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Autore: lithium    10/08/2013    3 recensioni
Fergus Finnigan non può credere alle sue orecchie quando, fresco diplomato dell'Accademia degli Auror, gli viene offerta la posizione di Assistente Personale Temporaneo del Capitano Ronald Weasley. Si imbarcherà in un'avventura roccambolesca, fatta di appunti indecifrabili, auror gelosi, incidenti di percorso e un cattivissimo mago oscuro. E chissà se lungo la strada non troverà anche il tempo per innamorarsi.
Dal primo capitolo: "“Ehi, su, su, ora non fare quella faccia! Dannazione, Hermione mi ha detto un milione di volte che devo essere meno severo con le reclute. Non dirai a nessuno che ti ho spaventato, vero?” Chiese il Capitano, passando in venti secondi netti da minaccioso e terrorizzante all’uomo più sorridente ed accomodante che Fergus avesse mai visto.
Scosse la testa “Nossignore, Signore.”
“Bravo ragazzo! Ci intenderemo alla grande io e te! Certo non hai le gambe che aveva Annette, ma non si può avere tutto. E poi, ripensandoci, credo che siano state proprio le gambe di Annette a causarle quest’increscioso incidente dei gemelli…” disse Ron, pensieroso.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Percy Weasley, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il caso Mackenzie serie'
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Nota dell’autore: Ecco il nono capitolo. Spero vi farà piacere sapere che ho già scritto una parte del decimo, quindi con ancora qualche ora di lavoro, conto di pubblicare il prossimo in qualche giorno. Dipenderà un po’ dal clima e da come procederà la stesura della mia storia originale. Buone vacanze a chi parte, buona lettura a chi torna o resta qui. Ditemi se vi piace o meno. L.

CAPITOLO IX

DI FILOSOFIE, FRATELLI E FRASI VIOLETTE NELL’ARIA

Negli anni Ronald Weasley aveva imparato ad essere assolutamente lucido e freddo durante una missione. Non che non avvertisse la tensione dell’impresa oppure la paura, semplicemente sapeva come fare di queste sensazioni qualcosa di positivo. Le sue avventure con Harry Potter gli avevano insegnato che ad essere coraggioso non è colui il quale non avverte alcun timore di fronte ad un’impresa spaventosa o pericolosa. No, quel tale è uno stolto nel migliore dei casi, un uomo morto nell’eventualità peggiore. Ron Weasley aveva imparato che la paura è fondamentale, può essere la tua migliore amica se sai come gestirla, come trasformarla in concentrazione e determinazione. Già un uomo coraggioso è invece colui che porta a termine il proprio compito nonostante avverta tutto il peso e la pericolosità della propria impresa.

Era tutto vero ed era la filosofia di vita che la sua adolescenza come migliore amico del Bambino-Che-Era-Sopravvissuto, prima, e l’Accademia degli Auror, poi, gli avevano insegnato. Una sorta di saggezza creata dalla vita, nulla che si sarebbe potuto imparare semplicemente dai libri, sebbene col tempo e sposando Hermione, Ron avesse capito che uno studio costante e meticoloso era altrettanto necessario a far di un buon auror un ottimo soldato.

Mentre il rosso esplorava l’appartamento di Audrey Wallace, però, tutti questi insegnamenti erano messi a dura prova.

Come aveva ipotizzato ancor prima di aver scagliato l’incanto Homenum Revelio sulla casa dell’esperta di crittografia del Dipartimento, la magia aveva confermato che Audrey non c’era, né erano presenti nel luogo altri esseri umani, magici o babbani. L’eventualità che l’auror Wallace fosse stata imprigionata nella sua stessa dimora, magari camuffata attraverso la trasfigurazione, era remota. Ron lo sapeva bene, ma in una situazione come quella, nessuna possibilità poteva essere trascurata. Era la prima regola da seguire, mai escludere un’alternativa perché la si è reputata troppo semplice, un errore del genere avrebbe potuto costare la vita a qualcuno. Immaginare il risultato di una simile leggerezza abbastanza per indurre chiunque a spendere qualche minuto del proprio tempo per escludere un’alternativa.

Ron era un uomo istintivo, lo era nella sua vita privata e lo era anche nel lavoro, di norma le sue sensazioni viscerali non l’ingannavano. Al momento il suo istinto non gli stava suggerendo nulla di buono. Niente di quanto aveva constatato nell’appartamento di Audrey dava indizi sul perché e sulle modalità della sua sparizione. Sarebbe stato frustante in qualsiasi altra situazione, nel caso di specie era abbastanza da riempirlo di apprensione.

L’assenza di tracce, la pulizia dell’esecuzione, l’aver sequestrato un soggetto altamente addestrato e specializzato come Audrey, tutto quello che stava constatando in quel sopralluogo dimostrava l’azione di un mago molto potente e, sebbene fosse presto per trarre conseguenze da quanto aveva scoperto, Ron non poteva che sospettare che nella vicenda ci fosse lo zampino di Diodora Mackenzie.

La sola possibilità che ella avesse deciso di rapire l’auror Wallace perchè sapeva che il suo ruolo era stato fondamentale nel decifrare le informazioni contenute nella pergamena che era stata trovata accanto ai resti carbonizzati del cadavere del Mangiamorte Selwyn era inquietante. Ammettere una simile possibilità, significava ipotizzare l’esistenza di una talpa all’interno del ministero, anzi nello stesso Quartier Generale degli Auror e per di più tra gli uomini più fidati dei Capitani Weasley e Potter, gli unici che erano stati messi a conoscenza degli sviluppi dell’indagine, condotta nel più assoluto riserbo. Si trattava di una manciata di persone, individui nei quali Ron aveva sempre riposto la più grande fiducia. Se fosse stato vero, sarebbe stato un disastro.

Sconsolato da quei pensieri, Ron uscì dall’abitazione di Audrey. Era necessaria un’indagine anche sul perimetro della casa, potevano esserci tracce importanti anche lì.

Quindici minuti dopo il Capitano Weasley non aveva trovato nulla che potesse servire da indizio sulle sorti dell’esperta di crittografia del Ministero, se non la presenza di un grosso accumulo di energia nei pressi del garage della sua abitazione, segno che, in quella zona, doveva esserci stata piuttosto di recente dell’attività magica. Era plausibile. Si trattava di un luogo abitato anche da babbani, sebbene piuttosto isolato, Audrey avrebbe dovuto cercare sicuramente un luogo dove nascondersi per smaterializzarsi per non dare nell’occhio. Se il suo aggressore avesse atteso quel momento per attaccarla, era possibile che la sorpresa gli avesse fornito quel vantaggio sufficiente a disarmarla. Ron era ben consapevole che l’auror Wallace era più che preparata per il combattimento, sebbene normalmente il suo apporto per il Dipartimento fosse più di intelligence e intellettuale che fisico, ma poteva benissimo darsi che sul momento l’aggressore si fosse camuffato, con la pozione polisucco, con la trasfigurazione o simili tanto da assumere un aspetto apparentemente inoffensivo che l’aveva tratta in inganno, impedendole di avvertire l’intruso come una minaccia. Non sarebbe stata la prima volta che un mago oscuro perpetrava efferatezze di ogni genere ad esempio fingendosi un bambino.

Persuaso che non avrebbe trovato altro, Ron decise infine di far ritorno al Quartiere Generale. Era fondamentale che riuscisse a parlare con Robards il prima possibile, se la scomparsa di Audrey era legata al caso Mackenzie ogni secondo era prezioso. Era anche necessario continuare nel tentativo di scoprire perché Diodora aveva scelto di impadronirsi della pergamena ritrovata a Bryher e nella sua decifrazione. Ma prima di tutto ciò, Ron doveva trovare Percy. Raccontargli della scomparsa di Audrey sarebbe stata una delle missioni più difficili che il rosso avesse mai affrontato, ma lo doveva a suo fratello. Non si sarebbe mai perdonato se egli fosse venuto a conoscenza dell’accaduto da altri.

** * **

Fergus aveva cercato di mettersi in contatto con Audrey in ogni modo senza alcun successo. La famiglia d’origine dell’Auror non ne aveva notizia da quando aveva ricevuto la consueta lettera via gufo un paio di giorni prima. Non si era fatta ricoverare al San Mungo presa da un improvviso malessere. Sembrava che fosse scomparsa nell’aria senza lasciare tracce.

“Non scoraggiarti Fergus, vedrai che la troveremo.” Il sorriso di Thabatha non le raggiungeva gli occhi. Eppure il giovane auror non poteva che ammirarla in quel momento. Nonostante lei stessa fosse preoccupata e spaventata dalla scomparsa di una persona con cui avevano lavorato sino a qualche ora prima, che piaceva a tutti, la ragazza stava cercando di infondergli coraggio.

“Hai ragione Thabatha, andrà tutto bene.” Rispose con un coraggio e una determinazione che nemmeno lui sapeva di avere.

La mano affusolata della sua collega si allungò sul tavolo sfiorando appena le sue dita, come se avesse voluto stringergli la mano per manifestare tangibilmente il suo sostegno e, all’ultimo istante avesse avuto dei dubbi, risolvendosi a non farlo.

Per un attimo Fergus ebbe la sensazione che quell’esitazione della sua amica fosse determinata dal timore che lui avesse potuto sottrarsi a quel gesto di solidarietà. Era un pensiero assurdo. Come avrebbe potuto Thabatha, così bella, così buona dubitare che egli ritenesse prezioso il suo sostegno? Sicuramente la stanchezza gli generava brutti scherzi togliendogli lucidità.

Girando appena le dita, prese il palmo dell’assistente del Capitano Potter nella sua. In quel momento s’accorse che le unghie della sua amica erano dipinte di azzurro con piccole graziose mezzelune dorate. Avrebbe voluto ridere era un particolare così dolce ed infantile che faceva a pugni con il fatto che a portarlo fosse un auror. Un particolare così insignificante così comune che faceva sperare, ricordava che la vita andava avanti. La sentì tremare al contatto.

Thabatha alzò gli occhi dal suo lavoro, fissò le loro dita congiunte, poi gli occhi di Fergus. Non avrebbe saputo dire cosa quelle iridi volevano dire, ma lei non parlò, si limitò a ricambiare la sua stretta con una leggera pressione del suo piccolo palmo, prima di separare le loro mani.

** * **

Ron fissò il piano bianco della sua scrivania senza vedere i memo ed i documenti che il suo Assistente aveva posto alla sua attenzione con una cura ed ordine che la sua Hermione avrebbe approvato.

Percy se ne stava seduto dall’altro lato della scrivania, immobile come quando era entrato nel suo ufficio. Solo una nota di pallore ulteriore rispetto a quella che normalmente lo caratterizzava avrebbe segnalato ad uno spettatore che aveva ricevuto una terribile notizia.

Qualcuno avrebbe detto che la sua reazione esprimeva noncuranza, disinteresse per la sorte della donna con cui aveva una relazione. Ron sapeva bene che non era così. Conosceva suo fratello. Negli anni Percy era diventato ancora più bravo di quanto non fosse un tempo a controllare le proprie emozioni. Nei primi anni dopo la fine della seconda guerra magica, quegli anni in cui tutti avevano cercato di ricostruire le loro vite, egli aveva perfezionato quell’arte: tutta la famiglia Weasley aveva sentito la perdita di Fred come qualcosa di devastante. Nessuno come Percy aveva lavorato giorno dopo giorno per ricostruire il legame con i genitori ed i fratelli che il suo allontanamento dalla famiglia aveva minato. Era stato troppe volte il consolatore, la spalla su cui piangere, colui che faceva ammenda senza che le scuse fossero richieste.

Per anni Ron aveva dato per scontato quell’atteggiamento, quegli sforzi del fratello per la normalità della loro famiglia come se il suo fosse il modo d’agire più naturale del mondo. Era stata Hermione a fargli notare quanto Percy fosse stato straordinario in quel periodo. Lei era sempre così meravigliosa nel percepire ciò che a lui talvolta sfuggiva e a farglielo vedere, infine, senza farlo sentire stupido.

Solo osservando attentamente, Ron era finalmente riuscito a vedere quanto ogni giorno costasse a Percy controllare il suo dolore e trasformarlo in qualcosa di positivo per lui e la famiglia. Non erano le ore di pianto mentre cucinava di sua madre, gli occhi lucidi di suo padre mentre smontava l’ennesimo artefatto babbano, non le sbronze di George e Lee Jordan, i suoi accessi di rabbia sfogati nell’addestramento costante e disperato o le ore a cercare rifugio da quello che lo spaventava di lui tra le lenzuola di Hermione.

 Il dolore di Percy non faceva rumore come la foresta che cresce, ma era altrettanto immenso nella sua imponenza, legato com’era ad un malcelato senso di colpa.

Quegli anni di osservazione ora dicevano a Ron che il fratello stava cercando in ogni modo di controllare le proprie emozioni, di non lasciarsi andare, di non fare ciò che sarebbe stato più che naturale e comprensibile soccombere all’enormità della notizia appresa e farsi trascinare dalla rabbia e dal dolore.

Il maggiore dei fratelli Weasley fu il primo a rompere il silenzio che aveva avviluppato la stanza.

“Che intendi fare?”

Ron ingoiò il vuoto. Cominciò cautamente. “Non dipende da me, Percy. Tu sai che devo rendere conto a Robards di ogni mia…”

“Ron, non servirmi le stronzate che ti hanno insegnato a dire ai parenti delle vittime dei maghi oscuri all’Accademia, per favore, non credo di meritarlo…”

Due paia di occhi azzurri si incrociarono per un momento. L’addestramento era difficile da dimenticare e quando si trattava di situazioni di crisi un auror era praticamente programmato per agire secondo quanto gli era stato inculcato negli anni dell’Accademia, ma qui si trattava della famiglia.

“Tutto quello che serve. Tutto ciò che è in mio potere fare, Perce. La troveremo, se c’è solo una possibilità al mondo di trovarla, io ti giuro che la riporteremo indietro…”

Percy annuì. “Non mi sarei aspettato nulla di diverso.”

Ron lo vide alzarsi e lo imitò. La via migliore per cercare di ritrovare Audrey era cercare Diodora Mackenzie. Sebbene non avesse le prove per dimostrarlo, Ron era certo che la scomparsa dell’Auror era legata alle indagini.

Fece per avvicinarsi al fratello per abbracciarlo, ma questo si scostò. Quando lo guardò stupito, Percy ammise a denti stretti. “Non ora Ron, non potrei sopportarlo. Se mi lasciò andare ora a tutto quello che sento… Merlino solo sa, cosa potrei… Non è il momento. Devo vedere il dottor Esperanthus al più presto. Non possiamo perdere nemmeno un momento, ora.”

Ron lo guardò uscire tristemente. Avrebbero trovato Diodora Mackenzie. Avrebbero liberato Audrey. Qualunque fosse stato il costo di quell’operazione. Era una promessa. Ora doveva parlare al più presto con Harry e, poi, con Robards.

** * **

Da oltre un anno e mezzo Thabatha apriva e catalogava la posta diretta al Capitano Harry Potter in qualità di sua Assistente Personale: non era un lavoro tedioso come avrebbe potuto sembrare, le lettere delle ammiratrici, quelle contenenti inviti a cerimonie ufficiali ed in generale di nessun particolare interesse per il dipartimento degli Auror venivano affidate all’ufficio del protocollo e a lei era trasmessa una semplice relazione su di esse. No, al Quartiere Generale degli Auror arrivavano solo le informazioni riservate o quelle importanti per qualche caso.

La piccola bustina viola che era emersa da un mucchio di corrispondenza ufficiale le era parsa immediatamente strana. Quale ufficio utilizzava una simile carta da lettera? Ma se aveva superato i controlli di sicurezza del ministero non poteva essere che una comunicazione della massima importanza.

Thabatha batté due volte la punta della bacchetta sulla busta. Invece di aprirsi come avrebbe dovuto la missiva cominciò a tremare come scossa da un terremoto interno. Istintivamente la giovane Auror urlò richiamando l’attenzione di Fergus e dell’Auror Rednails.

Tutti e tre sfoderarono la bacchetta pronti ad incenerire il messaggio al primo accenno che lo stesso potesse essere pericoloso.

Dopo qualche secondo la busta cominciò a emettere delle lettere di vapore violetto che pian piano disegnarono nell’aria dell’ufficio un messaggio. Una voce di donna dolce come miele e al contempo abbastanza tremenda da far accapponare la pelle di Thabatha ad ogni parola lesse il sinistro annuncio.

“Tre lune, la quarta di sangue.

L’acqua divorerà il fuoco,

il fuoco inonderà la terra.

La fiamma più fredda del ghiaccio,

la regina camminerà sulle rovine,

la sua serva ad aprirle la strada.

Non chiedete pietà, non ne sarà data.

Riprenderò ciò che è stato rubato

Sette volte sette

Una nuova era scaturirà dalla mia mano.”

Aggrappandosi alla scrivania nel tentativo di rimanere in piedi, Thabatha guardò le parole scomparire così come erano comparse prima che la busta si dissolvesse nell’aria.

Accanto a lei l’Auror Rednails il respiro affannoso per la tensione fu il primo dei tre a riscuotersi dal terrore.

“Presto Auror Goldielocks, vai dal Capitano Potter, serve un pensatoio.  Solo lui può confermarci che quella fosse la voce di Diodora Mackenzie, l’ha interrogata di persona dopo l’incendio a casa dei suoi. Auror Finnigan vai immediatamente a parlare con il Capitano Royalsafe, il Direttore generale Robards deve essere informato al più presto e piuttosto che aver a che fare con royal-pain se posso evitare, affronterei un’acromantula con uno stuzzicadenti al posto della bacchetta.” Fergus lo guardò con aria spaventata.

“Non preoccuparti, ragazzo, ruggine personale tra noi. Io andrò ad avvertire il capitano Weasley.” Soggiunse per rassicurarlo.

   
 
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