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Autore: Puerto Rican Jane    07/08/2013    3 recensioni
Marzo 1967, New Jersey. Una giovane ragazza con problemi economici e familiari, in cerca di un amore per ribellarsi. Un ragazzo con un grande sogno da realizzare. Entrambi accumunati dalla voglia di scappare dalla città di perdenti in cui vivono.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10 (I KNOW IT’S LATE, BUT WE CAN MAKE IT IF WE RUN)
 
-Lo.. lo voglio-
Bruce aveva avuto solo un attimo di esitazione prima di rispondere. Guardò Mary un’ultima volta negli occhi, poi si avvicinò lentamente, fino a che le loro labbra non si furono unite in un bacio, nel quale però non v’era traccia di passione o gioia, ma solo confusione e disperazione.
Nessuno applaudì. Più che a un matrimonio sembrava di assistere a un funerale. Quando, un mese prima, Bruce aveva spiegato l’accaduto ai suoi genitori, tutto ciò che aveva ricevuto, oltre a un sonoro schiaffo da parte di suo padre, erano stati una tessera del sindacato e un abito da matrimonio. Solo con quei due oggetti gli avevano fatto capire quali sarebbero stati i suoi doveri d’ora in avanti: lavoro e fedeltà. Non c’era spazio per molto altro. Non avendo soldi entrambe le famiglie, si erano accontentati di una spoglia cerimonia in un’angusta stanza del comune, senza sorrisi, né marce nuziali, né fiori, né abiti da sposa.
Bruce non riusciva ancora a crederci: ora era sposato, e presto sarebbe diventato padre. Ecco, tutto ciò che aveva ripudiato per molti anni, la vita familiare, il lavoro spossante in una fabbrica, la monotonia di una vita che non desiderava ma che gli era stata imposta, ora stava accadendo. Ora non poteva più tornare indietro, non poteva scappare. Se prima aveva avuto qualche possibilità di fuga, ora non ne aveva più.
-Andiamo, Mary-
Bruce le prese la mano e oltrepassò a passo di marcia i suoi genitori e quelli di Mary che parlottavano con diffidenza: sapeva che se fossero rimasti lì un minuto di più si sarebbe scatenato il pandemonio; c’era già abbastanza tensione nell’aria, era meglio non alimentarla.
Attraversarono la stanza e scesero velocemente le scale senza proferire parola. Raggiunsero subito la vecchia Cadillac di suo padre e Bruce chiuse rapidamente le porte, dopo aver aiutato Mary ad entrare. Lanciò uno sguardo dubbioso al cielo: si stava rabbuiando velocemente, e grandi nuvole tempestose stavano oscurando il cielo grigio di Freehold, presto le sue strade si sarebbero trasformate in fiumi d’acqua. Fiumi… Un’ idea, per un certo verso folle, gli attraversò la testa. Perché no? Era la loro ultima possibilità per vivere ancora un po’ di quel sogno che li aveva stregati e ingannati, e alla fine attanagliati e intrappolati. Era la loro ultima possibilità per renderlo vero.
-Mary, dobbiamo tornare al fiume. È lì che tutto ha avuto inizio, ed è lì che dobbiamo tornare ora che… ora che tutto cambierà.
-Pensi che cambierà qualcosa se torniamo lì? Pensi che se torniamo lì, io non sarò più incinta e tu sarai libero di seguire la tua strada? Pensi davvero che serva a qualcosa?
-Io penso- rispose pacatamente Bruce –che tornare al fiume sia la nostra ultima occasione per riuscire a conservare un ricordo di questa storia che, lo giuro, è la cosa più bella mi sia successa, non voglio che tutto sia perduto. Non so cosa succederà in futuro, non lo posso sapere, ma non voglio, quando guarderò al mio passato, vedere rimorsi o occasioni perse. Voglio vivere questa storia fino all’ultimo. So che è tardi, ma possiamo ancora farcela, se ci sbrighiamo.
Mary abbassò lo sguardo, gli occhi socchiusi: stava evidentemente soppesando ogni parola del discorso di lui, cercando di capire se fosse veritiero. Infine riaprì gli occhi e prese la mano di Bruce, già appoggiata sul volante, nella sua, mentre finalmente un sorriso le increspava le labbra, un sorriso che Bruce non vedeva da molto tempo e che gli era mancato.
-Sì, Bruce. Torniamo al fiume. Forse possiamo ancora riuscirci.
Lui le si avvicinò e poggiò dolcemente le labbra sulle sue, in un bacio che ora aveva anche il sapore di speranza.
* * *
Il cielo ormai era scuro, nonostante fosse solo un tardo pomeriggio di aprile, e preannunciava un imminente temporale. Ma questo non sembrava fermare una vecchia Cadillac nera che, a tutta velocità, aveva svoltato in una stradina sterrata, che non portava da nessuna parte se non ad un piccolo pezzo di sponda del fiume che attraversava Freehold, grigia cittadina di operai, ormai provata dalla crisi economica e senza futuro.
La Cadillac si fermò poco lontano da riva e, mentre il motore si spegneva, le due porte si aprirono quasi contemporaneamente, dalle quali uscirono un ragazzo e una ragazza. Erano vestiti entrambi elegantemente e sembrava fossero appena usciti dai portoni di una chiesa dopo un matrimonio. Ma a nessuno dei due sembrava importare degli abiti, dato che poco dopo avevano iniziato a toglierli in modo rude. Il ragazzo, Bruce, stringeva la giovane tra le sue braccia, mentre le baciava incessantemente il collo. Le sue mani scorrevano lunga la schiena di lei e cercavano di sfilare la camicetta che indossava. Poco dopo quella scivolò a terra con un piccolo tonfo, seguita dalla gonna. Camminando in modo un po’ goffo, dato che non accennavano a staccarsi l’uno dall’altra, raggiunsero la riva del fiume e si distesero sulla sabbia umida e soffice, mentre la fredda acqua lambiva loro le gambe. Un fragoroso tuono li fece trasalire, annunciando l’arrivo di una tempesta. Le gocce cominciarono a scendere, prima rade, poi sempre più frequenti e veloci. Si posavano sui loro corpi avvinghiati, scorrevano sulla loro pelle sudata, si confondevano con le lacrime che uscivano dai loro occhi; lacrime che mettevano fine alla fiaba che avevano vissuto, lacrime per la gioia di aver potuto unire le loro vite in una cosa sola in quello che ormai era passato e lacrime per l’angoscia del futuro che si dispiegava di fronte a loro, confuso e incerto.
I loro respiri cominciarono a farsi man mano più pesanti, mentre i gemiti della ragazza aumentavano d’intensità. Bruce non cessava di baciare ogni centimetro della pelle di Mary, passando sapientemente le mani sul suo corpo e accarezzandolo, mentre questo si contorceva dal piacere.
Infine si accasciarono esausti sulla sponda uno affianco all’altra, ancora in preda ai tremori, con la pioggia che continuava ad abbattersi su di loro provocando brividi di freddo. Bruce si volse verso Mary, cingendole la vita e intrecciando le mani con le sue, e guardandola intensamente negli occhi, disse due semplici parole, che però provocarono in lei un sussulto più forte del freddo e dell’eccitazione messi assieme:
-Ti amo.
-Ti amo anch’io Bruce.
 
 
 
Ebbene sì, non sono morta! Perdonatemi (per l’ennesima volta) per il ritardo, ma un misto di fattori come “piscina”, “computer che non funziona” e, soprattutto, “blocco della scrittrice (?)” mi hanno impedito di continuare questo capitolo. Il prossimo sarà un po’ particolare perché… beh, vedrete voi perché! Ho fatto un po’ di conti, e credo che questa ff sarà finita dopo almeno altri quattro capitoli, poi credo che mi fermerò per un po’ con le storie a capitoli (mi ha tolto l’anima solo questa!).  Ringrazio tutti quelli che hanno recensito la mia ff (vi adoro, vi farei una statua!) , in particolare “MagicRat” e “33nocidicocco”, che hanno recensito il capitolo precedente e anche tutti i lettori silenziosi! Se vi va, lasciate una recensione anche in questo capitolo!
Ciao, alla prossima!

 
 
  
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