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Autore: Super Husbands    10/08/2013    2 recensioni
Il Mandarino è finalmente sconfitto, ma gli incubi di Tony Stark non sono certo finiti e tanto meno gli attacchi di panico. E allora, cosa c'è di meglio dell'affrontare i propri demoni a testa alta e con coraggio? D'altronde non è quello che fanno tutti i supereroi? Anche loro però - a volte - hanno bisogno di un aiuto. Che sia del tutto inaspettato be', questa è un'altra storia.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve gioie 
Questo capitolo diverrà famoso, almeno per me, per la cosiddetta 'scena del telefono' che mi sono trascinata dietro per infiniti giorni :'DD
Però, alla fine, posso dire di avercela fatta!
Non so neanche se sono soddisfatta o no... quel che so è che ci stiamo avvicinando alla conclusione e che il mio Tony non è mai stato più nervoso.
Come al solito, vi consigliamo l'ascolto di una canzone durante la lettura del capitolo.
Questa volta è... *rullo di tamburi* qVesta qui! Where is myyy mind? *canticchia*

Beh...buona lettura!

Iron Heart, half of the SuperHusbands.


Capitolo 5 - Where is my mind?


Una fitta di lancinante mal di testa inchiodò Tony al cuscino, facendogli desiderare di non aver mai spalancato gli occhi di scatto in seguito a un rumore come quello che aveva appena sentito.

Dannato sonno leggero e guardia ipersensibile, si maledisse.

Okay, sapeva di non essere vigile neanche la metà di altri agenti specializzati dello S.H.I.E.L.D. - forse le imbattibili misure di sicurezza della sua dolce villetta lo facevano stare mediamente più rilassato dei comuni cittadini, ma da alcuni recenti avvenimenti che lo avevano… discretamente scosso (non avrebbe mai e poi mai usato la parola ‘traumatizzato’) il suo dormire si era fatto molto meno profondo.

Al che, anche il semplice, banale clang di una padella, forse?, il crash, indiscutibilmente, di un piatto e il ‘Porcaputtana’ di una donna bastavano a destarlo da un sonno che, un tempo, non ne sarebbe stato neanche lontanamente scalfito.

Il pavimento ondeggiò sotto i suoi piedi tentativi quando li appoggiò sulle piastrelle fredde, cercando le ciabatte a tastoni. Inutile dire che rinunciò ben presto alla sua impresa, preferendo concentrarsi su quella, molto più difficile, dell’alzarsi in piedi ed arrivare in cucina senza sbattere rovinosamente testa, gambe o altre parti del corpo ovunque. 

La testa non aveva smesso di fargli un male feroce: Tony stava giusto interrogandosi sul perchè quando vide due bottiglie di scotch riverse a terra in corridoio, come sul luogo di un omicidio.

Qua è stata assassinata la mia sanità mentale, altro che, borbottò una vocina nella sua testa, mentre aggirava I pezzi di vetro con fare circospetto.

Gli innegabili postumi di una sbronza colossale lo stavano assalendo con discreta forza, ma almeno era una sensazione, per certi versi, abbastanza nuova: bravo Tony, fai progressi!, si complimentò con sè stesso. 

In effetti, era un bel po’ che non si ubriacava. Forse Pepper aveva ragione. 

Per non aver avuto neanche il tempo per qualche bicchierino di troppo, il lavoro lo doveva aver assorbito davvero tanto!

Quel pensiero gli passò per il cervello, non ancora completamente lucido, per non parlare di attivo, non senza una punta di amarezza. Si costrinse a non pensarci - piuttosto facile, visto che non riusciva neanche a tenere lo sguardo fisso su un punto - e si addentrò in soggiorno, piuttosto timoroso di ciò che avrebbe potuto trovare, dopo I rumori assurdi che lo avevano buttato giù dal letto.

Come sospettava, neanche Natasha Romanoff si era pienamente ripresa dalle gioie dell’alcool.

La sua guardia, però, era infallibile: bastò che Tony respirasse in soggiorno per farla girare di scatto, pronta a difendersi con qualsiasi cosa le capitasse a tiro, in quel caso… una saliera.

C’era però qualcosa nella sua figura, un nonsoche di felino e selvaggio, che riusciva a farla apparire minacciosa in qualsiasi situazione. 

O forse era la saliera di cristallo preziosamente intagliato ad aggiungere un tocco esotico all’intera composizione.

Tony si chiese ammirato se qualcuno l’avesse mai vista completamente indifesa e rilassata, o magari era proprio una sua prerogativa, quella di risultare vagamente inquietante anche quando non era sua intenzione. 

Dopo qualche momento di imbarazzante silenzio, Tony si riscosse e decise di esordire con uno squillante:  …Sorpresa! 

Nella mano sventolava un tubo di aspirine salvatrici che aveva afferrato di riflesso dal suo comodino, dove qualche mano previdente, probabilmente la sua stessa, le aveva appoggiate la sera prima. 

 Grazie a Dio, Tony. Stavo per uccidermi.  

La voce di Natasha suonava talmente scocciata e… ruvida che Tony ci mise un po’ a reagire. Non che ce ne fu bisogno, poi, perchè la russa percorse I pochi metri che le separavano in tre agili passi sbrigativi e gli strappò le pastiglie di mano, buttandosene due in un bicchiere con uno sbuffo di estrema impazienza.

 Il caffè non mi ha fatto poi molto, avevo proprio bisogno di un’aspirina.  commentò poi con nonchalance dopo aver ingollato in tre sorsi il liquido frizzante.

Tony aveva ancora difficoltà a sbattere le palpebre, per Dio, che problemi aveva quella là?! Come li allenavano in Russia? Beh, di certo non davano importanza alla matematica, siccome l’aspirina non era una ma due e… 

Dio. 

 Abbiamo bevuto forte.  Fu tutto quello che riuscì ad esalare Tony, sedendosi cautamente al tavolo dopo aver deciso molto saggiamente di staccare la spina del pensiero, riattivandolo non prima di essersi curato da solo.

Il sapore del caffè che gli scendeva giù per gola gli diede una certa soddisfazione, così come il lieve retrogusto amaro dell’aspirina. 

In fondo, erano anni che Tony provava il brivido dell’autodiagnosi e delle cure improvvisate; ci azzeccava quasi sempre, ed ogni volta che prendeva qualche medicina per lui c’era la gioia infinita del sentirla entrare in circolo e sperare che fosse quella giusta. 

 Oh. Ora comincio a ricordare. 

 

{Una risata fin troppo isterica si propagò fino al soffitto, insieme al tintinnìo del vetro di un bicchiere che probabilmente avrebbe disturbato i pipistrelli appesi alle travi… ma in casa non c’erano travi… e nemmeno pipistrelli. 

Oh, Dio, come… 

- Hai capito quel figlio di gran troia? -

Annuisci e sorridi nella maniera più entusiastica che ti viene fuori. Sta ancora parlando di Clint, vero?

Natasha ricambiò il suo sguardo completamente folle con un luccichio negli occhi altrettanto andato, prima di finire ciò che rimaneva del suo drink in un unico sorso.

Cazzo, allora non è vero che le russe non si ubriacano mai! 

Con quella consapevolezza Tony sbattè il bicchiere sul basso tavolino da caffè, che ormai stava per soccombere al peso dei bicchieri già usati, dei rivoli di ghiaccio sciolto e delle bottiglie semivuote sopra di esso.

- E tu… - la rossa gli si avvicinò, con tono confidenziale. - Tu… che mi racconti? Dai, chi è l’altra con cui hai tradito Pepper? -

Pepper! Iiih!

Quel nome - cavoli, si chiamava come un condimento! Non era… incredibilmente divertente?! - Gli sembrò così buffo che Tony non potè fare a meno di lanciarsi una risata pericolosamente senza fine, arrivando a spalmarsi sullo schienale del divano annaspando per un po’ d’aria.

- Pepper! Pepper… quella donna… la donna - ci fu bisogno di una pausa necessaria per prendere una scorta di fiato extra per mettere più enfasi possibile nella parola dopo - più FFFFRIGIDA del mondo! Che si cuocesse nel suo brodo, tanto… tanto si insaporisce da sola! - 

Tony si girò verso Natasha con la sua migliore aria da battutona imperdibile, e quando vide nello sguardo di lei qualcosa illuminarsi, segno che c’era arrivata, alzò la mano per un cinque che non fu mai corrisposto da una Nat, dolce Nat, impegnata a riempirsi quello che era qualcosa come il dodicesimo bicchiere.

- E vuoi sapere il bello? -

- Mmm—mm! - 

- Lo prendo per un sì! Alloooooora… - la voce strascicata di Tony si ridusse ad un sussurro segreto. - L’ho tradita con… con Steve! - 

La risata gli esplose naturale, trascinando sia lui che Natasha in un abisso senza fondo. 

- Ebbene sì, mia cara, ci siamo baciati! E ti dirò di più, mi è anche piaciuto! Tiè! - 

L’estrema soddisfazione negli occhi di Tony all’aver rivelato cose delle quali sembrava andare molto fiero, in quel momento, non era paragonabile a nulla.

- Allora perchè non vi… mettete insieme?! - 

Natasha gli stava tenendo un dito puntato contro, facendolo ticchettare contro il reattore attraverso la camicia, con aria inquisitrice. 

Sembrava una maestra d’asilo che voleva risolvere i problemi sentimentali dei suoi allievi. 

Tony… Tony ci pensò parecchio ad una risposta da darle, ma neanche in mezzo alla foschia dell’ubriachezza una ragione valida riusciva a salire.

Forse fu proprio a causa dell’alcool che non fu capace di rispondere, ma in quel momento, il grande Tony Stark si limitò ad un teatrale ed efficiente:

- Boh! - 

… Prima di scoppiare di nuovo a ridere, e probabilmente collassare.}

 

Quella sorta di flashback-filmino mentale non gli era piaciuto neanche un po’, uh-oh.

- Sia maledetta l’aspirina. - borbottò Tony.

E maledetto anche tu, Rogers.

 

Certo che Stark aveva proprio una bella casa.

Natasha passò l’indice sul bordo del ripiano della cucina, perfettamente tirato a lucido, sicuramente da uno dei robot di Tony. 

Chissà che fine avrebbe fatto quell’uomo senza tutto quel lusso e le sue comodità.

Probabilmente, però, con una bella bottiglia d’alcool si sarebbe arrangiato in qualsiasi situazione.

Tony le piaceva. Era una delle poche persone al mondo che sapeva come esserle amico.

Neanche ci si sforzava, erano così e basta. 

Natasha sorrise appena, al ricordo della notte prima. 

Si erano ubriacati niente male, e sicuramente lui serbava il ricordo di qualche scenetta accaduta che invece lei non ricordava, così come lei aveva impressa benissimo in mente la telefonata della sera prima… la quale Tony non mostrava segno di rimembrare, altrimenti Natasha dubitava che sarebbe stato così tranquillo.

Era accaduto nel giro di pochi secondi, Nat aveva chiuso gli occhi per un attimo, siccome il mondo cominciava a girare un po’ troppo, e li aveva riaperti soltanto quando ormai era troppo tardi per fermarlo.

 

{— Pronto? — una voce distorta passò dall’altoparlante del cellulare, diffondendosi in tutta la stanza. 

— Ehi, Steeeve! — 

— Tony? — 

Giusto, il Capitano non ha mai avuto a che fare con Stark ubriaco!

Eheh, già… mi hanno chiamato così! Io non volevo, però, sai, ero piccolo, avevo giusto un giorno, anche se mi hanno raccontato che ero già parecchio intelligente… pensa che volevo costruire un aeroplanino con l’asciugamano della culla d’ospedale! — 

Tony fece una pausa per sghignazzare scompostamente.

Natasha si mise una mano fra i capelli, un senso di pacifica impotenza che la invadeva.

Se Tony era imbecille, non poteva mica farci niente, lei.

— Tony, ti senti bene? — 

E’ ubriaco, cretino!

Avrebbe voluto alzarsi e urlarglielo nella cornetta, insieme ad un Lascialo perdere! ben sentito, ma ormai era troppo curiosa di vedere come sarebbe andata a finire.

— Benissimo! — Le ’s’ biascicate e sibilanti erano già un indizio piuttosto lampante sulla sua condizione. — E dopo averti detto una cosa starò ancora meglio! — 

Natasha si tirò su a sedere, improvvisamente interessata.

— Steve Rogers, io… ti amo! — sentenziò Tony con aria improvvisamente seria, come se si stesse sforzando incredibilmente per trovare la verità seppellita nel letto del fiume d’alcool che gli scorreva in corpo.

— Tony… sei- — nessuno dei due ebbe il modo di sapere cos’era Tony per Steve, perchè il primo aveva troncato di netto la conversazione, chiudendo il telefono di scatto.

E ora stava lì, seduto sul bordo del divano con la testa fra le mani a fissare il vuoto. 

Per un secondo sembrò tornare completamente sobrio, e la voglia di sbattere la testa sul tavolino gli si leggeva negli occhi. Poi questi si offuscarono, lui allungò il braccio verso la bottiglia e si girò verso Natasha.

— Un altro giro, amica mia? — }

 

 

— Per oggi, direi basta con le cure improvvisate! — sentenziò Tony, estraendo con precisione ormai acquisita il minuscolo pezzo di vetro, quel bastardo, che gli si era conficcato nella pianta del piede.

Okay, non era stato esattamente intelligente camminare scalzo nel punto dove Natasha aveva fracassato con estrema grazia uno dei suoi piatti più belli, ma la colpa era tutta, soltanto ed esclusivamente di quello stupido Ferrovecchio di un robot. 

Non sapeva neanche pulire per terra!

Sapeva soltanto guardarlo con quegli occhietti ai cristalli liquidi e registrare le prodezze che il suo padrone faceva ogni volta per rimediare ai suoi disastri o completare i suoi lavori lasciati a metà.

Inutile ferraglia.

Però, c’era da dire, Tony ci si era un po’ affezionato, nonostante non lo ammettesse neanche a sé stesso, rifuggendo in qualsiasi modo dai “sentimentali cliché dei film”.

Ferrovecchio era un po’ quello che era rimasto della sua vecchia vita, ancora prima che cominciasse a produrre armature su armature e si circondasse di utili, freddi robot funzionali a qualcosa.

— Allora, Mr. Stark, il danno inflitto è troppo grave oppure pensa di riuscire a cavarsela per miracolo anche questa volta? —

Natasha gli mandò un fugace sorriso dalle scale su cui si era fermata, sulla strada per scendere giù in laboratorio.

Il vetro trasparente che li separava concesse a Tony il beneficio del dubbio: era veramente una presa in giro così palese come gli era sembrata?!

Beh, d’altronde, per Natasha probabilmente camminare su taglienti schegge di vetro faceva parte dello stretching quotidiano prima dell’allenamento, quindi il suo sarcasmo era in parte giustificato.

— Non penso che questo semplice cerotto spray riesca a fermare la tremenda emorragia. — Tony si produsse nella sua migliore aria drammatica, sfoggiando un sorrisetto nascosto mentre si abbassava per rimettere la bomboletta a posto. 

Aveva imparato a sue spese a tenere sempre dei medicinali di pronto soccorso in laboratorio: dopo un po’, fare continuamente su e giù per le scale per andare in bagno a procacciarsi cerotti, garze, forbicine o disinfettante aveva cominciato a stancarlo.

Inutile dire che l’idea di stare un po’ più attento e, magari, evitare di prendere taglienti lamiere con la punta delle dita o di lavorare con metalli incandescenti in canottiera, senza guanti, non gli aveva neanche sfiorato il cervello.

— Credo proprio che sarà necessaria una visitina all’ospedale più vicino. In fretta, però, potrei morire dissanguato nel mentre. — 

Natasha gli regalò un’espressione decisamente impressionata, che si trasformò in una un po’ più sincera e, per un istante, confusa, quando una voce arrivò tonante da chissàdove a parlare ad entrambi.

— Che ne dice dell’ospedale di New York, Mr. Stark? Abbastanza vicino per i suoi gusti, se fosse in arrivo un jet privato per un trasporto d’emergenza? — 

Tony si guardò intorno con aria vagamente terrorizzata, interrogando Natasha con gli occhi. 

Non capitava tutti i giorni che Nick Fury entrasse in comunione spirituale con te, parlandoti da una specie di interfono che tu, effettivamente, non avevi in casa, ma che, come Natasha realizzò con qualche secondo di ritardo, la tua ospita, una superspia russa, aveva sicuramente in ogni centimetro della tuta nera che fasciava il suo corpo.

— Oh. — Tony fece del suo meglio per riacquistare la sua solita aria sicura di sè. 

— Fury! Non avevo notato quanto tu tenessi alla mia incolumità! Potrei essere tanto gentile da accettare la tua offerta, se solo tu mi spiegassi, primo, perchè hai scelto questo teatrale metodo di apparire, secondo, per quale diavolo di motivo dovrei venire, di nuovo, a New York! — 

La risata distorta di Fury si propagò per il laboratorio.

Tony pensò, con un brivido, che non era tanto distante da quella standard di un supercattivo.

— Per quale motivo se non lavoro? Lavoro vero, intendo, non quei giocattolini che ti diverti a costruire nei tuoi seminterrati mistici. —

Tony stava giusto per replicare con una punta di offesa che i suoi non erano affatto ‘giocattolini’, quando la voce parlò di nuovo.

— E ora, signori, se volete scusarmi, dovrei coordinare almeno altre tre operazioni in questo momento. Il jet è arrivo. Non deludermi, Tony! — 

Un momento di pausa, in cui Natasha lo fissò eloquente, facendogli segno con un dito di lasciar perdere tutto quello che stava facendo.

Aveva l’aria di una che gli avrebbe tranquillamente spezzato il collo pur di farlo salire su quel jet. Magari era tutto programmato fin dall’inizio…

— E comunque non hai ancora risposto alla mia prima domanda, Fury! —

Nah. Neanche l’inutile urlo al cielo di Tony, in mancanza di un interlocutore fisico, servì ad aprire una crepa di pietà nel muro indistruttibile della russa.

E così, neanche mezz’ora dopo, giusto il tempo di buttare un paio di camicie pulite in un borsone, per non sacrificare l’eleganza!, Tony e Natasha si trovavano su un nero jet dello S.H.I.E.L.D.

Natasha sembrava totalmente, tranquillamente a suo agio. Probabilmente, data la sua rapidità nello svolgere le missioni, passava più tempo in viaggio che in azione.

— Champagne, Tony? —

Per qualche motivo, invece, Tony era nervoso.

Avrebbe voluto tanto, tanto essere ubriaco di nuovo, ma qualcosa gli diceva che in quello stato avrebbe, o forse aveva già fatto, più danni del previsto.

Forse aveva a che fare con il fatto che Capitan Stupido Sogno Americano si era stabilito a casa sua, tecnicamente ora il quartier generale dello S.H.I.E.L.D., e quindi incontrarlo di nuovo sarebbe stato… inevitabile.

— Nat, che faccio? — 

Tony la guardò speranzoso, con gli occhi che volevano assomigliare a quelli di un povero cucciolo smarrito, ma che generarono solo un’espressione di vago disgusto sul viso di Natasha. Forse la carta della compassione non era esattamente la sua.

Afferrò il calice che gli stava gentilmente porgendo e mandò giù un sorso senza tanta attenzione.

— Sai a cosa mi riferisco… — 

— Sì, sì, ho capito. — sembrava quasi infastidita, come se… come se la domanda le avesse ricordato che avrebbe dovuto affrontare il suo spinoso problema, una volta arrivati.

— Secondo me, dovete chiudervi in uno sgabuzzino, guardarvi negli occhi e capire cosa c’è veramente dietro alle vostre frecciatine e al vostro odio reciproco. — 

Tony la guardò allarmato.

— Non puoi negare che Capitan America, il caro, buon vecchio Capitano, non abbia esercitato su di te il fascino dell’eroe quand’eri bambino. Per quel che mi riguarda, ritengo obiettivamente che abbia del fascino da vendere anche adesso, dopo anni di crioterapia, anche se non è affatto… il mio tipo. — un sorriso le affiorò alle labbra.

— Perciò… — sentenziò con aria greve. — Se non chiarite entro una settimana, tempo limite sette giorni, mi hai sentito, Anthony Stark, giuro sulla testa di Nick Fury che vi prenderò personalmente per il collo e vi sbatterò dentro ad una stanza assicurandomi che ne usciate uomini nuovi. Intesi? — 

— Sai come minacciare la gente, Nat. —

— Certo che lo so. Cosa credi che faccia di lavoro, la commessa? —

Bene, siamo arrivati. Calma, Tony, andrà tutto bene.

La vocina nella sua testa fu interrotta brutalmente dal vento che fischiava fuori dalla porta.

Tony si raggomitolò su sé stesso come un gatto nel suo trasportino una volta arrivati dal veterinario.

— Nonono, sto benissimo qui, non voglio uscire, Natasha- —

— Perchè non vuoi uscire? — 

Quella voce ben conosciuta gli fece alzare la testa di scatto di riflesso.

Steve.

Aveva aperto il portellone del jet, a cui era appoggiato con nonchalance.

Stava forse cercando di mantenere un’aria distaccata e rilassata?

Beh, perchè in tal caso gli stava riuscendo fin troppo bene.

O forse era il vento. Sì, il vento! 

I lineamenti delle persone vengono sempre confusi dal vento, Tony.

I capelli biondi sparati in tutte le direzioni, la solita tutina aderente così fuori moda… se non fosse stato, come Natasha gli aveva fatto gentilmente notare prima, obiettivamente bello, Tony avrebbe potuto dire di avere di fronte un vero incubo ad occhi aperti.

Vuole fare il tranquillo? Avrà un Tony ancora più calmo e sicuro di sé.

Si schiarì la voce, distendendo cautamente le gambe fuori dal sedile e alzandosi in piedi, ergendosi in tutta la sua enorme statura.

— Ti trovo bene, Rogers. —

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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