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Autore: _ayachan_    18/02/2008    27 recensioni
Naruto e Sakura: il giardino dell’Eden; i fratelli Uchiha: il serpente e la mela… Il peccato originale: il tradimento.
"Tutto ciò che credevo sicuro, si sgretolerà tra le mie mani...
Il mio passato, il mio presente, e il mio futuro...
Chi sono io?
Naruto o Kyuubi?"

[Pairing: cambieranno in corso d'opera, anche drasticamente! Threesome, in ogni caso. Molte]
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Naruto-60

Capitolo sessantesimo

Primi passi




Plic.

Plic.

Plic...

Naruto aprì gli occhi nella penombra.
Steso sulla brandina, girò istintivamente il viso verso la parete che dava a nord, quella con la finestrella, e vide il cielo chiaro oltre le sbarre.
Richiuse gli occhi.
Di nuovo giorno.
Da quanto tempo era lì dentro?
Aveva provato a contare le volte in cui passava dal buio più fitto alla penombra, ma aveva subito perso il conto. Gli avevano dato una maglietta, gli avevano portato del cibo ogni tanto, ma né lui, né i suoi carcerieri avevano mai cercato di iniziare un discorso.
E, d’altro canto, cosa avrebbero potuto dirsi?
Le guardie erano Anbu, e lui era la Volpe – solo il demone – che dovevano catturare. L’élite degli shinobi della Foglia eseguiva gli ordini alla perfezione. L’élite non sbagliava. L’élite non simpatizzava con i mostri.
Naruto lo sentiva.
Quegli uomini avevano paura di lui. Tutto qui.
Non lo consideravano un compagno.
E lui?
Avrebbe voluto uscire da quella prigione?
Sì, cazzo!
Lui voleva rivedere il sole, voleva guardare il cielo, voleva uscire da quelle quattro pareti maledette! Lui avrebbe voluto vivere in un mondo in cui c’è sempre il sole!
Si alzò a sedere, flettendo gli addominali nel silenzio, e si passò le mani sul viso scompigliando i capelli. Sarebbe impazzito in quella prigione. Sarebbe diventato come Kyuubi. Ogni volta che chiudeva gli occhi l’odioso gocciolio dell’acqua gli riempiva le orecchie, fino a farsi assordante, e se sognava, sognava di essere rinchiuso dietro sbarre nere, e dietro un sigillo scarlatto.
Voleva. Uscire. Di. Lì!
«Cazzo...» mormorò tra i denti, chinando la testa tra le ginocchia raccolte.
Non avrebbe dovuto combinare quel casino, aveva fatto danni senza risolvere niente.
Si pentiva di aver lasciato libera Kyuubi, si pentiva di averle permesso di distruggere mezzo ospedale.
Avrebbe dovuto trovare un altro modo per sfogarsi, maledizione! Un modo meno rovinoso!
E invece cosa aveva ottenuto?
Sasuke mezzo morto, Sakura che ovviamente gli faceva da infermiera – nessuno glielo aveva detto, ma era sicuro che fosse così – e lui sbattuto in cella, con un orrendo vaso da notte che lo disgustava solo a guardarlo.
Affondò le mani nei capelli, frustrato.
Aveva ufficialmente trovato la cazzata numero uno nella lunga lista delle cazzate della sua vita.
Ora cosa sarebbe successo?
Lo avrebbero lasciato andare, prima o poi?
O forse...
Rabbrividì.
L’ipotesi di restare imprigionato per sempre gli fece contrarre lo stomaco in maniera sgradevole, procurandogli una nausea intensa.
«No» si disse a voce alta, con gli occhi chiusi. «No, non succederà... Non sono pericoloso, maledizione! Ho di nuovo il sigillo!»
Ma le sue erano speranze, più che certezze. Solo speranze.
Tuttavia la cosa peggiore non era l’ansia, o la solitudine; non era nemmeno il buio.
La cosa peggiore era il silenzio.
Perché nel silenzio le sue orecchie si riempivano delle voci più sibilanti e malevole.
Perché nel silenzio, Sakura continuava a ripetergli “Io amo Sasuke”.
Tapparsi le orecchie era inutile, non erano parole che venivano dall’esterno. E anche le ferite che lasciavano, erano ferite che non poteva curare con il chakra di Kyuubi.
Certe volte pensava di essere un idiota.
Perché l’aveva lasciata in vita, dandole la possibilità di tormentarlo.
Ma quando si rendeva conto di ciò che gli passava per la testa, si infuriava e si costringeva a cambiare pensiero.
Non l’avrebbe mai uccisa, mai.
Mai Sakura-chan.
Né Sasuke.
Forse.
Rendendosi conto dell’ultima parola nella sua mente, rabbrividì.
Quel posto aveva un effetto peggiore del previsto.
All’improvviso sentì delle voci fuori dalla porta, e sollevò di scatto la testa. Il suo stomaco gorgogliava sotto la nausea, forse era ora di mangiare?
Buttò giù i piedi dalla brandina e ascoltò il rumore della serratura che scattava. Quando la porta si aprì, e la luce invase per un attimo la stanzetta, il suo stomaco smise di borbottare per contrarsi fastidiosamente.
Sulla soglia, avvolta dalla luce fredda delle lampadine, c’era Tsunade.
L’Hokage in persona.
Buon segno o pessimo segno?, si chiese, mentre il cuore iniziava a martellare nel petto.
Dalla sua espressione non riusciva a capire. Perché faceva l’impassibile? Voleva fare l’acida? Oppure... non portava buone notizie?
Naruto deglutì.
«Allora?» chiese, incapace di sopportare il silenzio più a lungo.
E, finalmente, la vide sorridere.
«Secondo te?» chiese sorniona, incrociando le braccia sul petto abbondante. «Pensavi sul serio che mi sarei fatta mettere i piedi in testa da quei quattro vecchi balordi?»
Il viso di Naruto si illuminò, arrivando quasi a rischiarare la stanza, e il suo cuore accelerò, ma con un ritmo completamente diverso. D’un balzo fu in piedi, lanciato verso l’impulso – suicida – di saltarle al collo, senonché vide il sorriso sulle sue labbra scemare fino a scomparire.
Si bloccò, a un passo da lei.
«Non ho finito» gli fece notare Tsunade, rendendosi conto con una certa stizza che Naruto la superava di una spanna abbondante.
Lui corrugò la fronte, senza capire, e il suo cuore ridimensionò notevolmente l’andatura. All’improvviso gli occhi di Tsunade si erano fatti freddi.
«Ti avevo avvertito» mormorò l’Hokage, fissandolo severa. «Ti avevo espressamente chiesto di parlarmene, se avessi sentito la Volpe diventare più potente. Anzi, te l’avevo praticamente ordinato... Ma tu no, tu eri sicuro di controllarla, tu eri forte, tu eri il grande Naruto Uzumaki... E hai visto in che casini ci hai trascinato? Hai idea di quanto costerà sistemare l’ospedale, di quanto ci vorrà per guarire Sasuke, e della fatica che sto facendo per insabbiare l’intera faccenda sia a Konoha che negli altri Paesi?»
Naruto abbassò lo sguardo, sentendo una fitta di rimorso trapassarlo da cima a fondo.
«Immagino che tu ci abbia già pensato» borbottò Tsunade. «Qua dentro non avevi molto altro da fare... Ma mi sembrava opportuno ricordartelo»
«Sì» mormorò Naruto contrito, stringendo i pugni. «Sì, io... chiedo scusa»
Tsunade lo guardò per un lungo istante.
L’immagine del ragazzino dodicenne che sbraitava per diventare Hokage si fece indistinta, nella sua mente... ora aveva davanti un quasi uomo che – udite udite – era in grado di chiedere scusa. Di chiedere sinceramente scusa.
E non è cosa da tutti, perché i più non riescono nemmeno a capire i propri errori.
L’Hokage sospirò, e l’espressione severa sul suo volto si sciolse in un sorriso mesto.
Naruto non era l’unico responsabile, dopo tutto. Anche lei aveva sbagliato, e forse era più colpevole di lui, perché lo aveva fatto consapevolmente.
«Allora» disse, riacquistando un minimo di brio. «Vuoi uscire di qui?»
Naruto rialzò bruscamente la testa, con gli occhi brillanti d’entusiasmo.
«Sì!» esclamò.
E Tsunade sorrise, perché forse l’immagine del ragazzino dodicenne nella sua testa non era poi tanto scomparsa...
«Che stai aspettando?» chiese, facendosi da parte.
Naruto guardò il corridoio grigio che si stendeva davanti ai suoi occhi, illuminato dalla luce fredda delle lampadine, senza finestre. Deglutì, sentendo il cuore battere forte nel petto, ed evitò accuratamente di posare lo sguardo sugli Anbu fermi accanto alle altre porte, tutti a volto coperto.
Beh, non dava molto l’idea di libertà, a voler essere onesti.
Però uscire da quella stanzetta asfissiante era già qualcosa.
E non c’erano orridi vasi da notte, lì.
Fece un passo, oltrepassò la soglia. Poi un altro, e un altro ancora. E l’aria era ancora viziata, ma non quanto quella nella cella, e i suoi sandali riecheggiavano, ma non erano assordanti...
«Naruto»
L’euforia si interruppe bruscamente al sentire la nota bassa nella voce di Tsunade. Naruto si fermò, inquieto, e si voltò a guardarla.
Lei, appoggiata alla parete del corridoio, sorrideva ancora. Ma il suo era un sorriso molto più dolce del solito, senza la minima traccia di arroganza.
«Grazie per averlo riportato indietro» disse piano.
E Naruto capì, e sorrise.
«Scherziamo? Quello non muore neanche se lo ammazzi» ghignò. «Non si perderebbe mai l’occasione di vedere le mille ragazze che ancora non ha incontrato»
Tsunade sbuffò impercettibilmente, mentre lui tornava a darle la schiena e correva via – ignaro, l’ingenuo, di quello che lo aspettava all’esterno... – e gettò un’occhiata all’Anbu dall’altra parte del corridoio.
«Uhm... tu sei in vacanza» commentò in tono leggero. «Due settimane di permesso»
Quello rimase spiazzato per un istante, e poi, profondendosi in inchini e ringraziamenti, se ne andò a passo veloce, incredulo e sbalordito.
L’Hokage sorrise per l’ennesima volta, ripensando alla zazzera bionda che si era allontanata correndo; e un pensiero le sorse spontaneo, tra tanti e tanti ricordi.
Ho fatto bene a scommettere su di te...”



I pasti in casa Hyuuga potevano tranquillamente definirsi deprimenti.
Inginocchiati in una stanza troppo grande e troppo vuota, davanti a vassoi troppo lucidi e piatti troppo perfetti, Hiashi e le sue due figlie mangiavano in silenzio, gli occhi puntati a terra. I servitori ogni tanto entravano, portavano qualcosa di nuovo, e poi scomparivano senza dire una parola, come fantasmi.
Anche quel poco di appetito che aveva Hinata se ne andava terribilmente in fretta, a quella tavola.
Ultimamente, poi, si era aggiunto un commensale.
Che casualmente era stato seduto accanto alla primogenita, già alla destra di Hiashi.
E quel commensale non solo cancellava ogni minimo istinto famelico in Hinata, ma addirittura le provocava un vago senso di nausea.
Eppure Neji non faceva nulla di sbagliato. Si limitava a stare seduto in silenzio, e a mangiare ciò che gli veniva messo nel piatto.
Purtroppo, ciò che influiva su Hinata era la sua semplice presenza... e i motivi per cui era lì.
Quel giorno la scena non era diversa dal solito.
Seduti nella disposizione di sempre, gli Hyuuga mangiavano e tacevano. Fuori dalla stanza qualche sparuto uccellino cantava. Le bacchette tintinnavano sommessamente nelle ciotole. Hinata si costringeva a buttar giù qualcosa per non vedere lo sguardo severo del padre, e intanto pensava a Naruto ancora rinchiuso. Hanabi, inosservata, nascondeva un sorrisino compiaciuto dietro la tazza di tè.
A un tratto si udì un bussare sommesso.
«Sì?» fece Hiashi, alzando gli occhi dal suo vassoio, e quando la porta scorrevole si aprì frusciando, una cameriera inginocchiata piegò la fronte a terra.
«Chiedo perdono, porto notizie urgenti dal Consiglio» mormorò.
Tutti i presenti drizzarono le orecchie.
«Avvicinati» disse Hiashi, e la ragazza si rialzò, lo raggiunse, e si inginocchiò di nuovo. Con un certo timore intriso di rispetto, portò le labbra accanto al suo orecchio e sussurrò qualcosa.
Il capoclan degli Hyuuga si accigliò, finché lei non ebbe finito. «...Puoi andare» borbottò a quel punto. «Se dovessero chiedere il mio parere, mi schiero con l’Hokage e la Foglia, riferisci questo»
«Sì, signore» la cameriera chinò di nuovo il capo, si rialzò, e uscì silenziosa come era arrivata.
Hinata lanciò un’occhiata ansiosa al padre, ma lui la ignorò e riprese a mangiare.
Lei avvertì una stretta al cuore. Il Consiglio stava decidendo di Naruto, lo sapevano tutti. Anche suo padre avrebbe dovuto essere nella commissione, ma in quel momento stava sfruttando le sue ore di riposo.
E se gli anziani... Se erano giunti a una conclusione, allora...
«Padre...» si azzardò a domandare, stupendo anche sé stessa per la propria audacia. «Posso... posso chiedere cosa...»
Hiashi alzò gli occhi su di lei, freddo.
«Prego?» fu tutto ciò che disse.
Hinata avvampò, e tornò a chinare il capo sul suo vassoio, con gli occhi brucianti. «N-Niente...» sussurrò, stringendo le mani attorno alla ciotola del riso.
Hanabi, di fronte a lei, le gettò un’occhiata di sottecchi e si trattenne dallo sbuffare irritata. Neji, al suo fianco, sospirò impercettibilmente.
Hinata sentiva il cuore battere nel petto, molto più pesantemente del solito. Voleva sapere di Naruto, lo voleva con tutta sé stessa. E anche se le notizie provenienti dal Consiglio non fossero state buone, lei comunque voleva conoscerle.
Stupida Hinata!” si disse, ferita. “E’ così che vuoi diventare forte? Che vuoi imitare Naruto?”
Si morse il labbro, tremando.
Solo pochi giorni prima Naruto aveva affrontato e sconfitto Kyuubi praticamente da solo. Ricordava ancora il suo corpo coperto di ustioni, e i suoi occhi posati sul sannin che stringeva tra le braccia. Ricordava quanto le fosse apparso... forte. Non bello, non eroico. Forte, semplicemente. Di quella forza che non ha bisogno di essere ostentata.
E lei invece?
Da mesi, lei arrancava e brancolava, lasciandosi sospingere dalla corrente. Suo padre voleva che sposasse Neji, e lei non trovava il coraggio di opporglisi chiaramente. Kiba cercava di avvicinarla per avere qualcosa di più, e lei non era in grado di respingerlo. Hanabi tentava di renderla più forte, di darle una mano a crescere, ma lei aveva troppa paura per seguire i suoi consigli fino in fondo.
Lei non stava facendo niente.
Diceva di voler essere come Naruto, ma da troppo tempo si limitava a guardarlo e ammirarlo da lontano, senza più cercare di raggiungerlo.
Così non sarebbe mai andata avanti.
«Padre» si scoprì a ripetere, e, anche se la voce tremava, il tono era più forte del solito. Dovette costringersi ad alzare gli occhi, ma nello stupore generale sostenne lo sguardo accigliato di Hiashi. «Che notizie vengono dal Consiglio?»
Beh, ancora non riusciva a chiedere direttamente di Naruto.
Mentre Hanabi sbatteva le palpebre a bocca aperta e Neji tratteneva un sorriso sorpreso, la ruga sulla fronte del capoclan si fece più scura.
«...Noto con un certo piacere che inizi ad interessarti alle questioni degli Hyuuga» commentò, tornando a mangiare e mostrandosi volutamente distaccato.
Hinata non se la sentì di correggerlo, ma Hanabi per un istante ebbe l’impulso di farlo, e svelare che a interessare Hinata erano le questioni di un certo biondino, e non del clan. Tuttavia tacque, studiando gli eventi.
Hiashi masticò un boccone a lungo, prima di riprendere a parlare. «Naruto Uzumaki è stato liberato» disse poi, neutro. «Il Consiglio lo ha giudicato non pericoloso... Anche se personalmente nutro molti dubbi in proposito, e immagino che molti colleghi la pensino come me. Quasi sicuramente l’Hokage si è fatta garante per lui»
Hinata si illuminò, e un sorriso spontaneo le salì alle labbra. Lo spettro della prigione per Naruto si allontanò rapido dai suoi pensieri, e fu come se qualcuno all’improvviso avesse aperto una finestra e fatto entrare la primavera.
«Ma padre» intervenne Hanabi, corrucciata. «Dici di non credere che Naruto Uzumaki sia pericoloso, però ti ho sentito riferire alla cameriera che ti schieri con l’Hokage»
Hiashi le lanciò uno sguardo di sottecchi.
«La decisione è già stata presa» commentò. «Mostrarsi contrario a questo punto sarebbe soltanto controproducente. Questa è la politica, Hanabi»
La ragazzina sbatté le palpebre, interdetta.
A livello logico capiva la posizione del padre. Ma non riusciva a impedirsi di provare irritazione: gli Hyuuga erano il clan più importante di Konoha, eppure la loro parola contava così poco?
Quando ci sarò io alla guida della casata principale, le cose cambieranno” si ripromise.
«In ogni caso, non capisco perché l’Hokage rischi tanto per quel ragazzo» proseguì Hiashi, gettando un’occhiata rapida a Hinata. «E’ sempre stato una fonte di guai, e in ultima analisi si è rivelato realmente pericoloso per l’intero villaggio. La cosa più intelligente da fare sarebbe rinchiuderlo in un posto sicuro e gettare la chiave. Nessuno andrebbe a cercarlo: non ha parenti, e l’amicizia è un sentimento labile, di fronte alla necessità...»
Mano a mano che lui parlava, il sorriso sulle labbra di Hinata si spense, portandosi via anche il sangue che le coloriva il volto. La sua mano si serrò a pugno, d’istinto.
«L’Hokage dovrebbe pensare prima di tutto all’interesse del villaggio» continuò Hiashi, mentre sia Hanabi che Neji lanciavano occhiatine nervose da lui alla sua primogenita. «Lasciare in libertà quel ragazzo è un rischio troppo grande. E correrlo solo per uno sciocco sentimento d’affetto è più di quanto sia...»
«Padre» a sorpresa, Hinata lo interruppe.
Ci fu un istante di silenzio completo – e attonito – nella stanza.
Hanabi trattenne il fiato, e vide la sorella a capo chino, con i pugni chiusi e le nocche bianche. Nel parlare, la sua voce non aveva tremato; ma le sue spalle non riuscivano a stare ferme.
«...Tu sai di chi è figlio Naruto, non è così?» chiese, e la nota tagliente nel suo tono stupì tutti quanti. La sua domanda non ebbe risposta, ma d’altronde non ne attendeva neppure. Hinata deglutì, e sollevò appena il capo, senza osare alzare gli occhi. «Immagino... che tu conosca tutta la storia» continuò, e la sua voce non riuscì a mantenersi salda come prima. «Diciotto anni fa eri già un membro importante del clan, sicuramente lo sapevi... Allora... come puoi parlare così? Sai che suo padre era un eroe, che è morto per Konoha. E sai anche che Naruto non è un mostro... non è... soltanto il ricettacolo delle vostre paure» strinse i denti, sentendo le lacrime che premevano per scorrere lungo le guance. «Naruto è un eroe, esattamente come suo padre!» esclamò, sentendo il volto arrossato, lo sguardo di Hiashi su di sé, ma incapace di fermarsi. «L’unico pericolo che Konoha corre, è di perderlo perché nessuno si interessa a lui! E se solo voi membri del Consiglio vi rendeste conto che è una risorsa preziosa, e non un mostro, avreste molti meno problemi, e... e... lui sarebbe più felice!»
Le lacrime debordarono, e finalmente rotolarono lungo il viso scarlatto, bollenti, salate, amare.
Hinata non lasciò a Hiashi il tempo di ribattere, e in fretta si alzò in piedi. Passandosi una manica sugli occhi, lasciò la stanza senza salutare nessuno, e uscendo dimenticò di richiudere la porta.
Tra gli Hyuuga rimasti piombò il silenzio.
Ma se Neji era perfettamente in grado di nascondere il leggero sorriso che avrebbe voluto stirargli le labbra, Hanabi faticava a trattenere l’esultanza: con quell’uscita non solo sua sorella si era dimostrata in grado di reagire al padre, ma doveva essersi alienata per sempre ogni suo favore.
Hiashi, accigliato, rimase a fissare la porta per cui Hinata era uscita.
Non si aspettava una simile reazione; il suo intento era quello di mostrare quanto Naruto Uzumaki fosse pericoloso e poco attraente, ma mai si sarebbe aspettato che sua figlia sapesse il genere di cose che solo un uomo nella sua posizione era in grado di conoscere.
D’altro canto... la capacità di leggere il mondo e le persone è una dote fondamentale per un capoclan...
Se Hanabi avesse potuto vedere nella mente del padre, la sua euforia si sarebbe spenta come un fiammifero nell’acqua.




In quei giorni Rock Lee era pieno di fervore – di fuoco della giovinezza, avrebbe detto Gai.
Dopo aver visto la straordinaria potenza di Naruto, o meglio, dopo averla immaginata, considerando che era più forte della spaventosa Kyuubi, aveva deciso che si sarebbe allenato come un matto fino a raggiungere il suo livello.
La rivalità con Neji? Pfui, e chi se ne ricordava più? A occhio e croce il nuovo obiettivo per tutti, da quel giorno, sarebbe stato Naruto.
A torso nudo, coperto di sudore, si mosse agile sui piedi, da un fianco all’altro. Saltellò, a pugni colpì l’aria un paio di volte, e poi sferrò un calcio nel nulla, facendo frusciare le foglie dei cespugli poco distanti. La foresta osservava il suo allentamento in silenzio.
Bene. Era caldo.
Senza perdere il ritmo, si avvicinò al tronco contro cui si esercitava di solito e provò un paio di colpi veloci. Il legno risuonò di thud sordi là dove la corteccia era più rovinata, ma non si incrinò. Era antico, era resistente. Fino a quel giorno Rock Lee non era mai riuscito a scalfirlo.
Mentre lui respirava a tempo e ponderava ogni pugno e ogni calcio, con occhi attenti e infuocati, a qualche passo di distanza Tenten era seduta su un masso con il mento appoggiato alle mani.
Lo guardava, in paziente attesa, come faceva sempre da anni... e mentre vedeva i suoi colpi andare a segno e le gocce di sudore correre lungo la schiena muscolosa, le tornò alla mente un Lee diverso, molto diverso.
Si trattava dello scorso Natale, forse...

«Ehi, ehi! Chi è il cretino che gli ha messo in mano il sakè?» gridò Shikamaru quando la prima sedia volò per la stanza.
«A chi?» chiese Kiba, alticcio e incredibilmente allegro. La sedia si fracassò a meno di venti centimetri dalla sua testa, e lui scattò in piedi ringhiando. «Chi è stato?» sbraitò, tutt’a un tratto aggressivo.
«Il deficiente numero due» grugnì Shikamaru disinteressandosi di lui.
Tornò a guardare Rock Lee, che dopo aver lanciato la prima sedia aveva iniziato a schivare con un sorriso sghembo i tentativi di Neji di fermarlo.
«Lasciati prendere, decerebrato!» ringhiò lo Hyuuga, cercando di catturarlo per la trentesima volta.
«No no» ridacchiò lui, esibendosi in un pallido tentativo di diniego con l’indice, e ottenendo un segno che forse voleva simboleggiare un serpente ubriaco.
«Potrei...» propose Sakura, avvicinandosi a Shikamaru, ma lui la fermò con un cenno.
«Per carità, non muoverti» bofonchiò.
Da quando lei e Naruto avevano iniziato a uscire insieme, Rock Lee si rabbuiava solo a vederli. Metterglieli davanti in quel momento sarebbe stato decisamente controproducente. Per non dire potenzialmente fatale.
Tenten, accanto a Neji, sbuffò contrariata.
«Lee! Quanto hai bevuto?» gli chiese tagliente, le mani piantate sui fianchi.
L’interrogato la guardò storto. «Ehi! Non sono ubriaco!» protestò, e mentre lo diceva schivò il colpo di Neji con una fluidità a dir poco inumana.
Shikamaru si passò una mano sugli occhi, vicino alla disperazione. Tutti avevano tirato fuori dei soldi per affittare il locale in cui festeggiare Natale, ma se qualcuno non fermava quel pazzo avrebbero dovuto aprire un mutuo per risarcire i danni.
«Via tutti! Ci penso io!» gridò a quel punto una voce pericolosamente strascicata.
Shikamaru non fece in tempo a farsi prendere dal panico, che vide Naruto farsi largo a gomitate, con l’aria dell’eroe chiaramente brillo.
«No!» gridò il Nara, ma troppo tardi.
Rock Lee lo aveva visto.

Mezzora dopo nella sala non c’era un mobile sano e tre vetri erano in frantumi, il che significava che l’aria gelida di dicembre sibilava tra i tavolini rovesciati. Sulla parete con il murale, poi, si apriva una crepa spessa due centimetri, come una ragnatela, e le luci penzolavano fiaccamente dal soffitto.
Shikamaru era seduto sui resti di una panca, depresso. Sospirò profondamente, mentre Ino gli si avvicinava con aria sconvolta.
«Ma te la immagini mia madre quando le chiedo un prestito?» chiese alla ragazza, cupo.
«Shikamaru... non so se hai ben chiara la situazione» ribatté lei. «E’ un miracolo che siamo ancora vivi!»
Lui mugugnò, ma non sembrò affatto sollevato.
Finché avrò vita, lo terrò lontano da ogni tipo di alcolico” si ripromise.

Fuori, intanto, Tenten e Neji erano riusciti a trascinare Lee in un angolo appartato, e lasciavano che svuotasse lo stomaco e smaltisse la sbornia.
«Bravo! Genio!» bofonchiò lei, irritata. «Sai quanto dovremo sborsare adesso?»
«Mi... mi dispiace» ribatté lui, passandosi una mano sulla bocca.
«Vado a cercare dell’acqua» sospirò Neji. «Torno subito»
Tenten rimase sola con Rock Lee, e gli lanciò un’occhiata di compatimento.
«Ti ci sei buttato volontariamente sul sakè, eh?» chiese con uno sbuffo rassegnato.
Lui non rispose, né la guardò.
«Lee, devi lasciarla perdere. Sta con Naruto da mesi, ormai, è inutile che tu continui a starci male»
«Non è per quello!» scattò lui, punto sul vivo. «Non è per Sakura!»
«Ah no?» chiese lei, adocchiando le lacrime che spuntavano dai suoi occhi.
Lee si strofinò una manica sul viso.
Tenten sospirò, e gli batté una pacca leggera sulla spalla.
«Prima o poi passa» commentò, con un pizzico di tristezza. «Passa sempre...»
...E non parlava solo di lui.

Tenten sbuffò impercettibilmente, inclinando la testa da un lato.
«Lee» chiamò.
«Sì?» fece lui senza ascoltarla davvero, tutto concentrato su una mossa particolarmente complessa.
«Sono al secondo mese»
«Ah sì? Bene! E di cosa?» caricò un pugno, con il fuoco negli occhi.
«Di tuo figlio»
Il colpo sul tronco non fu seguito dal solito thud ovattato.
Questa volta ci fu un crack secco, e il legno si spaccò esattamente a metà, con precisione millimetrica. Nella fenditura tra le due parti, costellato di schegge, c’era il pugno di Rock Lee.
Silenzio.
«Ti sei fatto male?» chiese Tenten neutra.
Lui voltò lentamente la testa, gli occhi sbarrati.
«Tu...» alitò, senza parole.
«Rilassati» borbottò lei evitando il suo sguardo, ostentando sicurezza... ma sentiva il cuore battere in fretta nel petto. «Ho già deciso di tenerlo, e non ti darò problemi... puoi continuare a fare la tua vita, allenarti, andare in missione... non ho intenzione di farlo diventare un peso per te»

Forse una settimana dopo Natale, Tenten e Lee si erano trovati di nuovo da soli.
Chissà come, lei aveva finito per diventare qualcosa come il suo guru sentimentale, e si stava adoperando per permettergli di dimenticare finalmente Sakura.
Quel giorno, lui le comunicò euforico che era riuscito a fare un discorso sensato con Naruto senza essere assalito dalla depressione o dalla voglia di farlo a pezzi.
«Ottimo, stai facendo progressi» sorrise lei, seduta su un muretto con una lattina di aranciata in mano. Erano poco fuori da Konoha, su un sentiero in cui potevano parlare senza timore di essere interrotti, e il loro respiro si condensava in nuvolette bianche.
«Il fuoco della giovinezza sta maturando con ardore in me!» ribatté Lee, facendole roteare gli occhi verso il cielo.
«Sì, sì... va bene» bofonchiò Tenten con un cenno distratto. «E Sakura? L’hai vista?»
«Sì. E l’ho salutata con un sorriso, da persona perfettamente normale»
«Bravo. Sei vicino alla guarigione, diciamo così»
«Ehm, già, già...»
Tenten lo vide scavare nel terreno della strada con la punta del piede, le sopracciglia corrugate e la fronte imperlata di sudore.
«Lee, qualcosa non va?» chiese preoccupata.
Lui alzò lo sguardo di scatto, rigido come un manico di scopa. «Sì, beh, ho una domanda... una richiesta, anzi»
Lei sbatté le palpebre, perplessa. «Una richiesta?»
Lui annuì.
«Usciresti-con-me?» sputò poi tutto d’un fiato, avvampando fino alla radice dei capelli.
La lattina tra le dita di Tenten cadde a terra con un tonfo ovattato, spargendo l’aranciata rimasta, mentre lei spalancava la bocca.
«Eh?» si lasciò sfuggire, ma Rock Lee non abbassò gli occhi neanche per un istante.
«Un appuntamento» le disse, infervorato come nel suo ultimo allenamento. «Io e te. Sì, insomma, ovviamente solo se vuoi»
Lei ci pensò.
Il buffo Rock Lee dagli occhi a palla e i capelli assurdi.
Il testardo Rock Lee dalla mise improponibile.
Il determinato Rock Lee che prendeva ogni sfida come un’offesa personale.
Insieme a lei, la banale Tenten.
Innamorata di Neji, per di più.
«Lee, senti, io...» iniziò, incerta, arrossendo.
«Alt» la fermò lui, alzando una mano. «Se stai per dirmi che ti piace Neji, non sprecare fiato»
Tenten si accigliò.
«Te l’ho chiesto sapendolo» spiegò Lee, con tutta la concentrazione del mondo. «E’ solo che non ho potuto fare a meno di provare, perché... perché in questo tempo che siamo stati insieme... insomma, tu hai iniziato a piacermi... e io... sì, beh, ho pensato che magari potresti uscire con me, almeno una volta... In gioventù si fanno questi tentativi, giusto?»
Lei lo fissò a bocca aperta.
In gioventù si fanno questi tentativi, giusto?’
Oddio. Era una frase così fuori dal mondo da essere ridicola, a ben vedere.
Portò una mano alla fronte, e si lasciò sfuggire una mezza risata.
Poi, incomprensibilmente, gettò un’occhiata obliqua a Lee.
Voleva provarci.
Aspettare Neji si era fatto troppo doloroso.
«Solo una prova» gli concesse con un sorriso sghembo.

Altro che prova.
Avevano iniziato a uscire insieme regolarmente, all’insaputa di tutti... e, sorprendendo anche sé stessa, Tenten aveva scoperto che Lee non era irritante quanto credeva.
Più che altro era pieno di entusiasmo. Metteva tutto sé stesso anche nella cosa più stupida, e se da un lato qualche volta le faceva desiderare di sprofondare nel terreno, dall’altro le provocava un’indiscriminata ammirazione, che stupiva anche lei.
Aveva sempre pensato di amare i tipi come Neji, freddi, bellissimi e superiori.
Ma aveva scoperto che il caldo e ‘normale’ Rock Lee, in definitiva, non le dispiaceva affatto.
E se poi guardava al lato pragmatico della relazione... sì, beh, lo preferiva decisamente rovente.
Avevano iniziato a frequentare gli alberghi a ore, causa parenti un po’ troppo impiccioni, e una volta Neji li aveva quasi scoperti, attorno a giugno, quando lei si era lasciata scappare di aver visto Temari e Shikamaru nel quartiere a luci rosse. Ma la maggior parte del tempo la passavano nella foresta, magari mentre lui si allenava e blaterava frasi insensate sulla gioventù, e a lei bastava guardarlo in silenzio e rimproverarlo se si faceva male.
Qualche volta si sentiva un po’ sua madre.
Ma in fondo lui le piaceva non come un figlio.
Le piaceva come Rock Lee. Come il buffo, determinato Rock Lee, che era innamorato di lei.
E poi, ad agosto, si era resa conto di essere incinta.
Non ricordava nemmeno come fosse accaduto, le sembrava di essere sempre stata attenta... ma era successo. E non poteva essere che di Lee.
Aveva impiegato quasi un mese per decidere se dirglielo, perché aveva avuto paura.
Poi c’era stata la faccenda di Neji, e per un breve istante si era sentita dubbiosa... ma alla fine aveva risolto che il padre del bambino aveva almeno il diritto di saperlo, anche se probabilmente non era abbastanza maturo per scegliere di prendersene cura.
Ed era arrivata a quel giorno.
Ed era arrivata alla confessione, e agli occhi sbarrati di Lee, e al tronco spezzato in due.
Deglutì a vuoto, suo malgrado nervosa.
Cosa le avrebbe detto ora?
Il suo ardore adolescenziale, il suo spropositato coraggio, sarebbero venuti meno?
Strinse i pugni, imponendosi la calma.
Anche se lui non avesse voluto prendersi responsabilità, lei sapeva come andare avanti... sua madre le aveva dato ogni disponibilità, si era anche preparata psicologicamente...
«Ma è...» balbettò Lee, estraendo il pugno dal tronco distrutto. «E’ fantastico
Tenten alzò bruscamente lo sguardo, corrucciata.
«Cosa?» chiese secca.
«E’ fantastico!» ripeté lui radioso, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. In un balzo la raggiunse, e si inginocchiò davanti a lei. «Sei già al secondo mese?» chiese entusiasta, prendendole le mani. «Allora è per questo che hai smesso di uscire in missione! Si sa se è maschio o femmina? Ah, ma che idiota! Dobbiamo sposarci!»
Tenten impallidì, e poi arrossì bruscamente.
«Aspetta un attimo!» lo interruppe, allontanando le mani dalle sue. «Così? Su due piedi? Mi dici già ‘alleviamolo insieme’?»
Rock Lee sbatté le palpebre. «E’ mio figlio, no?» chiese come se fosse ovvio.
«Sì!» sbottò lei. «Ma... ma non puoi... così... su due piedi...»
«Tenten, forse non te ne sei accorta, ma io ti amo» le fece notare lui.
«Me lo avrai ripetuto almeno ottocento volte, in questi mesi» ringhiò lei.
«Bene. Io ti amo. Io voglio sposarti. Io voglio crescere con te il bambino»
Tenten immerse le mani nei capelli, frustrata.
«Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo?! Qui si parla di un bambino! Si parla di ‘per sempre’!» gridò, quasi.
Lee la fissò, senza scomporsi. «Lo so» commentò come se fosse stata la cosa più normale del mondo. «Ah, però...» mormorò, con un brillio preoccupato nello sguardo. «Forse... forse tu...» all’improvviso esitò – scena insolita. «Tenten, tu... sei ancora innamorata di Neji?» si trovò a chiederle, turbato.
Lei lo guardò.
Con i suoi occhi a palla, che demolivano l’estetica.
Con il suo entusiasmo infantile, quasi irritante.
Con la sua ansia, all’idea che lei amasse un altro.
Ripensò a tutto il tempo che avevano passato insieme, ai pomeriggi, agli allenamenti, ai tè, alle lenzuola sempre diverse... e si accorse che ogni ricordo era felice. Davvero felice.
Amava ancora Neji?
No, probabilmente no... da tanto tempo, ormai.
L’indifferenza può essere affascinante... ma se resta tale, presto inizia soltanto a far male.
Mentre l’amore... l’amore donato incondizionatamente, ingenuamente, entusiasticamente... quel tipo di amore si diffonde. Contagia, come un virus, e passa da una persona all’altra in maniera impercettibile. Ma ha effetti profondi e indelebili.
«Stupido» mormorò Tenten, sentendo gli occhi bruciare. «Che domande idiote fai?»
«Ehm... come devo considerare questa risposta?» chiese Lee, perplesso.
Lei riprese le sue mani, chinando il capo.
«Io voglio te» disse con un groppo in gola.
Lee tornò ad illuminarsi, tutto sorridente.
«Allora ci sposiamo?» chiese, pieno di entusiasmo.
Tenten annuì, asciugando in fretta le lacrime.
«Magnifico!» esclamò Lui, saltando in piedi. «E poi, quando nascerà il bambino, gli insegnerò a crescere seguendo l’ardore della fiamma della giovinezza!»
Come far sfumare il romanticismo in due secondi o poco più.
Tenten sospirò profondamente, appoggiando il mento a una mano, e un cauto pessimismo prese il posto dell’ingenua emozione.
Chissà perché, aveva l’impressione di sapere chi avrebbe portato i pantaloni in casa...










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Spazio autore

Chiedo scusa ad Arwen per aver inculcato nella sua povera e ingenua testolina
l'immagine di un Lee sexy!
XD
Purtroppo, la svolta LeeTen era nei miei programmi ancor prima del primo capitolo,
quindi non potevo assolutamente evitarla, e nemmeno volevo, ad essere sinceri.
Insomma, siamo subissati di NejiTen!
E Lee?!
Non ha diritto a un po' di felicità anche lui?
Detto questo, noto con un leggero sgomento che il mio stile sta virando su toni da invasata che mi lasciano perplessa...
Abbiate pietà, per favore, e cercate di tollerare le sviolinate teatrali sul finale... Sigh.

Penso che soltanto un'imbecille, o qualcuno di tanto sicuro di sé da rasentare l'idiozia, avrebbe detto su due piedi "alleviamo il bambino insieme".
Queste parole, pronunciate nello spazio autore del capitolo quarantacinque,
erano ovviamente riferite a Lee XD

Ora vi chiedo profondamente perdono, mi inchino e arrivo con la fronte al terreno,
perché non riesco a rispondere ai vostri meravigliosi commenti!
La cosa fa più male a me che a voi, ma avrei dovuto scegliere tra: aggiornare oggi così, o domani con le risposte.
Spero di non aver sbagliando con la prima opzione!

In compenso, ho una buona e una cattiva notizia.
La buona è che il prossimo capitolo vedrà anche le risposte che avrebbero dovuto essere in questo.
La cattiva è che non so di preciso quando lo posterò. Sicuramente tra giovedì e sabato inclusi.
Chiedo ancora scusa a tutti, davvero.
(E finalmente la prossima volta ci sarà l'agognato confronto Naruto-Sakura...)


  
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