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Autore: Lulumyu    17/02/2008    3 recensioni
Può capitare nelle vite delle persone che un avvenimento passato segni per sempre il futuro.
Lei era convinta di essersi lasciata tutto alle spalle, incubi a parte.
Ma si sbagliava.
Il suo destino era già stato predisposto e, dopo quell'incontro, non poteva far nulla per tornare indietro.
Ma era davvero quello che voleva?
Genere: Generale, Romantico, Malinconico, Dark, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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NdA: Ciauz!
Seriamente, scusatemi.
Per scrivere questo capitolo ho impiegato mesi. Subito dopo la lettura del settimo libro ho perso l’ispirazione per questa storia in modo violento. Ci ho messo un po’ a farmi tornare le idee e a ricordare che nonostante tutto potevo riuscire a rimetterci le mani sopra! Però eccomi qui finalmente. Il capitolo è abbastanza lungo; spero compenserà l’attesa. Spero di impiegare meno tempo nella stesura del prossimo e mi impegnerò in questo senso.
Orbene, in questo capitolo vedremo tante coppie! E un po’ di sana azione.

Ringraziamenti:

X Aurora: Ciauz! Ti ringrazio molto e spero mi perdonerai per l’attesa esagerata. Fammi sapere cosa ne pensi di questo capitolo! Un bacione^^.

X carolina: Ciauz! Grazie mille! e scusa per la lunga attesa. Ora l’ispirazione sembra essere tornata al proprio posto :D. Un bacione!

Buono! Spero che il capitolo vi piaccia. Mi raccomando, aspetto recensioni^^!
Sperando che il prossimo non si faccia troppo attendere vi saluto!
Un bacione dalla vostra ‘myu!

Destini Intrecciati
by Lulumyu

22.“Nuovo incontro”


- non dovresti sforzarti -.

- sono seduto a guardare la televisione, non sto facendo jogging -.

- sei vivo per miracolo -.

- sarà -.

- insomma! – sbottò Hermione, alzandosi e spegnendo la televisione – dovresti essere a letto! Sei in convalescenza! -.

- non ho bisogno di un’altra infermiera – rispose a tono Leonard, - oltretutto, Granger, se mi vuoi a letto non c’è bisogno di fare tante scene e puoi dirmelo liberamente. Anche se le mie prestazioni al momento potrebbero risultare limitate -.

Hermione, avvampando, gli lanciò contro un cuscino del divano.

- ehi! Sono in convalescenza! – esclamò ridendo lui.

Nonostante tutto la giovane non poté evitare di lasciare che le sue labbra si piegassero in un sorriso.

Era a casa di Leonard, che era stato da poco dimesso dal S. Mungo, dove aveva passato le ultime settimane. Visto che era sicura che non avrebbe rispettato le indicazioni dei medimaghi, aveva deciso di andare a trovarlo di tanto in tanto per assicurarsi che non facesse troppo il furbo.
E lui non faceva altro che deriderla.

Quando si era svegliato, al S. Mungo, dopo le cure dei medimaghi, era scoppiata a piangere sollevata. Lui l’aveva rincuorata tutto il tempo, continuando a ripeterle che se era vivo lo doveva solo a lei.
Erano andati d’accordo, nell’ospedale. Quando era uscito le cose erano tornate come prima dell’incidente. Un battibecco continuo.

- forza… ti accompagno di là che devo andare – disse, avvicinandosi a lui.

- guarda che ce la faccio da solo. Sarò anche malato, ma non paralitico – borbottò Leonard, alzandosi a fatica e dirigendosi con l’aiuto delle stampelle verso la propria camera.

Non ne aveva bisogno per camminare, ma solo per sorreggersi. Faceva ancora fatica a stare in piedi senza che gli venissero giramenti di testa.

Hermione lo seguì, attenta che non cadesse, senza però neanche accennare a sfiorarlo. L’ultima volta che aveva tentato di aiutarlo si erano messi a litigare e lei se ne era andata furiosa.
Quando si sistemò a letto lei gli rimboccò le coperte.

- grazie mamma – disse lui ghignando.

Hermione gli fece la linguaccia.

- ora vado. Non fare movimenti superflui. Non vorrei doverti riportare all’ospedale -.

Si voltò e fece per allontanarsi, quando si sentì afferrare per il maglione che indossava e si trovò seduta sul letto.

- d’accordo… nessun movimento superfluo – mormorò lui.

La baciò. Hermione si paralizzò dalla sorpresa.

Ridendo, Leonard si scostò da lei.

- Granger, suvvia. Mi è sembrato di baciare un palo della luce! So che puoi fare di meglio… - il suo tono era pericolosamente basso e si stava nuovamente avvicinando al suo volto.

I riflessi di Hermione reagirono per lei, e una mano si posiziono tra le sue labbra e quelle di lui.

- non finchè le tue prestazioni saranno limitate – disse, e, alzandosi, lasciò la stanza.

Leonard rimase a fissarla allibito.

Hermione raccattò velocemente le sue cose ed uscì dalla casa. Camminò con nonchalanche fino ad un angolo ma, appena lo ebbe girato, con un lieve grido stridulo si accucciò per terra, stringendosi la testa tra le mani e appoggiandola alle ginocchia.

- che diavolo mi è preso?! – esclamò, ripetendo nella sua mente almeno un centinaio di volte la frase che gli aveva rivolto, la quale aveva praticamente lasciato intendere che sarebbe stata disposta a ripetere ancora l’esperienza della grotta.

Sono nei guai, pensò col cuore che le batteva in gola, e ora come faccio?!

OoOoOoOoO

- Garuda! – borbottò Ginny, in preda al panico, lanciando per aria due cuscini posati sul letto.

- Garuda! – ritentò, in serpentese, chinandosi a sollevare il copriletto per vederne al di sotto.

- Per Merlino! Dove diamine si è cacciato quel mostriciattolo! – gridò al soffitto, esausta, lasciandosi cadere sulle coperte e agitando le mani per aria e tra i capelli.

Mi uccide. Mi tortura. No di sicuro prima mi tortura, poi mi uccide, mi resuscita e mi tortura di nuovo! pensò, naturalmente riferendosi al Principe.

Nella settimana che aveva seguito il loro primo incontro, Ginny e Garuda avevano avuto molto tempo libero da passare insieme. La maggiorparte del quale era stato impiegato dal piccolo Basilisco a nascondersi nei luoghi più impensati della stanza, facendolo, secondo Ginny, sicuramente apposta per farle perdere le staffe.

Il problema, quella volta, era che non lo trovava proprio. Aveva cercato e ricercato ovunque, aveva messo a soqquadro la stanza da cima a fondo e aveva svuotato completamente l’armadio, i cassetti ed i cassettini. Ma niente.

E sì che è anche cresciuto velocemente! mugolò la giovane tra sé e sé, ricordando lo shock al risveglio, ogni mattina, scoprendo quanto il piccolo si stesse allungando. Quella mattina, ovvero l’ultima volta che l’aveva visto, era lungo quasi quanto il suo avambraccio. Ricordando il bruchino lungo un dito che era, appena uscito dall’uovo, la ragazza ebbe un moto di apprensione pensando a quanto sarebbe cresciuto da lì a un mese. Di sicuro non sarebbe potuto entrare completamente in una stanza così piccola come quella in cui attualmente vivevano, a meno che il Principe non avesse già in mente un altro luogo dove depositarlo successivamente.
Ginny se lo augurava.

O io o lui! pensò, decisa, saltando nuovamente giù dal letto per riprendere la ricerca.

Una cosa era certa; doveva ritrovarlo prima che il Principe, o Nagini, si accorgessero della sua scomparsa.

Magari avesse avuto ancora la sua bacchetta! Un “Accio” e via… sarebbe stato così semplice!
Fortunatamente Nagini le aveva già fatto visita quella mattina… quindi dubitava sarebbe tornata tanto presto.
Quanto al suo carceriere, non credeva che si sarebbe presentato.

In fondo era da quando le aveva portato l’uovo che non le faceva visita. Non avrebbe avuto nessun motivo per arrivare in quel momento.

Arrossì involontariamente, ricordando fin troppo bene cosa era successo l’ultima volta che si erano parlati.
Si fermò momentaneamente, sospendendo la ricerca, ma non muovendosi da un millimetro dalla posizione in cui si trovava.

C’erano tanti abiti, sparsi per terra sotto di lei. Vestita nuovamente con quei jeans e quella maglietta che erano unico ricordo del giorno della sua cattura, le sembrava quasi di essere fuori luogo nella sua stessa stanza.
Ormai considerava definitivamente sua quella saletta circolare nella quale aveva vissuto per settimane. Forse mesi, ma non lo ricordava. Non aveva nulla che potesse farle comprendere quanto tempo era effettivamente passato dalla sua venuta.
Per assurdo, potevano anche essere passati anni.

All’improvviso la sua attenzione fu catturata da un fruscio in direzione del letto.
Completamente presa da quel rumore tese le orecchie e, muovendosi più o meno come un gatto durante la caccia, cominciò trionfante a muoversi in quella direzione.
Passo dopo passo il fruscio si faceva più deciso e lei sempre più febbrile.
Arrivata appresso al letto le sembrò per un istante di vedere un movimento dietro ad alcuni cuscini che aveva spostato poco prima con poca grazia.

Eccoti, bestiaccia pensò, quasi leccandosi le labbra dall’entusiasmo, mentre sul suo volto si dipingeva un sorriso diabolico.

Bloccare Garuda dal fuggire, aveva scoperto, era ancora più difficile che scovarlo. Era agile e sgusciava via come un’anguilla.
Ma Ginny si sentiva sicura, oh, se si sentiva sicura.
Dopo aver ripetuto per una settimana le stesse tattiche e dopo aver fallito decine di volte, ora sapeva che avrebbe potuto farcela.

Senza troppi pensieri, e talmente presa dalla sua piccola caccia da non prendere assolutamente nota del fatto di non essere più sola in quella stanza da qualche attimo, Ginny spiccò letteralmente il volo, lanciandosi a peso morto vicino ai cuscini con un urlo strozzato degno di una banshee.
La lotta che seguì fu breve ma intensa e, naturalmente, Garuda ebbe la meglio.

Convinto di poter riposare meglio sul letto e completamente ignorante del fatto che la sua padrona lo stesse cercando credendo che si fosse nascosto apposta, il giovane serpente si era accucciato sotto ai cuscini, arrotolandosi su se stesso.
L’urto improvviso e l’urlo spaventoso lo avevano scosso a tal punto da farlo sgusciare via come una saetta, convinto di essere in pericolo.
Non che avesse torto.

Ginny si trovò con la faccia premuta contro il letto e rimase immobile per qualche istante.

- Maledetta bestiaccia! – gridò, fuori di sé, riemergendo dai cuscini.

Aveva appena cominciato a estrarre dalle sue tonsille una serie di parole imparate dai suoi fratelli nei lunghi anni di convivenza, che si bloccò improvvisamente, sbiancando, quando si sentì chiamare da una voce che conosceva fin troppo bene. Divenne subito cadaverica, poi, chiedendosi da quanto tempo lui si trovasse nella stanza e quanto avesse visto.

- cos’è successo qui dentro? – disse con calma Evil, non nascondendo il suo stupore alla vista delle condizioni della stanza.

Arrossendo vistosamente ed evitando lo sguardo del nuovo venuto, lei mormorò piano:

- nulla… io e Garuda… lui voleva giocare così… stavamo giocando -.

Poteva intuire lo stupore del suo interlocutore anche se non ne poteva intravedere il volto.

Il Principe si avvicinò con calma, abbassandosi a sollevare le coperte e allungando un braccio sotto il letto.
Ginny, ancora seduta sopra ad esso con una gamba a penzoloni da un lato, rimase immobile a guardare i suoi movimenti, pietrificata dalla breve distanza che li separava.
Egli sussurrò il nome del serpente in serpentese e, ovviamente, il piccolo traditore accorse subito ad arrampicarsi sul suo braccio.
Il Principe riacquistò la posizione eretta, lasciando che il Basilisco gli si accomodasse sulle spalle.

- credo tu l’abbia spaventato – mormorò contemplativo – che gioco divertente -.

Ginny dovette mordersi le labbra per impedirsi qualsiasi commento.

- all’inizio ho sinceramente creduto che avessi ricominciato a fare i capricci, vedendo tutto questo – continuò lui, e con un movimento circolare del braccio indicò ciò che lo circondava.

- non riuscivo a trovare Garuda – ammise lei, evitando di incontrare il suo sguardo – quindi non mi restava che cercarlo ovunque -.

- capisco – mormorò, prendendo il serpentello e poggiandolo accanto a lei, sul letto.

Si era piegato in avanti, appoggiandosi contro la coperta, e i loro volti erano a breve distanza.
Nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, Evil si era già impossessato delle sue labbra, cogliendola di sorpresa.

Il bacio non durò a lungo, ma fu comunque sufficiente a sconvolgerla.
Si allontanò da lei, aggirandosi per la stanzetta e analizzando i numerosi abiti ed oggetti coinvolti nella confusione generale.

- se ciò che possiedi non è più di tuo gradimento non esitare a riferirlo ai domestici – disse – ti porterebbero subito ciò che desideri -.

Ginny, ancora in preda alla confusione per la tranquillità con cui le stava parlando, soprattutto dopo ciò che era successo appena pochi attimi prima, scosse la testa.

- no, no. Non ho bisogno di nulla – rispose – mi andrebbero bene dei jeans ed un paio di magliette, tutto qui -.

Percepì che lo sguardo del suo carceriere era tornato ad indugiare su di lei anche senza vederlo.

- ciò mi addolora, Ginevra. Trovo che abiti eleganti ti si addicano maggiormente – mormorò, carezzevole.

- non mi diverte vestirmi come una bambolina per l’altrui divertimento – commentò prima di potersi trattenere, pentendosi immediatamente di averlo contraddetto.

Per tutta risposta lo sentì ridere ironicamente ed in pochi istanti era inginocchiato sul pavimento di fianco al letto, nuovamente accanto a lei.
Visto che Ginny si rifiutava di guardarlo portò una mano sotto al suo mento, spostandolo nella propria direzione.

- non credo mi si possa biasimare per questo. Sfido qualsiasi uomo a non volerti ricoprire di attenzioni come faccio io. Preferiresti forse essere rinchiusa in una fredda cella umida, vestita di stracci e accompagnata non dal rumore del mare ma dal rantolo di un Dissennatore? Guardami, Ginevra – le ordinò.

Ginny ubbidì, turbata dal suo improvviso discorso. La sua voce restava carezzevole, discordante con quella velata minaccia. Ritrovandosi ancora una volta a rimirare quella maschera, che le apparve ancora più terribile, rimase immobile nel momento in cui incontrò i suoi occhi gelidi ancora una volta.

- se è questo ciò che desideri, non devi far altro che dirlo e sarai accontentata – concluse lui, spostando la mano che le cingeva il mento a scostarle una ciocca di capelli dietro un orecchio, come per essere meglio ascoltato da una bambina capricciosa.

Ginny si chiese, per qualche attimo, se forse, richiedendo quel trattamento, si sarebbe salvata da quell’universo di lusinghe che pian piano la stavano attraendo al Principe come una calamita. Trattata come una normale prigioniera sarebbe rinsavita, avrebbe ritrovato la ragione, avrebbe smesso di tentare di giustificare il fatto che aveva smesso di ribellarsi al suo nemico. Oppure, le ricordò una voce insistente nella sua testa, impazziresti ancora di più a causa del Dissennatore, perdendo quel poco di lucidità che ti resta. E avendo minori probabilità di sopravvivere fino al giorno della definitiva disfatta del Signore Oscuro.

Oltretutto il proprio sesto senso le suggeriva che, anche nel momento in cui l’avesse richiesto, il suo carceriere non l’avrebbe spostata da quella stanza. Molto probabilmente stava come al solito giocando con lei.

Sono debole, pensò, scuotendo lentamente la testa in risposta al suggerimento del Principe.
Fu certa che stesse sorridendo gelido, al di sotto di quella maledetta maschera che era tornata alla sua forma originaria e gli stava coprendo nuovamente tutto il volto.

- molto bene. Mi aspetto dunque di trovarti abbigliata in modo più consono, quando tornerò – le disse, dandole un buffetto sulla guancia.

Ginny si innervosì. La stava davvero trattando come una bambina.
Lui si alzò, estraendo la bacchetta. Per qualche attimo Ginny sudò freddo, ma si rilassò subito, sentendolo mormorare un incantesimo che riportò la stanza al suo ordine iniziale.

- dove vai? Lontano? Per quanto tempo? – gli rivolse quelle domande a mitraglietta, sperando che si stesse dirigendo in un luogo molto, molto lontano e per lungo, lungo tempo.

Evil le tornò accanto.

- non credevo che le mie assenze ti preoccupassero tanto, Ginevra, e ti prometto che d’ora in avanti verrò a trovarti molto più spesso – la derise apertamente, sfiorandole una guancia con una mano e osservando il suo sguardo allarmato. Quando vide che la giovane fu sul punto di rispondergli le posò un dito sulle labbra e le mormorò:

- non devi preoccuparti per la mia salute, non andrò molto lontano. Devo svolgere un compito importante, ma non adatto alle orecchie di una bambolina – le disse.

Si aspettava di vedere le sue guance tingersi di rosso dalla rabbia, ma fu sorpreso nel vedere che era impallidita.
Si ricordò solo in quel momento di avere ancora il proprio dito appoggiato sulle sue labbra, che in quel pallore sembravano ancora più rosee, ed i suoi occhi si incupirono.

La sua maschera recedette sul suo viso per la seconda volta in quella giornata, quando si piegò verso di lei. Questa volta fu un bacio più violento, che si sentì più restio ad interrompere.
Ma ben sapeva che non poteva sottrarsi ai propri doveri. La lasciò andare, impedendosi di lanciarle anche una sola occhiata, nel timore che, se lo avesse fatto, non si sarebbe più potuto trattenere.

Ginny lo osservò scomparire dalla stanza senza realmente vederlo. Perfino nel momento in cui l’aveva baciata ancora, non aveva avuto reazioni.

La sua mente era ancora concentrata sulle parole che le aveva rivolto poco prima;

Devo svolgere un compito importante, ma non adatto alle orecchie di una bambolina, aveva detto.

Forse aveva voluto divertirsi a prenderla in giro, ma quelle parole l’avevano terrorizzata più di una minaccia di morte.
Si lasciò ricadere sul letto, raggomitolandosi in una palla, non riuscendo a smettere di tremare.

Fu a malapena conscia del fatto che Garuda le si era arrampicato addosso, scivolando nel piccolo spazio rimasto tra le sue braccia e le gambe e arrotolandosi tranquillo, appoggiato contro il suo ventre.

Se era qualcosa di cui non poteva parlarle, riguardava il Signore Oscuro. E con molta probabilità, se egli aveva mandato il Principe stesso a svolgere quel compito, riguardava qualcosa di importante. Probabilmente perfino un omicidio.
Pensò ai propri cari, pregando che stessero bene.

Ma soprattutto si chiese come si sarebbe comportata con il Principe quando lo avrebbe rivisto, conscia come non mai del fatto che quelle stesse mani che tante volte l’avevano sfiorata avevano impugnato una bacchetta che aveva ucciso e che quelle stesse labbra che l’avevano baciata avevano pronunciato l’Anatema Mortale.

OoOoOoOoO

Ron lanciò uno sguardo fuggevole al cielo cupo.

- pioverà – constatò, contrariato.

Dianne, al suo fianco, lo osservò divertita.

- previsioni del tempo in tempo reale – commentò.

- e chi ha bisogno di guardare la tv? – le fece eco il fratello Jean, tirando una pacca su una spalla di Ron.

Il rosso sorrise brevemente.

- non era esattamente la mia ambizione primaria quella di presentare il meteo – disse, - mi stavo riferendo a ben altro -.

- stai tranquillo… oggi sarà una giornata tranquilla – tentò di rassicurarlo Dianne, dolcemente.

- per lo meno qui – gli disse Jason, camminando piano verso di loro. Aveva da poco finito il giro di ricognizione e aveva sentito i loro discorsi da poco lontano, - hanno già attaccato questo posto. Non vedo perché dovrebbero tornarci -.

Si trovavano appena fuori dalla vecchia fortezza del Signore Oscuro, nello stesso luogo dove tempo prima lui, Harry ed Hermione avevano incontrato faccia a faccia il Principe Oscuro e si erano scontrati vittoriosi con il gruppo di Mangiamorte al suo seguito. Da quel giorno gli Auror tenevano costantemente d’occhio il castello, soprattutto per cercare altri oggetti o altri motivi per i quali il Principe sarebbe potuto tornare proprio lì.

Ron non era stato molto contento di essere assegnato proprio a quel compito, quella settimana.
Era un luogo che non gli riportava alla mente ricordi molto piacevoli.
In fondo era cominciato tutto da lì.

- a proposito di Mangiamorte, dovevano essere proprio di cattivo umore. Avete visto come hanno scardinato la porta d’ingresso? Mai visto niente di simile – commentò Dianne, - oh, come vorrei ci fosse anche Franz qui! È lui l’esperto di incantesimi… di sicuro avrebbe potuto identificarlo! – si lamentò poi, ricordando il compagno a cui era stato assegnato un altro compito.

Ron sentì una sensazione soffocante al petto e sorrise amaro, lanciando un breve sguardo alla porta finita in pezzi davanti alla sua precedente ubicazione.

- non credo che Franz possa conoscere questo incantesimo – mormorò.

Jason, sedendosi poco distante, lo guardò curioso.

- come mai? Sai bene che non c’è incantesimo che Franz non conosca almeno per sentito dire -.

Ron scosse la testa.

- questo incantesimo… è stato inventato da qualcuno che conosco. Nessun altro lo sa – rise, tentando di dissimulare ciò che provava.

- Potter? – domandò ad occhi sgranati Jean.

- no. Hermione – disse. Gli costò uno sforzo non indifferente pronunciare quel nome.

- è proprio un genio, non c’è che dire. Però non credo mi piacerebbe averci a che fare – commentò impressionato Jason.

- come mai? – domandò curiosa Dianne.

- è troppo faticoso stare accanto a qualcuno che ha sempre costantemente ragione – rispose, poi scoppiò a ridere – non mi stupisco che Ronnie sia fuggito a gambe levate appena ne ha avuto la possibilità -.

- Jason! – lo rimproverò Dianne, - sai bene perché Ron è venuto nella nostra sezione di Auror. Non mi sembra il caso di scherzarci su -.

Jason guardò colpevole Ron.

- scusa Ronnie. Non volevo fare del sarcasmo su… beh – lasciò la frase in sospeso, imbarazzato.

Ron sorrise appena.

- guarda che hai ragione – il nodo nel petto si strinse tanto da fargli male mentre cominciò a ridere – non ne potevo più di Hermione. È colpa sua se me ne sono andato -.

- Ron… - Dianne lo guardò tristemente.

Non guardarmi così. Non guardarmi come avrebbe fatto lei.

I suoi amici avevano ascoltato ogni sillaba del suo racconto con il fiato sospeso. L’incontro con il Principe, il rapimento di Ginny, la partenza di Harry… e ancor prima i suoi anni ad Hogwarts, gli scontri con Voldemort, le perdite…
Come aveva immaginato, erano rimasti scioccati dall’apprendere come, a soli undici anni, lui ed i suoi amici si erano trovati faccia a faccia con tali difficoltà. Faccia a faccia col loro peggior nemico.

Ovviamente non sapevano nulla del suo rapporto con Hermione, o dei segreti che riguardavano Harry nel profondo.
Non aveva mai avuto l’intenzione di raccontare ad altri le faccende private del suo migliore amico, e i suoi compagni avevano avuto la presenza di spirito di non fargli ulteriori domande ed accontentarsi del racconto lacunoso che lui aveva loro presentato.

Certo, come immaginava, i loro rapporti, perlomeno riguardo il modo in cui ora lo trattavano, erano molto cambiati.
Se prima erano un gruppo in cui ognuno era leader di se stesso, ora tutti loro tendevano a sentire la sua opinione prima di agire. Forse era perché lui aveva più “esperienza” riguardo il Signore Oscuro e le sue tattiche, o forse per rispetto del suo coinvolgimento in prima persona nella faccenda. Non lo sapeva, neanche lo aveva chiesto.

Era proprio come aveva immaginato che le cose sarebbero andate. Era lui l’Harry Potter del gruppo, ora. Jason, Jean e Franz erano i Ron, i Neville, i Dean… e Dianne si stava comportando proprio come Hermione si era sempre comportata con Harry, solo che lei sembrava avere nei suoi riguardi un coinvolgimento sentimentale che Harry da Hermione non aveva mai avuto.

Tornò a guardare il cielo, simulando una risata.

- tranquilla, Dianne. Non mi offendo mica – le disse.

Dianne sospirò contrariata. Capiva bene come Ron fosse sensibile ai discorsi sui suoi amici e su sua sorella, anche se lui sembrava credere il contrario. Poteva vedere come i suoi muscoli si contraessero ogni volta che l’argomento veniva portato a galla.
Ma lui continuava a dire che andava tutto bene. Ed era ovvio che mentiva.
Eppure si tratteneva sempre dal dirglielo. Troppe cose, sospettava, Ron non aveva voluto raccontare. Per entrare completamente nel suo mondo, nel suo cuore, per aiutarlo davvero, avrebbe dovuto aspettare. Un giorno la sua pazienza sarebbe stata ripagata, ne era certa.

Vedendo Ron rannuvolarsi nuovamente, decise di agire per smuoverlo un po’.

- Ron andiamo dai, tocca a noi fare il giro – disse con un sorriso, alzandosi, prendendogli un braccio, e tirandolo giocosamente per farlo alzare in piedi.

Lui ridendo si alzò e lei, tenendolo per mano, cominciò ad incamminarsi.

- ehi voi! Non nascondetevi nei cespugli mi raccomando! Non si sa quali bestiacce vivano qui – li derise Jason.

Ron, avvampando, gli rivolse un gesto non proprio carino, facendo ridere la ragazza.

Camminavano a fatica, spesso rimanendo intrappolati nelle piante del sottobosco, e parlavano e ridevano in modo spensierato. Quando era solo con lei aveva la testa libera da angosce. Proprio per questo Dianne gli piaceva molto.
Si fermarono in una piccola radura e si sedettero nuovamente l’uno accanto all’altra.
Lei gli sorrise dolcemente, un po’ imbarazzata. Quando Ron si sporse in avanti però non esitò a lasciare che le loro labbra si incontrassero e si accoccolò contro di lui, felice.

Rimase in quella posizione anche quando il bacio terminò, serena.

- va meglio ora? – mormorò dolce, - prima sembravi così teso -.

Ron sorrise lievemente. Dianne sapeva sempre quando lui era nervoso o alterato. Come lo notasse era un mistero.

- sì, grazie. Sono più rilassato – rispose.

- devi smetterla di fare finta di nulla e dire chiaramente a Jason di smetterla di fare commenti sul tuo passato, visto che t infastidiscono – lo rimproverò leggermente.

Ron sorrise, stringendola a sé.

- ma Jason non mi infastidisce affatto – disse, e sapeva che per una volta stava dicendo la verità, - sono i ricordi che mi infastidiscono -.

Rimasero in silenzio. In quel bosco anche i fruscii del vento tra le foglie risultavano sinistri.

- Ron… non vorrei sembrare inopportuna, ma… - cominciò lei, incerta.

- chiedi quello che vuoi – la rassicurò lui, dandole un bacio sulla nuca – ma non ti assicuro una risposta – rise.

Dianne rise, tirandogli una gomitata. Poi tornò incerta, e disse:

- posso capire come tu possa reagire male ogni volta che si parla di tua sorella – e sentì nuovamente la tensione catturare il suo ragazzo, ma scelse di continuare, - ma non capisco perché hai la stessa reazione anche quando si parla dei tuoi amici… voglio dire… dovete aver litigato fortemente per esservi separati in questo modo così… - e tacque.

Il nodo gli si strinse nuovamente.

- io ed Hermione abbiamo litigato, questo sì. Ma solo perché avrebbe voluto seguirmi al campo di addestramento. Con Harry… forse sarebbe stato meglio litigare – rispose.

- perché scusa? Non è una buona cosa non aver litigato affatto? – domandò lei.

- no. Perché Harry ed io non ci siamo più visti dopo che Ginny… è scomparso. Se ne è andato senza dire nulla. Non credevo che mi considerasse inaffidabile al punto da tacermi i suoi propositi – disse nervosamente.

Era la prima volta che esprimeva ad alta voce quei pensieri.

- avrà avuto i suoi buoni motivi… - cominciò lei, ma Ron lo interruppe bruscamente.

- ma certo, come no. Qui in fondo stiamo parlando del grande Harry Potter. Avrà avuto senz’altro ottimi motivi per lasciare i suoi migliori amici senza dire nulla -.

Cadde un silenzio più teso.
Dianne lo guardò di sottecchi.

- non dire così – mormorò – scusa, è colpa mia per aver tirato fuori questo discorso -.

Ron sospirò.

- no, no. Scusami tu – disse lui – è solo che avrei voluto… ma del resto non ero neanche nelle condizioni adatte – disse.

- eri sconvolto per quello che era successo. Non fartene una colpa – lo rincuorò lei.

- vorrei sapere dov’è ora. Vorrei parlargli. Capire perché non mi ha detto nulla e se ne è andato da solo. Abbiamo sempre fatto tutto insieme, noi tre. Ho detto ad Hermione… che lo ha fatto perché ha capito che insieme non possiamo fare nulla e siamo troppo vulnerabili e rintracciabili. Vorrei che non fosse vero –.

Dianne, che fino a quel momento era rimasta con la schiena appoggiata al suo petto, si voltò e lo abbracciò.

- un giorno vi ritroverete sullo stesso campo di battaglia, vedrai. E allora tu sarai pronto a sostenerli e noi ti aiuteremo – gli disse.

Ron la strinse contro di sé, pieno di gratitudine. E di sensi di colpa.

- non avrei dovuto trascinarvi in questo modo in faccende che non vi riguardano – le disse.

Dianne si scostò per poterlo guardare in faccia. Gli accarezzò una guancia.

- se avessi tenuto tutto dentro di te avresti finito per soffrire al punto di impazzire – sorrise – ora puoi parlare liberamente con qualcuno del peso che ti trascini dentro. Non trovi sia tutto più luminoso, ora che sai di non essere solo a ergerti sul campo di battaglia, ma siamo in cinque? -.

In risposta Ron la baciò nuovamente, profondamente grato della sua presenza.
Ma dei rumori forti provenienti da dove si trovava l’entrata del castello li distolsero da quei dolci momenti passati insieme.
Allarmati si separarono l’uno dall’altra ed in tutta fretta cominciarono a dirigersi verso il luogo dove avevano lasciato i loro compagni.

- cosa sta succedendo?! – chiese senza fiato Dianne.

- non lo so, ma tieni sotto mano la bacchetta – le consigliò subito Ron.

Quando arrivarono in prossimità della radura antistante all’entrata videro lo svolgimento di una battaglia in piena regola tra i loro compagni e dei Mangiamorte.
Altri Auror si stavano materializzando, segno che l’allarme era già stato dato.

- Jean… Jason – mormorò Dianne, scrutando febbrilmente le figure che si lanciavano incantesimi.

Poi riconobbe la figura del fratello, poco distante dal luogo in cui li avevano lasciati in precedenza.

- Ron! – chiamò, indicandolo.

- ho visto! – esclamò lui, prendendola per mano e trascinandola di corsa in mezzo alla battaglia.

Protesse lei e se stesso un paio di volte da incantesimi vaganti lanciati dai combattenti e si diresse verso Jean.
Questi lo vide e, quando lo raggiunsero, esclamò:

- per fortuna siete arrivati! Avevo paura che vi avessero attaccati -.

- cosa sta succedendo? – domandò Ron, lasciando la mano di Dianne ma continuando a tenere d’occhio anche gli incantesimi che potevano volare verso di lei.

- stiamo combattendo, non vedi? – giunse la voce di Jason, che, poco lontano, mise faticosamente fuori combattimento un avversario.

- non mi sembra il momento di scherzare – lo rimproverò Jean, - Ron, sono comparsi all’improvviso e noi abbiamo dato l’allarme. Ma non sappiamo perché siano qui – gli spiegò.

- chi è al comando? – domandò il ragazzo, lanciando un incantesimo in direzione di un Mangiamorte poco lontano.

- non ne ho idea! C’è troppa confusione – rispose Jean. Fu quasi colpito da uno schiantesimo, e Dianne urlò spaventata.

- allora dobbiamo… - cominciò Ron, ma si bloccò improvvisamente.

Un’ombra nera era passata attraverso l’arcata d’entrata del castello. Per un attimo sentì il proprio corpo diventare gelido, ma poi una vampata di calore gli scoppiò nel petto e, quasi ringhiando, il giovane cominciò a correre verso quel luogo.

Gli altri tre, sbigottiti, tentarono di chiamarlo. Si convinsero a seguirlo, per paura che gli accadesse qualcosa di male.
Ron corse e corse, il respiro gli usciva violentemente dai polmoni. La rabbia lo stava dominando completamente, e non aveva in mente altro se non lui.
Raggiunse quella sala nella quale già una volta aveva combattuto, in prossimità di quella porticina nascosta dietro uno degli arazzi sgualciti.

Lui era là. Stava tentando di entrare. Qualche angolo della sua mente ricordò a Ron che la porta era stata sigillata per evitare a chiunque di potervi entrare, senza conoscere una parola d’ordine.
Si fermò, puntandogli la bacchetta contro.
Finalmente erano di nuovo faccia a faccia.

- dov’è mia sorella? – ringhiò.

La figura ammantata si voltò. La maschera brillò sinistra.

- al sicuro – rispose sardonico Evil, osservando attentamente il rosso.

Aveva sentito che qualcuno lo stava seguendo, ma se ne era curato poco. Forse avrebbe dovuto prestarci più attenzione. Non aveva tempo di giocare. Soprattutto con un elemento fastidioso come uno dei fratelli di Ginevra.
Oltretutto il migliore amico di Potter.

- dimmi dov’è e forse ti ucciderò senza farti provare dolore – ripeté Ron, avanzando di un passo.

Evil rimase immobile.

- non avvicinarti oltre – il suo tono era gelido – non vorrei dover portare a Ginevra la notizia della tua morte -.

Ron si fermò, sempre più furioso, ma solo perché udì delle voci che lo chiamavano.
Gridò di non avvicinarsi, ma fu tutto inutile. Jason, Jean e Dianne entrarono nella stanza; quando notarono l’identità della quinta persona nella stanza subito gli puntarono le bacchette contro.

- Ron che cosa stai facendo?! – gridò Dianne, sudando freddo.

- vi avevo detto di non venire – gridò lui, furente.

Rimasero sconvolti dal tono di Ron. Non li stava neppure guardando: tutta la sua attenzione era rivolta al Principe.

- è dura, vero, Weasley? Quando i sottoposti disubbidiscono – la voce di Evil era ironica.

Ron lo vide studiare con lo sguardo i suoi compagni.

- non sono miei sottoposti. Sono miei amici. E non ti azzardare a guardarli. Concentrati su di me, se vuoi sperare di salvarti in qualche modo – lo minacciò.

- amici, certo… - commentò Evil, - mi è giunta alle orecchie la notizia che Potter se ne è andato per conto suo. Finalmente. Ma non credevo che anche tu avresti potuto recidere così facilmente i vostri legami… - poi il suo tono si fece più cupo e derisorio – quando saprà di essere stato rimpiazzato… mio fratello ne soffrirà… e mi ringrazierà quando saprà che fine hanno fatto il suo amico traditore e i suoi degni compari -.

- parla quanto vuoi. Non riuscirai a far loro nulla – disse Ron.

- Ron! Ti prego smettila! – era Dianne, prossima alle lacrime per la tensione.

Quando lo sguardo di Evil si posò sul suo sentì un’ondata di terrore avvolgerla.

- pessima scelta, Weasley – commentò gelido lui, - l’altra era più coraggiosa, anche se Mezzosangue. E questa invece? – disse.

Ron comprese che si stava riferendo ad Hermione.

- sto perdendo la pazienza. Dimmi dov’è Ginny con le buone o… - cominciò.

- o mi schianterai? La paura mi immobilizza. Io dico, Weasley, che non hai ancora imparato la lezione. Forse dovrei portare con me qualcun altro oltre a Ginevra… potrebbe aiutarti a comprendere – e il suo sguardo tornò provocatoriamente a soffermarsi sulla ragazza presente, che Jean subito portò dietro di sé.

Lui e Jason stavano osservando la scena incapaci di reagire. Era la prima volta che avevano a che fare con qualcuno di così famoso e malvagio. Non avevano idea di come muoversi.

Nel momento in cui Evil concluse la sua velata minaccia Ron lanciò un potente incantesimo che lui scartò abilmente.
Cominciarono a duellare in piena regola, scambiandosi frecciate violente di magia colorata.
Ben presto anche il Principe cominciò a sentire quanto il giovane Weasley fosse migliorato. Certo, non al punto da impensierirlo.
O almeno era quello che credeva.

I colpi di Ron non perdevano di precisione ed intensità e, anche se spesso era messo in seria difficoltà dagli attacchi di Evil, non accennava a cedere.

I tre spettatori rimasero immobili a guardarli combattere. Ma improvvisamente dalle scale giunse un piccolo drappello di altri Mangiamorte, accorsi per sostenere il loro signore.
Riprendendosi dallo shock i tre cominciarono a duellare con quelli, tenendo comunque sott’occhio Ron ed il suo avversario.

La situazione era stabile. Nessuno dei due riusciva a colpire l’altro ed entrambi cominciavano a stancarsi di quel combattimento. Gli incantesimi si fecero più veloci, i movimenti più arditi.
Con la coda dell’occhio Ron intanto controllava i suoi compagni. Era furioso. Se non lo avessero seguito, non avrebbe dovuto preoccuparsi anche per la loro salute, non potendo concentrarsi contro il suo avversario.
Sapeva che era un pensiero crudele, ma in quel momento il proprio raziocinio era unicamente concentrato sul fare del male al proprio nemico.

Quando però udì l’urlo di Dianne, schiantata da un Mangiamorte, fu per un istante distratto e il Principe riuscì a colpirlo.
Ron colpì violentemente la parete della stanza con la schiena e tossì sangue.
Ma si rialzò subito, tornando a combattere con più foga di prima.

Nel frattempo Jean, proteggendo la sorella priva di sensi, continuava a combattere al fianco di Jason. Erano rimasti solo due Mangiamorte, ma non sembravano voler mollare.

- dobbiamo andare via di qui… Dianne maledizione… - esclamò Jean preoccupato per la sorella.

- Ron! Dianne è ferita! Ron! Muoviti dobbiamo andarcene! – gridò Jason, irritato, verso l’amico che sembrava essersi del tutto dimenticato di loro.

Ma Ron aveva ben sentito. Andare significava rinunciare a sapere dove sua sorella era stata portata.
Durante gli ultimi istanti era stato più volte ferito di striscio e lo stesso era accaduto al suo nemico, che aveva il mantello nero tagliato in più punti.

Le urla incalzanti di Jason lo costrinsero a lasciare andare sua sorella ancora una volta.
Ma lui non se ne sarebbe andato illeso.

Aveva appreso incantesimi molto potenti grazie a Franz, che li conosceva tutti almeno per sentito dire.
Puntò la bacchetta dritta contro il nemico, e da questa fuoriuscì al suo comando un raggio argentato che lo colpì ad un fianco. Il tessuto del mantello si polverizzò e sulla pelle si aprì un taglio vistoso dal quale cominciò a riversarsi il sangue.
Evil strinse gli occhi per il dolore, soffocando un ringhio. Lui e Ron rimasero qualche istante immobili guardarsi in cagnesco.

- Ron! – gridò ancora una volta Jason, e il ragazzo si voltò. Evil si afferrò il braccio sinistro. I due Mangiamorte si fermarono e sussultarono per il dolore. Poi, quando videro il loro signore smaterializzarsi, lo seguirono a ruota.

Ron si inginocchiò di fianco ai compagni, solo per essere colpito da un pugno di Jason.
Guardò esterrefatto l’amico.

- questo è per averci fatto preoccupare e per esserti dimenticato completamente di noi – ringhiò, - ora andiamo, purtroppo non c’è tempo per le chiacchiere. Ma questa, Ronald Weasley, non te la farò passare liscia -.

Jean li guardò sorridendo leggermente. Sapeva che Jason non era arrabbiato sul serio; ma molte cose avrebbero necessitato un chiarimento nel loro gruppo. Stringendo Dianne contro di sé si smaterializzò, seguito da Jason.

Ron rimase ancora qualche istante a fissare allibito il luogo in cui era stato Jason. Poi il suo sguardo si posò su quella stanza spoglia, pieno di rimpianti e rabbia.
Infine si smaterializzò.

OoOoOoOoO

Si chiese perché al posto di dirigersi in infermeria o nelle sue stanze si era diretto proprio lì, quando si accasciò privo di sensi sul pavimento con il grido spaventato di Ginevra nelle orecchie.

  
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