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Autore: Para_muse    07/08/2013    1 recensioni
Una storia che è nata leggendo un libro, guardando un film, una serie tv e amando due attori.
Sybil è una ragazza indifesa e sofferente. Cosa le succederà dopo l'incidente accaduto per sbaglio? E come la prenderà quando, a causa dell'incidente, scoprirà di aver perso la memoria? E come riuscirà a ricordare se non avrà nessuno al suo fianco ad aiutarla? La fortuna sarà dalla sua parte quel giorno...Jensen la guiderà nel lungo tragitto dei suoi ricordi, insieme alla sua anima perduta.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Jensen Ackles, Misha Collins, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Enjoy, read this chap for you! :D


Capitolo 6
I promise you. I trust you.

 
Cliff parcheggiò davanti alla prima banca, e tirando via la chiave, aprii la portiera, per scendere; io e Misha lo seguimmo entusiasti.
- Cosa pensi di trovare qui? – domandò Misha curioso, prendendomi a braccetto. Alzai lo sguardo verso il suo curioso, e alzando le spalle, sperai di aver fatto afferrare il concetto di: “non ne ho idea”.
- Risposta molto gratificante devo dire – sbottò ridendo, aspettando che la porta si aprisse, facendoci così entrare.
Quando l’aria seria e silenziosa della banca ci accolse, mi sentii un po’ inquieta tra due uomini, come se fossi scortata per prelevare chissà quale somma dal mio conto bancario. Ma la gente non sapeva però che ero lì solo per avere alcune informazione sul mio ipotetico conto in banca.
Ci dirigemmo verso la direzione, dove la consulenza del dirigente poteva più o meno aiutarci.
Bussammo alla porta color mogano due volte, il pugno di Cliff si trattene leggero, e quando qualcuno disse “avanti” la mia pancia fece una capriola per l’agitazione.
Non so perché iniziai a sudare freddo, sembrava come se stessi andando sul patibolo, ma non era così.
Presi un bel respiro e mi sedetti accanto ad un Misha piuttosto serio, quasi stesse recitando la parte di Castiel: l’angelo silenzioso.
- Salve Mister Cliff la stavo attendendo. Problemi con qualche conto in banca del signor Ackles? – domandò il direttore Kent, così c’era scritto sulla targhetta davanti al computer portatile.
- Salve, no, niente di grave, soltanto un po’ di consulenza, le spiego la situazione – borbottò Cliff avvicinando la sedia alla scrivania, appoggiandosi così sul tavolo con un braccio, spiegando la situazione al direttore con una tranquillità che io non avrei avuto.
- Quindi mi faccia capire bene, la signorina qui ha avuto un brutto incidente stradale, e non ricorda più nulla? Nemmeno se avesse avuto conti in banca? Che disgrazia! – schioccò con la lingua, sotto shock. Mi rivolse uno sguardo di apprensione. – Mi dispiace tanto signorina… -. – Quest, direttore. Grazie, ma sto bene adesso, mi sono rimessa e adesso vorrei iniziare di nuovo con la mia vita, e possibilmente con una rendita, spero, vitalizia – sussurrai inceppando e, arrossendo appena al sorriso divertito del direttore.
- Certo, bene che dire, diamo subito un’occhiata al database della Banca. Se gentilmente mi mostra un documento di riconoscimento – affermò il direttore Kent, allungando una mano verso di me. Io annuii e cercando dentro una delle tante nuove borse che Jensen mi aveva comprato insieme agli accessori femminili più comuni, l’aprii e uscii il borsellino con qualche spiccio e una banconota da venti dollari. Dentro si trovava la mia carta d’identità un po’ stropicciata.
- Perfetto, grazie – borbottò a bassa voce l’uomo d’aria vispa, mentre si dedicava a battere ritmicamente le dita sui tasti della tastiera.
Aspettammo un paio di secondi, prima che il direttore alzasse la testa scuotendola, per me quelli parvero i più lunghi secondi della mia vita.
- Non ha nessun conto in banca qui, signorina Quest. Mi dispiace – borbottò il direttore, afferrando il mouse per chiudere qualche finestra aperta sullo schermo.
Annuii e abbassai la testa sconsolata. Avevamo fatto un buco nell’acqua. – Ancora abbiamo l’altra banca per dare un’occhiata, dai! – mi consolò Misha, stringendomi alla sua spalla con un braccio.
Annuii e alzai lo sguardo velato di lacrime verso il direttore ringraziandolo. Lui mi sorrise cordiale, e poi schioccando le dita, posò una mano sulla cornetta. Mi fece quasi saltare dalla sedia per lo spavento. Quel cambio improvviso da parte sua mi fece pensare che avesse un’altra idea.
- Intanto se voi siete d’accordo facciamo una chiamata veloce alla Bank National of Columbia e vedo se c’è qualcosa che possa interessarvi? – chiese gentilmente, alzando la cornetta.
Cliff annuì e io sorrisi con la speranza disegnata sul viso.
- Okay… Nancy passami nella linea uno, il direttore Mensch, o la sua segretaria… va bene – borbottò alla cornetta, mentre giocherellava con la matita su una agenda.
- Si. Si certo, grazie Nancy – premette un bottone e una voce maschile si levò dalla piccola cassa del telefono.
- Pronto Daniel, dimmi tutto qualche problema? – domandò qualcuno dall’altra capo. Il direttore Kent scosse la testa e spiegò la situazione al direttore di nome Stephen Mensch.
- Capisco, resta un attimo in linea – borbottò l’uomo dall’altra parte. Si iniziò a sentire rumore di tasti che battevano, e poi qualcuno fare versi trattenuti di apprezzamento quasi.
- Mmh, Daniel ci sei? – borbottò di nuovo Mensch.
- Si, sempre qui Stephen. Novità? – domandò speranzoso il signore Kent.
- Si, c’è qualcosa d’interessante per questa ragazza, l’aspetto qui per l’appunto delle dieci, dovrei mostrarle qualcosa che l’interessa. Spero sia stato utile – disse.
- Si, si, grazie per l’info Stephen, ci sentiamo, e ti aspetto alla partita di golf sabato prossimo! – esclamò il direttore Kent, sorridendo prima di chiudere la linea con un breve “ci si vede”.
Il direttore ci fissò sorridenti e alzando le spalle ci disse: - Sentito? Speriamo siano buone notizie per lei signorina Quest -.
- Sì, speriamo – borbottai sorridendo gentilmente.
- Grazie per l’aiuto direttore, le saremo immensamente grati! – esclamò Misha, alzandosi per porgergli la mano; la stessa cosa facemmo io e Cliff.
 
- Pronti? Altro giro, altra corsa! – esclamò Cliff, aprendo la porta della Back National of Columbia. Più sofisticata e monocolore rispetto alla Bank of Vancouver, mi sentii un po’ più a disagio a girare tra gli alti corridoi a vetro, passando sotto lo sguardo attento di ogni dipendente.
- Salve, avete un appuntamento? – domandò una donna dietro ad una scrivania di vetro, posta appena fuori ad un ufficio con vetri oscurati.
- Si, il direttore Mensch ci attendeva per le dieci, cioè adesso – borbottò Cliff con aria seria, fissando la donna, che alzandosi, ci sorrise e si avviò alla porta bussando piano.
La voce dietro i vetri oscurati disse “avanti”, e la donna aprendoci la porta, ci fece entrare in un stanza grande quando la stanza che Jensen mi aveva… prestato? Per poterci dormire al momento.
- Prego, signorina Quest! Signori! – esclamò aprendo le braccia per farci accomodare sulle sedie poste davanti alla scrivania in legno, due volte grande di una normale.
- Grazie – sussurrai, sedendomi sempre con la mia sinistra occupata da Misha, mentre Cliff si sedeva di fronte a me.
Il direttore si sedette, e voltandosi verso di me iniziò a spiegare la situazione.
- Allora signorina Quest, ho avuto modo di controllare con più cura, mentre aspettavo il vostro arrivo, la sua situazione riguarda conti in banca, e liquidità monetaria. Non posso dire che è messa propria bene, ma nemmeno male – borbottò Mensch, afferrando una penna, iniziando a farla dondolare tra il pollice e l’indice.
Spalancai gli occhi e lo fissai preoccupata. – Cosa vuol dire? – domandai.
- Dopo la morte dei suoi genitore, essendo l’unica figlia legittima della signora e del signor Quest, i loro debiti sono stati addebitati al suo conto bancario che ha proprio qui, nella nostra banca e… -. La mia testa non seguii più nessun filo logico.
I miei genitori. Morti…
- Signorina Quest? Mi sta ascoltando? Le stavo dicendo, ha una casa pignorata a causa di questi debiti, per cui lei tutt’ora ha altre dieci rate mensili da pagare entro alla fine di quest’anno. Ha un lavoro spero, ho saputo dell’incidente… - borbottò fissandomi con sguardo quasi triste.
- Si, capisco, posso sapere se avete l’indirizzo di questa casa pignorata? Mi scusi ma non ricordo nulla – sussurrai appena, fissando il vuoto.
- Si certo, glielo scrivo in un post-it – disse. – Ehm, vorrei sapere, lei ha per caso un recapito dove posso trovare la casa dei miei genitori? – domandai anche, fissandolo negli occhi.
Lui annuii e scrisse anche quello, poi me lo porse, e piegandolo lo infilai in borsa. Dopo di ché mi informai sugli ultimi debiti da pagare e cosa dovevo fare per chiudere tutti i conti sospesi. Dopo un quart’ora di chiacchere, ci alzammo e ci dirigemmo fuori dalla banca, prima che potessi uscire completamente, il direttore mi richiamò, e avvicinandosi con passo svelto si scusò per il poco tatto che aveva avuto durante l’appuntamento, riguardo alla discussione sui miei genitori.
- Stia tranquillo – borbottai, prima di uscire e salire in macchina velocemente, visto che stava piovigginando. Il clima nuvoloso, peggiorò ancora di più il mio umore. O fu il mio umore a far peggiore il clima.
Forse la verità era quella.
 
Prima che portassi la mano alla portiera, chiusi la sicura e bloccai tutti all’interno anche se era inutile, visto che Cliff poteva benissimo ri-sbloccarla.
- Cosa succede? – disse Misha, cercando di aprire la portiera senza successo.
- Devo parlarvi, aspettate un secondo – sussurrai, sbucando dai due sedili anteriore, fissandoli dritti negli occhi, prima uno e poi l’altro.
- Parlare di cosa? – domandò preoccupato Cliff, arricciando le labbra e a sua volta i suoi baffetti. Lo fissai dritto negli occhi, senza più cambiare sguardo: - Non voglio che, quello che sia uscito fuori oggi, esca fuori davanti a Jensen. Non voglio che lui sappia niente, non voglio che sappia che sono in banca rotta, che cerco un lavoro, che ho bisogno di aiuto, e che per di più sia senza un tetto in cui stare e con una orfana di madre e padre, intesi? Voglio che lo sappia solo dalla me, esclusivamente da me! Per quando riguarda la visita dalla dottoressa, potete dirgli tutto, sono solo buone notizie, ma nient’altro! Intesi? – esclamai, facendo un gesto con la mano, chiudendo il discorso. Restai con lo sguardo incatenato a quello di Cliff. Sapevo che Jensen gli aveva pregato – se non ordinato – di riportargli i resoconti dei miei incontri, ma sapevo anche che se a Cliff si fosse chiesto di promettere, l’avrebbe fatto, a costo della propria vita, o lingua – in questo caso.
- Ci siamo capiti? Misha vale anche per te – borbottai, voltandomi verso di lui, fissandolo seria. Lui annuii e voltandosi aspettò che si aprissero di nuovo le portiere, per scendere e ritornare sul set.
Cliff scese e aprendo la portiera per galanteria, mi fece scendere e mettere sotto il suo braccio, dove ero al riparo sotto il suo giubbotto di pelle nera, alzato.
- Grazie di tutto Cliff – sussurrai, alzando appena lo sguardo, cercando di non bagnarmi. Lui borbotto qualcosa in segno di un “prego” e continuammo a tenere un passo lungo, per ripararci al più presto.
- Eccovi, pensavo che non sareste più tornati! – esclamò Jensen, sorridendo. A mia volta gli sorrisi e abbassai immediatamente lo sguardo, cercando di non far trasparire il mio umore e il mio stato d’animo, completamente a terra, per non dire sotto le suole delle scarpe.
- Com’è andata? Niente di nuovo? – domandò curioso, andando incontro a Cliff, dove con una pacca, l’invitò ad allontanarsi da me, come se volesse dirgli qualcosa che io non dovessi sentire.
Ma ormai sapevo quello che c’era da sapere, e Jensen non l’avrebbe saputo mai. Mai. Alzai lo sguardo appena in tempo per vedere quello di Cliff cercare il mio. Io scossi la testa, e lui annuii impercettibile, sorridendo a Jensen e scuotendo la testa, desolato di non potergli dare notizie. Mentre con un fazzolettino mi pulivo le scarpe sporche di fanghiglia sulle punte, Misha si avvicinò e sorridendomi, si inginocchiò al mio fianco, cercando di capire qualcosa, che a mia volta non riuscivo a comprendere.
- Perché non vuoi che Jensen sappia? Lui infondo cerca solo di aiutare. E sta aiutando qualcuno che non conosce proprio. Perciò perché stai cercando di ostacolargli il cammino? Cosa ti frulla per la testa Sybil? – domandò a bassa voce, stavo per aprire bocca e spiegargli i motivi del mio rifiuto a far conoscere parte passata della mia vita a Jensen, quando sentii dei passi alle spalle che mi fecero raddrizzare.
- Ehi tu! – una signora dalla pelle, dai capelli e dagli occhi scuri, mi afferrò per un braccio e mi strattonò alzandomi da terra.
- Scusi?! Mi lasci andare! – esclamai sgranando gli occhi, spaventata. – Tu sei quella nuova nel guardaroba non è così? E da una mattinata che ti cerco, che ci fai in giro? E per di più dai fastidio anche agli attori? Madre di Dio! – borbottò l’ultima frase in una lingua sconosciuta. Quasi sembrasse spagnolo, ma non lo era.
- Maria, che succede qui? – domandò Jensen, avvicinandosi con passo svelto verso il gruppetto che si era formato: Maria che mi stringeva il braccio in una morsa d’acciaio; Misha che se la rideva a crepa pelle. Cliff che ci aveva raggiunto, con un sorrisino sotto i baffi, e quegli occhietti a mandorla che si stringevano per trattenere la grossa risata.
- Non lo so Jensen, potresti dire alla signora che non sono io la ragazza del guardaroba? Sembra parlare un’altra lingua, e non capisce che deve lasciarmi andare, mi fa male!... Mi fa male la testa! – esclamai spaventata, fissando la signora, sdoppiata.
- Maria, è una mia amica, lasciala andare, non è la persona che stai cercando – borbottò preoccupato Jensen, afferrandomi delicatamente per l’altro braccio, lasciando che mi appoggiassi a lui con il capo.
- Non capisco – sussurrai, stringendomi a lui lasciandomi andare con il corpo in avanti, per un forte e atroce mal di testa.
- Sybil? Sybil! – esclamò Jensen, stringendomi a se, poi persi i sensi e non sentii più nulla.
Nemmeno il dolore.
 
Mi risvegliai di colpo aprendo gli occhi e ritrovandomi con il petto di qualcuno a farmi da guanciale. Jensen.
- Si tesoro, guarda stai attenta a non bruciarti a quando lo tiri via, perché scotta! – sentii un campanellino, e poi sentii la voce di JJ parlare dolcemente con il padre. – Tranquillo papà, ho le presine sulle dita delle mani – borbottò e poi sbattei più volte le palpebre per vedere cosa stava accadendo.
- Ehi, finalmente ti sei svegliata – sussurrò Jensen, accarezzandomi la spalla che mi teneva stretta al suo petto, mentre le mie gambe erano distese sul divano bianco di ecopelle.
- Jensen – sussurrai, con voce arrochita, stringendomi a lui, strofinando la guancia sulla sua maglia bianca.
- Ehi, piccola – sussurrò, avvicinandosi con il viso al mio. Sorrisi intimida, e strinsi le palpebre, godendomi un attimo di tranquillità, la pace assolutamente, la mia mente libera.
- Mmh, mi piace stare sdraiata così – sussurrai, riaprendo gli occhi, fissandolo dritto nei suoi verdi. Il mio viso si appianò e restai come una sciocca a fissarlo ancora.
- Si? Stai bene? – domandò accarezzandomi con un gesto tenero la fronte, togliendomi qualche ciocca di capelli cadente. Alla sua domanda diedi un cenno di assenso, poi allungai un braccio verso il suo viso e gli toccai con dita tese, il mento, la linea della mandibola, la guancia con i primi segni della barba.
- Sono qui – sussurrò con voce flebile, avvicinando il viso al mio, come se volesse baciarmi.
Ed io volevo che fosse così.
- Papà, tu non hai fame? – domandò la voce divertita di JJ. Le mie palpebre sbatterono più volte prima di sbarrarsi, e di spingermi ad alzarmi e a mettermi in una posizione più consona, con JJ presente nella stanza.
Mi ero dimenticata di lei.
- Cosa, orsacchiotta? – domandò Jensen quasi sconvolto, fissando prima me con uno sguardo intenso, e poi Justice Jay, che sorridendole scuosse la testa e voltandosi verso di me, mi sorrise teneramente, lasciandomi andare. Mi alzai con un po’ di incertezza sulle gambe, ma appena mi stabilii, mossi i primi passi verso la mia stanza, per andare a letto. – ‘Notte JJ – la salutai con la mano, ma mi costringe però a fermarmi, correndomi incontro per un bacio.
- ‘Notte Sybil – sussurrò, e corse di nuovo a cenare. Voltai le spalle alla stanza, ma non prima di aver dato un’ultima occhiata a Jensen, sorridendogli. Dopodiché allungai il passo, per correre e chiudermi la porta alle spalle, per una giornata abbastanza pessima, e non solo pessima, come l’avevo definita quella mattina.
 
 
- Sei una lurida sgualdrina! Ecco cosa facevi la sera! Altro che Ben! Andavi in quel postaccio di merda a farti… scopare come una bambola gonfiabile! Mi fai schifo! Fuori da casa mia! FUORI!
 
- Mhuaaa! – presi una boccata d’aria, e sbarrai gli occhi con il cuore in gola. Le tempie mi facevano così male per le continue pulsazioni, e il sudore colava con rivoli insistenti, lungo di esse e sulla nuca.
Alzai i capelli in una coda stretta nel pugno, poi cercai di prendere aria, come se stessi soffocando. Allontanai le coperte spingendole via con le gambe, che smossi più volte, prima che riuscissi nell’intendo.
- Che cosa è successo? – dissi ad alta voce, tra me e me, fissando il vuoto, mentre la mia migliore amica, mi urlava contro di andare fuori da casa mia. Cosa avevo fatto di così male per meritarti quel suo tono inusuale e soprattutto volgare.
C’era qualcosa dentro di me, che mi faceva credere che il mio passato, i ricordi che non riuscivano venire a galla, dopo tutti quei sogni che facevo, potevano essere brutti, e che non sarebbero stati belli, se avessi saputo la verità così come stava.
I miei genitori morti per cause sconosciute – anche se avevo alcuni dubbi che dovevano essere risolti; la mia migliore amica – forse ormai ex – che si arrabbiava con me sbattendomi fuori di casa – quella che possibilmente il direttore Mensch mi aveva riportato sul post-it; e l’uomo del sogno, che mi trattava come se fossi veramente una ragazza che vende il suo corpo per una cosa così ripugnante.
Dovevo darmi una mossa, dovevo iniziare a darmi delle risposte. Dovevo iniziare subito. Avevo bisogno di parlare con Jensen, e chiedergli l’ennesimo aiuto.
Mi lasciai andare i capelli dietro la nuca, e spingendomi con le braccia, scesi dal letto scalza. Sentii brividi di freddo attraversarmi le gambe e arrivarmi fin sulla nuca. Strofinai le mani alle braccia, e stringendomi nel pigiamone, percorsi con piedi leggeri il pavimento freddo, e aprendo la porta, cercando di non fare rumore, mi diressi con passo svelto alla porta di Jensen, che aprii piano, sperando di non fare rumore, e non far svegliare Justice Jay.
Voltandomi e dando le spalle al letto, lasciai la porta appena socchiusa, accertandomi che non sbattesse per qualche spiffero che provocasse corrente, e quindi il continuo oscillare della porta contro lo stipite della porta, provocando rumore.
Mi voltai di nuovo verso il letto, e vidi Jensen voltarsi e lasciare un sospiro nel sonno, stringendo il cuscino verso il suo viso. Le sue gambe sporgevano fuori dalla coperta, una piegata mentre l’altra distesa, mostravano polpacci ben torniti e quasi lisci, nel poco chiarore della stanza.
Mi avvicinai e gli abbassai la coperta a coprirli, mentre già le sue spalle sotto la maglia di cotone bianca, erano ben calde e coperte. Fissai il suo viso rilassato e mi feci scappare un sorriso dolce, alla vista di come quelle labbra fossero così perfette e schiuse tra di loro. La sua linfa vitale entrava ed usciva con un lieve respiro arrochito, tipico in inverno. Mi distesi accanto a lui, piano, senza cercare di far smuovere tanto il materasso, e senza alzare le coperte, perché sarei stata pochissimo tempo lì, a contemplarlo, se solo lui avesse aperto gli occhi. Ma non lo faceva, ed ora mi ero venuto quel risentimento di non farlo, di non svegliarlo. Mi piaceva vederlo dormire. Senza pensieri, senza preoccupazioni.
Sospirai e adagiai il capo sull’altro cuscino, portai una mano sotto la guancia, e sospirando mi strinsi le gambe al petto. La tensione del sonno si era dissipato, e il sonno prevaleva sugli altri sensi. Sentii le braccia essere più molli, e le gambe tese si rilassarono. Le mie palpebre sbatterono più di una volta, e sbadigliando, li chiusi memorizzando tutti i lineamenti di Jensen. Magari avrei fatto un altro bel sogno insieme a lui.
 
 
Senti qualcosa sfiorarmi lentamente. Prima la guancia, poi qualcosa dietro al collo che mi provocarono brividi di freddo. Mi strinsi le gambe al petto, e sentii qualcosa bloccarmele. Altre gambe tornite, e un po’ pelose. Aprii gli occhi, e vidi un dito percorrere la mia tempia, e scendere giù sul mio mento. Era Jensen.
Cosa ci faceva nel mio letto? Mi girai a fissarlo, e lo trovai intendo a squadrarmi, come se fossi una creatura rara.
- Cosa ci fai qui? – sussurrai, stiracchiandomi sotto una coperta che non era quella del mio letto. Ma del suo. Ero nel suo letto. La scorsa notte, certo.
- In realtà dovrei chiedertelo io – sussurrò sorridendomi, e avvicinandosi per lasciarmi un bacio sulla fronte, leggero, lento, che faceva accapponare la pelle per l’emozione.
- Scusami ieri sera avevo bisogno di parlarti, ma tu dormivi… -. – Certo che dormivo, ma potevi chiamarmi -. Alzai lo sguardo dalle sue labbra ai suoi occhi ancora semi addormentati. – Non volevo farlo -. – La prossima volta, puoi! – sussurrò lasciandomi una carezza prima di voltarsi di scatto per scendere dal letto con un balzo, stiracchiandosi in tutta la sua altezza.
- Cosa dovevi dirmi? – domandò curioso, voltandosi verso di me, allungo le braccia sopra la sua testa, facendo stretching mattutino. Il suo addominali urlarono un “welcome” ai miei occhi avidi del suo corpo. Restai un attimo intontito prima che potessi dire qualcosa, e soprattutto formulare una frase completa: - Speravo che mi potessi aiutare a trovare lavoro. Voglio tornare a fare qualcosa, non posso stare sul set senza fare nulla. Magari posso aiutare qualcuno a fare qualcosa. Come la signora di ieri diceva, forse posso aiutarla veramente in guardaroba! – esclamai, alzandomi a mia volta. Lui finì di fare i suoi esercizi, e abbassando le braccia, si avvicinò con qualche passo alla fine del letto dove mi ero fermata.
- Pensi di riuscire a lavorare? E se ti venissero i soliti attacchi? Hai sentito la dottoressa, non sono da escludere ancora – sussurrò, allungando un braccio, accarezzando il mio con mosse leggere.
- Lo so, ma devo pur far qualcosa. Devo pur andare avanti, e aiutarti. Non posso stare con le mani in mano, mentre tu ti fai in quattro per me, e soprattutto per Justice Jay. E il tuo lavoro, so quanto ami recitare, non posso distrarti, devo togliermi dai piedi, e darmi da fare! – sottolineai, fissandolo da basso.
Le sue labbra si strinsero in una linea sottile, e stringendo le sopracciglia in una “v”, tirò un passo indietro sedendosi, e tirandomi accanto a se, mi sedetti; gamba contro gamba.
-Okay, forse hai ragione, ma prometti che se il lavoro sarò faticoso me lo dirai, così io provvederò a trovare qualcosa più adatto per te – sussurrò voltandosi a fissarmi con sguardo preoccupato. – Promettimelo – sussurrò, stringendomi una mano. Lo fissai negli occhi e annuii, sussurrando a mia volta le sue parole. – Te lo prometto -.
- Io mi fido di te, ma ho bisogno che tu lo faccia lo stesso con me. Ho bisogno di sapere che tu stai bene, così io starò più tranquillo… - sospirò su l’ultima parola, rilassandosi un attimo.
Purtroppo però ancora non sapeva la richiesta che avrei voluto fargli.
- C’è dell’altro – dissi, abbassando lo sguardo verso i piedi, distesi davanti a me. Percepii il suo viso cambiare espressione, e chiusi gli occhi per non vedere altro, quando chiesi: - Mi aiuteresti a recuperare la mia aiuto dal carrozziere. Avrei bisogno di nuovo di lei – sussurrai, mordendomi poi la lingua per lo schioccò della sua lingua.
- Non se ne parla. Anche se la dottoressa ha detto che potevi ritornare a guidare, non se ne parla! Non voglio vederti di nuovo sfracellata sul cofano di un auto, con la testa piena di pezzi di vetro. No! – esclamò, alzandosi dal letto, e iniziando a gesticolare.
- Okay, okay! Ma ne avrò bisogno comunque prima o poi! – dissi, appoggiandomi all’indietro sul letto.
- Tra un paio di mesi forse, a natale magari. Ma non adesso, non da poche settimane dall’incidente! Per me l’argomento è chiuso. Niente auto, niente incidenti per te, e niente preoccupazioni per me! – esclamò senza ripensamenti, chiudendo il discorso con un colpo secco della porta del bagno, a dividerci.
Avevo perso un’altra battaglia. Era stato tutto inutile. A parte il lavoro. Magari forse sarebbe stato proprio un nuovo lavoro con orari diversi a costringerlo ad assecondare la mia richiesta. Se solo qualcuno me l’avesse mandata buona.
Se solo la fortuna fosse stata dalla mia parte per una volta.
 



*spazio autrice*
 
Praticamente ormai aggiorno o a inizio mese o a fine mese :) spero non ci restiate male per tutto questo tempo. Non so perché con questa storia ho più bisogno per scrivere, ma sarà il fatto che voglio scriverla bene u.u o magari perché la trama ancora sembra tentennare un po’; penso forse la prima opzione sia più fattibile. Mi piace scrivere su Jensen e tutta la sua famiglia, quindi mi piace scriverla bene una storia u.u quindi meglio prendersi il tempo, e scrivere qualcosa di decente, che pubblicare ogni settimana una paginetta e via giusto? :D
Comunque passando al capitolo, spero vi piaccia… mi è uscito un po’ di getto, e non so perché Jensen e Sybil si sia avvicinati così tanto. Mi sa che uno dei due sta capendo che non può fare a meno dell’altro :) o forse sono stata io a dettare loro cosa fare giusto? xD
La mia fantasia sembra essere un’altra me in versione umana che sa scrivere, e fa esperimenti su questa storia xD
Bhè è stato un po’ di passaggio, ma anche pieno di novità. La storia inizia a prendere forma, e spero che con i varii indizi che vi vado lasciando, possiate capire un po’ la vita burrascosa? (forse) di Sybil.
E che dire al prossimo capitolo, che già ho scritto e devo concludere, magari quello ve lo ritrovate tra una dozzina di giorni <3
Un grosso bacio, e GRAZIE PER IL SOSTENIMENTO E I MESSAGGI CHE MI MANDATE SEMPRE! *-* mi fate piangere ç___ç e mi motivate ogni giorni di più!
 
Un grosso bacio e abbraccio dalla vostra @Para_muse
 
P.S: Se non dovessi postare prima di ferragosto, BUONA VACANZA E BUONA FINE ESTATE! ;D

 
 
 
 
 
 
 
   
 
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