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Autore: Colley    09/08/2013    2 recensioni
Lui ride. Ride sempre. Ho per caso i pupazzetti in faccia, io?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I: Hayley

 

Le scale della mia palazzina sono ricoperte da uno strato di polvere. Una volta il pavimento era bianco. Non saprei dire che tonalità di bianco, non sono brava con i colori. Ma una cosa la so: era bianco. Anche il corrimano non scherza! Si notano le manate della vecchietta del terzo piano che, sfortunatamente, deve poggiarsi su quel lurido pezzo di legno per salire.
La sporcizia. È una cosa che non sopporto. Be’, a dirla tutta, casa mia non è da meno, ma non per mia volontà.
Il fatto è che vivo da sola. Ho solo diciassette anni, ma è così. Anche se, la maggior parte del tempo, lo passo fuori casa.
Il mio appartamento è piccolo, ma abbastanza spazioso per una persona. Il salone è la parte che preferisco. C’è un tavolo rotondo al centro, perennemente ornato da un vaso di fiori -secchi, tra l’altro- che attira subito l’attenzione di chi ci entra per la prima volta. Ma io, che qui ci vivo da molto tempo, sono affascinata da altre cose. Come ho detto, il salone è la parte che preferisco.
Sul tardo pomeriggio, la luce rossa del tramonto entra dalla grande finestra e inonda la stanza di colori. La tappezzeria rosa confetto si accende e sembra che tutto vada a fuoco. E il vetro della libreria riflette l’arcobaleno. Il momento perfetto per leggere un libro, bevendo una bibita fresca.
Entro nella mia camera, trovo il solito ordine: la scrivania, la cassettiera accanto alla finestra, tutto perfetto. L’unica cosa che uso, qui dentro, è il letto. E, infatti, è puntualmente disfatto. Ma poco mi importa. Nessuno metterà mai piede in questa stanza.
Poso la borsa a tracolla sulla sedia e appendo il cappotto all’attaccapanni sgangherato dietro la porta.
Mi fermo un attimo a guardare l’insieme. È terribilmente deprimente. I colori di questa camera, intendo. Persino la carta da parati è sbiadita.
Faccio spallucce. Nessuno entrerà mai qui. Mi chiudo la porta alle spalle e mi dirigo verso il bagno.
Dicono che la camera rispecchi la personalità di chi l’ha arredata, ma, credetemi, di mio, lì dentro, non c’è niente! Forse solo i vestiti.
Non so di chi sia questa casa. Non so se era stata abbandonata o se appartiene a qualcuno. Non so niente. Quando mi hanno detto che avrei dovuto viverci, mi sono limitata ad annuire. Avevo tredici anni.
I miei sono morti per cause ancora ignote. Alcuni parlano di un’aggressione… fatto sta che io sono stata affidata a dei tizi, i Mclain, che dicevano di essere vecchi amici di famiglia.
I coniugi Mclain sono sempre stati gentili con me. Loro mi hanno dato l’appartamento. Ma non possono vivere qui perché devono controllare il branco. Tutto il branco.
La loro villa -spesso luogo delle nostre riunioni- si trova al confine sud di Detroit, in mezzo al bosco. Poco più giù c’è un paese, Whitechapel.
Detroit non è un cattivo posto dove vivere, se sai chi frequentare. Io, però, sono nata in Inghilterra. Solo poi ci siamo trasferiti qui.
Dopo essermi fatta una doccia, mi dirigo in cucina. È un piccolo corridoio con un lavandino, il frigorifero, la dispensa con sopra il microonde e un tavolino di plastica. Alla fine, come in tutte le altre stanze, c’è la finestra.
Il frigorifero, come al solito, è vuoto. L’idea di una pizza comincia a ballonzolarmi nella testa. Se non ricordo male, ho abbastanza soldi per comprarmela. Ma andarci da sola è deprimente.
Attraverso il salone e torno in camera mia, alla ricerca del cellulare nella borsa. Scorro la rubrica fino ad arrivare alla s di Sam. È il mio migliore amico.
Faccio per chiamarlo, ma lui mi anticipa.
-Sam! Stavo per…-
-Hay, non c’è tempo. Ascoltami!- mi interrompe, frettolosamente.
-Che è successo?- chiedo, sapendo che tra poco, dovrò uscire di nuovo.
-Devi andare alla villa, ora. Christopher vuole parlarti.-
Un brivido mi persale la schiena. -Che ho combinato adesso?-
Io non sono la persona più affidabile del gruppo. Agisco spesso d’istinto, il che fa infuriare Christopher. Ma poi facciamo pace, grazie alla capacità di diventare così stupida, da far ridere tutti.
-Non lo so, dicevano che era urgente.-
-Pizza?- il mio stomaco ha cominciato a brontolare e, quando ho fame, non c’è nulla che possa impedirmi di procurarmi del cibo.
-Che?- la sua voce è alquanto spiazzata.
-Vuoi accompagnarmi a prendere la pizza?- mi guardo le unghie, pensando di mangiarle…ma non so come si fa.
-Ma tu devi…okay,- si arrende, sapendo che avrei prima riempito lo stomaco -arrivo subito. Da May Pizza?-
-Da May Pizza.- confermo, come se avessimo altra scelta.
Arraffo la borsa e mi dirigo verso la porta lasciando, per la millesima volta, quella casa.
La pizzeria non è poi così lontana, solo un paio di isolati. Pensandoci bene, Sam ha la macchina. Potrei chiedergli un passaggio fino alla villa di Christopher ed Eleanor, i coniugi Mclain.
Il sole se ne è appena andato e i lampioni cominciano ad illuminare la strada. Quando arrivo alla mia meta, noto la folla che intasa quel pezzo di marciapiede. Il che scoraggia la mia fretta.
L’odore di pizza appena sfornata risveglia la fame e mi sento svenire. Per fortuna scorgo Sam.
Le luci al neon schiariscono i suoi capelli biondi, che diventano platino. Sono pettinati come al solito, alla Justin Bieber. Ha due occhi mozzafiato: blu cobalto. Credo di non aver mai visto degli occhi così belli. È strano per un essere umano, figuriamoci per un licantropo!
-Dovresti sbrigarti, se non vuoi che Christopher si infuri con te!- afferma, sorridendo.
-Sei quasi credibile!- gli do una pacca sulla spalla -Cosa pensi dovranno dirmi?-
-Oh, non ne ho la più pallida idea!-
Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa di interessante, mentre la fila avanza.
-Be’, spero che sia qualcosa di importante. Sai che odio mangiare in fretta!-
Lui ride. Ride sempre. Ho per caso i pupazzetti in faccia, io?
Ordiniamo due pizze margherita, divorandole in pochi secondi. Il tempo di una coca cola, e siamo subito in macchina, diretti alla villa dei Mclain.
La strada non è asfaltata e, in alcuni punti, c’è il rischio che la macchina resti bloccata nel terriccio. Qua e là spuntano dei pini -secolari, credo- sotto i quali, di giorno, i bambini giocano.
Andando avanti, gli alberi si fanno più fitti. È qui che inizia il territorio dei Mclain. Non ci viene mai nessuno, a parte noi del branco. E, qualche metro più in là, si intravede il tetto marrone scuro della casa.
Arriviamo, finalmente, nel cortile della villa, dove Sam può parcheggiare la macchina.
Le mura bianche spiccano, circondate dagli alberi, e le grandi vetrate mostrano gran parte dell’arredamento barocco di quella casa. C’è solo una luce accesa, quella della sala da pranzo. Immagino stiano mangiando.
Quando scendo dall’auto, i miei piedi atterrano sulla ghiaia, bianca come le mura, che ricopre tutto il cortile.
Saliamo le scale del patio e tiriamo il campanello. Sì perché, in questa villa, il campanello è una corda che pende dalla tettoia. Insolito, direi.



Written by: happayness

 

  
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