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Autore: sykeslicious    10/08/2013    1 recensioni
‘Non ho idea di dove il mio cervello mi, ci, stia portando, dimmi solo se hai abbastanza fiducia per seguirmi.'
E in quel momento pensai che l’avrei seguito per tutte i vicoli bui, per tutte le strade straripanti di tipici personaggi della notte, in ogni via colma di negozi ormai chiusi, sotto la tempesta che infuriava, sfogandosi sul terreno, sotto ogni luna che illuminava ogni particolare in modo perfetto.
L’avrei seguito dovunque.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jay McGuiness , Nathan Sykes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                         THESE STREETS.                                      

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L’ennesima maniglia abbassata, l’ennesima porta spalancata, l’ennesima squallida discoteca, l’ennesima serata che di buono, lo sapevo già, non avrebbe portato proprio niente.
I polmoni si strinsero a sentire l’odore di alcool che impregnava qualsiasi cosa in quel posto, dal bancone, ai vestiti, alle sedie, arrivando persino alle maniglie.
Per la quarta volta, da quando ero uscito di casa, mi chiesi cosa mi aveva fatto alzare dal divano e fatto raggiungere quel posto; ma ormai c’ero, e conoscendomi, non sarei tornato indietro sui miei passi, tanto valeva ‘godersi’ la serata.
Mi sedetti al bancone, ignorando le domande del barista, e guardai la calca al centro della sala.
Era sempre la stessa, ogni settimana: ragazze che facevano di tutto per essere notate da qualche ragazzo, che, se davvero le avesse prese in considerazione, doveva riconoscere il fatto che era davvero, davvero disperato; poi, i ragazzi poggiati sul bancone, qualche posto più lontano dal mio, che sfoggiavano i loro sorrisi migliori –e, aggiungerei finti-, per convincere qualche ragazza descritta prima, a seguirlo in qualche vicolo buio che non affacciasse su una strada troppo affollata; infine, c’erano le persone come me, quelle sedute ai tavolini, agli angoli del bancone, o sui divani di solito occupati da coppiette che erano, costantemente, impegnati a dare al pubblico dimostrazioni di effusioni.
Troppo preso dai miei pensieri, che per essere sentiti, dovevano urlare per contrastare la musica, non mi accorsi che la poltroncina accanto alla mia, si era abbassata sotto al peso di qualcuno.
Voltai il capo per vedere chi si fosse seduto.
Incontrai gli occhi di un ragazzo che, a prima vista, poteva avere massimo vent’anni.
Erano gli occhi più indefinibili che avessi mai visto: erano di un verde acceso, scuro come il vetro di una bottiglia, ma così limpidi da lasciarti con la gola secca e la salivazione nulla.
Cercai di distogliere lo sguardo da quegli occhi, ma non avendo abbastanza forze non riuscì a opporre abbastanza resistenza.
‘C’è qualcosa che non va?’ chiese confusamente, impastando tutte le parole.
‘No, no, stavo cercando di capire dove ti avevo già visto.’
‘Non penso di averti, mai visto in realtà.’ Disse, cercando di imitare un sorriso sarcastico.
‘Forse se bevessi qualcosa, riuscirei a ricordare.’
Non ero mai stato sufficientemente bravo a rimorchiare, e il fatto che fossi gay di certo aveva il suo peso, proprio per questo, dopo che quella frase era di sua spontanea volontà, scivolata fuori dalla mia bocca, mi resi conto di cosa avevo appena fatto.
‘Lo prendo come un invito a bere.’ Esclamò alzandosi, ora il sorriso più acceso e luminoso.
Mi alzai ricambiando il sorriso, ancora un po’ scosso da quella mia iniziativa.

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Poggiai il bicchiere vuoto sul tavolo, ridendo.
‘Quindi ti hanno trascinato qui degli amici, e poi sono scappati?’ ripetei un’ultima volta.
‘Esatto, sempre che si possano definire amici.’ Disse, portando poi la birra alla bocca.
‘Tu, come sei venuto?’ continuò.
‘In realtà non so nemmeno io perché sono venuto, ma semplicemente non mi andava di rimanere un’altra sera a casa, da solo col mio gatto.’
Arcuò un angolo della bocca prima di portare il bicchiere alle labbra.
Eravamo seduti a quel tavolino da più di venti minuti ormai.
Non potevo fare a meno di osservare ogni minima sfumature dei suoi occhi, o le sue labbra color pesca.
Non feci neanche tanto per nascondere quelle occhiate, come lui non fece molto per nascondere il rossore che si impossessava delle sue guance, quando le notava.
Da quel poco che avevo potuto constatare, era quel genere di ragazzo che in discoteca, non ci mette proprio piede, e più volte mi chiesi perché fosse venuto, quella sera.
Sussultava se per sbaglio lo sfioravo, o abbassava lo sguardo, quando si accorgeva che lo stavo scrutando.
‘Ti va di ballare?’ proposi.
Annuì, e mi sorpassò, avvicinandosi alla pista.


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Mi avvicinai a lui, e vidi le sue pupille dilatarsi di un po’.
Sorrisi inconsciamente, e sfiorai il suo fianco coperto dal tessuto della camicia.
Mentre la mia mano assaggiava la stoffa, il suo respirò si spezzo, e cercò di annaspare tutta l’aria, per placare il bruciore dei polmoni.
Assottigliai la distanza che ci divideva, e il DJ fece partire l’ennesima canzone.
Entrambi ci facemmo prendere dalla folla che si spintonava a vicenda, dalle risate non contenute, dagli sguardi languidi, e iniziammo a muoverci anche noi.
Abbassai il volto verso il suo collo, e il suo profumo mi stordì per qualche secondo, costringendomi a chiudere gli occhi, e stringerli.
Era così forte in quel punto, era assurdo l’effetto che mi stava facendo.
Per qualche attimo pensai di poggiare le mie mani sui suoi fianchi, ma cercai con tutte le forze di impedirmelo, se volevo farlo cadere ai miei piedi, dovevo avanzare con cautela, stando attento a non sbilanciarmi troppo, o l’avrei spaventato.
E per quanto lo conoscessi da poco, l’ultimo dei piani sulla lista, era quella di farlo scappar via, quello scritto con un polso così leggero, che non poteva essere considerata davvero un piano.
Poggiai lentamente le labbra sulla sua mascella, e un paio di brividi fece accapponare la pelle a entrambi.
Continuai a percorrere tutta la mascella con le labbra.
La sua pelle aveva un aroma e un sapore così intenso, da farti perdere i sensi.
Dopo essere arrivato a qualche soffio di distanza dalle sue labbra, e potevo sentirlo respirare irregolarmente, tornai sul suo orecchio, e in contemporanea al cantante, sussurrai come un alito di vento ‘Let me give you more.’
La sua mano artigliò la mia, e il suo sguardo divenne in pochi secondi così sicuro, da farmi barcollare, non poteva essere lo stesso ragazzo che qualche secondo prima dipendeva dalle mie labbra, e bramava le mie mani.
Fece un mezzo giro su se stesso, puntando verso la porta, e ignorando la calca che lo stringeva, attraversò tutta la stanza con un passo svelto.
Le sue dite stringevamo le mie così forte, da farmi rovinare il cuore tra le costole.
Finalmente le dita dell’altra sua mano libera afferrarono la maniglia fredda, spalancando la porta con un solo movimento, e lasciando trapassare l’aria fresca della notte.
Mi guardai intorno, e notai qualche coppia troppo fatta per riuscire anche solo a pensar di muoversi, e tornare alle proprie case.
Un odore di alcool  struggente arrivò alle mie narici, e la mia bocca si storse da sola.
Notai solo qualche attimo dopo che lui si era rigirato verso di me, e che mi  stava osservando.
Non avevo idea dei milioni di pensieri che stavano attraversando velocemente il suo cervello, e sorrisi a bocca stretta, come per rassicurarlo, potevo sentire il suo cuore battere dalla mano ancora stretta, come se cercasse un ancora, alla mia.
Si girò nuovamente, e mi strattonò con la mano, facendomi segno di mettermi al suo fianco.
Feci quello dal suo sguardo richiesto, e lui iniziò a camminare.
‘Non ho idea di dove il mio cervello mi, ci, stia portando, dimmi solo se hai abbastanza fiducia per seguirmi’.
I suoi occhi si incatenarono i miei solo nelle ultime parole, e il mio capo, senza neanche assimilare la frase che mi aveva appena detto, scattò da solo, annuendo.
‘Quindi, non abbiamo assolutamente idea di dove stiamo andando, ma ci stiamo andando.’ Azzardai, dopo una manciata di secondi di puro e imbarazzante silenzio.
‘Esatto.’
E pensai che, l’avrei seguito per tutte i vicoli bui, per tutte le strade straripanti di tipici personaggi della notte, in ogni via colma di negozi ormai chiusi, sotto la tempesta che infuriava, sfogandosi sul terreno, sotto ogni luna che illuminava ogni particolare in modo perfetto.
L’avrei seguito dovunque.

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Era passata un’ora e una manciata di minuti da quando la sua mano aveva lasciato la mia, e avevamo iniziato a camminare.
Lui mi aveva descritto qualche linea della sua vita, e lo stesso io.
Viveva, da solo –come me-  in una via, che, da quel che poco ricordavo, era tranquilla.
Doveva iniziare il college, ma dopo un’estate di ripensamenti, lettere spedite, rifiuti appallottolati furiosamente e scartavetrati sul bordo del cestino, e lettere di ammissioni lanciati in aria assieme a urla di gioia, aveva deciso che decisamente il college non faceva per lui, e ora lavorava in una pasticceria come commesso.

‘Quindi tu, dopo un anno e mezzo passato da studente in uno dei college più prestigiosi di tutta l’Inghilterra, hai semplicemente abbandonato tutto?’
‘Esattamente’ Esalai, con un sorriso amaro che piano piano si stava dipingendo sul mio volto.
Di scelte sbagliate ne avevo fatte tante in vita mia, e mi avevano formato più quest’ultime, che le scelte giuste, ma penso che, se avessi potuto tornare indietro, avrei stretto i denti anche a costo di graffiarli, e sarei andato avanti.
‘E ti va bene?’ volse il capo verso di me, ma i miei occhi rimasero ancorati al suolo, o, se li avessi puntati nei suoi, avrebbe potuto leggere il velo di vergogna e delusione che stava alleggiando in quel momento.
Non risposi, sentì solo tante frasi sconnesse spingere contro la gola serrata e asciutta, per uscire, e lui fece scivolare la mano silenziosamente fuori dalla sua tasca, e iniziò a giocare con le mie dita della mia mano, abbandonata sul fianco sinistro.
‘E a te?’ questa volta riuscì a voltare il capo, e nei suoi occhi percepì solo tanto stupore.
Rimase qualche secondo in silenzio per far zittire le voci nella sua testa e rimettere le idee ognuna nel proprio cassetto, e io ne approfittai per riempire lo spazio vuoto tra le mie dita, con le sue.
‘Immagino, immagino di si.’ Ora era il suo turno abbassare il capo.
‘Hai intrapreso altre strade che portavano solo a burroni?’ azzardai.
‘Andarmene di casa, mettermi con qualche ragazza per convincere i miei genitori, convincermi, che in me non ci fosse nulla di sbagliato, buttare la mia prima volta alle ortiche, e togliere le rotelle dalla mia bicicletta senza aver mai provato ad andar senza’ sputò tutto d’un fiato, finendo con un sorriso appena accentuato.
Rimanemmo tutti e due un po’ in silenzio, a ripensare, io, al perché di quegli errori, e scommetto che davanti ai suoi occhi, ormai non c’era più la strada bagnata, ma si stavano costruendo tutti i ricordi che caratterizzavano quelle decisioni sbagliate.
‘Tu?’ chiese, con un tono un po’ imbarazzato nella sua voce.
‘Si, ne ho fatte di scelte sbagliate.’ Non avevo voglia, o forse coraggio per dirgli quali erano state le mie scelte sbagliate, non ero ancora pronto a vedere il terrore nei suoi occhi.
‘E di strade che portavano al traguardo tanto bramato, quante ne hai prese?’
‘Solo due, ma bastano.’
‘Indizi?’ chiese.
Potevo sentire la curiosità essere pompata assieme al sangue, e fatta circolare nel suo corpo.
‘Urla, tante, tante urla.’ Buttai sul momento, senza pensarci veramente.
‘Non sembrano scelte giuste, se dici così’ sorrise.
‘Diciamo che sono scelte giuste per me, forse un po’ meno per gli altri.’ Ricambiai il sorriso.
Non andò oltre, capì che forse non ne volevo semplicemente parlare.
Lui, però, si era totalmente affidato a un estraneo, con cui stava camminando, ancora verso una meta imprecisa, e che stava stringendo la sua mano compulsivamente.
‘Far capire ai miei genitori che sono gay baciando un ragazzo di fronte a loro, sbattere la porta di casa due giorni dopo, per non aprirla mai più, e fidarmi troppo delle persone, aggrapparmi a promesse che avrei dovuto sapere, erano come pozzi d’acqua nel deserto.’ Le parole uscirono dalla mia bocca senza che potessi controllare se erano veramente quelle che la mia mente aveva velocemente selezionato.
‘Ohw.’ Era l’unica cosa che riuscì a dire.


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Ci eravamo fermati, dopo dieci minuti di imbarazzante silenzio, in un bar che rimaneva aperto tutta la notte, per riscaldarci un po’.
Eravamo seduti uno di fronte all’altro, in uno dei tavoli di legno al piano superiore, io difronte al mio bicchiere d’acqua ormai diventato tiepido, e lui, con la mano stretta intorno al cucchiaino, immerso nel tè caldo.
‘Posso, posso rubarti un biscotto?’ ero stufo di quel silenzio che alleggiava così denso tra noi, e, per quanto possa sembrare patetico, mi mancava il suono della sua voce.
‘Certo che puoi, non mordo mica.’ Rise lievemente, e inconsciamente ricambiai il sorriso.
Sbarrai gli occhi colpito da un’idea, e subito le parole fluirono fuori dalla bocca.
‘Saresti disposto a bere il tuo tè velocemente, e seguirmi qui fuori?’ gli chiesi, con qualche barlume di speranza dipinto negli occhi.
‘C-certo.’ Sbarrò gli occhi, e tutto d’un sorso bevve la sua bevanda, sbattendo poi le mani sul tavolo e dandosi la spinta per alzarsi.
‘Andiamo.’ esclamò, prima di me.
Scendemmo di fretta le scale, poggiò frettolosamente una banconota sul tavolone, e senza prendere resto, mi trascinò fuori.
‘Calma, il luogo dove ti sto portando non scappa via.’ Risi stringendogli la mano.
‘Ma io non ho pazienza.’ Cercò di trattenere una risata.
‘Vuoi correre? Arriviamo prima.’ Chiesi.
Senza darmi risposta, iniziò a correre ridendo, e io lo seguì, annaspando aria che iniziava a mancare, sia per la corsa che per le risate.

Dopo qualche minuti di corsa, arrivammo in una strada asfaltata, con qualche buca piazzata qua e la, costeggiata da un vecchio campo di grano, di cui era rimasto solo una fitta erba secca, un odore così intenso, da farti girare la testa, e una di quelle case piccoline, monolocali, risalenti alla guerra, qualche metro più in là.
‘Hai sbagliato posto?’ chiese, un po’ stralunato.
‘No, siamo proprio nel posto in cui dovremmo essere, e credo anche al momento giusto.’
Mi staccai da lui, lasciandogli la mano, e avanzando di qualche passo.
Poi feci l’ultima delle cose che, sono sicuro, si sarebbe aspettato.
Mi stesi sull’asfalto.
Presi un profondo respiro, e puntai i miei sulla volta celeste.
Sembrava un mantello di velluto nero, ornato di tanti diamanti, quelli più brillanti.
‘Ma che fai?’ domandò, con una voce stridula.
‘Non sembra abbastanza chiaro?’
‘Ma potrebbero arrivare delle macchine!’ continuò, con la voce acuta, causata dalla preoccupazione.
‘E’ una strada da cui non passa più nessuno, stai tranquillo.’ Dissi, poggiando le mani incrociate sullo stomaco, e abbassando le palpebre.
Per qualche minuto non si sentì altro che il vento che portava l’inconfondibile profumo di erba, e i miei respiri leggeri, poi, qualche fruscio alla mia destra.
Voltai la testa aprendo gli occhi, e vidi che si era steso accanto a me, e anche lui osservava la nostra galassia.
Piano si voltò a guardare le mie mani intrecciate, e con delicatezza, me ne sfilò una, allacciandola alla sua, a poggiandola sul suo stomaco, rivolgendo lo sguardo al cielo.
‘E’ meraviglioso.’ Sussurrò così lievemente, che sembrava essere un respiro, o un pensiero espresso ad alta voce, per sbaglio.
‘Lo so.’
Si avvicinò sempre di più, fino a girarsi su un fianco, e poggiando le nostre mani unite sul mio stomaco, e il volto all’incavo del mio collo.
‘Posso rimanere così?’ pigolò.
‘Certo che puoi.’
Chiuse gli occhi, e ogni respiro si infrangeva sul mio collo.
Il cuore spingeva per uscire dalla cassa toracica, e lo stomaco doleva.
‘Hai mai portato qualcun altro qui?’ chiese, dritto nel mio orecchio.
‘No, sei la prima persona.’ Confessai.
‘Mi sento onorato. Davvero.’
Sorrisi, conscio del fatto che non mi potesse vedere, e voltai lo sguardo verso di lui.
Aveva le palpebre calate sugli occhi cangianti, il ciuffo che gli ricadeva su un occhio, e il petto che si abbassava ritmicamente.
‘Sei bellissimo.’ Sussurrai, dopo averlo contemplato per un po’.
Spalancò gli occhi, e li puntò nei miei.
‘Non- non me l’aveva mai detto nessuno.’
Mi alzai sui gomiti, e lo guardai.
‘Non puoi essere serio.’
‘Non ho mai avuto un ragazzo, solo una ragazza che, come ti ho già detto, non ho mai amato, e sono certo che neanche lei abbia mai amato me.’ Sospirò, rivolgendo gli occhi verso l’alto.
‘Se me lo permetterai, potrei dirtelo ogni giorno.’ Ormai la strada l’avevo imboccata, e non l’avrei fatto scappare via.
Si alzò,  e non sapendo che dire, aspettò che mi alzassi anche io, per tornare verso la città.
Mi issai sulle gambe raggiungendolo, e quando mi passò avanti, lo bloccai, stringendo i suoi fianchi nelle mie mani.
Lui si voltò, ma era così vicino, che spalanco i suoi occhi un po’ stupito, e le pupille coprirono un po’ del meraviglioso verde delle sue iridi.
Calai un po’ le palpebre suoi miei occhi, e avvicinai il mio viso, al suo.
Il suo respiro fresco si infrangeva sulle mie labbra, irregolare.
Chiuse gli occhi completamente, e poggiai le labbra sulle sue.
Non saprei descrivere esattamente cosa provai in quel momento, ma riuscì a risvegliare in me, emozioni che non provavo da troppo, troppo tempo.
Quella felicità che provavi la mattina di Natale, quando, da bambino correvi nel salone, per trovare tutti i regali sotto l’albero, e, prendevi in mano il primo pacchetto, che assomigliava proprio a quel giocattolo che avevi desiderato cos’ tanto e chiesto, trionfante.
Quelle farfalle nello stomaco, che provi durante le cotti adolescenziali, ma non quelle stanche, stanche essere rinchiuse nello stomaco, quelle che soggiornavano durante le prime settimane, quelle con le ali di un colore accesso, che sbattono le ali così forte da stordirti.
Quella sensazione di instabilità nelle gambe, quando lo vedi, lo vedi che si avvicina, ti guarda negli occhi, e sorride. Quel sorriso che ogni volta che ti dona, vorresti morire nelle sue braccia.
Quell’adrenalina che provi quando, da ragazzo, facevi qualche cazzata con gli amici.
Magari buttavi qualche petardo per strada, per poi scappare.
O quando bussavi alle porte di case altrui, e poi correvi, correvi così veloce che le gambe quasi cedevano, e ridevi così forte che i polmoni bruciavano.
Era riuscito a risvegliare tutte quelle emozioni, e mi sentivo, finalmente, nel posto giusto.
Mi sentivo nel posto giusto, quando poggiò le mani sulle mie spalle, ed io strinsi la presa sui suoi fianchi.
Mi sentivo nel posto giusto, al momento giusto, quando mi morse lentamente il labbro inferiore, facendo letteralmente impazzire le farfalle che straripavano nel mio stomaco.
Le sue labbra combaciavano perfettamente con le mie, sembravano fatte apposta una per l’altra, come se in un’altra vita non avessero fatto altro.
Dopo quello che sembrarono minuti interi, staccò le sue labbra dalle mie, e poggiò la fronte sulla mia, sospirando forte.
Feci scivolare le mie mani, ancora strette sul suo bacino, più in alto, fasciandoli il busto, e lui si rifugiò fra le mie braccia, poggiando l’orecchio contro la mia spalla, e la fronte contro la mia mascella.
‘Non lasciarmi andare, non come tutti gli altri, non mostrarmi mai la tua schiena, ma solo il tuo volto.’ Disse, sempre accucciato contro il mio petto.
Dal suo tono di voce spezzato, sembrava potesse scoppiare in un pianto in poco, e il cuore rovinò fra le costole sentendolo.
Lo strinsi ancora di più, quasi potesse spezzarsi in frammenti nelle mie braccia.
Si staccò da me, e finalmente mi guardò negli occhi: erano lucidi, sembravano quasi delle gemme, dei stupendi smeraldi.
‘Mi- mi accompagni a casa?’ gli strinsi la mano, guardai per un attimo le nostre dita unite, e annuì.

    
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Quando raggiungemmo la sua abitazione, lui frugò nelle sue tasche per cercare le chiavi, e io ne approfittai per guardarmi intorno.
Era proprio una di quelle vie da film romantici, quelle con le case che sfoggiano dei stupendi fiori fucsia e violetto, deposti in dei lunghi vasi rosso mattone.
Quelle case dipinte di bianco, con le finestre delle mansarde aperte, che facevano entrare l’aria leggera della notte nelle proprie case.
Quel genere di case in cui, non ci avrei pensato due volte, avrei voluto spendere gli anni della mia vita.
Non notai che si era appoggiato alla porta di casa, ancora chiusa, fin quando, sorridendo, non mi chiese a cosa stavo pensando.
‘Niente, solo che è un bellissimo posto, simile a quelli dove vorrei viver.’ Confessai.
‘Si, è piuttosto tranquillo, e sono tutti simpatici.’ Sorrise.
Lo guardai, senza riuscire a dire niente.
‘Perché mi hai baciato?’
‘Perché sei riuscito a farmi sentire bene, a farmi sentire a casa, e nemmeno da bambino, quando vivevo con i miei genitori, mi sono sentito così al sicuro.’
Abbassò lo sguardo, mi prese la mano, e l’appoggiò sulle sue cosce.
‘Se ti dicessi che vorrei continuare, a farti sentire a casa, qui con me, ti fideresti?’ chiese sorridendo.
‘Come mi sono fidati di te stasera, seguendoti?’
‘Come ti sei fidato di me stasera, seguendomi.’

Si sporse verso di me per baciarmi, con gli occhi chiusi, quasi come un adolescente inesperto.
Quando le nostre labbra si sfiorarono, pensai che quel bacio, era come un timbro, come quelli che usavano nel diciannovesimo secolo, quelli rossi di cera, così eleganti che ti veniva voglia di sfiorarli, per costatare se erano veri, rossi come i nostri baci.
Un timbro che sembrava confermare le promesse che avevamo stipulato a parole, ma anche con gli sguardi, con le labbra, con le dita.
E per la prima volta, in tutta la mia vita, non avevo paura delle promesse.








                            
NOTE D’AUTORE:
Non spero davvero nel fatto che qualcuno legga le note d’autore, ma io le scrivo comunque perché mi piacciono un casino lololol.
Allora, emh, diciamo che volevo scrivere da un botto una Jaythan, più di un mese e mezzo, solo che non trovavo mai l’ispirazione, e se la trovavo, faceva schifo.
Poi boh, una sera mi è venuta tutta d’un colpo, e ho buttato giù una parte di questa os, per cui ho buttato davvero sangue.
Comunque, devo ringraziare una delle mie amiche più care, Aurora aka rora aka areh, per avermi suggerito il titolo, per avermi fatto il banner, e per essere stata la mia beta -grazie ancora amor-, e anche perché, nella parte in cui stendono, mi sono ispirata a noi due. –Perché si, noi due ci siamo stese sull’asfalto due volte.-
Vi consiglio di passare dal suo profilo, che è questo
, perché scrive benissimo, fa dei banner stupendi, ed è anche una persona stupenda, quindi.
Ultima cosa, a un certo punto, c’è scritto che Jay si avvicina a Nathan e dice ‘Let me give you more.’
In effetti, è il ritornello di una canzone, se volete il link, è questo.

Ora mi dileguo, spero vi sia piaciuta la os –Sil, con chi stai parlando…?- e a presto. :)
  
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