Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Daniel Radcliffe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano ormai le cinque del pomeriggio e mi chiedevo se fossi riuscita a
prendere un libro in mano durante quella fredda sera di dicembre. Mi
trovavo , come mio solito, al “The Red Lion” al 48
Parliament Street, a Londra.
Vi chiederete come mai un’adolescente come me di 17 anni si
trovasse in una taverna di adulti, anziché trovarsi seduta
dinnanzi una scrivania a studiare o a praticare un hobby. Purtroppo non
mi sono mai state concesse queste cose, e ho sempre dovuto nascondermi
da Mr. Thompson nel caso volessi riuscire a farle. Ebbene si, lavoravo
in quel luogo da quando ricordavo di vivere, ed è stato
l’unico dove ho potuto trovare qualcuno che avesse avuto la
buona volontà di accogliere una bambina come me che non
aveva una famiglia.
Mi raccontano sempre che all’età di tre anni
bussai a questa taverna, e mi aprì Mr. Thompson, il
direttore del locale. Era un uomo sulla quarantina che aveva perso la
moglie in un incidente stradale, e forse proprio per questo non adorava
usare le buone maniere con qualcuno che gli si trovasse davanti ai
piedi. Continuavano a raccontarmi dicendo che avevo addosso solo
qualche straccio con buchi sparsi dappertutto. Non avevo segni o
oggetti che potessero dare un segno di un’ipotetica famiglia
che mi avrebbe abbandonata.
Ma quale famiglia? Non l’ho mai avuta. Solo ora che vi
racconto posso dire di avere una famiglia, ma ne parlerò a
tempo debito e ci sarà il momento in cui lo capirete.
Scorreva in fretta quel pomeriggio del 21 dicembre 2007 e non ero
ancora riuscita a studiare per il test d’entrata al college
che avevo il giorno seguente. Avevo scelto uno dei tanti, forse il
più economico, il “College London of EF”
. Si trovava a pochi minuti a piedi da Waterloo Station, dal London
Eye e dai teatri del West End, e potevo benissimo
raggiungerlo con facilità e in poco tempo. Di certo avrei
voluto, come ogni ragazza inglese della mia età, frequentare
l’ “Univeristy College” a Bloomsbury, il
più prestigioso dell’intero Regno Unito. Fu
fondata nel 1826, è stata la prima università
britannica ad ammettere studenti di ogni sesso, razza, fede religiosa o
ideologia politica. Dalla sua fondazione ad oggi, presso di essa hanno
studiato o insegnato molti personaggi illustri, fra cui Mahatma Gandhi
e 20 premi Nobel.
Purtroppo non potevo permettermelo, ma mi accontentavo lo stesso, o
forse, sono stata abituata ad accettare ogni cosa così come
la vita me la poneva. E un’altra cosa che non potevo
cambiare, era il fatto che potessi studiare solo quando avessi finito
di lavorare, verso le scure, buie e assonnate due della notte. Pulivo
piatti e calici di birra, asciugavo posate, servivo ai tavoli, e a
volte ero costretta da Thompson a fare compagnia ai vecchi e orrendi
signori che ne avevano bisogno. Fortunatamente potevo dire di non aver
ancora perso la verginità, e fu grazie alla mia migliore
amica, una delle migliori cuoche che avessi mai visto sulla faccia
della Terra,anche se avevo visto ben poco di quell’orribile
mondo; si chiamava Maggie, ed era una signora molto gentile e buona con
me, anch’ella sulla quarantina d’anni. E’
stata l’unica che mi è stata sempre vicina, nella
buona e nella cattiva sorte, e fu,come ho detto prima, proprio lei che
mi salvò una notte.
Ricordo che il locale stava per chiudere ed io mi trovavo a sorseggiare
wisky di puro malto a tavolino con un vecchio signore anziano. Mi stava
parlando dei tempi di guerra, di quando lui aveva combattuto insieme ai
suoi amici del campo militare a Dublino per salvare l’Irlanda
da una grande catastrofe. Sembrava un uomo così gentile, e
nei suoi occhi riuscivo a vedere la sofferenza di quegli anni in cui
ingiustamente ha dovuto prendere parte alla guerra. Con un sorso dopo
l’altro,la bottiglia di wisky finì. Il buon
signore mi sorrise e mi disse “tesoro puoi prenderne
un’altra?”. Annuivo e mi alzai dalla sedia per
andare sul retro del locale, mentre Maggie puliva qualche tavolo. Il
signore, accidentalmente,si alzò anche lui e mi
seguì camminando sulle punte a passo felpato. Io che ero ad
aprire un nuovo scatolone di bottiglie, ad un tratto mi sentii toccare;
mi girai di scatto, era quel signore. Sentivo tutto il sangue alla
testa e una paura enorme salire per tutto il mio corpo, mentre lui mi
stava spogliando in fretta. Intorno c’erano solo sospiri e io
non facevo altro che gridare aiuto, anche se nessuno accorreva. Ad un
tratto la porta del magazzino si spalancò: era Maggie.
Sferrò subito un pugno contro il signore e lo
lasciò cadere a terra, poi mi guardò e mi disse
“fidarsi è bene, non fidarsi è meglio!
Vai in camera,me la sbrigherò io qui. Siamo
all’ora di chiusura forza sali.”
Senza fiatare obbedii a ciò che disse e salii al piano di
sopra, in quella che era la mia stanzetta. Vi era una barella per
dormire,una valigia che usavo come “armadio”, una
piccola scrivania e tanti libri poggiati a terra. Ciò che
successe quella sera, è rimasto sempre nella mia mente, che
allora era di una bambina undicenne.
Ritornando alla mia vita di una “forse-quasi
universitaria”, non pensavo di poter riuscire a studiare quel
giorno, e dovevo tenermi pronta a salutare quella tanto desiderata
carriera al college. Così decisi di prendere in mano,
all’insaputa di Thompson, un libro che avevo da tanto tempo
tra le mani, che adoravo in un modo pazzesco, ma che ancora non ero
riuscita a terminare. Nonostante la mia età leggevo molti
libri fantasy e più di tutti Harry Potter e il principe
mezzosangue.
Potrete prendermi per pazza per il semplice fatto che decisi di
dedicarmi alla lettura di quel libro invece che allo studio. Si,
prendetemi per pazza, ma voi non sapete cosa vuol dire studiare con il
caos totale, non sapete cosa vuol dire essere rimproverata quando si
cerca di studiare. E ora vi chiederete ancora, se il mio padrone mi
vieta di studiare, come può permettermi di leggere un libro?
Beh mi lasciava leggerlo ogni tanto, ed io accettavo volentieri.
Proprio quel giorno lo tirai fuori dalla mia valigia, e tra il servire
ad un tavolo e servirne un altro, leggevo qualche pagina, ed entravo in
un mondo solo mio, dove esistevamo solo io e il protagonista, Harry
Potter.
Molti signori mi guardavano stupiti, come se per loro fosse difficile
leggere e allo stesso tempo servire ai tavoli. Distrattamente feci
cadere una forchetta sul pavimento. Mr. Thompson accorse
immediatamente, quasi se come quel rumore gli fosse giunto
all’orecchio come lo scoppio di una bomba. Le sue scarpe
rimbombavano e improvvisamente me le ritrovai davanti ai miei occhi,
mentre cercavo di rialzare la forchetta. Deglutii per la paura,sapendo
di certo cosa sarebbe successo in seguito. Mi alzai lentamente e chiesi
umilmente perdono, come se ciò che avessi fatto fosse un
grave reato.
Mr. Thompson mi sputò in faccia non appena mi alzai e poi mi
disse “se ti vedo solo un’altra volta leggere
queste idiozie, ti mando dritto al cassonetto della spazzatura qui
fuori, capito mocciosa? Anzi! Dammi questo
libraccio!”. Senza esitare glielo porsi, e lui
violentemente me lo strappò di mano, facendomi una smorfia
arrogante. Lo sfogliò per tante volte, poi lo rigirava sotto
sopra, a destra, a sinistra, come se volesse capire cosa
c’era scritto. Non era un uomo di gran cultura, e , a dire la
verità, non aveva mai imparato a leggere,perciò
detestava i libri. Riusciva a stento ad usare una calcolatrice per fare
i conti a fine giornata.
Mentre rigirava quel libro cercava qualcosa nella tasca destra dei suoi
pantalacci stracciati, e alla fine riuscì a trovarla: era un
accendino.
Premette tante volte il piccolo grilletto,e riuscì ad
accenderlo. Cominciò a dare fuoco a quel libro, mentre io
piangevo lievemente senza farmi notare. Vedevo la copertina sciogliersi
e sparire man mano lasciando un odioso odore di diossina, vedevo le
pagine volare via e diventare cenere. Ad un certo punto si
fermò e lasciò cadere a terra tutte quelle carte
bruciate.
Stavo malissimo, quell’uomo orribile aveva appena distrutto
un sogno che vivevo ad occhi aperti, quello di leggere un libro
stupendo. Probabilmente non venni a sapere come finì quella
fantastica storia.
Andai a prendere scopa e paletta per raccogliere quel cumulo che ormai
era diventato spazzatura, e scoprii che tra le pagine bruciate, vi era
rimasto salvo un pezzetto. Sopra vi era scritto il nome del mio mito,
di colei che ha dato origine ai miei sogni. La donna a cui devo la
vita, la donna che porta il mio stesso nome …
Grazie mille, a lei, a Joanne Katrine Rowling.
Il mio povero cuore fece un balzo, come se fosse caduto sul fondo di un
enorme precipizio, come se avesse perso parte di lui, e così
fu.
Ma oramai ero abituata a cose del genere che accadevano
frequentemente,e a mio dispiacere, non potevo neanche ribellarmi,
perché nessuno, neanche Scotland Yard ,sarebbe stato in
grado di credermi, e poi ciò che vivevo era
l’unica famiglia che mi rimaneva.
Dopo aver raccolto quella robaccia da terra, Mr. Thompson mi
obbligò a chiudermi nella mia piccola stanzetta al piano
superiore alla taverna. Che bella notizia, almeno potetti avere un
minimo di speranza per riuscire a studiare.
Mi avviai verso la scaletta a chiocciola situata sul retro del bancone,
mentre la gente seduta al tavolino parlottava e spettegolava su come Il
direttore del locale spendesse i soldi che guadagnava anche al di fuori
dei locali notturni aperti nel week-end. Lo detestavano, eppure spesso
e volentieri si accomodavano a quei tavoli e si alzavano fin quando non
erano in stato di ubriachezza totale.
Cominciai a salire quelle piccole scalette e ogni gradino mi sembrava
così enorme e impossibile da raggiungere, come i miei sogni.
Giunsi a quella piccola stanzetta e chiusi la porta alle mie spalle.
Ebbi ancora davanti agli occhi quella camera che, pur essendo
squallida,mi dava tranquillità e,in quel momento, la
possibilità di studiare.
Sedetti a quella piccola sedia e presi da terra un librone enorme:
“Storia del movimento psicoanalitico” di Sigmund
Schlomo Freud, uno dei personaggi più famosi che siano mai
nati in questa meravigliosa città.
Il mio primo esame per entrare alla facoltà di psicologia si
sarebbe basato sugli ideali di quel libro.
Qualche altro ragazzo a Londra era già a
sfogliarlo velocemente per dare una ripassatina, preparatissimo per il
giorno dopo. Io avevo solo letto il titolo, mentre quelle 923 pagine
erano rimaste dritte senza una piega, senza essere mai sfogliate.
Cominciai a leggere. Erano le otto di sera e mi chiedevo continuamente
se fossi riuscita a finirlo per le otto del mattino seguente. Sentivo
le voci orribili di quella gente che al piano di sotto: ridevano,
bevevano, sparlavano, sbattevano i calici sui tavoli, fumavano
Marlboro, cantavano canzoni volgari, o salivano alle camere del piano
di sopra con belle donne.
Non sembrava reale ciò che vivevo, sembrava il destino
orribile di una ragazza che avesse vissuto alla fine dell’
ottocento inglese. Purtroppo vivevo nel ventunesimo secolo, e purtroppo
a Londra c’era ancora gente del genere, nonostante agli occhi
di tutto il mondo sembrasse una città così
perfetta, ordinata e funzionante, ma non lo era del tutto.
Pensavo e ripensavo al fatto che non avessi una vita normale, al fatto
che fossi invisibile per gli altri, al fatto che il mondo non sapesse
che io fossi venuta al mondo, al fatto che tutta la mia adolescenza mi
fosse stata privata in modo spudorato e spregevole. E cosa sarebbe
stato il mio futuro? Cosa sarebbe successo nel seguito della mia vita
che sembrava non avesse un buon fine?
Capii che neanche Freud potesse rispondere a quelle domande,e alla fine
decisi di continuare a leggere.
Un capogiro, il sonno, o un mal di testa … Non capii cosa mi
successe all’improvviso … qualcosa mi
portò a poggiare la testa sul libro e a chiudere gli occhi,
per poi riaprirli il giorno dopo alle sette e trenta, quando il sole
illuminava i cieli di Londra in una nuova giornata che stava prendendo
forma e vita.
Alzai la testa e guardai la pagina del libro a cui ero riuscita ad
arrivare: ottantasei.
Diedi un calcio alla scrivania, anche se dopo il dolore alla caviglia
me ne fece pentire amaramente. Tirai fuori dalla mia piccola valigia il
maglioncino rosa che mettevo nelle occasioni speciali, e dei jeans che
usavo tutti i giorni. Mi vestii e aggiustai quei lunghi capelli ricci.
Sgattaiolai velocemente al piano di sotto attraverso quella piccola
scaletta a chiocciola, attraversai la sala della taverna vuota, e
finalmente potei uscire. Erano settimane che non respiravo
l’aria di Londra, così pura, così
adorabile, nonostante fosse gelata in quella giornata di dicembre in
cui tutti si stavano per preparare alla vacanze natalizie.
Camminavo, guardando le vetrine addobbate , vedendo i bambini
sorridenti passeggiare per i marciapiedi con i loro zainetti e chiedere
ai genitori “mamma, papà, quando viene Santa
Claus?”, ammirando le ghirlande e le mille luci colorate che
ricoprivano gran parte dei magazzini e dei grandi palazzi, ascoltando,
passando di negozio in negozio, le canzoni natalizie o addirittura
quella di John Lennon che tutti adoravano.
Ad un tratto quel momento di felicità dovette svanire in un
lampo, quando i miei occhi incrociarono in lontananza le lancette del
Big Ben che segnavano quasi le otto.
Mi affrettai per girare verso Waterloo Station, London Eye, e infine i
teatri del West End.
Ad un tratto davanti ai miei occhi piombò il
“College London of EF”, con la sua struttura
abbastanza antica, le sue finestre bifore in stile gotico, e il suo
colore marroncino chiaro, che mi davano tanto l’impressione
di un mondo in cui avrei voluto sempre vivere, quello che sognavo e che
ho smesso di sognare la sera precedente, dopo che Mr Thompson lo ha
distrutto.
Salii quelle scalinate velocemente, per poi ritrovarmi in un enorme,
illuminato da una calda luce soffusa, attraversato da echi di voci di
ragazzi che parlavano o dei loro passi, affrettandosi a giungere
l’aula dell’esame.
Per un attimo rimasi imbambolata ad ammirare l’ambiente che
mi circondava, e solo dopo mi resi conto che anche io ero in quel luogo
per sostenere un esame.
Cominciai a correre verso l’aula magna principale, situata al
piano superiore. Dovetti salire in velocità ancora altri
gradini, mentre cercavo di leggere qualche altra pagina del libro.
Urtai qualcuno, un ragazzo, facendolo inciampare. Ricordo che aveva in
mano il mio stesso libro,ma non ne notai bene il volto o il fisico.
“Scusami!” gli dissi ansiosa e preoccupata e poi
continuai “… è che questo esame deve
avermi proprio sconvolto”. Sentivo i suoi occhi su di me,
anche se non ero ancora riuscita a guardarlo. Rimasi immobile su quel
gradino, guardando il vuoto, e aspettando che lui si rialzasse e si
rimettesse in sesto.
“Allora tutto bene?” gli chiesi. “Sto
bene non preoccuparti. Comunque farai bene a salire in
velocità, l’ispettore d’esame sta per
chiudere i portoni dell’aula magna.” Mi disse
mentre raccoglieva le sue cose sparse per i vari scalini. “E
perché allora tu sei qui?” chiesi ancora.
Non ebbi tempo per ascoltare la risposta, dopo che qualcuno disse
“Joanne Katrine Rowling è assente?”
Spalancai gli occhi, e mentre salivo gli ultimi scalini gridai
“Eccomi! Sono presente!”
Mi catapultai in aula magna, e presi posto al secondo banco della fila
centrale, dinnanzi alla cattedra dove erano seduti tutti gli ispettori
d’esame. Davanti a me due fogli spillati e una penna. Posai
il libro sotto il banco.
“Potete iniziare, avete due ore a disposizione a partire da
… adesso!” disse l’ispettore principale,
girando una clessidra sottosopra.
Misi penna su carta,e cominciai a rispondere alle domande, o almeno, a
quelle che conoscevo.
Non ero riuscita a d aprire libro quella notte … e ancora
per l’ennesima volta mi chiesi se fossi riuscita a superare
l’esame ed entrare nel college …
E poi … Quel ragazzo?