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Autore: DarkDream_    12/08/2013    2 recensioni
Lei è acida.
Lui è allegro.
Lei è Sofy.
Lui è Louis.
Lei ha bisogno di Lui.
Lei ha bisogno del Suo amore, ma ancora non lo sa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Let me love you

 

Capitolo 1. Tu?

 

 

 

Vorrei tanto poter iniziare dicendo di avere una vita fantastica, dei genitori presenti e amorevoli, un fratellino perfetto e di abitare in una bella casa, ma non posso farlo tranne per il fatto di avere un bellissimo fratello. Thomas è un bambino di quattro anni, quasi cinque, molto intelligente. I suoi capelli castano chiaro un po’ arruffati e quegli occhioni verde acqua gli conferiscono un’aria dolce a cui nessuno può resistere. Assomiglia così tanto alla mamma, stessi occhi, stesso colore di capelli, stessa dolcezza. L’unica cosa che ho in comune con la mamma è la voce, mi ricordo ancora quando ci sedevamo al piano e suonando passavamo ore insieme a cantare. Per il resto invece assomiglio tanto a papà: occhi azzurri, capelli castani lisci, carattere duro e determinato. Da piccola ero così fiera di assomigliare al mio papà ora invece non lo sono per niente dopo quello che è successo qualche anno fa.

Ricordo quando è nato il piccolo Thomas: avevo quattordici anni e i miei genitori mi dissero che avrei avuto un fratellino. Ero felicissima. Otto mesi dopo lo tenni per la prima volta tra le braccia. Appena dopo la sua nascita la mamma cominciò a sentirsi male e dopo vari esami scoprimmo che aveva una brutta malattia, il dottore ci disse che aveva l’83% di non farcela. Il mondo mi crollò addosso, mia madre sarebbe morta, la persona a cui più tenevo mi avrebbe lasciata. Non ero l’unica a soffrire, papà era veramente a pezzi ma il problema più grosso fu che cominciò a bere, l’alcool era diventò il suo migliore amico.

La mamma era sempre in ospedale, papà era a ubriacarsi e l’unica che poteva prendersi cura di Thomas ero io, ero io il suo punto di riferimento, ero io l’unica persona di cui si fidava, ero io la sua famiglia, e lo sono tutt’ora.

È sempre vivo il ricordo del giorno più orribile della mia vita.

 

FLASHBACK

  Ero in quella stanza bianca d’ospedale che ormai conoscevo a memoria. Tenevo in braccio il                                                          piccolo Thomas cullandolo per far calmare il suo pianto. Credo che sentisse anche lui quell’aria   triste e quello che stava per accadere.

Mio padre era seduto su una poltrona con il viso tra le mani. Piangeva.

Sentii pronunciare il mio nome e mi girai verso il lettino. Mamma era lì, con vari fili attaccati al corpo, era distesa con il capo leggermente alzato per riuscire a guardarmi. Posai Thomas nel passeggino e mi avvicinai alla donna.

-Dimmi mamma- le dissi dolcemente accarezzandole una guancia mentre le mie venivano rigate da delle lacrime.

-Tesoro mio, ascoltami. D’ora in poi sarai l’unica donna della famiglia. Promettimi di non lasciare mai Thomas, proteggilo, fallo per me. Lo farai?- la sua voce era talmente bassa che riuscivo a capirla  a stento.

-Lo farò, mamma- le dissi prendendole una mano.

-Me lo prometti?-  chiese incatenando i suoi grandi occhi verdi con i miei.

-Te lo prometto- dissi ormai in un pianto isterico.

Diede un’ultima occhiata a me, a papà e a Thomas prima di chiudere gli occhi. Poi si sentii un suo acuto e prolungato. Papà si alzò di scatto e si piegò sulla mamma urlando e Thomas scoppiò a piangere molto forte.

FINE FLASHBACK

Da quel giorno papà peggiorava sempre di più: beveva molto, aveva cominciato a drogarsi e a spacciare droga per i soldi visto che non voleva fare un lavoro normale. Io intanto crescevo Thomas come se fossi sua madre, pulivo la casa, cucinavo, stiravo e cercavo di prendere dei bei voti a scuola.

Papà incolpava sempre Thomas per la morte della mamma e io cercavo di difendere mio fratello, così iniziava una delle tante liti che finivano sempre con degli schiaffi.

Non riuscivo più a vivere così.

Quando  avevo diciotto anni mio padre venne arrestato per furto e spaccio di droga. Dal giorno dell’arresto non so più nulla di lui e non voglio sapere niente di quell’uomo.

Ero maggiorenne così chiesi l’affido di mio fratello e mi venne concesso. Non potevo però più restare nella solita casa, era troppo grande e non potevo permettermela, così comprai un piccolo appartamento con i miei risparmi. Per ricavare un po’ di soldi ho venduto i quadri che si trovavano nella vecchia casa e alcune cianfrusaglie.

Cercai un lavoro e trovai un posto al “Bar London” (?) in cui mi danno un stipendio decente.

La mia vita ora non mi dispiace. Ho quasi diciannove anni ma non vivo come una normale diciottenne, non posso.

A proposito forse è meglio che mi alzo se no faccio tardi.

Scostai la coperta e prima di scendere dal letto mi girai verso l’altro lato del mio letto matrimoniale dove dormiva tranquillamente Thomas. Molto spesso dormiva con me perché diceva che in camera sua c’erano i “mostri”.

Gli accarezzai il capo e scesi dal letto infilandomi le pantofole. Uscii silenziosamente dalla stanza e mi diressi in cucina, mentre camminavo il mio sguardo cadde sul pianoforte di mamma. Avrei fatto un affarone vendendolo ma non ci riuscivo, quello era l’unico ricordo che avevo della mamma, lei lo amava e lo amavo anch’io, ma era da tanto che non lo suonavo, mi fa male suonare senza di lei.

Scossi la testa e mi avviai in cucina a prepararmi un caffè.

Presi una tazza e quando la bevanda fu pronta la versai aggiungendo due cucchiaini di zucchero e un po’ di latte. Con la tazza tra le mani mi avvicinai alla finestra, scostai la tenda e guardai fuori mentre sorseggiavo il mio caffèlatte. Il paesaggio primaverile era bagnato segno che aveva piovuto, cosa normale essendo a Londra. Finito il caffè posai la tazza nel lavandino.

Diedi un occhiata all’orologio, 7:05, cominciai a preparare la colazione per Thomas: cereali in una bella tazzona di latte.

Posai la scodella sul tavolo e andai a svegliare il piccolo. Era disteso su un fianco coperto fino a metà schiena dalla coperta con le manine giunte sotto la testa. Aveva i capelli molto arruffati e la bocca semi aperta. Indossava il suo amato pigiama di Superman, il suo supereroe preferito. Starei ore a guardarlo ma mi avvicino e gli accarezzo i capelli sussurrandogli di svegliarsi. Lui mugugnò qualcosa di indecifrabile prima di aprire piano gli occhi. Lo presi in braccio portandolo in cucina. Si sedette sulla sedia e con la manina chiusa in un pugno si strofinò l’occhio destro.

-Allora piccolo, come hai dormito?-  gli chiesi guardandolo.

-Bene- bofonchiò –senti Sofy, anche oggi devo andare all’asilo?- mi chiese mezzo addormentato mentre muoveva svogliatamente il cucchiaio dentro la tazza. Io sorrisi.

-Si Tom, anche oggi devi andare-

Lo spronai a mangiare e quando ebbe finito si precipitò a guardare i cartoni mentre io pulivo le tazze. Mi asciugai le mani e guardai verso il salotto vedendo Thomas intento a ridere mentre guardava un cartone animato.

-Forza Thomas spegni la televisione e andiamo a prepararci- per fortuna Thomas era un bambino educato e mi ascoltava. Non faceva tante storie, con una sorella così brava è ovvio che lo diventasse anche lui.

Lo portai in bagno per fargli una veloce doccia. Lo vestii e gli dissi di restare a giocare nella sua stanzetta mentre io mi preparavo.

Feci una doccia e mi vestii: http://www.polyvore.com/senza_titolo_35/set?id=91679746

 

-Forza Thomas o arriverò in ritardo!-  urlai dall’entrata.

-Sofy non trovo il mio Superman! Non posso andare senza… oh eccolo! Arrivo!- quando urlava la sua vocina si faceva ancora più acuta di quello che era già.

Sentii dei passetti mentre guardavo freneticamente l’orologio al mio polso. Avrei ritardato anche oggi, me lo sentivo. Vidi Thomas correre con i suoi piedini verso di me. Mi mostrò trionfante la statuina in plastica dura di Superman e indossò la giacca. Presi la borsa, le chiavi, il cellulare, il portafoglio e uscimmo di casa.

Dovevamo andare a piedi visto che la mia auto era dal meccanico, ma l’asilo non era molto distante.

Mi piaceva camminare all’aria aperta, con il vento fra i capelli e il cinguettio degli uccellini, ma tutto questo veniva rovinato da chi ti veniva addosso perché non riusciva a vedere dove andava. Dopo circa dieci minuti arrivammo davanti all’asilo e Thomas si attaccò alla mia gamba.

-Non voglio andare Sofy! Portami con te-

Mi abbassai alla sua altezza e lo guardai negli occhi.

-Ascolta Thomas, non posso portarti con me, devi andare all’asilo, vedrai che ti divertirai- lui gonfiò le guanciotte e sbuffò.

-Dici sempre così e poi non mi diverto mai- mi dispiaceva vederlo così, sapevo che non aveva amici, era timido e sa ne stava da solo in un angolino a giocare con Superman; almeno questo era quello che mi dicevano le maestre.

-Se adesso vai all’asilo oggi pomeriggio andiamo al parco a poi ci guardiamo Peter Pan. Va bene?- gli si illuminarono gli occhi appena pronunciai “parco” e “Peter Pan”. Mi sorrise e gettò le sua braccia intorno al mio collo abbracciandomi. Lo strinsi e gli scoccai un bacio in fronte.

-Allora?- gli chiesi.

-Ok! Ma mi prometti che dopo andiamo al parco e guardiamo Peter Pan?- disse guardandomi dal basso verso l’alto visto che mi ero alzata in piedi.

- Te lo prometto-  questa frase mi fece ricordare la promessa che avevo fatto a mamma ma scacciai il pensiero, non potevo mettermi a piangere davanti a Thomas. Lo presi per mano e lo accompagnai all’interno dell’asilo. Gli scoccai un altro bacio e uscii mettendomi a correre verso il bar.

-Cazzo! Sono in ritardo-  sussurrai affannata.

Posso dire che correre non è il mio hobby preferito. Preferisco starmene stravaccata sul divano a mangiare schifezze di ogni genere. Giro l’angolo stando attenda a non investire nessuno e mi precipito alla porta d’ingresso del locale. Corsi verso il bancone e vidi che il capo stava per aprire bocca

-Si, lo so, lo so. Sono in ritardo. Ma sai com’è Thomas. Mi perdoni?- gli chiesi facendo la faccia da cucciolo.

-Si Sofy, ti perdono. Ora però mettiti al lavoro- nessuno sapeva resistermi.

 

 

Stavo preparando l’ordine del tavolo 12: due cappuccini. Presi il vassoio e ci posai le due tazzine e mi avviai verso il tavolo.

Passai vicino al tavolo 10 dove c’erano seduti cinque ragazzi. Uno di loro, mentre io passavo, si alzò di scatto allungando il braccio destro orizzontalmente urtando il vassoio che avevo in mano e indovinate un po’. Tutto il cappuccino finì sulla mia maglia bianca. Il rumore delle tazzine che si frantumavano per terra fece voltare tutti verso di me. Io avevo la bocca spalancata e spostavo lo sguardo dal ragazzo, alle tazzine, alla mia maglia. Anche il ragazzo aveva gli occhi spalancati come i suoi amici.

Guardai meglio il “combina guai”, era più alto di me di poco, magro, muscoloso al punto giusto ma non molto, aveva i capelli castano chiaro, lisci, tirati all’insù con il gel, gli occhi erano di una azzurro mare. Carino… no, no, aspetta, mi ha sporcato la maglia. Ora non è più carino.

-O mio dio! Mi dispiace così tanto- mi disse mentre si abbassava a raccogliere quello che restava delle due tazzine.

-Si certo- bisbigliai poi continuai alzando un po’ la voce per farmi sentire da lui –la prossima volta stai più attento, razza di imbecille. Non vedi cosa hai fatto?- sbuffai.

-Hei! Ti ho chiesto scusa, cos’altro vuoi?- sputò indignato.

Mi accovacciai a con uno schiaffetto allontanai le sue mani dai cocci.

-Niente. Ora lascia. Faccio da sola. Non vorrei che combinassi altri guai- gli dissi a denti stretti.

-Acidella la ragazza, eh?- disse alzandosi.

Finito di raccogliere i resti mi alzai e dopo avergli lanciato un’ultima occhiata tornai dietro il bancone. Quel ragazzo aveva un sorrisino strafottente dipinto sulle labbra. Quanto mi sarebbe piaciuto prenderlo a schiaffi.

Mentre ripreparavo l’ordine del tavolo 12 sentii parlare il ragazzo.

-Ragazzi, ora io vado, se no faccio tardi a lavoro- poi sentii un coro rispondere, probabilmente i quattro suoi amici –Ciao Louis-

Louis. Ecco come si chiamava.

Non oso immaginare che lavoro posso fare Louis se combina così tanti guai.

Portai l’ordine sano e salvo e mi scusai per il ritardo. Continuai a lavorare con la maglietta sporca, non ne avevo una di riserva. Ormai la mattinata era passata e il bar chiudeva alle 1 di pomeriggio, ora in cui dovevo andare a prendere Thomas.

Mi stavo togliendo la traversa quando Amy mi disse

-Sofy, non è che potresti chiudere tu oggi? Io devo andare dal mio Jhon. Grazie mille- non mi lasciò controbattere che se ne andò lasciandomi con la bocca aperta e la mano a mezz’aria.

-Ma io devo andare da Thomas- sussurrai.

-Vaffanculo tu e il tuo amoruccio, non fai un cazzo tutta la mattina ma un giorno giuro che ti strapperò tutte quelle extension che porti- dissi infuriata.

Sistemai un po’ il locale lo chiusi e cominciai a correre. Era così che mi tenevo in forma.

Non era la prima volta che ritardavo ma appunto per questo avevo promesso di essere più puntuale.

Arrivai all’asilo e feci la scalinata velocemente rischiando di rompermi l’osso del collo. La prossima volta faccio la rampa.

Spalancai la porta

-Eccomi!- urlai guardandomi in giro. Non vidi nessuno segno che erano tutti andati a casa. Poi vidi Tom seduto su una panca mentre muoveva le gambette a penzoloni su e giù. Mi accorsi che stava parlando con qualcuno seduto affianco a lui, ma era di spalle e non riuscii a vederlo. Quando sentirono il mio urlo si girarono entrambi nella mia direzione e riuscii a vedere la persona misteriosa.

-Tu?- urlammo in coro.

 

 

 

SPAZIO AUTORE

Che ne dite? Fa schifo, no? Ditemi cosa ne pensate. Questo è il primo capitolo ma spero che vi sia piaciuto.

Grazie in anticipo.

Un bacio.

By Directionercarotina99

  Sofy




Louis



 i ragazzi










 

  
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