Le strade di Las Vegas erano uno spettacolo fantastico di
notte, rigogliose di luce e di vita. Un fiume interminabile di insegne
colorate, persone di ogni genere e sorta che si riversavano fuori e
dentro gli
alberghi e i casinò. Un caos gioioso e terribile insieme.
Allo stesso modo anche la Hall dell’MGM era molto
affollata, e c’era un un gran fermeto.
Quando l’autista li ebbe lasciati all’ingresso un
facchino venne a prelevare le valigie.
Intravidero Lobo, vestito con un completo scuro e con un
auricolare nero nelle orecchie. Anche lui li vide, ovviametne, ma non
diede
alcun segno di averli riconosciuti.
Trovarono la prenotazione fatta a nome ti Thomas Hornett:
due suite adicenti. Tra le migliori di tutto l’albergo. E
anche tra le più
costose.
Salirono nelle stanze dove finalmente poterno darsi una
rinfrescata, dopo le 5 ore di volo.
Erano stanchi.
A Washington sarebbero state quasi le due di notte, ma a
Las Vegas erano appena le undici e dovevano mettersi subito
all’opera.
Jethor e Nikita, ovviamente dividevano una matrimoniale,
come due normali coniugi. Mentre Tony si godeva da solo la suite
accanto.
- Ho una fame terribile. Quelle schifezze che propinano
sull’aereo sono immangiabili. - Esordì lei,
uscendo da un bagno traboccante di
vapore. - Perché non chiami il servizio in camera? -
Era scalza, aveva un accappatoio bianco e un asciugamano
a mo di turbante sulla testa.
Per lei avere uomini intorno era assolutamente naturale, ed
era totalmente indifferente a quei consueti dogmi di riservatezza che,
normalmente determinano i rapporti di due persone adulte che si sono
appena
conosciute. Con ogni probabilità non si sarebbe fatta alcun
problema a
spogliarsi e cambiarsi di fronte a Jethro, se fosse stato necessario.
Questo atteggiamento, per certi versi, affascinava Gibbs,
ma per altri lo disorientava. Era a metà tra la
disibinizione totale e la
completa ingenuità.
Di certo Nikita era una donna abituata ad avere gli
uomini ai suoi piedi, ma in certi momenti sembrava comportasi come una
ragazzina spensierata, totalmente ignara delle reazioni che provocava
nell’altro sesso.
Di Leroy Jethro Gibbs tutto si poteva dire, ma certo non
che fosse indifferente al genere femminile! E li c’era una
bellissima donna che
fingeva di essere la sua devota moglie.
Quella situazione fece riaffiorare in lui molti ricordi.
Le lunghe notti delle missioni sotto copertura in Italia, quando era un
semplice agente, insieme a Jenny.
Un discreto brivido di eccitazione lo percorse.
- E cosa desidera mangiare la signora? - Il suo lato
galante si manifestava molto raramente, ma in quelle occasioni sapeva
essere
davvero irresistibile.
Kiki gli si avvicinò lentamente, e lui potè
carpire una
zaffata di profumo provenire dal suo corpo ancora umido per la doccia,
gli
sembrò vaniglia.
- Non saprei. Se devo dirla tutta, mangerei volentieri un
gigantesco piatto di pasta, una bistecca e una fetta di torta... Ma va a finire che poi non mi entra
più il
vestito che dovo mettere stasera! Quindi teniamoci sul leggero: un
“assiette de
fourmage” magari, o della frutta. -
Mentre si avvicinava aveva sciolto il turbante, lasciando
ricadere i capelli bangati e luicidi. Si fermò davanti a
Jethro. Nonostante
fosse a piedi nudi era alta quasi quanto lui.
Si guardarono intensamente per un istante, consci
dell’attrazione che provavano l’uno per
l’altra. Ma senza che nessuno dei due
dicesse niente.
Una posta secondaria si aprì di colpo riportandoli alla
realtà.
- Hei! Guardate, abbiamo le stanze comunicanti! - Tony
fissò perplesso l’imbarazzo dei due, e si rese
conto che aveva scelto un
pessimo momento per entrare.
Ma quella consapevolezza servì solo a farlo gongolare: il
pettegolezzo era una delle sue debolezze.
Nikita tornò di fretta nel bagno, frizionandosi i capelli
con l’asciugamano.
- Nessuno ti ha insegnato a bussare? - gli disse Gibbs
acido.
- Scusa, Capo. Stavo pensando di adare a fare un giro di
perlustrazione. Per... vedere se riconosco qualcuna delle persone che
abbiamo
visto nelle foto identificative che Nkita ci ha mostrato ieri.
Ovviamente. -
- Ecco bravo. Ottima idea. E ti serve il mio permesso,
per andarci?-
- No... certo che no Capo. Cioè, volevo solo avvertirti. Nel
caso mi aveste cercato... Non che voi abbiate bisogno di me.
Assolutamente. Non
penso questo... ma... -
Gibbs lo guardò in modo eloquente, interrompendo quel
flusso di parole senza senso.
- Certo Capo. Vado! - E scomparve chiudendosi la porta
lalle spalle. Gibbs alzò le braccia in un gesto esasperato.
Poi prese il
telefono e ordinò qualcosa da mangiare.
Attese alcuni minuti, durante i quali si cambiò
d’abito,
indossando una camicia pulita, un pantalone nero e una giacca
più elegante.
Prorpio mentre finiva di annodarsi la cravatta bussarono alla porta.
Andò ad
aprire e un cameriere portò un carrello nella stanza.
Dopo un secondo riconobbe Max, che, non appena entrato,
si allentò il papillon sbuffando.
- La stanza è sicura. Ho controllato prima che arrivaste.
-
Sentendo la voce familiare Kiki uscì dal bagno.
Perfettamente vestita e in ordine (certo che aveva fatto presto!).
- Che ci porti di bello Max? -
Il ragazzo sollevò il telo del carrello scoprendo un
altro ripiano, sul quale era riposta una grossa scatola nera di metallo.
- Con gli omaggi della casa. - disse tirandola fuori, e
poggiandola sul pavimento.
La aprì, rivelando il contenuto. Pistole di vario
calibro, coltelli, auricolari, microspie e altri begli oggetti di vario
genere.
- Questo si che si chiama servizio in camera. - si
complimentò Gibbs, prendendo senza esitazione una delle
pistole e inserendovi
un caricatore. - Ma da dove salta fuori tutta questa roba? -
- Abbiamo una piccola base di appoggio, da queste parti.
Per ogni evenienza. - gli rispose Max
- Essere sempre un passo avanti. Ottima filosofia. -
Gibbs caricò un colpo per verificare il funzionamento
dell’arma.
- Hai già trovato qualcosa di interessante? - Chiese
Nikita rivolta al suo uomo.
- Un paio di facce conosciute. Due francesi: Anicet Denise ed Èmile
Théo,
trafficano armi con la Tunisia. Si sono fatti passare per antiquari
canadesi. -
- In
che stanza alloggiano? -
- 7034
e 7036, un piano sotto di voi. Sto per andare a controllarle, sono
appena scesi
al ristorante. -
-
Ottimo Maximilian. Tra poco andremo al casinò e passeremo al
bar. Mi
aggiornerai li. -
Max si
congedò e uscì portando con se il carrello vuoto.
Gibbs
e Kiki sistemarono la scatola con le armi, nascondendola dentro una
valigia
vuota, e la riposero in un armadio.
Si
concessero alcuni minuti per spiluccare qualcosa dal vassoio che Max
aveva
portato loro. E durante i quali Gibbs ebbe modo di ammirare la mise
serale
indossata da lei, per quella sera: un vestito fasciante color bronzo
leggermente
scollato davanti, con lunghe maniche a sboffo. La gonna (strettissima e
notevolmente
corta) lasciva scoperte un paio di gambe lunghe e ben definite. Una
fascia
dello stesso colore del vestito le cingeva la gola. I capelli erano
raccolti
all’indietro, in maniera molto elegante, e i sandali avevano
almeno sette
centimetri di tacco a spillo.
-
Bene. Ho un paio di scarpe scomodissime, un vestito quasi indecente, ma
che ho pagato
una fortuna, un coltello legato alla coscia sinistra e ho messo
la
pistola nella borsetta, insieme al rossetto. Direi che possiamo andare.
-
Proclamò la donna sorridendo. - Che fine ha fatto Tony?-
- Ha
detto che sarebbe andato in “perlustrazione”. -
-
Scommetti che lo troviamo al casinò che beve un drink e
gioca a Black-jack? -
- No
che non scommetto. -
-
Perché hai di lui un’opinione migliore? -
-
No. Perché già so che perderei. –