Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: deepblueyes    11/08/2013    1 recensioni
Cosa faresti se un Demone, per scommessa, ti offrisse in un Contratto l'amore della tua vita, chiedendo in cambio soltanto la tua anima?
Accetteresti?
E se poi ti trovassi invischiato in un mondo di cui non immaginavi neppure l'esistenza, rischiando la vita, e scoprissi che la tua esistenza era sempre stata soltanto un'apparenza di normalità?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO  14
Limbo.


Avevo dovuto spaziare il cielo per ore, in lungo e in largo, prima di percepire la pulsione emanata da quel buco; e quando l'avevo sentita e me ne ero associato, era stato da brividi. 
Chiusi gli occhi per un istante, beandomi del bruciore che mi si diffondeva sulla pelle. 
Era una sensazione tremendamente familiare, così simile a quella di perdizione e selvaggia attrazione che mi si scatenava dentro ogni volta che rimettevo piede nell'Inferno.
Sapevo bene che chi abitava quell'enorme, perverso Limbo, era perfettamente consapevole della mia presenza, e non appena le difese attorno alla dimora nascosta svanirono mi lasciai scivolare al suo interno, precipitando nel buio. 
La stanza in cui mi ritrovai era spoglia e così fredda che il mio respiro si liberò in un denso vapore bianco; accostai le ali al corpo, cercando di conservare il calore, mentre con gli occhi scandagliavo l'ambiente circostante. 
Pochi passi davanti a me una lampada, poggiata su di uno sgangherato tavolo di legno scuro, illuminò l'ambiente di una tenue luce aranciata. 
Pensai che il chiarore sarebbe stato notevolmente più intenso se non fosse stato soffocato dalla quantità di roba che riempiva il tavolo: carne, pesce, enormi torte e pinte di birra, panini pieni da scoppiare, qualunque tipo di schifezza unta e gocciolante, tutto ammassato nel più totale disordine. Dall'altro capo della mensa stava il più grosso, flaccido e grasso demone che avessi mai visto, un ammasso di carne informe del quale faticai a distinguere la faccia.
Feci una smorfia, cercando di reprimere il disgusto; dei sette peccati capitali, l'unico che mi nauseava troppo per potermici abbandonare era proprio la gola. 
Dregol invece, qui di fronte a me, ne era sempre stato incantato, tanto da ridursi in uno stato così pietoso che riuscii a riconoscerlo a malapena. Che schifo.
“Da che parte?” chiesi, cercando di non fissare il cibo che si rimescolava nella sua bocca mentre masticava. 
Fu difficile per me trattenermi dallo sbeffeggiarlo, ma sapevo sarebbe stata una pessima idea; nonostante l'aspetto e le abitudini piuttosto vomitevoli, Dregol era un demone del quale non conveniva scatenare l'ira, se non si voleva finire a pezzi nel suo stomaco. 
Un ottimo cane da guardia, senza dubbio.
Continuando a ingozzarsi con una mano, tese l'altra verso destra, per poi riprendere la sua attività con entrambi gli arti. 
Mi defilai quanto più velocemente possibile da lì, seguendo le indicazioni che mi erano state date. 
Man mano che proseguivo lungo il corridoio, rischiarato da una luce lontana, la temperatura diventava sempre più alta. Ritirai le ali, e raggiunsi l'aula principale del Limbo. 
Il calore lì dentro era soffocante.
Mi fermai pochi passi oltre la porta; l'arredamento della stanza era costituito da un unico pezzo, un immenso letto dalle lenzuola nere, pieno di corpi nudi ammassati uno sull'altro, bocche fameliche e arti brulicanti, ansiti e urla, nell'aria fumosa di incensi.
Decisamente, quel posto somigliava molto all'Inferno.
Riconobbi subito la padrona di casa, in quel mare di corpi: era l'unica che, assolutamente immobile, fissava il suo ospite appena entrato. 
Avevo dimenticato quanto fosse meravigliosa e terribile da guardare, Xadje: la pelle candida come la neve, il corpo magro e flessuoso, vibrante di energia, quel viso sottile circondato da onde di capelli bianchi, quasi argentei, e quegli occhi neri fissi nei miei, ardenti come lo era la lussuria che la dominava. 
Anche lei, come Liel, era una Succube, una demonessa abbandonata principalmente al peccato della carne; diversamente della gallina con la quale avevo scommesso, però, Xadje era dannatamente pericolosa. 
Ma il tratto che veramente mi affascinava in lei, più che i suoi poteri, era la sua curiosa, incomprensibile mente: era capace di lealtà, Xadje. 
E si fidava di chi aveva accanto, umano o demone che fosse, se non ciecamente, quasi. 
Per quanto mi intrigasse questo suo modo di fare, sapevo che prima o poi l'avrebbe messa a rischio; quando le mie supposizioni si concretizzarono, decenni fa, le salvai la vita. 
Mi doveva un favore, quella spaventosa albina dagli occhi d'inchiostro. Un favore non da poco.
Iblis...
La sua voce si insinuò nella mia mente in un sussurro delicato, mentre allungava una mano verso di me, invitandomi a raggiungerla in mezzo a quel caos di corpi. Sorrisi appena e la accontentai, scivolando alle sue spalle, lasciando che si appoggiasse al mio corpo e premesse le labbra sul mio collo. 
Mi sei mancato così tanto... dove sei stato per tutto questo tempo?
Infilò le dita tra i miei capelli, permettendomi di abbracciarla. Avevo completamente dimenticato quanto mi stordisse l'odore della sua pelle.
A casa, più che altro... ad annoiarmi. 
Mi morse il collo, piano, in un gesto che interpretai di ammonimento.
Bugiardo... mi sono giunte voci molto diverse. Ho temuto che ti avessero ucciso...Perché, Iblis? Trovi che non sia in grado di farti divertire con gli umani?
Xadje non si trovava nel mondo umano esclusivamente come cacciatrice di anime, anzi, la riteneva un'occupazione alquanto futile e noiosa. 
Lei teneva sotto controllo il traffico demoniaco al di fuori degli Inferi, indirizzava i demoni più inesperti e ricacciava indietro chi non tornava all'Inferno dopo aver raggiunto il numero stabilito di Contratti. 
Veniva informata delle mosse di ogni demone, comprese le trame di Liel, a quanto pareva.
No, certo che no. In realtà, mi hanno... incastrato, in questo casino. E vorrei tanto sapere chi c'è dietro tutto questo. Non mi piace essere preso per il culo, lo sai.
La baciai sulla fronte, scansandole i capelli al viso, e incontrai i suoi occhi scuri e magnetici; non feci resistenza quando entrò nella mia mente, sfilando tra i miei pensieri, curiosa di sapere nel dettaglio cosa mi fosse successo. 
Risalì tra i ricordi della conversazione con i pennuti, del mio volo solitario, la scommessa con Liel, la mia accidia... Alice. Si soffermò a lungo sui miei ricordi di lei, su cosa provavo nel guardare il suo viso, quando sentivo il suo profumo, ogni volta che la sua pelle incontrava la mia. 
Xadje mi sfiorò il volto con una mano, trattenendo il respiro.
È bellissimo... 
Non dissi nulla, appoggiando la fronte contro al sua. 
Un'altra cosa strana di Xadje, contraria alla sua natura, era il suo costante desiderio di essere coccolata. L'avevo sempre trovato buffo, in lei che sembrava così fredda, a guardarla. 
Ho bisogno del tuo aiuto, Xadje.
Mi chiedi di collaborare con degli Angeli... 

Se io non li soffrivo i pennuti, Xadje li odiava a morte. 
No. Non li avrai attorno, te lo prometto. Non più di tanto almeno.
Annuì, anche se non sembrava per niente entusiasta, e rimase in silenzio per qualche istante, pensando a chissà cosa: preferii non tentare di leggerle la mente, per non farla innervosire.
Posso vederla? Una volta sola...
Capii subito a chi era rivolta la sua curiosità e mi irrigidii. 
L'immagine di Alice, piccola e indifesa, vicina a Xadje, non mi entusiasmava nemmeno un po'. Ma quella che stringevo tra le braccia non era Succube da contraddire, soprattutto non quando era necessario avere lei e tutti i suoi sottoposti dalla mia parte; sarebbe stato idiota, da parte mia.
Certo. Quando avremo risolto, te la farò conoscere.
Sorrise appena, e si voltò un istante a osservare i corpi brulicanti attorno a noi, assorta. 
I tuoi sospetti non sono infondati: Liel e alcuni altri demoni si stanno muovendo per spalancare le Porte. Ma ho ragione di credere che qualcuno li guidi, probabilmente dall'Inferno stesso. Per esserne più sicura devo aspettare che le mie creature tornino con le informazioni che ti interessano, però.
Come immaginavo, anche Xadje aveva concluso che non potesse trattarsi soltanto di un passatempo ideato dai pochi demoni ancora nel mondo umano; c'era qualcos'altro, sotto. Qualcosa di pericoloso, che avrebbe sconvolto l'equilibrio e portato al Caos.
Ti ringrazio. Ti spiace se resto qui finché non saprò tutto quanto mi occorre? 
Mi guardò un momento, gli occhi neri animati dal sorriso.
No, mio Iblis. Ma non vuoi tornare da lei?
Senza aspettare la mia risposta, Xadje scivolò sopra di me, lentamente, lasciando scorrere le mani sul mio corpo, mi leccò il collo fino all'orecchio.
Mi abbandonai a lei.
Ma la mia testa era altrove.

Intanto, presso villa Rain...

Al buio, stesa immobile nel mio letto, fissavo assorta il soffitto chiaro della mia camera. Non riuscivo proprio a prendere sonno, e la presenza di Marlene non mi aiutava; per quanto fosse silenziosa, la consapevolezza di non essere sola mi impediva di rilassarmi. 
Benché fossimo in primavera, il clima era diventato decisamente estivo in quei giorni, tanto che avevo dovuto lasciare aperta la finestra per far entrare un po' d'aria.
Ripetevo a me stessa che stavo cercando di concentrarmi per evitare di passare una terza notte insonne, ma sapevo bene che non era così, proprio come sapevo che non era soltanto per il caldo che lasciavo spalancate le imposte. 
La mia forza di volontà era sufficiente soltanto perché non fissassi con insistenza il danzare delle tende bianche, ma la mia attenzione era concentrata sul loro fruscio, alla ricerca di un qualche segnale dell'aumento del numero di inquilini nella stanza.
Era inutile continuare a girarci attorno: se non riuscivo a dormire, non era certo “per il trauma degli eventi che mi avevano scombussolato la vita”, come riteneva Marlene. 
Il vero motivo era Gabriel. Era sparito da tre giorni.
E da tre giorni lasciavo aperta la finestra, sperando sempre di vederlo intrufolarsi in camera da lì.
Sospirai, girandomi su un fianco, e avvicinai il polso destro al viso, osservando il piccolo pendente dal tenue bagliore rosato che mi aveva dato Cassandra. 
Quella piccola pietra permetteva di capire se ci si trovava vicino a un angelo, illuminandosi di rosa, o di un demone, diventando nera e bollente; nel secondo caso, era importante che ci rifugiassimo in una Chiesa quanto più velocemente possibile. 
Anche Axel e Marlene ne avevano uno uguale, ma da molto più tempo di me: da quando erano stati battezzati, dicevano, dato che anche loro, come me, avevano angeli in famiglia.  
Solo che loro non avevano dovuto rischiare di perdere la loro anima per scoprirlo; erano sempre stati consapevoli del fatto che angeli e demoni esistevano eccome e che spesso si intrufolavano nelle vite di uomini e donne, chi per proteggerli, chi per destinarli all'Inferno.
Erano rimasti piuttosto stupiti quando avevano capito che a me non era stato detto nulla fino a quel momento, e sconvolti nel sapere che avevo incontrato di persona un demone, vendendogli l'anima (evitai di precisare in cambio di cosa... se prima ero certa che per Nicolas fosse il prezzo giusto da pagare, adesso mi vergognavo di aver firmato quel pezzo di carta).
Axel e Marlene raccontarono di trovarsi nella villa del nonno da quasi una settimana, prima che mi aggiungessi io, e che erano presenti anche altri due ragazzi oltre noi; erano rinchiusi nel battistero vicino alla cappella, lo stesso dove avevo ricevuto il battesimo quando ero bambina.
Entrambi avevano perduto la loro anima. 
Le poche volte che, passeggiando nel giardino, ero passata vicino a quella sorta di prigione, avevo notato che degli angeli ne stavano costantemente a guardia, vigili e piuttosto numerosi, in effetti.
Ma né Axel, né tantomeno Marlene (che, tra l'altro, riteneva fosse sbagliato da parte nostra parlare di questi argomenti, figurarsi indagare), sapevano spiegarmi il perché di tutta quella agitazione. 
Erano soltanto umani infondo, no?
Gabriel mi aveva sempre detto che non sarebbe cambiato praticamente nulla una volta avessi perso la mia anima, finché ero in vita. A meno che lui non avesse mentito, tutto questo non aveva senso. 
All'inizio provai a fare qualche domanda a Cassandra; ma le risposte che ricevevo erano sempre vaghe e inutili, come “E' per la vostra sicurezza” o “Sempre meglio essere cauti”.
Dopo un po', smisi di chiedere.
E se non avevo ricevuto risposte in questo caso, non mi feci nemmeno passare per la testa di chiedere dove fosse Gabriel. Già sapevo che sarebbe stato inutile.
Quel pomeriggio, seduta sul divanetto del salotto, avevo cercato di origliare la conversazione tra Cassandra e un altro angelo, lo stesso che confabulava furioso col nonno il giorno che avevo rimesso piede alla villa, con la speranza che stessero parlando di lui. Temendo che gli altri angeli lì nella stanza, o Marlene e Axel, intuissero ciò che stavo facendo, non avevo potuto che ascoltare poche frasi sconnesse. Alla fine, non capii quasi niente, e ottenni solo il risultato di sentirmi ancora più confusa e frustrata di prima.
Ormai, non potevo fare altro che aspettare che quella pietra diventasse nera, bruciandomi la pelle.
Aspettare e sperare.
Guardai l'ora sulla sveglia: le quattro del mattino.
Dove sei, Gabriel?

  
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