del parapiglia si distrasse ad ammirare la giacca della divisa appesa all’attaccapanni in entrata. Incantata, ne sfiorò la manica con le unghie curatissime, per poi avvicinarsi ed affondarci il viso, inspirandone in profumo.
 
<< Takumi-kun… >>
Poi sentì qualcosa di strano nelle cuciture del tessuto.
Sospettosa, girò la giacca e la aprì, facendo presentare davanti ai suoi occhi la parte interna. Sulla parte sinistra, nella posizione del cuore, campeggiava una tasca cucita malamente in un palese fai-da-te. Si notava l’impegno e la cura che erano state messe per creare quel maldestro lavoro di cucito, ma alcuni particolari saltavano all’occhio, rendendo impossibile giudicarla ben fatta.
Con l’eccitazione mista al dubbio, la rossa forzò l’apertura in velcro posta a ulteriore difesa contro eventuali perdite sbadate e sfilò dalla tasca il contenuto.
Tre foto.
La prima era fatta con una vecchia polaroid. Ritraeva una bambina su di uno scivolo, simile ad un castello. Era leggermente paffuta, ma in modo adorabile, e con le guance rosso ciliegia, un cerotto posto sul naso. Quest’ultimo, ed una smorfia infantile rivolta all’obbiettivo gliela resero simpatica. Era sgualcita, segno che era stata presa in mano più volte.
La seconda, più recente, ritraeva Usui Takumi e un uomo, suo padre, mentre si stringevano la mano. Sullo sfondo c’era anche lei, Reina, che non aveva nemmeno provato a nascondere l’ira guardando i due e la loro stretta di mano.
La sua presa aumentò leggermente, palesando il suo nervosismo.
 
All’ultima foto, sbiancò.
In primo piano non solo campeggiava Usui Takumi con il primo vero sorriso sincero che le avesse mai indirizzato (sebbene in realtà fosse rivolto all’obbiettivo), ma anche una ragazza! La sua attenzione si focalizzò subito su di lei.
I capelli scuri erano raccolti in due codina, le guance, imporporate, le erano stranamente familiari. Ma non erano questi particolari a darle più fastidio. No, ciò che la mandava totalmente in bestia era un particolare molto più grande.
Era vestita da maid.
E non solo! Mentre l’espressione del suo viso dava come a vedere che le pesasse la situazione, con il corpo era amabilmente appoggiata al ragazzo che, dal suo canto, la stringeva a sé come se fosse il bene più prezioso.
Non ci pensò due volte ad accartocciare con cattiveria la foto.
 
Dunque era lei! Era lei, COLEI!
 
Si infilò l’ultima foto in tasca, e cambiò l’ordine delle rimanenti due, facendo in modo che la prima fosse quella dove c’era anche lei, e richiuse la giacca, in modo da far aderire il taschino alla posizione del cuore.
 
Sentì la porta aprirsi.
Carezzò con aria malinconica la giacca prima di dirigersi alla fonte del rumore, la camera del padrone di casa.
 
<< Io non cucino per te, sia chiaro. >> la avvisò, vedendola sopraggiungere.
<< Come siamo freddi. Ti pare questo il modo di trattarmi? Dopotutto… >> gli si avvicinò pericolosamente << … sono la tua fidanzata. Vuoi riscaldare un po’ la temperatura? Se vuoi ci penso io… >> sussurrò ammiccante, facendo aderire i suoi voluminosi seni sul petto di lui, mal nascosto da una camicia semi aperta.
 
L’espressione di lui cambiò repentinamente, arrivando quasi a farla spaventare.
La spinse via e si diresse verso la cucina, pronunciando terribili parole di monito: << Se tu osi ancora dire o fare cose del genere, non risponderò delle mie azioni. Ricorda che se non sei già sul pianerottolo è merito del debito che ho con tuo padre. Ma se tu >> disse, imponendosi a fatica la calma << se tu mi farai ancora pensare al passato, e a quello che mi hai fatto, ti ritroverai in mezzo alla strada tanto velocemente da farti girare la testa. Ricordati delle mie parole. Non forzare la corda, e non impicciarti dei miei affari. Non voglio nemmeno accorgermi della tua presenza. Chiaro? >>
E scomparve dentro la cucina, lasciandola davanti alla porta della sua camera a fremere di rabbia, paura e frustrazione. Si assalì l’unghia del pollice coi denti, poco le importava se si fosse rovinato lo smalto.
Si diresse verso la camera degli ospiti e vi ci si chiuse dentro, sbattendo la porta. Cominciò a camminare avanti e indietro, il ticchettare delle proprie scarpe che la innervosiva ancora di più.
Si fermò, cacciò la mano in tasca ed estrasse la foto di Usui con la ragazza sconosciuta.
La fissò per un periodo interminabile.
La strinse tanto da far sbiancare le nocche e la foto, che fino a qualche minuto prima era la più curata delle tre che aveva trovato nel taschino, si riempì di ulteriori orecchie e spiegazzamenti.
Senza pensarci due volte, la strappò a metà, riponendole in due tasche separate, come a voler separare anche le persone ritratte in essa.
 
Afferrò con decisione il pomello della porta, una dura risolutezza impressa negli occhi verdi.
 

 
 
Angolino dei funghi
Buongiorno a tutti i lettori e le lettrici e, come al solito, scusate per il ritardo!
Stavolta non scriverò molto a parte i ringraziamenti per chi ha messo la storia nei preferiti, nelle seguite o nelle ricordate e per chi ha recensito, perché programmo di aggiornare piuttosto in fretta stavolta! In fretta per i miei standard, s’intende! (HUHUHU)
Grazie mille a chi continua a seguire questa ff, a chi non si è dato per vinto e anche a  chi mi ha minacciato di morte se non avessi aggiornato ( D: ), e grazie a chi non si è fermato alla terribile impostazione del primo capitolo, che farebbe fuggire a gambe levate chiunque (prima o poi lo modificherò, promesso!)!
Quindi… spero che abbiate fatto buone vacanze!
Ciao e al prossimo capitolo! :D
  
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