Tutto
secondo i piani
Dagon seguiva i passi di
Richard con attenzione, riuscendo
a rimanere invisibile ai suoi occhi. Proveniva dagli abissi e, nelle
missioni
di spionaggio, cercava di ricreare intorno a sé quell’oscurità in cui
tante
volte si era orientato nelle profondità marine.
Ora il suo Regno non
esisteva più, ma Dagon passava
inosservato anche in pieno giorno, se voleva, trovando nascondigli e
punti
d’ombra, elegante e preciso, facendo attenzione anche ai più piccoli
dettagli,
al più piccolo movimento.
I suoi sensi erano forse
trenta volte più potenti di quelli
umani. I passi di Richard Anderson gli sembravano incredibilmente
impacciati.
Il giornalista non si
accorse mai di lui. Sembrava sereno.
Molto stupido da parte sua.
Dagon distinse, dal suo
nascondiglio nascosto all’ombra di
un palazzo, gli alberi e la fontana dei giardini, lo stretto viale dai
mattoni
rossi e le panchine. Vide il ragazzo sfilare dalla tasca il pacchetto
di
sigarette e cercare l’accendino, sedersi sul muretto della fontana.
Spostava lo sguardo
dall’acqua al prato.
Dagon si guardò attorno.
Tre giovani discutevano
animatamente su una panchina dall’altra parte del vialetto. Avrebbe
dovuto
agire al più presto, non era sicuro che Machiavelli potesse concedersi
il lusso
di aspettare ancora per molto, doveva cogliere l’occasione. Non sapeva
quando
si sarebbe ripresentata.
Doveva farlo prima che
arrivasse altra gente, ma soprattutto
prima che i Flamel si allarmassero.
Si era letto e riletto
le pagine del quaderno in cui
Nicholas Flamel spiegava a Richard tutto ciò che aveva il diritto di
sapere.
L’Alchimista non si era sbottonato troppo, a dire il vero,
probabilmente perché
pensava che il ragazzo sarebbe stato più al sicuro conoscendo solo lo
stretto
necessario.
Il giornalista, da parte
sua, era rimasto così colpito da
non trovare più domande.
Era avvenuto solo tre
giorni prima. Machiavelli stava
preparando il suo bagaglio, sarebbe partito di lì a poco per il Perù.
Si era
sporto sopra la spalla di Dagon, quando il segretario gli aveva
annunciato che
l’Alchimista aveva finito di parlare di lui.
Le parole continuavano a
formarsi sulla carta, poi ci fu
una lunga pausa.
« Non è stato molto
gentile… ma tutto sommato è stato il
primo a parlare così bene di me.» aveva commentato l’italiano, con un
mezzo
sorriso.
Dagon doveva ammettere
che Flamel aveva saputo trattenersi.
Evidentemente Nicholas non aveva avuto voglia di turbare ancora di più
Richard
rivelandogli che era stato ospite di uno spietato manipolatore mentale.
“ Niccolò Machiavelli
è… credo che tu abbia già sentito parlare del politico italiano del
rinascimento… anche lui è immortale. E non è una bella persona. Usa le
persone
come marionette e sa condizionare i loro comportamenti. Ha ordito
inganni che
nemmeno immagini. Certo… è più cauto di Dee, e sicuramente molto meno
fanatico
e distruttivo. Non so perché ti abbia salvato, ma non è stato per buon
cuore.
Avrà sicuramente pensato che tu potessi servirgli a qualcosa… »
A questo punto c’era
stata una breve pausa.
« Tutti pensano che io
abbia sempre secondi fini… » aveva
mormorato Machiavelli con aria malinconica.
Poi Flamel era passato a
Dagon. Non aveva detto molto
nemmeno su di lui. Per non impressionare troppo Richard, non aveva
detto una
parola sull’esistenza di diversi Regni d’Ombra, e quindi il giornalista
era
convinto che Dagon fosse un umano dai poteri sovrannaturali.
« Questo ci sarà molto
utile. » aveva affermato
Machiavelli. « Quando rivedremo Flamel, dovrai ricordarmi di
ringraziarlo. »
La creatura non sapeva
se sentirsi infastidita. E
ovviamente l’italiano se ne era accorto.
« Forse adesso il
ragazzo pensa che tu abbia un problema ai
lobi oculari. » aveva supposto, con un sorrisetto insopportabile.
Dagon rimase ad
osservare il ragazzo ancora per un po’. Gli
bastarono cinque minuti, perché i giovani sulla panchina si erano
alzati e si
stavano dirigendo verso un viale alberato al di fuori dei giardini.
La creatura trattenne un
sospiro. Era l’ora di muoversi.
Non era mai stato
particolarmente dotato per la
recitazione.
Di solito era
Machiavelli che si guadagnava la fiducia
delle persone, che sapeva mentire e fingere emozioni. La finzione era
la sua
arte. Ma in questo caso anche lui si era dovuto arrangiare.
E rischiare.
Dagon inforcò gli
occhiali da sole e tornò indietro per
qualche decina di metri, camminando accostato al muro di un vecchio
palazzo,
facendo attenzione che la sua figura fosse sempre parzialmente coperta
dagli
alberi. Le sue orecchie erano tese per captare un eventuale spostamento
di
Richard.
Non era abituato a quel
tipo di operazione. Preferiva
passare direttamente ai fatti. Se doveva uccidere una persona, lo
faceva e
basta.
Il problema era che si
trovava in città, dove testimoni
potevano spuntare da un momento all’altro. In più non sapeva quando i
Flamel
avrebbero permesso a Richard di uscire di nuovo.
Avrebbe dovuto
cominciare a ragionare come Machiavelli,
almeno in parte, perché sapeva che, se avesse potuto farlo, quel lavoro
sarebbe
toccato a lui.
Dagon entrò nei
giardini, cercando di assumere l’aria di
chi fa una passeggiata di piacere.
Ancora pochi metri. Non
doveva avere fretta.
Avrebbe dovuto seguire
alla lettera le istruzioni, ma
soprattutto adattare le sue parole alle espressioni e alle risposte di
Richard.
Si chiese se, dopo
secoli che lo vedeva fare a Machiavelli,
anche lui avesse imparato qualcosa.
Doveva rivolgersi lui
per primo a Richard, altrimenti, anche
se il ragazzo lo avesse riconosciuto, avrebbe fatto finta di non
vederlo e se
ne sarebbe andato di corsa a casa.
Controllò ammirevolmente
la velocità dei passi.
Ancora pochi metri, pensò. Tra
quattro panchine.
Tre… due….
*
La sigaretta gli scivolò
dalle dita. Si guardò attorno,
smarrito, mentre la paura, sottile e sibilante, cominciava a
serpeggiare nel
suo stomaco.
Rimase inchiodato alla
panchina.
Non è lui. Non è lui.
Non voleva guardarlo. Lo
aveva superato, lo vedeva dalla
sua ombra proiettata sui mattoni.
Abbassò il capo, strinse
i pugni e pregò il cielo di non
essere riconosciuto.
Il cuore gli batteva
all’impazzata. Doveva scappare? I
passi dell’uomo erano calmi.
Se si fosse mosso,
l’uomo si sarebbe girato e l’avrebbe
visto.
Restò così, coi sudori
freddi, combattuto tra l’idea di
darsela a gambe e i polpacci che sembravano congelati.
Fece un gran respiro e
provò a riprendere controllo di sé.
Alzò lo sguardo e vide
l’uomo girarsi, alzare le
sopracciglia semicoperte dagli occhiali.
*
Dagon si girò e incontrò
gli occhi castani e sbarrati di
Richard Anderson.
Le prede avevano tutte
lo stesso sguardo. Si sentivano in
trappola, sapevano che non avevano possibilità di fuggire. Volevano
lottare,
perché l’idea della morte era ancora lontana da loro, ma restavano
impietriti.
La creatura si preparò a
cominciare la recita, controllando
allo stesso tempo i passanti intorno al guardino.
« Tu…»
Richard non gli staccava
gli occhi di dosso, inorridito,
sperando fosse un incubo. Stava per muoversi. Ma Dagon, da bravo
predatore,
sapeva riconoscere perfettamente l’attimo che precedeva la fuga
disperata della
preda. Era istintivo e per molti imprevedibile, ma non per lui.
Gli fu vicino in un
secondo, con un dito sulle labbra, la
mano stretta intorno al suo braccio. Richard tremava e teneva gli occhi
dilatati puntati davanti a lui.
Sapeva che non poteva
muoversi, che rischiava troppo, che
era in trappola.
E cercava inutilmente di
riprendere il controllo della sua
mente. Seguirono svariati secondi di silenzio, ma non riuscì mai
nell’impresa.
Dagon esultò
silenziosamente. Tutto sarebbe stato più
facile, nel momento in cui avrebbe dovuto risvegliare le sue debolezze
e le sue
speranze. Doveva essere lui a prendere il controllo della sua mente,
non
Richard o Flamel.
« Che ci fai qui?»
chiese, scuotendolo leggermente e
abbassando il tono di voce. « Sarebbe stato meglio cambiare paese! Non
vuoi
tornare a casa, in Inghilterra?»
Al suono di quelle
parole lievemente preoccupate, Richard
parve riscuotersi improvvisamente, come chi si risveglia da un incubo.
Guardò Dagon più
spaesato che mai.
La creatura lasciò la
presa sul suo braccio.
« Non voglio farti del
male. »
*
« Non voglio farti del
male. »
Se stava mentendo, era
davvero molto bravo, ma Richard non
era così ingenuo. In un barlume di lucidità pensò che sarebbe stato
meglio
reggere il gioco. Non aveva speranze di scappare. Assimilò le parole
dell’uomo
e cercò il fiato per rispondere.
« Che cosa vuoi da me? »
balbettò Richard, in preda al
panico.
« Niente.» rispose
l’uomo, alzando le mani come se avesse
paura che una sola carezza potesse far fuggire a gambe levate il
ragazzo.
« Voglio solo sapere
perché… perché sei ancora in Francia?»
« Io… ma… il suo capo mi
ha detto di venire qui! »
L’uomo non sembrava
credere alle sue parole.
« Cosa?»
Richard fece una
smorfia. Gli scoppiava la testa. Con
movimenti forzati e mani tremanti prese dalla tasca il biglietto che lo
aveva
condotto fino a lì e lo porse all’uomo.
L’uomo
lo guardò, sul
momento senza nessuna reazione. I suoi occhi si erano sgranati per una
frazione
di secondo, poi più nulla. Dopo vari attimi che sembrarono eterni alzò
gli
occhi su Richard, ma il ragazzo abbassò subito i suoi.
*
Machiavelli aveva detto
che l’espressione sorpresa non
doveva durare più di un secondo, o anche meno. Altrimenti sembrava
finta. La
mente umana era programmata in modo tale da accettare la realtà
inaspettata
dopo quel piccolo lasso di tempo ed esaminarne gli effetti con
attenzione.
Gli umani, pensò Dagon, non capiscono nemmeno loro se si comportano più da prede o da
predatori.
Richard in quel momento
era una preda. La sua.
Dagon alzò gli occhi su
di lui, ma non incontrò i suoi.
« Questo…» disse con
voce sicura. «
Non lo ha scritto il mio padrone. »
*
Richard si sentì
svuotato da ogni pensiero. Come se fosse
stato trasportato in un’altra dimensione dove lui e il suo corpo e la
sua mente
erano solo aria priva di significato. Da una parte gli sarebbe piaciuto
che
fosse così.
Poi arrivò la rabbia,
improvvisa e feroce. Richard non
avrebbe mai creduto di essere capace di provarne così tanta.
Non voleva dover
rispondere ad altre domande. Non voleva
più continuare quell’assurda ricerca, che si era tanto convinto a
portare
avanti. Era stato tutto inutile, allora. Lui non era un giornalista che
si
accontentava di belle storie, lui voleva la verità. Ma evidentemente si
era
illuso.
L’uomo sembrò capire
tutti i suoi pensieri. Gli mise un
mano sulla spalla e Richard rabbrividì. L’uomo la tolse di scatto, come
se
avesse paura di farlo scappare con quel gesto.
In quel momento gli
sembrava che lui fosse l’unico a poter
portare ordine nella sua vita, gli sembrò che avesse un senso,
quell’incontro.
Gli parve come qualcosa scelto dal destino. Provvidenziale.
*
Dagon sapeva di essere
vicino. Aveva appena acceso un
barlume di dubbio nella mente del ragazzo, aveva aperto uno spiraglio.
Aveva smentito qualcosa
che Flamel aveva dato per certo. Il
fatto che l’immortale non si fosse dilungato troppo a parlare col
ragazzo
poteva sembrare, in quel momento, sospetto agli occhi di Richard.
Inoltre, non
potendo scappare, il ragazzo avrebbe dovuto ascoltarlo per forza.
E chi poteva conoscere
la scrittura del suo padrone meglio
di lui?
« Non è del mio padrone.
» ripeté, convinto.
« Te lo farei dire da
lui, ma io…» cercò gli occhi del
ragazzo ma poi abbassò il capo e portò le dita al sopracciglio. Un
gesto che il
cervello degli umani registrava come quello di chi prova vergogna.
« Io … vedi, io non ho
più un padrone… »
Richard lo osservò
sbigottito.
« E perché? » chiese,
con crescente curiosità.
Se Dagon fosse riuscito
a fargli dimenticare la paura con
la curiosità avrebbe vinto. Richard cominciava a prendere confidenza, a
una
lentezza esasperante, ma era già qualcosa.
Improvvisò una smorfia
amara e il suo tono si fece più duro.
Ma non abbastanza da spaventare Richard, aveva il solo scopo di
incuriosirlo
ancora di più.
Si distese sulla
panchina, per mettere in chiaro con un
apparente gesto involontario che la questione non era così semplice e
che non
era all’erta.
« Ecco… mi ha
licenziato… » ammise, con una punta di
rammarico.
Richard sgranò gli occhi
per un secondo. Dagon non lo
guardò, come se avesse timore di incrociare il suo sguardo.
Poi sorrise amaramente.
« Ho fatto un terribile
errore, terribile. E forse dovrei
pentirmene» alzò il viso e la pelle
pallida bruciò sotto i raggi del sole. Sembrava che stesse parlando più
con se
stesso che con Richard e che fosse spaesato almeno quanto lui.
«
Ma non credo ci
riuscirò mai… »
Richard aspettò qualche
secondo prima di riprendere la
parola.
« Che errore hai… se
posso chiederlo. »
Dagon lo guardò con un
sorriso furbesco.
« Non riesci proprio a
immaginarlo? »
Richard capì con un
brivido che era qualcosa che sapeva.
Qualcosa che avrebbe potuto immaginare. Un barlume di comprensione gli
attraversò la mente.
Oh…no…
*
« Proprio così. »
rispose mestamente Dagon alla silenziosa
domanda del ragazzo.
« Inizialmente
Machiavelli, quell’uomo canuto che era il
mio padrone, voleva usarti, anche se non
mi ha detto per che cosa. Gli sembravi un giocattolino decente e
provvidenziale
per scacciare la noia… »
Richard sbarrò gli
occhi.
« Noia? Mi sono trovato
in questo casino perché qualcuno si annoiava? »
Dagon gli fece cenno di
abbassare la voce, ma cercò di
sembrare comprensivo, anche se non era mai stato particolarmente
empatico.
« Ecco… non esattamente.
Ti sei trovato in questo casino perché
lui si annoiava. Se fosse stato
chiunque altro… » si interruppe, titubante.
Richard guardava le sue
mani tremanti a capo chino.
« Per tutto questo
tempo… ho pensato che fosse stato lui a
salvarmi… invece eri tu. »
Dagon dovette sforzarsi
per non ghignare. I giovani umani
sapevano essere così ingenui.
« E per questo ti ha
licenziato. Ci tenevi, alla sua
fiducia? » chiese il ragazzo, con curiosità mista a preoccupazione.
Dagon si
finse pensieroso ma risoluto.
« No. » affermò, con
decisione. « Machiavelli è un uomo
intelligente, ma troppo sicuro di se stesso, esagera, sempre.
E poi… » aggiunse,
come per rassicurare e sciogliere la tensione del ragazzo. « È troppo
egocentrico e insopportabile. Mi ero stufato da un pezzo di preparagli
tisane e
prendere ordini assurdi. Vedi, la convivenza era diventata ingestibile.»
Dagon aveva esagerato.
Volontariamente. Sperò che Machiavelli
stesse osservando tutto
dal quaderno.
Richard si concesse un
breve sorriso, subito smorzato da
una nuova incertezza che aveva accantonato in un angolo della sua mente
fino a
quel momento.
Lo guardò con la bocca
semiaperta.
« Hai detto che non è
stato lui a indirizzarmi qui con il
messaggio! » disse, in preda a una strana paura.
« Infatti. È così.
Quella non è la sua scrittura. » rispose
Dagon, fingendosi leggermente spaesato.
« Sei stato tu, allora? »
« No… »
Richard si afflosciò
contro la panchina.
« E allora chi è stato?
» chiese, la voce incrinata che
faceva trasparire il suo disperato bisogno di risposte.
Dagon si passò una mano
sul viso.
« Non ne ho idea. Forse
Dee… sai, l’uomo che parlava con
Machiavelli quando ti ho portato via…potrebbe aver finto di cercarti
per poi
indirizzarti qui. »
« Ma perché?! » esclamò
Richard. Dagon poteva sentire il
suo cuore battere all’impazzata.
« Cerca di restare
calmo. »
Il ragazzo non lo
ascoltò, perso totalmente nei suoi
pensieri confusi.
« E se anche lui avesse
voluto usarmi? »
Sulla fronte di Dagon si
formò una ruga. Si finse
concentrato. Sapeva che era vicino alla conclusione del suo compito.
Molto vicino.
« È molto probabile.
Anche se non possiamo essere certi che
ci sia lui dietro tutto questo. Chiunque sia, vuole approfittare di te
e della
tua curiosità per trovare i Flamel. »
Richard non sembrava
essere più capace di formulare una
frase per intero.
« Per… i Flamel… »
Dagon lo scosse
leggermente e lo costrinse a guardarlo.
« Chiunque sia stato,
sapeva che saresti venuto. Era a conoscenza
della città in cui si nascondevano i Flamel, ma molto probabilmente
aveva bisogno
di tempo per prepararsi allo scontro con loro. »
Dagon fece una pausa,
lasciando che tutti i collegamenti e
le bugie si depositassero nella mente di Richard e assumessero la forma
di
verità.
In caso di pericolo, gli
esseri umani credono molto di più
alle brutte notizie che a quelle buone. Viene naturale, e istintivo.
« E per risparmiare
tempo ha mandato te a scovare il loro
indirizzo e intanto ti ha tenuto d’occhio. Se fosse davvero così, ci
troviamo
di fronte a qualcuno di molto furbo. Perché, tra le altre cose, il tuo
arrivo
improvviso avrebbe ritardato l’eventuale partenza dei Flamel da
Montpelliere. Avrebbero
prima voluto sapere cosa fare con te. »
Dagon vide
un’espressione di terrore puro dipingersi sul
viso del ragazzo. Finse di preoccuparsi. Sapeva che Richard avrebbe
identificato, inconsciamente, il suo interesse, anche se non sembrava
poter
vedere realmente nulla di ciò che lo circondava.
« N… No. Io… » balbettò
il giornalista. Poi si alzò di
scatto, rigido e impaurito.
« Io ho già trovato i
Flamel! »
*
Nicholas e Perenelle
Flamel procedevano a passo di marcia
verso il tabacchino. L’immortale pregò che il ragazzo fosse ancora lì,
ma
presto dovette accettare il contrario.
Non avrebbero dovuto
darsi tanta pena per lui. in fondo era
solo un pericolo.
Ma Nicholas non ce la
faceva. Aveva vissuto nella paura di
diventare come Dee e Machiavelli per secoli. Non voleva essere come
loro,
voleva dimostrare a se stesso di essere completamente diverso,
tracciare una
linea netta che li dividesse.
Sapeva che agli occhi di
chi lo aveva conosciuto non era
così semplice capire chi fosse nel giusto. Machiavelli, a differenza di
Dee,
non era sempre stato crudele e senza scrupoli. E Nicholas però era
certo di non
voler fare la sua stessa fine.
Guardò Perenelle e il
suo sguardo deciso lo rese più
determinato. Avrebbe ritrovato quel ragazzo e lo avrebbe tirato fuori
dai guai,
o almeno ci avrebbe provato.
Perché ormai ne era
certo. stava accadendo qualcosa.
Si diresse quasi
correndo verso i giardini.
*
« Non devi correre,
Richard. Darai nell’occhio. » sibilò
Dagon.
« E cerca di calmarti e
mantenere il sangue freddo,
altrimenti è finita. » aggiunse, con urgenza ma decisone.
Richard cercò di
ubbidire, lasciandosi guidare dalla
creatura.
« Dobbiamo cercare di
passare nelle strade meno affollate.
» disse.
Richard era ormai
convinto di aver segnato per sempre il
destino dei coniugi Flamel. Questo pensiero era insopportabile. Non
c’era più
solo la paura, la curiosità. il senso di colpa gli attanagliava le
viscere.
Solo la stretta di Dagon
gli impedì di urlare.
Oramai era certo di
essere giunto finalmente alla verità,
per un caso fortunato. Aveva ancora possibilità di avvertire i Flamel
prima che
fosse troppo tardi? Poteva fidarsi di Dagon?
Non poteva fare
altrimenti, perché scappare sarebbe stato
inutile. E se doveva avere sulla coscienza la vita di due persone, che
si erano
anche presi a cuore il suo destino, preferiva scomparire.
Mise un piede davanti
all’altro con la forza di chi ha un
solo scopo. Doveva aiutare i Flamel, era in debito con loro. Doveva
farlo a
qualsiasi costo, oppure smettere di essere un pericolo per gli altri e
scomparire.
*
Dagon continuò a
camminare, con passo forzatamente calmo,
frenando la crescente impazienza. Questa volta non era stato sicuro
dell’esito
della sua missione, ma era andata meglio di come si fosse aspettato.
Forse però aveva perso
tempo. Alzò lo sguardo sul cielo,
per intuire l’orario, e i suoi enormi occhi liquidi si posarono su una
finestra
di un palazzo dalle tendine a fiori.
Si arrestò di colpo, le
iridi coperte dagli occhiali
incatenate a quell’immagine.
Le tendine si
gonfiarono. Dagon non sentì un filo di vento.
Un forte odore di
cannella gli arrivò alle narici, mentre
dalla finestra fuoriuscivano volute di fumo color bronzo.
Dagon cercò di
allontanarsi, trascinandosi dietro Richard
che guardava la scena con ammrazione. Molte persone si fermarono ad
indicare le
pareti del palazzo sovrastate da nuvole di fumo.
Gli arrivò alle
caviglie. La creatura cercò di accelerare
il passo, ma una nuova ondata di fumo gli si avvolse intorno al collo e
gli
oscurò la vista.
Cercò una via d’uscita
da quella situazione, strinse
Richard per un polso. Sentiva le urla intorno a sé, i piedi che
calpestavano
con forza l’asfalto.
Protesse i suoi occhi
con la mano libera, cominciavano a
bruciargli, imprecò più volte.
Quando tolse la mano
vedeva doppio. Ma vedeva. Il fumo, velocemente come si
era alzato, si era abbassato
fino ad arrivargli alle caviglie.
Strattonò Richard per il
polso.
« Ehi! Mi lasci subito!
»
Il cuore di Dagon perse
un colpo. Si girò lentamente, aveva
paura di vedere cosa c’era dietro di lui.
Una donna strillava e
cercava di liberarsi dalla sua
stretta con forza.
« Mi lasci! »
Dagon la lasciò con il
respiro irregolare e una rabbia
cieca che si impossessava del suo petto.
*
Nicholas lo cercò con
disperazione. Dagon si era
allontanato senza dargli il tempo di fermarlo.
Ma Richard non era con
lui. era sparito.
Il vociare intorno ai
giardini aumentava, la gente era
agitata e spaventata.
Richard era stato
inghiottito dal fumo, e Nicholas sapeva
che non avrebbe potuto dimostrare più niente a se stesso. cosa sarebbe
successo
a quel ragazzo? Doveva aggiungerlo ai fantasmi che lo seguivano
dovunque,
oppure quel fumo era stato la sua salvezza?
Sperò con tutto il cuore
che fosse salvo, strinse la mano
di Perenelle, consapevole che quel mondo di ingiustizie avrebbe potuto
portargli
via anche lei, la sua Perry.
Sapeva di non poter fare
più niente per Richard. Per il
bene dell’intera umanità, il Codice doveva avere sempre il primo posto
nei suoi
pensieri.
*
La Lancia di Odino si
trovava ai piedi del monte Chacraraju,
dipartimento Ancash. Catena montuosa: Cordillera Blanca. Altezza: 6.108
metri.
Machiavelli sospirò. Per
fortuna era ai piedi. Non disprezzava
la montagna, ma se la Lancia fosse stata in cima dubitava seriamente
che
avrebbe avuto voglia di farsi un numero a quattro cifre di metri per
raggiungerla, anche se in elicottero.
« Benvenuto, signor
Machiavelli. »
L’italiano si girò al
suono di quella voce falsamente
dolce. Gli occhi completamente neri sotto gli occhiali da sole,
visibili solo a
lui, erano inconfondibili. Un altro emissario di Aton.
« Salve. » disse
Machiavelli ricambiando il sorriso
innocente del suo interlocutore con uno identico, ascoltando al tempo
stesso i
rumori della sala d’ingresso dell’albergo.
« Mi accompagnerai tu?»
chiese gentilmente.
Quello che sembrava un
comunissimo ragazzino di dodici anni
lo raggiunse e lo costrinse a chinarsi. Avvicinò la bocca al suo
orecchio,
divertito come un bambino che sta per rivelare dove ha nascosto i dolci
ad un
adulto.
« Sì, signore. » disse
con un risolino. « Ma io non posso
prenderla. Lo deve fare lei. È molto capricciosa, sa? una volta entrata
in un
Regno d’Ombra, vuole essere toccata solo dai suoi abitanti. »
Machiavelli si
inginocchiò di fronte all’emissario per
guardarlo negli occhi.
« Che cosa succede se
qualcuno non sta alle regole? »
Il bambino gli prese la
manica della giacca e lo condusse
fuori con gesti delicati.
La sua risata
cristallina aveva qualcosa di inquietante e
si insinuò nella mente di Machiavelli. Sapeva che ci sarebbe rimasta
per
sempre.
« Siamo in ritardo,
signor Machiavelli. »
Note
di Tacet433
Volevo
spiegare molte più cose in questo capitolo, per esempio a chi
appartiene il
fumo color bronzo che ha fatto perdere le staffe a Dagon. Ma, come
avrete già
capito, i capitoli mi vengono fuori sempre troppo lunghi.
Dagon
non ha perso solo le staffe, ma anche Richard. Dopo tutta quella
fatica. Ma immagino
che voi siate contenti di questo, almeno spero.
Il
titolo
è “Tutto secondo i piani “. No, non sono diventata più pazza di quanto
già non
sia, lo so benissimo che in effetti NIENTE è andato secondo i piani.
Almeno…
dal punto di vista di Machiavelli, Dagon e Flamel… ma non dal punto di vista di…qualcun altro.
Il
prossimo
capitolo si intitolerà “La storia di Alypion. “
Grazie,
grazie, grazie a chi continua a seguirmi… nonostante tutto ; )