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Autore: Alcolic_    11/08/2013    0 recensioni
[...] mentre strappava l'ultimo petalo della sua margherita ascoltava la favoletta di Seth, stregata.
Era incredibile come un ignorantello vagabondo sapesse cavarsela bene con le parole.
«D'improvviso, l'Incantatore aprì gli occhi. Corrucciò la fronte, e, stringendo i denti, allungò le braccia in modo tanto brutale che il pubblico ebbe un sussulto, anche se in realtà non aveva tirato nessun filo! Un altro gesto. Poi abbassò la testa, consapevole: aveva strappato i fili della sua finta marionetta. La donna barcollò. I suoi occhi si spensero. Cadde a terra senza far rumore, e il pubblico tacque. L'Incantatore se ne andò. Tutti si coprirono gli occhi, spaventati.
"nessuno fa niente?" Si sentiva dire. Era caduta da venti metri di altezza»,
«Era morta»? chiese Lilith, più incuriosita che preoccupata. Seth le sorrise senza perdere la pazienza: prima o poi avrebbe capito.
«Aspetta. Il presentatore tornò a passo tranquillo, e si soffermò a guardare la donna, a terra. Sorrise.
"nononono, gente, non scappate! Come promesso, è tutta un'illusione..." Prese per la mano bianca la donna che si tirò in piedi con un balzo veloce. Fece un'inchino.
Ingenuo, il pubblico prima si portò le mani alla bocca, esterrefatto; poi cominciò ad applaudire».
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Incest
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*capitolo quattro*

-Clang!
Era come il rumore cupo di un gesso graffiato sulla lavagna, di una moneta che cade tintinnando su un pavimento appena lucidato.
Le mani piccole di Lilith appoggiate alla superficie scabra dell'immenso cancellone davanti agli Istituti si strinsero come tenaglie a quell'ammasso sgradevole di ruggine e metallo, che cavalcava maestosamente l'aria da ormai quasi un secolo; i suoi anelli sbatterono quasi timidamente contro la grata e, all'impatto, un suono affettato la fece trasalire.
All'epoca aveva undici anni, occhi blu mare e capelli di mogano legati con noncuranza all'indietro; la corporatura elegante ma formosa la faceva sembrare più grande, ma la faccia ovale da angioletto la tradiva. La fotocopia di sua madre, diceva Meek con il suo solito sorriso malinconico: a segnalarlo erano il colore pimpante degli occhi e dei capelli, il piccolo naso all'insù, la bocca spropositatamente carnosa e segnata da un solco nel labbro inferiore che lo divideva in due metà quasi uguali e la pelle bianca e malaticcia. Lilith si fidava sulla parola: Marlene se n'era andata poco dopo la nascita di Siriah e lei non ne aveva che un pallido ricordo. Presto aveva capito che anche solo citarla fosse un tabù:Meek diventava fuggente, nervoso, quasi insofferente, e la sua bambina non voleva che si alterasse. Conosceva il padre più di chiunque altro, sapeva quanto fosse fragile e che sarebbe stato sufficiente scuoterlo un po' per farlo cadere a pezzi. Però Meek nascondeva ancora una boccetta del suo profumo nel cassetto del tavolo da lavoro, e a volte, quando lui dormiva, Lilith sgattaiolava nel suo sgabuzzino e si spruzzava sul collo e sui polsi una goccia di quel profumo - mirto e rosa selvatica - respirandolo così a fondo che quasi riusciva ad immaginarsela, sua madre, una lei un po' cresciuta e più aggraziata,che in quel momento aveva fatto un salto in panetteria per comprarle una ciambella fresca ma che sarebbe tornata presto, per mangiarsela con lei e per leggerle una favola. Una cosa stupida: Lilith non sapeva neanche se le piacessero, le ciambelle, o se fosse brava a raccontare le storie. Nascondeva la boccetta sotto al cuscino, e prima che la bottega riaprisse sgattaiolava nello sgabuzzino e la riportava senza far rumore nel suo cassetto polveroso. Un giorno rimase addormentata: suo padre fece sparire la boccetta, e Lilith dimenticò che profumo avesse la madre.
Era autunno, e con i primi giorni caldi la bottega cominciò a lavorare di più.
 Lilith era libera di fare quello che voleva cavandosela con qualche ammonizione: Non dare confidenza agli sconosciuti, non correre in discesa e stai lontana dalla foresta.
All'inizio obbedì diligentemente: il bosco e i suoi fantasmi non l'attiravano affatto.
Piuttosto la intrigava il quartiere, con i suoi borghi antichi e ombrosi e le sue possenti mura di pietra grezza: un magico intruglio di forme e di colori in cui l'odore acre di muschio bagnato e di edera fresca abbracciava quello soffice del pane appena sfornato, dei fiori di ciliegio, del legno intagliato.
Erie la prendeva per mano e la conduceva attraverso la sterpaglia scoscesa che si buttava a picco giù dalla collina, sino al sentiero sterrato che sfociava nella piazza. Lì, davanti al grande ciliegio secolare, le loro strade si dividevano.
«Ci ribecchiamo qua davanti alle sette, chiaro?» Disse la ragazza un mercoledì particolarmente caldo, scuotendo la sorellina per le spalle.
«Alle sette, mi hai capita? E non metterti nei pasticci»
«Ah-ah».
La squadrò con fare diffidente lanciandole un'occhiata alla "ti tengo d'occhio"; poi Lilith la vide allontanarsi verso Bekha Tigger, che l'aspettava con uno stupido sorriso a trentadue denti; capelli scuri al vento, pantaloni di pelle neri troppo corti e corpetto di pizzo nero. Lilith capì che probabilmente Erie sarebbe passata a casa di Bekha per "darsi una restaurata" prima di uscire, e soprattutto, prima di incontrare Mate, il suo nuovo fidanzato. Sapeva che nascondeva tutti i suoi corpetti trasparenti e le gonne vertiginose in una scatola sotto il letto, e non rivelare il segreto le sembrava un semplice modo per fortificare il rapporto con la sorella (sapeva che Meek ci andava un po' pesante, su certe cose) . Erie a volte era sciocca ma era una brava ragazza, e Lilith sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per Meek e per la famiglia.
Attese che le loro morbide sagome sparissero ancheggiando dietro alla prima fila di case per imboccare la strada opposta e scoprire ovunque essa portasse.
Piazze piene di negozi, viali alberati, sterrati scoscesi e campi di grano: questo era il quartiere Due, e lei ormai lo conosceva quasi tutto. Quasi, appunto, eccetto quella viottola buia fitta di palazzi ingrigiti e ville abbandonate, impregnate di un odore salino di muschio e di pioggia stagnante. Stranamente, quel gusto amaro e salmastro non le dava alla testa, anzi: in quel clima , calmo e misterioso le sembrava quasi piacevole.
L'unica pecca era che i balconi dissestati, riversi l'uno sull'altro, non lasciavano intravedere che piccoli squarci di cielo grigiastri, assorbiti quasi completamente dalle nuvole.
Camminò sulle piastrelle di pietra lucida facendo attenzione a non pestare le strisce di terra tra l'una e l'altra (un accorgimento che aveva da quando era piccola), respirando il mistero di quella stradella solitaria, fino a quando quella si buttò, a destra, in una strada grande e piena di luce, di quelle tipiche del quartiere, che la lasciò improvvisamente disorientata.
Fu allora che lo vide. Come avrebbe potuto d'altronde non notarlo? Era un edificio così grande che le sue guglie massicce sfumavano tra le nuvole senza lasciar intravedere le loro punte accuminate.
Lilith abbandonò la stradina scura ed il suo odore di muschio bagnato e pestò ipnotizzata le mattonelle pulite che portavano agli Istituti.
Erano illuminate di una luce diversa.
Il loro profumo era diverso.
Profumo di cose nuove e belle, di felicità, di soldi, di lusso.
Tutto quello che una giovane donna potesse desiderare.
C'era un cancellone a proteggere la struttura.
Lilith vi si appoggiò, stringendo tra le dita quel metallo rugoso, impregnato di un odore antico.
Un cartellone pendeva a circa due metri da terra, con una sua scritta in caratteri maiuscoli e massicci:
 
VIETATO L'ACCESSO AI NON AUTORIZZATI; QUALSIASI TIPO DI TRASGRESSIONE SARA' PUNITA SEVERAMENTE.
 
Quella frase la lasciò vuota e per niente intimidita.
Chi erano gli autorizzati? E come era possibile oltrepassare quel cancello, senza le chiavi? Rimase a chiederselo per tanto tempo, due ore forse, ciondolando come una marionetta, su e giù; osservava lo stile austero dei quattro casoni in mattone collegati tra loro da corridoi e scalinate. Un venticello autunnale faceva vibrare le foglie d'edera arrampicate artisticamente sui muri del tetto, e per un attimo Lilith pensò di essere in una di quelle favole che le sarebbe piaciuto sentir raccontare dalla madre.
Si chiese cosa nascondessero quelle mura possenti e cosa si celasse nei prati al di là del cancellone.
Quella volta se ne tornò a casa con un bricciolo di desiderio e di eccitazione, ma non provò a scavalcare. Allora le sembrava un'impresa impossibile e decise che per quel giorno il piacere della scoperta fosse sufficiente.
Erie l'aspettava all'albero già cambiata ma prima di entrare in casa dovettero fermarsi al pozzo perché si struccasse.
«Non una parola col vecchio, chiaro?»
«Chiaro.» Sfoderò un sorrisetto: fare la sorella accondiscendente non le costava poi così tanto, perché degli affari degli altri le importava ben poco, e per altri si intende chiunque eccetto sé stessa.
«Mi piaci quando capisci in fretta, mostriciattolo.»
Meek dormiva come al solito, stremato dopo un'altra intensa giornata di lavoro. Lo trovarono accasciato sulla scrivania, con la testa appoggiata al gomito ed una bottiglia di vino vuota vicino all'altra mano, aperta; di sopra Siriah piangeva.
« Ti va di vedere cos'ha quella bestia? Io intanto preparo qualcosa per cena» Brontolò Erie. Anche lei era stanca.
Lilith obbedì di nuovo, senza obiettare.
L'inverno si avvicinava e Lilith tornò più volte davanti a quel cancello arruginito; immaginava che, quando quello sarebbe stato aperto, lei sarebbe entrata in quegli immensi giardini insieme agli altri Issue con uniforme blu a scacchi, capelli legati e borsa scura a tracolla. Automaticamente avrebbe fatto parte di quella piccola elite di giovani che avevano soldi, si comportavano a modo, conoscevano la storia e la geografia del mondo in cui vivevano e sapevano parlare in tutte le lingue.
Sospirò: ovviamente non sarebbe mai successo.
Lei era una delle tante destinate ad Heavypark, come le figlie di tutti gli artigiani e di chi campava con il lavoro manuale.
E lo odiava.
Odiava i colori freddi di quel posto ed il suo odore stantio. Odiava i cassettoni delle finestre scorticati, odiava i gabbiotti piccoli e soffocanti in cui si macellava la carne, e soprattutto odiava l'idea di iniziare a lavorare così presto.
Sei sempre stata la più responsabile delle mie figlie diceva Meek, il che voleva dire "prenditi sulle spalle il peso dell'intera famiglia". Il suo vecchio ci aveva provato a suddividere i lavori di casa equamente tra le figlie, ma Siriah era ancora troppo piccola ed Erie non era nemmeno in grado di rifarsi il letto da sola (o non ne aveva voglia, il succo non cambia).
Lilith non si era mai reputata una vittima, comunque. Mai.
Ma in quel momento, un sapore amaro le sporcò la bocca e sapeva che lavarsela non sarebbe servito a niente, perché veniva da dentro, e le cose che vengono da dentro non di possono controllare o domare.
Un'ombra attraversò il corridoio.
Fulminea.
Lilith si buttò contro la grata ed aguzzò gli occhi come una civetta. Il suo cuore galoppava all'impazzata.
L'aveva visto: c'era qualcuno, là dentro, a scorrazzare per quei casoni desolati.
Ripassò correndo alla stessa velocità, come un'affascinante spirito maligno, ma i vetri scuri le permisero di vedere solo una camicia maschile bianchissima e dei capelli rossi al vento.
Poi, non passò più.
Aspettò fino a sera ma gli istituti, senza quello strambo fantasma, sembravano una landa disabitata, così staccò le mani dal cancello e tornò a casa con Erie.
Si mise a letto ancora eccitata, e ricordò le parole di Colinde che le bisbigliavano " pensa ai colori dell'arcobaleno prima di dormire, cucciola, focalizzali uno a uno. Ti calmerà, e non penserai più a niente".
Lo fece.
Ma quella notte, sognò il ragazzo dai capelli rossi.
 
 
 
  
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