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Autore: Mia_delrey    07/08/2013    23 recensioni
*dall'ultimo capitolo*
«I'll lift you up, I'll never stop, you know I'll take you to another world.» cantò di nuovo Harry. E, ancora una volta, non se ne andò.
«Harry, tu non sei andato via come loro.»
«Certo che no. Io ti amo, Rosalie.»
«Anch'io, Harry.»
I due si unirono in un bacio letteralmente paradisiaco, e quando si staccarono Rosalie ebbe un brivido.
«Quindi questo è l'effetto che mi fai.. brividi.»
Harry rise, portando la testa all'indietro con parecchia teatralità che lo faceva sembrare un attore. Poi scosse i ricci castani e li sistemò.
La guardò negli occhi.
ATTENZIONE: Questa ff è diversa da tutte le altre.
Genere: Fantasy, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PREAVVISO: I capitoli di questa fan fiction sono moooolto lunghi!





Chapter one.
 
 
"It's not me, it's not you, there's a reason."
 
   Erano queste le prime parole di quella bellissima canzone che Rosalie aveva trovato per caso nel suo pc. Non aveva idea di chi le cantasse, ma ce le aveva in testa da quando aveva preso posto nell'auto rossa del nonno, diretta in aeroporto. Una breve telefonata, e la madre le aveva comunicato che sarebbe andata in vacanza-studio in California. Quindi, la sera stessa, aveva detto al nonno di accompagnarla fino in aeroporto, dove lei ovviamente non sarebbe andata per i troppi impegni a lavoro. 
   «Tutto bene?»  il nonno le posò una mano sul ginocchio, con aria preoccupata. No che non andava bene, non andava bene per niente. Aveva lasciato la sua città nelle West Midlands senza neanche avere il tempo di salutare i suoi migliori amici - ovvero Carla e Trevor - se non con un sms, per andare in America, e per cosa poi? Una stupida vacanza-studio, un'occasione per lei di "crescere culturalmente", come aveva detto sua madre, il che significava l'occasione per lei di non averla tra i piedi e dedicarsi totalmente al lavoro, cosa che - forse non se ne rendeva conto - faceva già da oltre dieci anni. Ma Rosalie amava suo nonno, era una persona meravigliosa, forse la migliore che conoscesse, e non voleva farlo preoccupare per lei ulteriormente. Dunque rispose: «Si.»  e sorrise per tranquillizzarlo.  «Sono solo un pò stanca.»  poi riprese a guardare fuori dal finestrino.
   La vista non era un granché, solo edifici vecchi e disabitati che occupavano gli angoli della strada come alberi muti, in attesa che qualcuno andasse a risvegliarli dal sonno profondo nel quale erano caduti. Il cielo era grigio chiaro, quasi bianco, come praticamente ogni giorno di quel mese orrendo e insulso che Rosalie non aveva mai sopportato: Marzo. E - ormai l'aveva capito - quel cielo biancastro che copriva le loro teste come un manto di nebbia, indicava che la giornata sarebbe stata pessima. Il che era piuttosto palese, date le circostanze. Cosa ci faceva in California? Non conosceva nessuno, e avrebbe sicuramente faticato a fare nuove amicizie per due semplici motivi. 
   Primo: essendo inglese aveva anche l'accento inglese, spesso odiato dagli americani. 
   Secondo: non era mai stata capace di ambientarsi un granchè nei posti nuovi, se non in compagnia di Carla e/o Trevor.
   Morale: era spacciata. Avrebbe passato l'estate peggiore della sua vita, in compagnia solo del suo Ipod con la sua musica dentro, che l'avrebbe consolata nei momenti di tristezza.
   «Eccoci Rosalie, siamo arrivati.»  la voce calda del nonno la distrasse da tutti i suoi pensieri. James - così si chiamava il nonno - sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi, e la guardò con quei dolci occhietti azzurri che proiettavano sempre affetto. 
   Il nonno la aiutò a scaricare la sua enorme valigia dal bagagliaio, quindi la accompagnò sino all'ingresso dell'aeroporto tenendola per mano. Nonostante avesse ormai sedici anni, Rosalie non si vergognava di dimostrare affetto a suo nonno, l'unico che le era veramente vicino in ogni momento. Quindi lo abbracciò forte e si allontanò, con le lacrime agli occhi, trascinando il suo trolley color lavanda nel pavimento di marmo lucido del grande atrio.
   Si sedette su una poltroncina grigia, accanto ad una bizzarra coppia di gay che discuteva animatamente su quale taglio di capelli stesse meglio ad Anne Hataway, e prese l'Ipod dalla borsetta. Mise le cuffiette nelle orecchie, e selezionò "riproduzione casuale".
   Dopo circa una quarantina di minuti che aspettava, una donna sui venticinque anni - alta magra bionda e troppo truccata per i suoi gusti - raggiunse Rosalie e, tutta sorridente, le porse la mano.
   «Piacere, Jasmine.»  disse con sicurezza, la sicurezza di una donna autorevole.  «Tu devi essere Rosalie Hanson, giusto?»
   «Manson.»  rispose lei, annuendo.
   «Oh, fa lo stesso! Io sarò la tua "accompagnatrice di volo", dato che sei ancora minorenne tua madre ti ha affidata a me.»  
   Oh perfetto, ora deve anche controllarmi a distanza!, si disse Rosalie.
 
 
 
 
 
   Bum bum.
   Bum bum bum.
   BUM BUM BUM BUM BUM!
   
   Rosalie si svegliò di scatto, e per poco non sbattè la testa contro l'oblò. Era Jasmine che picchiettava con una penna sul sedile di fronte a quello di Rosalie per svegliarla. Erano già passate due ore?
   «Gli altri passeggeri sono già scesi, se non ti muovi ti chiuderanno dentro!»  esclamò, piuttosto turbata.
   Improvvisamente l'hostess carina e gentile che si era presentata come la sua "accompagnatrice di volo", era diventata l'antipatica che la stava cacciando dall'aereo. Aveva già una nemica, dunque. 
   Perfetto. Davvero perfetto.
   Una volta scesa, l'aria fresca del mattino le pervase le narici, e la sentì in tutto il corpo come un velo leggero e trasparente che la ricopriva, ed uno strano senso di libertà inondò la sua mente. Chiuse gli occhi e si sentì incredibilmente leggera, quasi come se stesse prendendo il volo. Per tornare in Inghilterra. Alla sua vita, ai suoi amici. Come se non fosse mai partita per l'America, in quella triste mattina di Marzo.
   Ma, non appena riaprì gli occhi, il sorriso che lentamente era affiorato sulle sue labbra rosse svanì, e al suo posto comparve un broncio che attirò grosse e pesanti lacrime amare verso il basso, costringendo Rosalie a portarsi le mani agli occhi per frenare la loro discesa. Ovvio che le veniva da piangere: tutto quel senso di leggerezza che aveva sentito era solo frutto della sua immaginazione. Lei non era più in Inghilterra, ormai. Era in California, e lì sarebbe dovuta restare sino a quando non fosse finita quella stupida vacanza-studio che doveva per forza fare, e insieme a quella, ovviamente, sarebbe finita anche l'estate. Un'estate sprecata., disse fra sè e sè.
 
 
 
 
   Il campus era immenso, il che le fece fare un sospiro di sollievo perchè pensò che almeno avrebbe potuto rifugiarsi da qualche parte nell'enorme distesa di boschetti intorno, nei momenti di maggiore sconforto, senza essere disturbata da nessuno. E poi i ragazzi e le ragazze in quel campus - da quanto aveva detto sua madre - erano sicuramente tantissimi, perciò sarebbe stato quasi impossibile per chiunque ricordarsi di lei e andare a cercarla.
   «Rosalie!»
   La ragazza si voltò, sentendo chiamare il suo nome, ma tenne la testa in alto ad ammirare quelle altissime sequoie delle quali era difficile scorgere la cima. Quando abbassò lo sguardo, vide una ragazza correrle incontro in fretta e furia, sorridendo ed agitando le mani per farsi notare. Ma l'avrebbe notata comunque, vestita com'era! Indossava un paio di leggins a stampa leopardata che accentuavano le sue cosce non certo fini, una canottiera di un rosa acceso tipo quello degli evidenziatori, e uno strano scaldacuore nero coperto di paillettes che riflettevano la luce del sole e la facevano brillare in tutta la sua robusta figura. Non era certo un bello spettacolo, specialmente ora che stava correndo e il suo seno formoso saltava di quà e di là!
   Rosalie si voltò, in cerca di qualche altra ragazza che potesse chiamarsi come lei, e ne vide un paio in lontananza, che guardavano la ragazza correre e ridevano lanciandosi strane occhiatine d'intesa. Ma certo, una di loro doveva essere certamente la Rosalie che quella ragazza bizzarra continuava a chiamare a squarciagola! Le osservò attentamente entrambe, una mora e l'altra bionda, entrambe molto carine. Ma certo, doveva essere la bionda! Aveva più un'aria da "Rosalie", rispetto all'altra. Eppure Rosalie, pur essendo mora, non si era mai sentita in qualche modo "estranea" al suo nome, credeva che fosse piuttosto azzeccato dato che le sue labbra a forma di cuore ricordavano i petali di una rosa rossa appena colta. Dunque il nome Rosalie, che faceva pensare alle rose, le calzava proprio a pennello.
   Due grosse mani dalle unghie laccate di rosso premettero sulle spalle di Rosalie, facendola sobbalzare. Si voltò di scatto, aspettandosi di trovarsi di fronte la hostess Jasmine indemoniata perchè li aveva fatti tardare.
   E invece no.
   Ad averla quasi assalita, era stata la strana ragazza paffutella che correva incontro alla ragazza bionda. O forse no. Forse correva davvero incontro a lei, altrimenti per quale motivo le sarebbe saltata addosso? Ma come faceva a sapere il suo nome se lei era appena arrivata??
   «Finalmente ti ho trovata! Ma dove ti eri cacciata? E perchè hai il tuo trolley appresso?»  Continuava a gridarle in faccia e a stringerle le spalle con quelle sue manone, cominciando ad essere un pò preoccupata dato che lei non rispondeva e la guardava, spaesata.
   Rosalie si divincolò a fatica, e massaggiandosi le spalle disse:  «Scusa ma... Ci conosciamo?»  sorrise, per non sembrare maleducata.
   La ragazza di fronte a lei sembrò perdere tutta la sua energia, e quasi sbiancò tutto d'un tratto. Poi si portò una mano alla bocca e spalancò gli occhi nocciola.
   «Oh mio Dio.»  disse.  «Tu sei proprio andata! Hai lo sguardo assente, oddio ma perchè non mi avevi mai detto che ti facevi le canne? E dove, poi! Nel campus! Io non ti capisco proprio, Rosy.»
   Rosy? Nessuno la chiamava Rosy, nemmeno i suoi amici inglesi, ed ora quella ragazza grassa e piuttosto lunatica le saltava addosso, la accusava di essere cannata e le dava soprannomi?! No. Rosalie non poteva accettarlo. 
   «Sul serio, credo tu abbia sbagliato persona. Io non sono quella Rosalie che credi tu, scusami.»  spiegò, cercando di essere il più educata possibile. Poi si voltò e fece per andarsene, ma la ragazza la prese per un braccio e la scosse, tenendola di nuovo sulle spalle, ormai doloranti per la sua forte presa.
   «Ooh! Ci sei? Agatha Hole chiama Rosalie Manson, c'è qualcuno in quella testolina vuota che ti ritrovi?! Mamma mia. Vieni, ti porto in stanza.»  Non le diede neanche il tempo di replicare, e la trascinò sulla stradina in terriccio, tirandola per un braccio.
   Dunque si chiama Agatha Hole... Ed io sono Rosalie Manson, ma... Non quella che crede lei.  pensò Rosalie.  Ma com'è possibile che qui ci sia una mia omonima che a quanto pare mi assomiglia anche di aspetto?
   Era questo che Rosalie proprio non riusciva a spiegarsi.
   E ora, dove la stava portando?
   E soprattutto, perchè aveva questi modi così bruschi?!
 
   «Su, entriamo.»  disse Agatha, parlandole come se avesse davvero fumato erba. Ma chi si credeva di essere?
   Agatha aprì la porta in legno di ciliegio, e spinse Rosalie - stranamente questa volta con delicatezza - all'interno della capannetta, anch'essa interamente in legno. Poi spinse un pulsante con l'indice e una piccola lampadina al centro della stanza cominciò a lampeggiare, fino ad accendersi del tutto, emanando una fioca luce giallastra. Rosalie andò a sedersi su un letto, ma Agatha la prese di peso - neanche fosse sacro quel letto! - e la lasciò cadere su un altro a pochi metri di distanza.
   «Sei matta a sederti sul letto di April?! Se trova una sola piegolina capirà che ci siamo sedute sopra e si infurierà come una bestia! Ti prego, non farmi finire nei casini.»
   «Okay, okay.»  rispose Rosalie, seccata.  «Calmati però.»
   «No, Rosy, no che non mi calmo!»  sbraitò, agitandosi. Ancora quel soprannome. Aveva detto di no.
   Ad un tratto, Agatha spalancò gli occhi e si portò le mani alla gola, boccheggiando in cerca di un pò di ossigeno. Rosalie, preoccupata, le chiese cosa aveva e lei le indicò una piccola borsetta bianca perlata. Rosalie la prese e gliela portò. Agatha le indicò di aprirla, e lei si accorse  che all'interno c'era uno spray di antistaminico per l'asma. Glielo porse, e lei lo usò in fretta, chiudendo poi gli occhi e riprendendo a respirare regolarmente.
   Agatha la colpì con forza sul braccio.  «Potevi aspettare ancora un pò!»  tuonò. Sembrava furiosa più di prima, quasi sul punto di scoppiare dalla rabbia.
   «Scusami ti giuro non lo sapevo, io credevo stessi fingendo.»
   «Fingendo? Fingendo!! Rosalie, è da sempre che soffro d'asma, lo sai! Tu..! Oh no. Cavolo, mi ero dimenticata quella cosa delle..»  scrutò Rosalie, inarcando un sopracciglio, poi si guardò le unghie.  «..Canne.»  concluse, quasi seccata dalla sua presenza. Rosalie sbuffò, ormai sull'orlo della sopportazione. Ma perchè Agatha non riusciva a capire che lei non era quella Rosalie che cercava lei?!
   Si sentì bussare alla porta, e Agatha si alzò di scatto.
   «Dev'essere lui.»  disse, con entusiasmo. Andò di fronte allo specchio e si ravvivò i capelli mossi con le mani. Si ripassò il rossetto color prugna sulle labbra, lanciò un bacio volante al suo riflesso nello specchio e andò ad aprire.
   «Oh, eccoti finalmente!»  esclamò, saltando al collo del ragazzo che entrò nella stanza e riempiendolo di baci. Rosalie li guardò, inarcando un sopracciglio per la foga con cui si baciavano, e quando si staccarono vide che il ragazzo - capelli castani e ricci, occhi verde smeraldo, bellissimo - aveva le labbra e tutto il muso coperto di rossetto viola, e le scappò una risatina.
   «Che hai da ridere amore?»  disse lo stesso ragazzo riccio, andandole incontro a passo lento. Si pulì il muso e le si avvicinò. Le labbra di Rosalie si dischiusero dalla sorpresa quando si accorse che con quella frase si era rivolto davvero a lei. Ma forse scherzava. Poi però il ragazzo le prese il viso tra le mani e posò con forza le labbra sulle sue. Rosalie si divincolò all'istante dalla sua presa e si pulì la bocca, schifata.
   «Ma chi sei?! Hai appena baciato lei e ora vieni a baciare me?! Non ti conosco ma già mi fai schifo!»  era incavolata nera, e si poteva vedere anche dalla vena pulsante che sporgeva dal suo collo.
   «Ma si che mi conosci, sono Harry. Dai non fare la scema e baciami.»  fece per prenderle nuovamente il viso tra le mani ma Agatha lo bloccò, e gli spiegò che Rosalie si era cannata. Aveva ancora quella stupida convinzione?
   Harry rimase molto sorpreso da questo, quindi scoppiò a ridere e le chiese di uscire perchè se lei non era in vena si sarebbe divertito solo con Agatha. Rosalie rimase terribilmente schifata da entrambi, e uscì sbattendo la porta. Si portò una mano alla bocca e scoppiò in lacrime. Lacrime grosse e amare, che creavano come dei solchi sulle sue guance, bruciandole. 
   Sono arrivata oggi ed è già andato tutto storto!  pensò, con tristezza.
   Lo scricchiolio di passi in avvicinamento la fece spaventare, e si appiattì contro la porta della capannetta, aspettandosi il peggio. Ma, fortunatamente, era solo un ragazzo. Aspetta, e se fosse stato un ragazzo come quello all'interno della capanna? Forse doveva fuggire.
   Ma non appena lo vide, non riuscì a muoversi.
   Il ragazzo era alto ma non troppo, indossava dei pantaloni beije larghi e a cavallo basso, con le bretelle bianche scese ai lati, una polo bianca, e una felpa in stile college nera e bianca, chiusa solo nei primi due bottoni in alto. Stava fumando e passeggiando, guardandosi le scarpe - Nike blazer, nere - e non si era nemmeno accorto che c'era qualcuno. Poi, probabilmente sentendosi osservato, alzò lo sguardo e la vide. Sembrò molto sorpreso di trovarla lì fuori, e le sorrise.
   «C-ciao..»  mormorò Rosalie, colpita dal fascino del ragazzo.
   «Ciao Rosalie! Che ci fai qui fuori? Harry si è già stancato di te?»  fece cadere un pò di cenere dalla sigaretta, ridacchiando.
   Incredibile. Anche lui la conosceva, sapeva il suo nome e sapeva quello che lei - o meglio, la lei che loro credevano che fosse - faceva con quel ragazzo, Harry.
   «Ehm..»  Rosalie pensò a cosa dire.  «Prendo solo un pò d'aria.»  accennò un vago sorriso, per convincere il ragazzo - ma soprattutto se stessa - che era effettivamente quello che stava facendo: prendere un pò d'aria, non scappare da un mezzo maniaco e una pazza. No, no.
   «Mh, sei strana. Che hai?»  le chiese, preoccupato.
   «N-non lo so bene. Credo di avere... Una strana perdita di memoria. Io non sono la Rosalie che voi credete, io sono arrivata oggi qui. Ma tutti sembrate conoscermi, e questo un pò mi preoccupa, perchè io non ricordo nulla di voi. Cioè, non vi ho mai visto.»
   «Ma certo che ci hai visto, Rosy. Stai tutti i giorni qui con noi al campus. E' evidente che hai avuto una grave amnesia! Se vuoi ti aiuto io a ricordare.»  sorrise, gettando in terra la sigaretta e pestandola con il piede per spegnerla per bene. 
   Poi le porse la mano.
   Rosalie lo guardò in viso, e si accorse che era sincero.
   Sì, poteva fidarsi di lui.
   «Dove mi porti?»  gli chiese, non appena lui cominciò a camminare.
   Il ragazzo si voltò. Le fece una dolce carezza sulla guancia, inclinando la testa come per ammirarla meglio. Sorrise, vedendo che Rosalie era arrossita di colpo dall'imbarazzo.
   «A conoscere la vita di Rosalie Manson.»  rispose.





HOLA<3
Per questa ff vorrei raggiungere un bel numero di recensioni visto che mi pare piuttosto originale o almeno diversa dalle solite, e soprattutto perchè ci ho messo molto impegno. Se mi cagherete continuerò lol. Perfetto pipol(?), aspetto i vostri commenti.. A presto :)
Sophia.xx
  
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