Riuscii
a
calmarmi, ma solo dopo diverse ore. Le parole di Leah ronzavano nella
mia
testa. Erano veritiere, sì. Ma la sua brutalità
mi aveva spaventata.
“Jake
stava bene prima di conoscere te. Tu
l’hai... distrutto. L’hai costretto a ribellarsi al
resto del suo branco. Il
suo amore per te è talmente grande che ha abbandonato i suoi
fratelli per
proteggerti. Per proteggerti e... per proteggere quella cosa
immonda!”.
Era
stato
orribile. E dov’era andato Jake? Quando sarebbe tornato?
Mi
dispiace, Jacob. Ritorna. Per favore.
Quando
gli
altri rientrarono, Edward li mise al corrente di quello che era
accaduto.
«Bella
non
dovrebbe essere sottoposta a questo genere di emozioni. Non le fanno
bene»,
disse Alice, preoccupata.
«L’ho
detto che dovevo farla a pezzi», commentò Rosalie.
«Non
sarebbe stata la cosa giusta. Avremmo peggiorato la
situazione», asserì Jasper,
cupo.
A
quel
punto sarebbe toccato ad Edward, Rose ed Emmett andare a caccia. Prima,
però,
mio marito informò la sua famiglia del fatto che era in
grado di sentire il
bambino. Finalmente lo chiamava “bambino”, non
più “la cosa”. Ero sollevata.
Il
bambino. Il nostro bambino.
«Una
buona
notizia», disse Alice. «É una buona
notizia, vero?».
Edward
annuì.
«Sì, lo è. Possiamo muoverci meglio,
ora. Senza contare che lui ci capisce.
Capisce cosa fa male a Bella. Sta cercando di... comportarsi
bene».
Sorrisi
e
accarezzai la mia pancia.
«Sei
convinto? », chiese Rosalie, ad un certo punto.
«Convinto
di cosa? Di che parlate?», volle sapere Alice.
«Sì,
penso
sia la cosa giusta da fare. Siamo stati sciocchi ad aspettare.
É troppo
rischioso», rispose Edward.
«Dov’è
Carlisle? », chiesi.
«É
rimasto
fuori», disse Alice. «Vuole recuperare un
po’ di sangue per te, Bella. Rientrerà
solo domani a mezzogiorno».
Un
attimo
di silenzio.
«Ho
bisogno di parlare con lui», disse Edward.
«É una cosa importante».
Già.
Edward voleva convincere Carlisle a far nascere il bambino proprio
l’indomani.
La trovavo una buona idea dato che ormai lui o lei non aveva
più spazio ed io
ero troppo debole per reggere fino al termine. Avevo paura, ma non lo
diedi
troppo a vedere. Speravo andasse tutto bene.
Le
mie
ultime ore da umana... Era strano pensarci.
Cosa
sarebbe accaduto dopo? Sarei stata davvero una neonata incontrollabile?
Sapevo
già
cosa raccontare a Charlie. Gli avrei detto che dovevo essere portata in
un
ospedale specializzato dall’altra parte del mondo. Dovevo
temporeggiare in
qualche modo. Forse, fra un anno o giù di lì...
l’avrei rivisto. Senza correre
il rischio di ucciderlo.
«Sei
sicuro, Edward?», domandò Alice, aggrottando la
fronte, quando lui le ebbe
spiegato cosa intendeva fare.
«Sì.
Non abbiamo
scelta. E’ troppo grosso, ormai. Cresce più in
fretta di quanto ci aspettavamo».
«Diamine,
allora Carlisle deve farlo», intervenne improvvisamente
Emmett. «Questo
nanerottolo sta diventando forte quanto me! Facciamolo uscire prima che
ciò
accada. Non voglio essere battuto da un neonato».
«Bene,
ora...», cominciò Rose.
«Andate
a
caccia. Io rimango con Bella», disse Edward.
«Edward,
no...», mormorai. «Ne hai bisogno...»
«Non
me ne
vado. Posso farcela. Sono abituato al tuo odore, Bella».
«Bene.
Allora resto anch’io», annunciò Rosalie.
«Rose,
non
hai niente da temere», disse lui.
«Forse
no.
Ma non si sa mai. E anch’io posso resistere».
Non
c’era
altro da aggiungere. Emmett dovette andare a caccia da solo.
«Mi
raccomando. Fa attenzione. Potrebbero esserci Sam e gli altri lupi in
giro», lo
avvisò Edward.
«Non
mi
fanno paura. Posso affrontarli tutti da solo, se necessario».
Nessuno
commentò.
«Tutta
la
selvaggina per me. Pancia mia fatti capanna!». Ed Emmett
schizzò via,
ridacchiando.
Il
suo
senso dell’umorismo mi aiutava. Risi anch’io e
persino Edward.
Poco
dopo
mi addormentai, esausta e quando mi risvegliai avevo fame... o sete.
Non sapevo
quale dei due termini fosse più corretto.
Bevvi
a
lungo, succhiando sangue dall’apposita cannuccia. Rosalie
dovette riempirmi più
volte il bicchiere.
Quando
Jacob tornò, accompagnato da Edward, che era uscito insieme
a lui per
spiegargli cosa sarebbe successo non appena Carlisle fosse rientrato,
stavo
ancora... bevendo. Mio marito gli aveva certamente chiesto anche della
deroga.
Una deroga al patto stipulato con Ephraim Black, il bisnonno di Jake.
Avrebbe
accettato? Sul suo volto bruno vedevo mille ombre. Emozioni che si
contorcevano
dentro di lui. Dolore, indecisione, speranza, collera.
«Bella, amore. Pensavo stessi dormendo», disse Edward, venendo vicino a me.
Gli
dissi
di non preoccuparsi. Avevo sete e per questo mi ero svegliata.
«Finalmente»,
disse Alice.
Jacob
si
fece avanti ed io gli sorrisi. Poi, ripensando a Leah, il mio sorriso
si
spense.
«Ehi, Bells. Come va?», chiese lui.
«Bene.
«Gran giorno oggi, eh? Un sacco di
novità.
«Non sei costretto, Jacob», dissi, sperando che questo alleviasse
un po’ il mio senso di colpa.
«Non so di cosa stai parlando», rispose lui. Si sedette accanto a me.
Io
non
smisi di fissare Jake. «Mi dis...»
Mi
chiuse
le labbra con un dito.
«Jake», mugugnai.
«Potrai parlare quando non dirai più
stupidaggini».
«Va bene. Non lo dico», promisi. Ma non appena lui tolse la
mano presi fiato ed esclamai: «Mi
dispiace». E
poi sorrisi.
Alzò
gli
occhi al cielo. Infine prese a guardarmi intensamente.
Alla
fine,
sospirò, si girò verso Edward come se intendesse
dirgli qualcosa di importante.
Non aprì bocca, ma vidi mio marito muovere le labbra, dopo
un attimo. Un
sibilo. Un paio di parole che non compresi.
«Allora», dissi,
cercando di mostrarmi tranquilla. «Com’è
andata la giornata?».
«Piacevole. Ho fatto un giro in macchina. Ho
passato un po’ di tempo al parco».
«Ah, bello», dissi, non proprio
convinta.
Una parte di me era sicura che avrebbe distrutto la Aston Martin
Vanquish solo
per fare un dispetto ai Cullen, a Rosalie in modo particolare. Invece
non era
stato così.
«Certo, certo», rispose
Jake, con un mezzo sorriso.
Tacqui.
Avvertii un bisogno impellente, l’ennesimo, che mi fece
arrossire. «Rose...»
Rosalie
ridacchiò. «Ancora?».
«Credo di aver bevuto sette litri in un’ora». E non era un eufemismo. La mia sete
aumentava. Temevano tutti che le scorte non fossero sufficienti. Per
questo
Carlisle sperava di racimolare qualche sacca di sangue in
più.
Rose
si
affrettò a cingermi con le braccia. Io, invece, chiesi se
potevo camminare.
Avevo davvero bisogno di poggiare i piedi per terra e sgranchirmi.
«Sei sicura?», chiese
Edward.
«Rose mi prenderà se inciampo. Cosa molto
probabile dato che neanche riesco a vedermi i piedi».
I
presenti
azzardarono un sorriso. La mia pancia era un pallone. Non sembravo
incinta di
nove mesi. Di dieci, forse. O undici. Mi sentivo goffa. Molto
più del solito.
Rose
mi
aiutò ad alzarmi e non appena fui in piedi stirai le
braccia. Che sollievo... I
miei muscoli erano indolenziti.
«Ah, ora sto meglio. Mamma mia sono enorme». Toccai la pancia. «Ancora un giorno...»
Notai
l’espressione rammaricata di Jake.
Mi
girai. «Tutto bene allora...»
E
combinai
un disastro. C’era da aspettarselo. La mia mano
urtò il bicchiere ancora pieno
per metà e il sangue rosso andò ad inzaccherare
il pavimento.
«Ops...»
Tre
mani
si allungarono per prenderlo, ma io istintivamente mi chinai, cercando
di
rimediare al porcile che avevo creato.
Allora
dentro di me qualcosa si strappò...
Sì,
si strappò letteralmente.
Udii
il
suono smorzato e una fitta di dolore che mi mozzò il respiro
per un istante.
L’avevano sentito tutti, quel suono. Jacob mi guardava,
allarmato. Rosalie
tratteneva il respiro, mentre mi sorreggeva. Alice non diceva nulla.
Era
paralizzata. Gli occhi dorati sporgevano dalle orbite.
«Bella?», mi chiamò
Edward.
Sgranai
gli occhi. Un dolore assurdo, terrificante esplose al centro del mio
ventre. Un
dolore inaudito.
Urlai.
Urlai talmente forte che Edward sobbalzò e restò
impietrito. Jake allungò le
mani come se volesse prendermi.
Non
vidi
più niente. Solo macchie nere e rosse. Sentivo le voci di
chi mi stava intorno,
ma si allontanavano sempre di più.
Il
bambino..., pensai,
sconvolta. Il bambino... Tiratelo fuori, vi
prego!
Era
allucinante. Non avevo mai provato nulla di simile in vita mia. Era
come se
qualcosa mi stesse sgranocchiando gli organi interni.
Un
attimo
prima di precipitare in un abisso più nero della notte, ebbi
il tempo di
pensare che il bambino non aveva più spazio. Stava cercando
di uscire, perché,
con il mio gesto, ossia chinarmi a raccogliere il bicchiere, gli avevo
tolto
quel poco spazio che aveva. Gli avevo fatto male, forse.
Oh!
Oh, vi prego! Tiratelo fuori!
Non
svenni. Non riuscivo a vedere niente, ma non persi del tutto
conoscenza.
Sentivo le voci, le grida. Il dolore.
«La morfina!», urlava qualcuno.
Poi...
«Alice, chiama Carlisle!».
Mi
sentii
sballottare. Gridai, o credetti di farlo.
Basta,
per favore. Basta! Non ce la faccio!
«Il bambino sta soffocando!».
«La
placenta deve essersi staccata!».
Voci
rotte.
Voci disperate. Tramestii e confusione.
Era
la
fine? Non ero sicura di poter resistere a tutto quel dolore. Era
pazzesco.
Sentivo anche il sapore del sangue in bocca. Quel tipico sapore
metallico. Avevo
l’impressione di scivolare via. Di scivolare verso un luogo
buio. Magari, in
quel luogo, non avrei provato tutta quella sofferenza. Mi sarei
lasciata
andare. Mi sarei adagiata e avrei ritrovato la pace...
No.
No,
non
potevo lasciarmi andare. Non potevo. Non dopo quello che avevo fatto
per dare
una possibilità a mio figlio, al figlio di Edward.
Dovevo
resistere. Dovevo ritornare a galla...
Resistere...
Dovevo resistere...
Dovevo
farlo per Rose, per mio marito, per Jacob. Per quello che loro avevano
sopportato per stare vicino a me. Dovevo farlo per Alice, che mi era
sembrata
sconvolta. Dovevo farlo per Carlisle, che si era occupato di me,
nonostante non
fosse d’accordo con la decisione che avevo preso. Dovevo
farlo per Esme, che
era stata dalla mia parte, dolce e premurosa, fin
dall’inizio. Dovevo farlo per
mio padre. Per Renèe. Per tutti. Tutti quanti.
Dovevo
farlo per EJ.
O
Renesmee.