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Autore: venerdi 17    09/08/2013    3 recensioni
Il mondo, tu, stretto in una mano, la mia.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nel precedente capitolo vi avevo scritto che ne mancava solo uno prima di dover salutare Reb e Russel, beh, spero di farvi cosa gradita dicendo che invece ne manca un altro, e che quindi il penultimo è questo. Tra l’altro è anche bello lungo e pieno di sorprese.
Buona lettura,
V.17
 
*************************
 
CAP. 39 - PENSO POSITIVO
 
Uscire dal metro quadro
dove ogni cosa sembra dovuta,
guardare dentro alle cose
c’è una realtà sconosciuta,
che chiede soltanto un modo
per venir fuori a veder le stelle
e vivere l’esperienze sulla mia pelle,
sulla mia pelle.
 
Jovanotti
 
**
 
Sabato 16 Febbraio 2013
 
«Piantala e stai fermo se non vuoi che ti buco» rimprovero Russel anche con lo sguardo, perché smetta di tirarmi i capelli che ho raccolto in una treccia che mi ha tirato in avanti su una spalla e, mostrandogli minacciosa quanto è appuntita la spilla che tengo in mano, lo osservo spazientita sollevando un sopracciglio, attendendo che si decida a star fermo.
«Okay» finalmente si arrende e scatta sull’attenti. Il tintinnio degli speroni allacciati agli stivali che indossa, mi provoca un brivido alla nuca che mi costringe a socchiudere impercettibilmente gli occhi per ritrovare la concentrazione necessaria, perché anche se ciò che devo fare è decisamente semplice, fin da quando ho cominciato a guardare i maschietti non più come compagni di giochi infantili, ho sempre associato questo suono a vagonate di testosterone che si riversano su di me sommergendomi totalmente e azzerando la mia capacità di concludere un solo pensiero sensato. Questo è forse il vero motivo per cui amo così tanto i film western, ma mi vedrò bene dal confessarlo a Russel, perché, geloso com’è, rischierei di veder sparire in un batter d’occhio la mia amatissima collezione di dvd (per primo, probabilmente, il cofanetto di tutta la raccolta di quelli con Clint Eastwood), e non soddisfatto, sono sicura che cancellerebbe anche la sintonizzazione dei due canali a pagamento che trasmettono western ventiquattro ore su ventiquattro. In poche parole: non mi permetterebbe di vedere un solo film di quel genere per tutto il resto della mia vita. E piuttosto che rinunciare alla mia dose di virili maschi a cavallo armati di pistole e fucili, con le labbra talvolta serrate attorno a un sigaro, magari che si sfidano a duello su strade polverose, lanciandosi occhiate infuocate, sarei anche disposta a farmi tagliare un braccio.    
Cerco con tutta me stessa di ignorare il brusio che ho in testa e che mi confonde, così come l’ennesimo brivido che è solo uno dei tanti che mi sta attraversando la schiena fin da quando Russel è sceso dalle scale con addosso il costume da sceriffo che gli ho fatto confezionare, e che finalmente ho potuto vedere su di lui. Non mi sbagliavo, sapevo che sarebbe stato un perfetto, sexy, affascinante, sceriffo del Far West.
«Dai, sbrigati ad appuntarmi quella spilla o faremo tardi. Non vorrai arrivare in ritardo proprio tu che hai avuto l’idea di fare questa festa in maschera?» mi incita, ridacchiando e tirandomi ancora la treccia.
Già, e se non fossi riuscita a convincere Luca, forse sarei stata disposta anche a proporti una serata un po’ diversa, ma è molto meglio così, almeno posso godere di te e di tutto il testosterone che trasuda da ogni tuo poro, mantenendo comunque integra la mia dignità.
Lo ammonisco con lo sguardo e, sistemandomi la lunga treccia dietro la schiena, afferro il suo gilet di pelle strattonandolo «Appuntarti la spilla è una specie di rito per me. Quindi fai la persona seria, almeno per un minuto»
Sono mesi che desidero farlo, non può rovinarmi questo momento proprio adesso, continuando incessantemente a sfottermi per l’abito che ho scelto di indossare.
Mi sistemo le pistole sui fianchi, perché il cinturone pesante continua a spostarsi a ogni mio movimento, e, pizzicando la lingua tra i denti, stringo in una mano il gilet «Stai fermo, o rischio di bucarti, e se dovesse succedere finiresti per sgonfiati, pallone gonfiato»
«Non è colpa mia se vestito così sono un gran figo» ribatte, sollevando il petto e infilando i pollici nel suo cinturone.
Sto per rispondergli che non lo sarà mai quanto Clint, anche se io e i miei ormoni, che stanno facendo la ola ininterrottamente fin da quando ho sentito gli speroni mentre scendeva di sotto, non la pensiamo affatto così, ma intercettando il mio sguardo critico mi anticipa affrettandosi ad aggiungere «E non negarlo, so perfettamente che effetto ti faccio vestito così» e accompagna le parole con una presa salda alla mia nuca scoperta, per bloccarmi e baciarmi fino a rubarmi il respiro. Il sospiro che faccio sulle sue labbra, quando si stacca raddrizzando la schiena per rimettersi sull’attenti, mi tradisce ancora una volta, dimostrandogli che ha ragione. Ormai è un dato di fatto che non riesco a nascondergli praticamente niente di quello che provo.
Sbuffo scocciata per il suo sguardo spavaldo che mi rimescola lo stomaco, nonché il basso ventre, e, schiarendomi la voce, foro la pelle del sue gilet con la spilla «Dovresti sentirti onorato di essere insignito del titolo di sceriffo della Contea di Little Mermaid» dico, leggendo la scritta sopra la stella dorata mentre chiudo il gancetto. Perfetto, ora è davvero perfetto, penso sollevando gli occhi per guardarlo, mentre si cala un altro po’ il cappello da cowboy in testa.
Certo, che ora che il suo costume è completo, chi ha più voglia di uscire. Lo sapevo che vestito così sarebbe stato da urlo. Se non avessi stressato Luca per giorni per convincerlo che doveva dare una festa in maschera al club, e solo perché volevo una valida scusa per poter vedere Russel vestito così, insistendo soprattutto sul fatto che se fossimo stati a Milano, saremmo andati sicuramente insieme da qualche parte per festeggiare l’ultimo giorno di carnevale, questa sera la farei sparire io la chiave di casa, mi si è diffuso un tale calore addosso che sarei in grado di fonderla stringendola in una mano, così saremmo costretti, per modo di dire, a rimanercene qui dentro finché a qualcuno che non si fa gli affari propri non venga l’idea di chiamare i pompieri per sfondare la porta e verificare se siamo vivi o morti. Io forse viva non lo sarei, non dopo giorni e giorni di sesso con lui, soprattutto non dopo averlo visto vestito da sceriffo. Se sono sopravvissuta la settimana in cui ce ne siamo stati chiusi in casa dopo che aveva terminato le riprese del film a New York, questa volta mi darebbe il colpo di grazia, perché sarà anche vero che ne sono uscita viva, ma solo per miracolo, e comunque mi ci sono voluti altrettanti giorni per riprendermi del tutto.
Deglutisco, osservando i suoi occhi blu che ammiccano maliziosi sotto al cappello perché sicuramente ha captato i miei pensieri e, dandomi un contegno, mi consolo ripetendomi ancora una volta che tra qualche ora potrò aspettarlo a letto dopo che gli avrò ordinato di salire in camera con solo il cappello e il cinturone addosso.
Cercando di stemperare i bollenti spiriti, sfioro con i polpastrelli la stella «Sei stato carino a farci scrivere Contea di Little Mermaid»
«E tu saresti stata molto carina vestita da Sirenetta» dice stringendomi la vita e sollevandomi da terra. Incliniamo entrambi il viso e ci baciamo sotto al suo cappello. Ed ecco un altro brivido, chissà quanti saranno quelli che attraverseranno il mio corpo prima della fine di questa serata.
«Il vestito da Sirenetta sarebbe stato troppo stretto e scomodo, così posso muovermi meglio, anche perché stasera ho voglia di ballare, soprattutto con un certo sceriffo» dico, circondandogli il collo mentre gli faccio l’occhiolino.
«Allora potevi vestirti da Crudelia»
«Beh, sarebbe stato divertente, ma purtroppo non sono riuscita a trovare novantanove cuccioli di dalmata per farmi una pelliccia per stasera» ironizzo «E poi volevo due pistole anch’io»
«Oh, ma io ti batto, perché ne ho tre» risponde, strizzandomi il sedere con una mano e premendo contro di me la… ehm… terza pistola.
«È carica» affermo dopo una veloce verifica.
«Carica e pronta a sparare» risponde a bassa voce.
«Beh, Mister Colt, mi dispiace ma dovrai aspettare un po’ prima di poter premere il grilletto, perché dobbiamo andare» dico, non riuscendo a nascondere del tutto la delusione che leggo anche sul suo viso.
«Quindi sei assolutamente convinta di uscire vestita cosi?»
Sospiro esasperata e appoggio la fronte contro la sua spalla «Ti prego, non puoi avermelo chiesto davvero un’altra volta. Credo che questa sia almeno la quarta da quando mi sono vestita»
«Beh, vestita mi sembra una parola grossa»
«Oddio, Russel, ti prego. Non puoi essere così petulante a causa di un semplice paio di shorts»
«A causa di un semplice e praticamente inesistente paio di shorts, vorrai dire»
«Per quanto ancora pensi di stressarmi perché ho scelto di vestirmi da Lara Croft?»
«Fino a che non ti deciderai a metterti dei pantaloni lunghi, e magari anche una maglia larga con le maniche»
Mi divincolo tra le sue braccia e lui mi mette a terra.
«Con Luca abbiamo pensato che sarebbe stato divertente venire alla festa io vestita da Lara Croft e lui da Ezio Auditore» rispondo scrollando le spalle mentre mi osservo. Ci siamo divertiti così tanto a scegliere le foto su internet e a fare le prove a lavoro, ed entrambi siamo assolutamente soddisfatti del risultato. Solo un cocciuto uomo delle caverne come Russel non può capire quanto impegno ci abbiamo messo sia io che Luca per far confezionare in tempo record, non solo il suo e i nostri costumi, ma anche quelli di tutti i nostri amici.
«Avrei preferito il contrario, così invece di avere addosso solo quel top e gli shorts, ora saresti coperta da capo a piedi dal mantello»  
«A proposito di pistole» cerco di cambiare discorso, sapendo perfettamente che se non lo distraggo, continuerebbe a ribattere fino a farmi passare la voglia di uscire vestita così «Sai che la Colt è una rivoltella a sei colpi?» chiedo con aria saccente, indicando le due pistole finte ai suoi fianchi «Quindi, facendo un rapido calcolo, sei per due fa dodici. Ben dodici colpi» dico, sgranando gli occhi per fargli capire che sott’intendo tutt’altri colpi. E lui, sorridendomi ironico, afferra al volo il vero significato della mia frase.
«Sì» risponde, poi apre la porta di casa e mi indica di uscire, dopo avermi affiancata la richiude e mi prende una mano «Però ti sei sbagliata» aggiunge, mentre camminiamo nel corridoio. Lo guardo dubbiosa, non capendo cosa posso aver detto di sbagliato, perché sono assolutamente certa, sia che una Colt è una pistola a sei colpi, e ancora di più che due per sei fa dodici.
«Cosa avrei sbagliato?» chiedo, premendo il pulsante dell’ascensore.
Da dietro si china a sussurrami all’orecchio «Ti sei scordata di una pistola. Quindi i colpi sono diciotto»
Scoppio a ridere «Non ti starai sopravvalutando troppo?» chiedo voltandomi a guardarlo, mentre la porta dell’ascensore si sta aprendo «Già dodici sono una quantità di colpi improponibile, ma diciotto è assolutamente impossibile. Anche per te» sottolineo.
Solleva un sopracciglio e, con un’abile mossa da pistolero navigato, abbassa il cappello sorpassandomi e entrando in ascensore. Senza che riesca a impedirlo, i miei occhi scendono subito a guardargli il sedere, che pur considerandolo al pari di un’opera d’arte fin dalla prima volta che mi sono concessa di osservare attentamente, mai come adesso ho desiderato così tanto di afferrarlo e stringerlo tra le mani, perché è fasciato dai pantaloni in pelle nera che barando sulle sue misure ho fatto confezionare leggermente più stretti del necessario, tanto che mentre li indossava l’ho sentito lamentarsi non poco dal piano di sopra, mi ha anche gridato che doveva esserci qualche errore perché gli tiravano troppo sul davanti, e io, guardando verso l’alto, e sentendo le gambe molli mentre già mi pregustavo il momento in cui l’avrei visto scendere da là sopra, gli ho gridato, mentendo spudoratamente, che dopo averli portati un po’ si sarebbero allentati. Ho barato anche sulle misure del suo torace, così anche la camicia nera gli sta incollata addosso come una seconda pelle.
Rimango immobile osservandolo da capo a piedi, compiacendomi con me stessa per l’effetto ottenuto dall’insieme del suo abbigliamento, e anche perché so che quello che è nascosto sotto ai suoi vestiti, beh, per la verità non molto nascosto, è tutto quanto solo mio.
Che le altre si riempiano pure gli occhi di tutto questo ben di dio stasera, io tanto posso riempirmene anche le mani… la bocca… e…
Il sorriso mi sparisce immediatamente dalle labbra, mentre lui appoggia la schiena contro la parete di fronte a me, stringendo tra le mani la piccola sbarra in metallo su cui ha poggiato il sedere e spingendo in alto le spalle, la sua postura e lo sguardo da duro mi fanno capire che si è già calato nella parte che gli ho assegnato appuntandogli quella spilla. Deglutisco passandomi poi la lingua sopra le labbra.
«Allora? Hai paura anche a entrare in ascensore con me?» chiede incrociando le braccia e sollevando un piede per appoggiarlo dietro di sé, facendo tintinnare inevitabilmente gli speroni.
Mi sono fregata da sola, stanotte sarò io a fondermi nel suo letto.
«Dai, Lara Croft tascabile, non temere, te li terrò lontani io i cattivi… brandendo le mie pistole» mi strizza un occhio, porgendomi una mano per farmi entrare.
«Non lo metto in dubbio» rispondo, intrecciando le dita con le sue e mettendomi al suo fianco «Ma chi mi proteggerà da te?» chiedo, premendo il pulsante del piano terra.
«Nessuno che sia abbastanza sano di mente da non avvicinarsi a te stasera, ma visto che purtroppo per me di idioti ce ne sono anche troppi, rassegnati, perché ti starò appiccicato per tutto il tempo che staremo alla festa»
Gli sorrido, e mettendomi tra le sue gambe gli afferro il gilet per farlo chinare su di me per poterlo baciare, pensando che non sarà certo un problema averlo addosso per le prossime ore, spero solo che farà altrettanto questa notte.
 
Il club è un tripudio di costumi di tutti i generi, ma i più belli di tutti sono quelli che abbiamo fatto fare io e Luca. Sapevo che Meg sarebbe stata una splendida Wonder Woman e Brian un perfetto Jack Sparrow, appena li ho visti, avrei voluto far notare a Russel che lei è molto più scoperta di me, e che Brian non sembra affatto turbato per tutti gli occhi che sono perennemente puntati sulla scollatura o sulle lunghissime gambe della sua ragazza, ma ho preferito starmene zitta perché non volevo ricominciare a discutere con lui. Anche Karen sta benissimo, e poi sembra davvero una bambina vestita da Alice nel paese delle meraviglie, mentre Connie, anche se la sua tuta è semplicissima, con i capelli legati sulla nuca e il suo fisico, sembra nata per interpretare Eva Kant. Anche Peter, con il suo aspetto mingherlino, è un azzeccatissimo Edward mani di forbice, e Matt un compostissimo Albus Silente, anche se non fa che lamentarsi perché la barba gli fa il solletico. George invece quasi spaventa nelle vesti di Hulk Hogan, ho il sospetto che abbia scelto il noto campione di wrestling, oltre che per poter mettere in mostra il suo fisico palestrato, soprattutto perché poteva legarsi in testa la bandana e fingere almeno per una sera di avere ancora i capelli, anche se sono bianchi, e penso che vada anche molto fiero di quei buffissimi baffoni. Mentre Hanna e Tracy mi hanno fatto gridare dallo spavento quando mi si sono presentate di fronte, con i loro vestitini azzurri, il fiocco rosa in vita e i capelli appuntati da un lato con una molletta, tenendosi per mano e identiche alle gemelle del film Shining, erano anche perfettamente sincronizzate quando mi hanno chiesto: “Ciao Rebecca, vieni a giocare con noi? Vieni a giocare con noi, Rebecca? Per sempre… per sempre… per sempre… “ Quelle delinquenti, è tutta la sera che se ne vanno a giro mano nella mano, ripetendo sempre la stessa frase e terrorizzando tutti quanti.
Luca invece non l’ho praticamente visto, cioè, l’ho visto, ma non in faccia, perché continua a nascondersi sotto al cappuccio, mentre si muove furtivamente per tutto il locale. Ti appare e scompare all’improvviso alle spalle come se fosse davvero Ezio Auditore. Comincio sul serio a pensare che non crescerà mai.
 
Mi allontano dalle ragazze con cui sto ballando e vado alla ricerca di Russel che poco fa è andato a prendermi un gin tonic. Guardandolo di spalle mentre è appoggiato al bancone, mi mordo un labbro, e, continuando ad avvicinarmi a lui, faccio dondolare le pistole sui fianchi al ritmo della canzone Come Out and Play degli Offspring, che però, guardandogli il sedere, nella mia testa viene sostituita in fretta da SexyBack di Timberlake, che comincio anche a canticchiare a denti stretti.
Continuo ad avanzare lentamente, finché, quando sono a un paio di metri da Russel, che sta chiacchierando con Brian, alias Jack Sparrow, che è alla sua destra, mi blocco, perché invece a sinistra, seduta su uno sgabello, con le gambe accavallate e una cannuccia tra i denti, c’è una Marilyn Monroe che sembra gradire almeno quanto me il fondo schiena del mio uomo. E non è nemmeno la prima volta che la vedo gironzolargli attorno stasera, tra l’altro non è la sola che ha sbavato sopra ai suoi stivali trovandoselo di fronte, ma sicuramente quella che mi infastidisce di più, forse a causa del suo abito bianco svolazzante e piuttosto scollato sul davanti. Okay, Marilyn, la legittima proprietaria è tornata, quindi mi dispiace per te ma sono finiti i giochi, stasera hai decisamente messo gli occhi addosso all’uomo sbagliato.
Circondando la vita di Russel con un braccio, mi metto tra lui e Brian «Il mio gin tonic?» chiedo sorridendo a entrambi.
«Eccolo!» Robert lascia il mio bicchiere sul bancone sorridendo e si allontana in fretta per servire altri clienti.
«Meg dov’è? Sta ancora ballando?» mi chiede Brian, facendo svolazzare le treccine mentre si volta per guardare verso la pista.
«Credo che siano già salite in terrazza, volevano andare a sedersi un po’» gli rispondo, portandomi alle labbra il bicchiere e dando poi una lunga sorsata. Oh, Robert, tu si che sai preparare un gin tonic come si deve, e soprattutto come piace a me: tanto gin e poco tonic.
«Salgo anch’io» dice Brian e, dopo averci salutato sollevando il cappello, si allontana. Anche lui sembra essersi completamente calato nei panni di Sparrow. Oh beh, ogni tanto fa bene a tutti tornare un po’ bambini.
«E tu, non ne hai abbastanza di ballare stasera?» mi chiede Russel, circondandomi le spalle con un braccio.
Nego con il capo mentre sto bevendo, poi lascio il bicchiere vuoto sul bancone e guardo alle sue spalle. Marilyn è sempre lì, che imperterrita continua a squadrarlo da capo a piedi.
Sorrido a Russel, sollevando gli occhi su di lui «No, anche perché ancora non ho ballato con il mio sceriffo preferito» mentre termino la frase, sposto la mano dal fianco di Russel, e posandola sul suo sedere glielo stringo con forza, poi guardo di nuovo Marilyn, che, dopo aver strabuzzato gli occhi e essersi quasi strozzata con il suo drink, scende in fretta dallo sgabello e si allontana. Saggia decisione.
«Ehi!» esclama Russel ridacchiando.
«Beh? Che c’è? Tu lo fai sempre con me»
«Ma non in pubblico»
«E io invece lo faccio proprio in pubblico. Ti dà forse fastidio?» chiedo sollevando un sopracciglio.
«No, per niente» risponde tranquillamente, ma poi mi osserva con più attenzione, e un attimo dopo ricomincia a ridere «Ho capito perché l’hai fatto»
«Per toccarti il sedere, è chiaro»
«Oh sì, anche per quello, ma soprattutto per segnare il territorio. Marilyn è ancora qua dietro?» chiede strizzandomi un occhio con complicità.
«No, se n’è andata» rispondo scocciata per essere stata beccata da lui «Ma quindi te n’eri accorto che è tutta la sera che ti gironzola attorno?»
«Era praticamente impossibile che non me n’accorgessi. Mi è anche venuta a sbattere addosso un paio di volte, ma ti giuro che non ho mai abbassato gli occhi per guardarle dentro la scollatura, anche se me l’ha sventolata insistentemente sotto al naso»
È incredibile quanto siano sfacciate alcune donne, non può non aver capito che io e lui stiamo insieme.
«E comunque non ho bisogno di segnare nessun territorio» sottolineo «Perché solo a me è concesso calpestarlo. Giusto?» chiedo con fare ovvio.
«Giusto» ripete «E nemmeno io, ma lo farò lo stesso. Tu hai voluto dimostrare a tutte a chi appartengo, ma visto che nemmeno tu sei passata del tutto inosservata con questi shorts, ora tocca a me»
«E che vorresti fare?» chiedo allarmata, pensando che voglia darmi una palpatina anche lui davanti a tutti.
«Vieni qua» dice, battendo una mano sul petto e allargando subito dopo le braccia.
«Oh no, qui non siamo a casa, e non devi portarmi a letto perché mi sono addormentata sul divano» dico, indietreggiando lentamente per allontanarmi da lui.
«Beh, che vuoi che m’importi. Dai, salta su» ribatte avvicinandosi «E poi non volevi ballare con lo sceriffo?»
«Sì, ma non così» insisto, mentre continuo ad andare indietro, anche se so che ora che ha quello sguardo determinato, niente di quello che dirò potrà servire a fargli cambiare idea «Russel, ti prego. E poi non ho nemmeno più voglia di ballare. Sono stanca» mento.
«Proprio perché sei stanca voglio prenderti in braccio»
Sorride sornione, sapendo di avermi fregata, e come ogni volta che si mette in testa qualcosa, nemmeno mi sta ad ascoltare. Con due dita dà un colpetto sotto alla tesa del cappello, facendolo cadere sulle spalle e lasciando che rimanga sorretto dal laccetto di cuoio che ora ha intorno al collo, e circondandomi la vita mi solleva da terra, cerco di opporre resistenza premendo le mani contro il suo petto, ma con un colpo secco del bacino mi spinge in alto, e a me non rimane che avvolgergli la vita con le gambe, e, mentre mi stringe il sedere con entrambe le mani, sbuffo sul suo viso a pochi centimetri dal mio.
«Vuoi davvero portarmi a ballare così?» chiedo aggrappandomi al suo collo.
Mi fa cenno di sì con la testa, dandomi una strizzatina al sedere «Così Spider-Man…» parlando sposta impercettibilmente lo sguardo alla sua destra, e anch’io do una breve occhiata nella stessa direzione, e vedo un gruppo di supereroi seduti su un divanetto che stanno chiacchierando tra loro, tranne Spider-Man, che invece ci sta osservando «smetterà di calcolare la distanza per lanciarti la ragnatela»
Scoppio a ridere appoggiando la fronte sulla sua spalla «L’unico che mi ha preso in trappola sei tu, e se finora non sono scappata è solo perché non voglio farlo»
«Tanto non te lo permetterei mai» ribatte sicuro di sé.
«Ti consiglio di non sottovalutarmi» rispondo osservando il suo profilo.
«E tu non sottovalutare me» dice, voltandosi per guardarmi negli occhi «O non toccherai mai più terra per il resto della tua vita» la sua occhiata affilata e tutt’altro che giocosa, mi fa capire che non sta più scherzando, e che quindi è meglio se non ribatto, o davvero andrà a finire che anche i clienti a lavoro dovrò incontrarli stando appesa alle sue spalle.
«Ora ti va di ballare con me?» chiede raggiungendo il centro della pista mentre schiva i tanti che intorno a noi si dimenano.
«Sì, ma dovrai mettermi giù» provo almeno a buttarla lì, prima di darmi completamente per vinta.
«Nah, voglio ballare con te così» dice cominciando a dondolare sui piedi, stringendomi sempre di più il sedere e sfiorandomi una guancia con le labbra «Anche perché mi hai detto che sei stanca. Non è meglio così?» chiede mordicchiandomi un orecchio.
«Ma questo non è un lento» soffio le parole sul suo collo, e chiudendo gli occhi mi rilasso tra le sue braccia, fregandomene totalmente se noi due siamo in mezzo alla pista praticamente fermi, mentre tutti gli altri intorno a noi stanno ballando e saltando al ritmo di Song 2 dei Blur, e ad ogni woo hoo, penso che -woo hoo- sto proprio bene così abbracciata a lui, godendomi le sue labbra che mi sfiorano una tempia.
Quando la canzone termina, e sento le prime note del pezzo dei The Who che è uno dei miei preferiti e che soprattutto ultimamente ascolto spesso, sollevo il capo dalla spalla di Russel, e dietro di lui vedo Luca che, ballando con una ragazza vestita da ballerina di cancan, tira indietro il cappuccio e mi strizza un occhio. Gli sorrido per ringraziarlo, perché sono certa che sia stato lui a far mettere Love, Reign o’er Me proprio adesso che io e Russel stiamo ballando insieme.
«Sai che in fondo non mi dispiacerebbe affatto stare per sempre così? Appesa alle tue spalle e con le labbra incollate alle tue?» sussurro a Russel, e un attimo dopo lo stringo più forte e chiudendo gli occhi lo bacio.
No, non mi dispiacerebbe proprio per niente passare il resto della mia vita a baciarlo e stringerlo. Anzi, sarebbe proprio il futuro che vorrei, e comincio davvero a pensare che forse non sarà così impossibile da realizzare. Non ho mai creduto nel destino, nelle anime gemelle, o in altre stronzate simili, credo semplicemente di essere stata molto fortunata ad averlo conosciuto.
Chi l’avrebbe mai detto, quel giorno di dieci mesi fa, che arrivando a Los Angeles la mia vita sarebbe cambiata così tanto, che quello che pensavo fosse un corriere grunge, era in realtà l’uomo di cui mi sarei innamorata. Che quel pennelone a cui chiesi di darmi una mano per andare al bagno, sarebbe diventato l’uomo più importante della mia vita.
Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal lento movimento di Russel, mentre la voce di Roger Daltrey canta che “solo l’amore può far piovere nel modo in cui la spiaggia è baciata dal mare, solo l’amore può far piovere come il sudore degli amanti stesi nei campi, solo l’amore può portare la pioggia che ti fa struggere verso il cielo, solo l’amore può portare la pioggia che cade come lacrime dall’alto. Un brivido mi percorre la schiena sentendo il suo grido disperato: “Oh Dio, ho bisogno di un sorso di fresca, fresca pioggia! Amore, regna su di me. Piovi su di me!” 
Stringo ancora più forte Russel, e dopo avergli baciato la mascella gli sfioro l’orecchio con le labbra, sussurrandogli che lo amo, e ad occhi chiusi aspetto che mi risponda, perché lo fa sempre.
«Anch’io»
 
Salgo le scale al fianco di Russel, stringendo in una mano la sua e nell’altra il terzo gin tonic della serata, arrivati in terrazza cerchiamo gli altri, e li troviamo in un angolo, seduti a terra sul prato attorno a un paio di pouf su cui sono appoggiati i loro cocktail, oltre alle mani di forbice di Peter e alla bacchetta di Matt.
«Ragazzi, è ufficiale…» dico guardandoli un po’ tutti, mentre mi lascio cadere a terra e incrocio le gambe «credo di essere sbronza» poi scoppio a ridere, seguita da Karen alla mia sinistra, che essendo quasi astemia non credo che abbia bevuto così tanto come la sottoscritta, ma che è ancora più su di giri di me perché è venuta a trovarla Connie per il finesettimana.
«Beh, allora benvenuta nel club degli ubriaconi» dice George, sollevando in aria la sua birra su cui ciascuno di noi fa scontrare a turno il proprio bicchiere, poi soddisfatti beviamo tutti quanti.
«Allora possiamo anche dirglielo» dice Meg di fronte a me, rivolgendosi a Brian al suo fianco «Tanto domani nessuno di loro se lo ricorderà»
«Forse allora è meglio se aspettiamo, perché sarebbe solo fatica sprecata» le risponde lui, osservandoci tutti quanti divertito.
Luca fa cadere il cappuccio alle sue spalle e li guarda terrorizzato «Meg, ti prego, non dirmi che sei incinta. Non ora che Karen sta per andarsene»
«No, ancora no» Brian risponde al posto di lei, e Luca tira un sospiro di sollievo «Ma solo perché prima vogliamo sposarci»
Tutti e dieci strabuzziamo gli occhi, guardando sia Meg che Brian, George risputa addirittura un po’ di birra che stava bevendo addosso a Peter, che scatta in piedi disgustato «Dio! Ma sei proprio un animale!» esclama, togliendogli dalla testa la bandana a cui sono attaccati i capelli e usandola per asciugarsi il costume.
«Ehi, ridammi subito i miei capelli!» grida George, tentando di afferrarli mentre Peter glieli sventola sotto al naso.
«Scusate» dice Tracy, agitando le mani per attirare la loro attenzione, e tutti e due si bloccano e la osservano «Se non ve ne siete accorti, qualcuno ha appena detto che sta per sposarsi, e tutti noi vorremmo ascoltare anche il resto. Quindi potete smettere di fare gli idioti almeno per cinque minuti?»
«Sì, certo» dice Peter, mentre rimette in malo modo la bandana in testa a George, che subito si affretta a sistemarla meglio, peccato che non si è accorto che è al contrario, e che quindi il ciuffettone di capelli bianchi ora ce l’ha davanti anziché dietro, ma invece di metterlo nel verso giusto, si passa una mano sulla fronte e mette tutti i capelli dietro un orecchio. Guardandolo, scoppiamo tutti a ridere, ma lui non si scompone «Beh, che c’è?» chiede scrollando le sue corpulente spalle e guardandoci con espressione altezzosa «Ho sempre desiderato la frangia» 
Quando a un soffio dal soffocamento, smetto di ridere, mi sento tirare la treccia, così mi volto a destra e sorrido a Russel, che dopo aver allargato le gambe batte una mano davanti a sé «Vieni qua» mi dice.
Mi accomodo con la schiena contro il suo petto e intreccio le mani alle sue, e in silenzio, come tutti gli altri, ascolto Meg e Brian che ci dicono che dalla prossima settimana andranno a vivere insieme a casa di lui, che hanno deciso di sposarsi in estate, che ovviamente siamo tutti invitati, e che sono tutti e due al settimo cielo dalla felicità. Sorrido a entrambi, mentre cominciano a volare pacche sulle spalle di Brian da parte dei ragazzi, e Meg si lascia stritolare in abbracci soffocanti dalle ragazze.
«Io già lo sapevo» mi sussurra in un orecchio Russel vantandosi.
«E perché non me l’hai detto?» giro la testa e lo guardo con espressione fintamente irritata.
«Brian mi aveva chiesto di non dirtelo perché Meg voleva fare una sorpresa a tutti»
«Dov’è finito quell’individuo che mi ha fatto promettere di digli sempre tutto?» chiedo sarcastica.
«Non stavo certo parlando degli affari degli altri» puntualizza.
«Sì sì certo» liquido il discorso e mi rivolgo agli altri «Direi che questa rivelazione merita un brindisi»
 
E così, mi sono scolata l’ennesimo gin tonic, e da leggermente alticcia… beh, penso di essermi presa una sbronza colossale… anche se non ne sono certa, perché di quello che è successo da quel momento in poi non ricordo un granché. L’unica cosa che so con certezza, è che mi ha portato dentro casa Russel, tenendomi a cavalcioni sulla sua schiena, e che, con il suo cappello da cowboy in testa e una Colt giocattolo stretta in mano, fingevo di sparare ai nemici, mentre lo incitavo a correre più veloce, e, visto che quando devo fare una figura di merda non mi faccio mancare niente, cantavo anche a squarcia gola: “Non siamo miiica gli americani, che loro possono sparare agli indiani… Vacca gli indiani!”. Per fortuna che lui non può aver capito le parole, e penso che non sappia nemmeno chi è Vasco Rossi. Forse avrà pensato che stavo ripetendo fino allo sfinimento una specie di filastrocca per bambini. Però è stato divertente, anche se adesso vorrei potermi tagliare la testa per non sentire più pulsare le tempie.
Sposto un braccio alla ricerca di Russel, ma il suo lato del letto è vuoto, poi apro un occhio e guardo la sveglia. Cazzo, è quasi mezzogiorno. Volevamo andare da Pablo. Va be’, ci andremo nel pomeriggio.
Prima di scendere dal letto mi guardo, indosso solo le mutandine e ho i capelli sciolti. Russel mi deve aver disfatto la treccia, oltre ad avermi spogliata e messa a dormire. Recupero una delle sue tante t-shirt gettate sopra la poltrona alla rinfusa ed entro in bagno.
Mentre scendo di sotto, sento il borbottio della caffettiera sul fuoco, quindi anche Russel si è alzato da poco, strano, perché di solito è piuttosto mattiniero, si sveglia sempre presto, anche se la sera prima abbiamo fatto tardi. E infatti mi sono sbagliata, perché indossa una canotta bianca, dei pantaloncini e le scarpe che usa per andare a correre, ed è di fronte al fornello, con una mano appoggiata al bancone che aspetta che il caffè sia pronto.
In punta di piedi lo raggiungo, e da dietro gli circondo la vita con le braccia «Buongiorno» dico, baciandogli la schiena leggermente sudata.
«Buongiorno» risponde, allargando le mie braccia per liberarsi «Ancora non ho fatto la doccia, aspetta prima di abbracciarmi»
Come se fosse un problema, anzi, non che sia una sostenitrice del detto che l’omo, pe’ esse omo, a ‘dda puzzà, però, un po’ non mi dispiace, non se l’odore è il suo.
Ma forse sono piuttosto io che questa mattina non profumo come una rosa. Rimanendo nascosta dietro di lui, che nel frattempo sta spengendo il fuoco sotto alla moka, con una mano davanti alla bocca butto fuori un po’ d’aria e do un’annusatina al mio alito. Come immaginavo: alcol. Prima di avvicinarmi di nuovo a lui è meglio se faccio colazione e mi lavo i denti. Disgustata, sventolo la mano per dissolvere il mio fiato e mi allontano in fretta da lui, andando a sedermi a tavola davanti alla tovaglietta, dove sono già pronti la mia tazza, il latte, i biscotti, e un flacone di aspirine. Un uomo che pensa a tutto, sarebbe un uomo da sposare. Beh, sarebbe, perché su quel fronte sono assolutamente irremovibile.
«Sono così contenta per Meg e Brian» dico versando del latte nella tazza «E anche se si conoscono da poco, hanno preso la decisione giusta, in fondo non sono due ragazzini, sanno sicuramente quello che vogliono»  
Russel versa del caffè nella sua tazza e lascia la moka sul tavolo, rimanendo poi in piedi con il sedere appoggiato al piano della cucina.
«Non lo pensi anche tu?» chiedo, mentre sgranocchio un biscotto.
«Sì, certo» risponde con poco entusiasmo.
«Ehi, ti sei svegliato di cattivo umore?»
«No» continua a guardare a terra mentre sorseggia il caffè.
«Sei arrabbiato con me perché… sì, insomma, mi sono addormentata prima di aver onorato come era giusto che facessi il tuo costume?» che idiota che sono, mi sono ubriacata proprio ieri sera, dopo che ho atteso per mesi per potermelo gustare in tutto il suo splendore.
«Che vuoi che m’importi» risponde indifferente, poi lascia la tazza vuota dentro al lavandino e mi sorpassa in fretta «Vado a farmi la doccia»
Lo seguo con lo sguardo mentre sale le scale, continuando a darmi della cretina per essermi lasciata sfuggire l’occasione di copulare con lui vestito da sceriffo, e soprattutto perché la cosa sembra averlo innervosito. Cercherò di farmi perdonare. Potrei sempre infilarmi sotto la doccia con lui.
Mangio svelta un paio di biscotti, infilo in bocca un’aspirina per cancellare ogni traccia di mal di testa, e finisco il caffelatte. Poi raggiungo Russel al piano di sopra, entro in bagno mentre lui è già sotto la doccia, prima di entrarci dentro anch’io faccio degli sciacqui con il colluttorio mentre mi spoglio, annusandomi poi l’alito. Ora va molto meglio.  
«Ehi, che fai qua dentro?» chiede, voltando appena il capo, mentre per togliere lo shampoo si passa le mani tra i capelli. È un peccato che quando ha fatto il film a New York glieli abbiano tagliati, mi piace da impazzire con i capelli lunghi, anche se comunque nel frattempo sono già ricresciuti molto, gli arrivano già al mento.
«Mi sembra evidente, vorrei fare la doccia»
Mi metto di fronte a lui e sollevo il viso verso il getto dell’acqua chiudendo gli occhi, ma sentendo lo scatto dello sportello li spalanco, e vedo Russel che ha già un piede fuori dalla cabina.
Lo osservo incredula, mentre richiude lo sportello lasciandomi sola lì dentro. Cazzo, quindi la situazione è molto più grave di quello che pensavo. Devo aver ferito il suo orgoglio maschile ieri sera addormentandomi.
Mi lavo in tempo record ed esco dal box doccia, e dopo essermi avvolta un asciugamano addosso, con una spalla appoggiata contro la porta bagno, lo osservo mentre indossa un paio di jeans e apre poi un cassetto alla ricerca di una t-shirt, mentre continua a passarsi una mano tra i capelli per togliere i ciuffi umidi che continuano a ricadergli sulla fronte ogni volta che abbassa la testa. 
«Mi stai evitando?» chiedo a bassa voce, appuntandomi l’asciugamano sopra al seno.
Prima di rispondere si ferma, e, tenendo la maglia stretta in una mano, richiude il cassetto con un colpo secco «No» dice, senza nemmeno voltarsi a guardarmi.
«Mi sembrava» rispondo, mentre gli passo accanto per andare a sedermi sul letto «Quindi questa mattina sei semplicemente di poche parole» affermo, ma lui continua ad ignorarmi, e dopo aver preso l’asciugamano che probabilmente ha usato dopo la doccia, rientra in bagno. Beh, almeno ogni tanto qualcosa lo rimette al suo posto. Anche se in questo momento è chiaro che riportare l’asciugamano in bagno è solo una scusa per non stare nella stessa stanza con me. Sbuffo, lasciandomi cadere con la schiena sul materasso e vagando con lo sguardo sul soffitto.
Non capisco, non è mai così scorbutico, a volte capita che sia un po’ nervoso, ma comunque solo a causa del suo lavoro, e in ogni caso unicamente quando è costretto a partire, anche se deve star via per pochi giorni, e solo perché so che non gli va di allontanarsi da me.
Forse ieri sera ho fatto o detto qualcosa che l’ha infastidito. Sì, deve essere sicuramente così. Oddio, chissà cosa ho combinato. La mia passione sfrenata per il gin tonic, prima o poi mi metterà in guai seri.
Sentendolo uscire dal bagno, sollevo la testa e mi appoggio sui gomiti «Ehi» cerco di attirare la sua attenzione, e lui si ferma davanti alle scale un attimo prima di scendere il primo scalino «Russel…» insisto, dato che imperterrito evita il mio sguardo sollevandolo al soffitto «è chiaro ce l’hai con me. Ho forse fatto qualcosa di sbagliato ieri sera?»
Finalmente mi concede una veloce occhiata, e dal suo sguardo sfuggente capisco che sì, è decisamente incazzato con me, però ora vorrei anche sapere per quale motivo.
Sospira e serra la mascella, sto per chiederlo di nuovo, ma invece rimango zitta perché parla lui «Non fatto, ma detto, ora però… non mi va di parlarne» risponde sbrigativo, e, mentre scende di sotto, aggiunge a bassa voce «E forse nemmeno più tardi»
Okay, quindi ieri sera, con la mente annebbiata dall’alcol, e come mi capita sempre quando alzo troppo il gomito, ho straparlato e ho detto qualcosa che l’ha fatto incazzare. D’accordo, ma che diavolo posso aver detto da non meritarmi nemmeno di essere guardata negli occhi da lui? Non mi viene in mente niente che possa averlo offeso così tanto. Anche perché ormai con lui non ho più segreti…
Cazzo! Tranne uno!
Schizzo in piedi e mi lancio di corsa per le scale, non ho sentito sbattere la porta di casa, quindi ancora non può essere uscito per andare a cercare Gordon. Che cretina che sono! Finora ero riuscita a tenergli nascosta la storia delle foto, e invece ieri sera devo avergli raccontato tutto quanto! Non può esserci nessun’altra spiegazione. Maledizione! Sia io che Meg eravamo state così brave a tenerci tutto quanto per noi e a distruggere ogni prova dopo che in ufficio mi hanno recapitato tutta la valanga di foto e informazione che quello stronzo si era procurato su di me.
«Russel!» grido, poi tiro un sospiro di sollievo, vedendolo tranquillamente seduto al centro del divano mentre con il telecomando in mano accende la tv. Mi schiarisco la voce e, per non avvicinarmi troppo a lui, mi siedo sul bracciolo, mentre lui mi osserva con aria interrogativa «Lo so perché ce l’hai con me. E hai ragione, perché in fondo la cosa coinvolge anche te, ma se te l’ho tenuto nascosto è solo perché temevo che ti saresti arrabbiato»
«Arrabbiato?» chiede stupito spalancando gli occhi.
«Sì certo» annuisco con poca convinzione, chiedendomi come sia possibile che se ne stia qui seduto tranquillamente, invece di essere già sotto casa di Gordon per spaccargli la faccia. Forse perché alla fine le cose sono andate per il meglio e non ha voglia di sollevare di nuovo un polverone. Però ora è incazzato nero con me, e come dargli torto, c’era anche lui in quelle foto, senza contare che abbiamo anche rischiato di allontanarci del tutto per…
«Scusa, che hai detto?» chiedo, non essendo sicura di aver capito quello che stava dicendo mentre ero immersa nei miei pensieri.
«Ti ho chiesto perché mi sarei dovuto arrabbiare con te se mi avessi detto che desideri un figlio»
Ah! Quindi avevo capito bene. E lui come fa a saperlo? E poi cosa c’entra con Gordon? Mi sa che come sempre ho galoppato un po’ troppo con la fantasia e ho preso l’ennesima enorme cantonata.
«Quindi io ti avrei detto… che…» chiedo timorosa, non riuscendo nemmeno a terminare la frase.
«Che vuoi un figlio. Anzi, per la precisione, poco prima di addormentarti, hai detto che vuoi un figlio da me»
Oh merda! Quindi è ancora peggio di quel che credevo, forse, se gli raccontassi subito di tutta la storia di Gordon, riuscirei a distrarlo e a evitare di dovergli dare una spiegazione per quello che mi è uscito di bocca ieri sera. Maledetto gin tonic! Giuro che non berrò mai più in tutta la mia vita.
Ora sono io che evito il suo sguardo, mentre invece lui sta tentando di intercettarlo muovendo il capo nella mia direzione.
«Non hai niente da dire?» chiede.
Nego muovendo appena la testa, mentre continuo a guardare l’asciugamano che mi copre le gambe. Lui sospira, spenge la tv e getta il telecomando accanto a sé.
«Sono incazzato perché sono sicuro che se ieri sera non ti fossi ubriacata, probabilmente non me l’avresti mai detto. E invece mi avevi promesso che tra noi non ci sarebbero stati più segreti»
«Non è che te lo stavo tenendo nascosto… è che…»
«Non dire stronzate!» grida scattando in piedi «E hai anche il coraggio di dirmi che non me l’hai detto perché mi sarei arrabbiato? Te lo chiedo di nuovo: per quale motivo mi sarei dovuto arrabbiare? Eh?»
«Non intendevo dire che ti saresti arrabbiato» cerco di rimediare a quello che ho detto prima, ma faccio fatica a formulare anche una sola frase sensata, perché è vero che non volevo dirglielo, e mi sembra impossibile che davvero sia stata così idiota da averglielo detto. Non so proprio cosa dire. Tranne che in ogni caso è ancora troppo presto, anche solo per parlarne. Ma lo stesso rimango in silenzio. Ora vorrei solo sbattere la testa contro il muro per punirmi per essere stata così stupida e non aver tenuto a freno la lingua ieri sera.
«Russel…» dopo qualche secondo, sollevo gli occhi e lo guardo «ero ubriaca, completamente andata, non sapevo nemmeno cosa stavo farneticando»
«Mi stai dicendo che quando bevi è tua abitudine dire a chiunque che vuoi un figlio da lui?» chiede incrociando le braccia, e rimane immobile a osservarmi dall’alto con l’espressione di chi sa già la risposta.
«Certo che no» sussurro.
«Da quant’è che lo pensi?»
Invece di rispondergli, mi alzo e mi dirigo verso le scale «Stai dando troppo importanza a questa stronzata»
«E tu invece gliene stai dando troppo poca. La donna che amo si lascia sfuggire che vuole un figlio da me, e io dovrei fregarmene e fare finta di niente? Eh? È questo che dovrei fare? Non sarebbe più giusto chiederle perché ha cambiato idea dopo che non ha fatto altro che dichiarare di non volerne?» a metà delle scale mi fermo, e stringendo il corrimano trattengo il respiro «Soprattutto perché anche io lo vorrei. Anche più d’uno, tutti quelli che mi sarà possibile avere… con te»
Ha ragione, almeno una minima spiegazione devo dargliela «Non so dirti di preciso da quant’è che ci penso, ma comunque non ha importanza, perché stiamo insieme da appena una manciata di mesi, quindi è assurdo anche solo parlarne»
«Non è affatto assurdo, perché voglio sapere tutto quello che ti passa per la testa. Non credi che sia un mio diritto? E soprattutto non posso permetterti di ignorare i tuoi desideri, perché saresti capace di continuare a fingere con te stessa che non sono così importanti, mentre invece lo sono eccome» la sua voce mi arriva da qualche scalino sotto di me «E riguardo al fatto che è poco che stiamo insieme, non ha nessuna rilevanza per me, che sia un mese, un anno, dieci anni, io ho già deciso che voglio stare con te per tutto il resto della mia vita. Avrei fatto un figlio con te anche dopo la prima volta che abbiamo fatto l’amore» sento una sua mano che si appoggia alla mia vita, mentre i miei occhi si stanno inumidendo. Il modo in cui a volte mi dice quello che prova, mi fa sempre salire un groppo in gola, invidio la semplicità con cui riesce sempre a confidarmi i suoi sentimenti. Vorrei davvero riuscirci anch’io, soprattutto in certi momenti, quando percepisco chiaramente che avrebbe davvero bisogno che mi aprissi con lui.
Si ferma dietro di me, intrecciando una mano con quella che tengo lungo il fianco «Non sto dicendo che devi smettere subito di prendere la pillola… anche se in realtà, beh, se dipendesse solo da me ti chiederei di farlo, ma non è questo il punto, ti sto solo pregando di tornare a sederti sul divano e parlare con me»
«Russel, la verità è che non ho molto da dirti. E quel poco non so nemmeno come spiegartelo. So solo che ultimamente ci penso sempre più spesso, e mi spaventa, tantissimo. Perché mi sento così… inadeguata» rimango in silenzio un attimo, scostandomi i capelli bagnati dal viso e radunando quel poco di coraggio che ho e che sta già cercando di sparpagliarsi in fretta. È una tale fatica dirgli tutto quanto, ma ormai non ho scelta «Ma lo stesso a volte quando ti guardo, mi capita di pensare che sarebbe divertente scegliere insieme a te i colori per dipingere la cameretta di nostro figlio, andare per negozi per comprargli il regalo di Natale, o… o guardare un tuo film seduta sul divano con lui in braccio e dirgli: “Guarda, quello è papà”»
Ora non ho davvero nient’altro da dirgli, o forse potrei aggiungere che se non l’avessi conosciuto e non mi fossi innamorata così follemente di lui, non sarei mai stata in grado nemmeno di immaginare che si potesse desiderare così tanto, perché la verità è che io non voglio un figlio, io voglio suo figlio. Ma questo credo che l’abbia già capito. Potrei anche dirgli che pur essendo spaventata, sento lo stesso una strana smania di espandere l’amore che provo per lui per riversarlo anche su qualcun altro, qualcun altro che gli assomigli. Ma lo stesso rimango zitta, mentre mi circonda la vita con le braccia stringendomi.
«Vedi che non è stato così difficile» sussurra, baciandomi la nuca.
Accenno un sorriso che non può vedere e sospiro «Se lo dici tu»
«Ogni tanto hai bisogno di una dose di coraggio, ma io sono qui anche per questo: per impedirti di pensare che tutto quello che desideri è sbagliato, o, ancora peggio, che sei tu quella sbagliata. Non c’è niente di strano a desiderare un figlio, certo, non se lo vuoi con me» sghignazza contro il mio orecchio, strappandomi una risatina «Allora? Che dici? Lo facciamo questo bambino?»
Mi volto di scatto e spalanco gli occhi «No! Certo che no! È ancora troppo presto. Il lavoro mi prende un sacco di tempo, e soprattutto ora che Karen sta per andare a vivere da tua sorella, finché non troveremo qualcuno in grado di sostituirla sarà un dramma. E anche tu sei pieno di impegni, e poi… e poi ora devo vestirmi e preparare il pranzo, perché dopo mangiato voglio andare subito da Pablo per fare una lunghissima passeggiata con lui» ho parlato a raffica, e solo adesso che mi sta sorridendo divertito, capisco che mi stava prendendo in giro «Idiota!» grido, colpendolo sul petto con un pugno.
«Dai, vai a vestirti» dice, dandomi un colpetto sul sedere «Lo preparo io il pranzo» sollevo le sopracciglia, trattenendomi non so come dallo scoppiargli a ridere in faccia «Pizza o cinese?» chiede, strizzandomi un occhio.
Ah ecco, mi sembrava «Pizza» rispondo, circondandogli il collo con le braccia. Poi lo bacio, chiudendo gli occhi mentre le sue mani si muovono lente sulla mia schiena.
Mi allontano dalle sue labbra e appoggio la fronte contro la sua «Sai, dovremmo baciarci più spesso sulle scale. È comodo averti alla mia stessa altezza»
«Beh, anche distesa su un letto puoi avermi alla tua stessa altezza»
«Sì, certo» ribatto. Non perde mai l’occasione per fare simili battutine «Ora però lasciami che voglio andare ad asciugarmi i capelli»
Mi volto e salgo in fretta le scale, ma dopo pochi scalini mi fermo, perché sono nuda. Sbuffo scocciata e lo guardo.
«Oh, scusa, mi è rimasto attaccato alla mano» mi sfotte, sventolando l’asciugamano.
«Sai, forse ci ho ripensato, non lo voglio più un figlio, perché un bambino già ce l’ho» dico, strappandogli l’asciugamano di mano e avvolgendomelo di nuovo addosso.
«Sirenetta?» in cima alle scale mi volto «Sappi che comunque sono disponibile fin da subito per provarci»
«Non avevo alcun dubbio» rispondo, maledicendo ancora me stessa e i gin tonic che ho bevuto ieri sera, perché ora che mi sono sbottonata completamente con lui, le sue battutine si moltiplicheranno a dismisura «Ma ti ho già detto che è ancora troppo presto» gli rammento, poi mi allontano per andare in bagno.
«Sirenetta?»
Sbuffo socchiudendo gli occhi, sperando che questa volta voglia solo chiedermi cosa deve far mettere sopra la pizza, perché per un po’ vorrei non dover più toccare l’argomento, neanche per scherzo.
«Dimmi?» chiedo, affacciandomi alla balaustra e guardando in fondo alle scale dove è ancora immobile con il viso sollevato verso di me.
«Ti amo»
Gli sorrido, fermando lo sguardo sul piccolo spicchio di luna che riesco a vedere bene anche da quassù «Anch’io»
 
**
 
Sabato 11 Maggio 2013
 
Mi sollevo appoggiandomi a un gomito e controllo che Russel al mio fianco stia ancora dormendo, devo scendere di sotto prima che si alzi per andare a correre. Vedendolo ancora completamente addormentato, sgattaiolo fuori dal letto e in punta di piedi scendo di sotto, afferro la mia borsa dal tavolino accanto alla porta di casa e vado a chiudermi in bagno.
Sono talmente nervosa, che mentre cerco il numero di telefono di mia sorella sull’iphone mi tremano le mani.
«Milla, buongiorno»
«Becca! Beh, buongiorno anche a te, anche se qui è pomeriggio»
Già, che scema «Come… come stai?» le chiedo, per fare un po’ di conversazione prima di sganciare la bomba.
«Benone, e tu?»
«Oh, bene, sì sì, sto bene anch’io»
«Quando ti deciderai a venire a conoscere tuo nipote? Hai detto a quel gelosone di Russel che se non vuole lasciarti venire da sola è il benvenuto anche lui?»
«Sì, ci stavamo pensando, ma ancora non abbiamo deciso quando»
«Non aspettate troppo però»
«No, tranquilla» la rassicuro, anche se in questo momento sono io che avrei bisogno di essere un po’ tranquillizzata «Sei impegnata o puoi stare un po’ con me al telefono?» le chiedo, sapendo che con due bambini così piccoli, spesso va talmente di corsa che riusciamo a mala pena a farci un salutino frettoloso.
«No no, posso stare al telefono con te quanto vuoi perché qui con me c’è la mamma. Anzi, vuoi che te la passo?»
«No, non adesso. Anzi, potresti allontanarti da lei, senza però farle capire che te l’ho chiesto io?»
Per qualche secondo penso che sia cascata la linea, perché non sento più niente, ma all’improvviso sento una porta che viene chiusa e la sua voce preoccupata «Okay, vuoi dirmi che sta succedendo? Hai litigato con Russel?»
«Oh, no no, assolutamente no»
«Allora cosa sta succedendo?» chiede di nuovo con impazienza.
«Ho solo bisogno del tuo aiuto, perché devo fare una cosa che non ho mai fatto in vita mia, e, oltre ad aver paura di sbagliare qualcosa, sono anche molto agitata»
«Oh cazzo!» quasi mi perfora un timpano «Stai per far quello che penso?»
«Sì» confermo.
«Accendo subito la telecamera. E tu sbrigati, che voglio sapere subito se diventerò finalmente zia»
«Se… se dovesse essere positivo, puoi dirlo tu a Russel? Non credo che avrei il coraggio di farlo io»
«Certo che glielo dico io, non mi perderei la sua faccia per niente al mondo. Però devi dirmi come si dice in inglese, non vorrai mica tradurre, altrimenti sarebbe del tutto inutile il mio aiuto»
«Intanto è meglio se faccio il test» le ricordo, dato che mi sembra anche troppo sicura del risultato e di essere a un solo passo dal dirlo a Russel.
Quella faccia da schiaffi! Con quei suoi occhioni dolci e quantità spropositate di sorrisini ruffiani, non ci ha messo niente a convincermi a provarci subito. E in questo momento è di sopra che dorme beato, mentre io sono chiusa qua dentro che me la sto facendo sotto. Va be’, tanto un po’ di pipì mi serve.
«Di quanto sei in ritardo?» mi chiede Camilla, mentre sto tirando fuori dalla confezione il test di gravidanza.
«Più o meno una quindicina di giorni»
«Quindici giorni?!» grida «E hai aspettato così tanto prima di fare il test?»
«Beh, sì, volevo essere sicura» rispondo, mentre accendo la telecamera «Tu quale pensi che sarà il risultato?» le chiedo, giusto per prendermi ancora un po’ di tempo, osservandola sul display.
«Penso positivo»
Beh, convinta lei. Però ora vediamo anche se ha ragione. Oddio, mi gira la testa, e non c’entra niente il fatto che forse sono incinta, ma è perché sono terrorizzata.
«Quindi? Cosa dovrò dire al quasi papà?» chiede, sempre più eccitata.  
Sbatto gli occhi per tornare in me e le rispondo «Tre parole saranno più che sufficienti per farlo svenire all’istante, basterà che gli dici: “Good morning, Daddy”»
 
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************************************
 
Il risultato del test di gravidanza che sta per fare Reb, penso che abbiate già capito che sarà positivo, e so anche che probabilmente avreste voluto leggere quale sarà la reazione di Russel, ma ho preferito lasciare loro un po’ di intimità, e poi sarei sicuramente caduta nel banale, con occhi a cuoricino e frasi stucchevoli, quindi ho preferito evitare (non avete idea di quanto sia faticoso per me scrivere le parti sdolcinate, non sono romantica, che ci posso fare). E poi ormai avete imparato a conoscerli, e non credo che per voi sarà troppo difficile immaginarvi le loro reazioni. Anzi, sarebbe divertente se me le scriveste, tanto per farci quattro risate.  
Comunque, il prossimo sarà davvero l’ultimo capitolo, sarà un pov di Russel e dal titolo  I Was Made for Lovin' You.
 

La canzone di Vasco Rossi, da cui ho estrapolato la frase che canta Reb da ubriaca, è (Per quello che ho da fare) Faccio il militare, contenuta nell’album Non siamo mica gli americani, pieno di canzoni che sono una più spassosa e bella dell’altra, prima tra tutte la famosissima Fegato, fegato spappolato.

Vi lascio il link del pezzo dei The Who, Love, Reign O'er me, perché se non lo conoscete dovete assolutamente ascoltarlo almeno una volta nella vita.

Ora vi saluto, e vi do appuntamento a non so quando, ma sicuramente con quello che sarà davvero l’ultimo capitolo.

Grazie a tutti.

V.17

 
   
 
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