Parla Filottete
(Rivolto a Neottolemo)
Non pensare alla bellezza di queste rupi
a strapiombo, che s’immergono nel mare
come se ascendessero invece
verso una vetta numinosa;
e non pensare alla sacra oscurità
di questi boschi, così mistica;
la bellezza è per chi guarda,
chi c’è dentro ne conosce il pericolo.
Questo non vale a scusarmi.
Ho commesso uno sbaglio,
mi sono preso la punizione.
I terrori, quelli, li lasciamo fuori…
Ma tutto il resto…
(Si interrompe, fa qualche passo in giro, poi riprende)
Perfino contemplare la notte
da sotto queste foglie,
tra fruscii che non sai che sono,
se il battito d’ali di una falena
o i passi di una belva,
mette addosso uno spavento mortale.
Ma se mi ha stretto il cuore
per tutto questo tempo
è anche l’unico posto di cui posso dire
che è casa mia.
Intanto tu dici, tornare. Tornare dove?
Si vincerà una guerra
da cui ognuno uscirà peggiore,
perché se ora litigano per il comando
domani litigheranno per il bottino
e così via un giorno dopo l’altro,
e l’invidia e la fame dell’oro
li faranno sbranare a vicenda;
alla fine torno per questo.
Ma tu questa lingua non la capisci.
Ahi che male, che male!…
Però, se potessi far sì che la mia mente
resti chiara anche in mezzo
a questi angosciosi misteri,
se potessi dimenticare Lemno
e dare il mio valido contributo
in questo scannamento –
così che i cantori mi celebrino
durante i pranzi, e perché no –
non hai qualche nepente per me,
qualche erba della dimenticanza?
Ma non sopporto l’idea
di essere questo strumento inerte
tra le mani di qualcuno, quale che sia.
Ne va del sangue che ho buttato
anch’io, quaggiù, a mio modo;
e sapere che non peserà niente
sul piatto della bilancia…
Oppure fa’ una cosa,
legami mani e piedi
e trascinami via