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Autore: Fanriel Kerrigan    13/08/2013    0 recensioni
Con uno scatto veloce, la sua mano andò ad estrarre il pugnale appeso alla cintura.
Impediscimi di farlo, adesso!
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Poche ore dopo sentì la voce tuonante di suo padre alla porta, che lo svegliava, perché altrimenti avrebbe fatto tardi con il maestro di metamorfosi.

Celtern aveva dormito poco e male, dalla sua fuga notturna e dall’incontro con il ragazzino di nome Taiberl.

Aveva fatto un incubo, ma non ricordava bene di cosa si trattasse. Magari se fosse riuscito a ricordarne qualche frammento Conel avrebbe potuto aiutarlo ad interpretarne il significato, e magari non era niente, o magari era una predizione.

Poco importava, dal momento che Taiberl se ne stava in piedi sulla soglia della stanza, e lo fissava.

Era parecchio alto, avrà avuto 7 o 8 anni al massimo, ma ne dimostrava molti di più.

Celtern aveva capito di odiarlo sino dal momento in cui l’aveva visto moribondo sul letto dell’ospedale, ma in quel momento sentiva proprio di non sopportare la sua presenza.

-Che cosa vuoi?- chiese Celtern, infilandosi i calzari.

- Sapere il tuo nome. Non mi hai detto il tuo nome.- rispose Taiberl.

-Celtern.-

- Tu sei “Tempesta nel cuore della notte”.-

Celtern abbassò lo sguardo. Erano in pochi a conoscere il vero significato del suo nome, di cui lui si vergognava profondamente.

A Deman, villaggio gemello di Sefron, Celtern significava “idiota”, ma nella lingua antica, il suo significato era proprio quello enunciato da quel beffando bambinetto insolente.

- Tanto piacere di averti conosciuto , Celtern.- disse Taiberl, prima di andarsene.

Celtern fu di cattivo umore, sin dal primo mattino.

 

-Cosa ci facevi nel lago dell’Est quando la luna era alta nel cielo? Non so cosa ti sarebbe accaduto se Conel non ti avesse trovato.- borbottò Gada a taiberl, al grande tavolo della colazione.

- Io non ricordo, signore.- rispose Taiberl, che a quanto sembrava aveva messo da parte il tono di sfida che usava con Celtern, che intando trangugiava mestamente la colazione, guardando di sbieco il nuovo arrivato.

- Non sei in grado di dirci da dove provieni, il tuo villaggio? Che forse riusciamo a trovare i tuoi genitori.- propose Conel, speranzosa.

Ma Taiberl scosse la testa, e continuò a mangiare.

Celtern continuava a pensare che quel bambino fosse fin troppo strano.

Suo padre sembrava pensarla alla stessa maniera, lo si capiva dal linguaggio del corpo, che suggeriva una certa agitazione, e dal fatto che lo stregone avesse messo da parte la sua consueta abitudine a parlare e l’avesse sostituita con un mdoo alquanto frettoloso di vuotare il piatto.

Gada fu il primo ad alzarsi da tavola, a fare un inchino appena accennato a Taiberl e a Conel, e ad uscire dal palazzo, facendo un piccolo gesto a Celtern.

Il ragazzino lo seguì, sbigottito.

E ancora più stupito rimase quando, sulla scalinata di marmo, suo padre si inginocchiò di fronte a lui.

-Mi raccomando, non deludermi. Come mio unico figlio hai il dovere di diventare forte, lo sai il ruolo che ti spetterà. E ora vai.- gli disse, spingendolo leggermente verso il maestro , che era in piedi in fondo alla scalinata.

Gada guardò Celtern andare via, e poi si girò. Vide Conel che teneva una mano sulla spalla di Taiberl.

-Nella tua infinita saggezza e benevolenza, ti chiedo di tenere questo ragazzo con te, Gada. Io non posso.- disse la donna.

Taiberl si girò a guardare Conel, e poi incrociò lo sguardo indecifrabile di Gada, il quale annuì appena.

- Bene, Taiberl. D’ora in poi ti considererò come mio figlio adottivo. Sarai il fratello di Celtern, farai tutto quello che farà lui. Ma non dimenticarti che non fai e non farai mai parte di questa famiglia.- disse lo stregone, secco.

 

Il villaggio di Sefron era la sede del potere delle Sette Stelle, che dedicavano alle divinità un piccolo tempio, situato all’estremità sud del villaggio.

La divinità che più di tutti era adorata e riverita era Azhan, la Dea di tutti gli Dei, che si raccontava fosse una donna molto capricciosa e volubile, e molto bella, e che fosse unita con il dio della guerra Sef, colui che aveva creato Sefron e aveva dato il potere alla prima Settima Stella Uzron, il nonno di Gada.

Azhan decideva il ciclo delle stagioni, e la bontà del raccolto, e la portata dei corsi d’acqua, decideva persino quanti bambini sarebbero nati entro le mura del villaggio.

Il culto di Azhan, però, era celebrato in tutto il suo splendore a Deman, villaggio gemello di Sefron, che si trovava esattamente dall’altra parte della Grande Foresta che si estendeva oltre le mura di Sefron.

Il potere a Deman era in mano all’ordine delle Gran Sacerdotesse di Azhan, una congregazione di ragazze che votavano interamente la loro vita alla Dea, e ogni loro gesto, e ogni loro respiro, era un tributo alla Dea.

Le bambine venivano scelte dalle Sacerdotesse dell’ordine in base a determinate caratteristiche fisiche e psicologiche, e ad 8 anni venivano strappate alla loro famiglia, ed entravano a fare parte dell’ordine.

Alla morte della Sacerdotessa Suprema, il capo dell’ordine, veniva scelta una bambina per sostituirla, solitamente un’orfana, perché si credeva che le orfane fossero figlie della Dea in persona.

Dana era a Capo dell’Ordine, era una bambina di 12 anni, intelligente e sveglia, ma molto triste.

Il ruolo di Sacerdotessa Suprema la costringeva a lunghe veglie di preghiera, e a lunghe ore da passare con le Allieve a meditare, quando lei era solo una bambina e voleva solo giocare come facevano le sue compagne.

Invece lei doveva rimanere a guardarle, e la sua unica compagnia era Sereth, una ragazza di qualche anno più grande di lei, che sapeva a memoria il nome di ogni filo d’erba di Deman intera.

- Manca un mese o poco più per la visita a Sefron.- disse un giorno Sereth, rammendando un vecchio scialle azzurro, nella speranza di riportarlo al vecchi splendore.

Dana aveva gli occhi chiusi, era inginocchiata in mezzo alla stanza, l’unica luce ad illuminarla era una candela, la cui luce ardeva come fuoco sui suoi capelli rossicci.

Gli occhi della bambina scintillarono nel buio.

-Lo so.- rispose- è una settimana che ogni persona del villaggio non fa che ripetermelo-

- Non è linguaggio che ti si addice, Dana.-

- Io non voglio vedere altri capi a cui obbedire.- concluse Dana, e chiuse nuovamente gli occhi, ricominciando a meditare.

In realtà stava solo pensando. Stava pensando a quanto le mancava la sua vita da bambina, da quanto tempo aveva passato senza giocare, senza pensare a qualcosa di felice.

Tanto lei i genitori non li aveva, e quando camminava per il villaggio nessuno aveva nemmeno il coraggio di guardarla, perché lei era la Sacerdotessa Suprema, l’incarnazione terrena della Dea Azhan.

L’unica persona che aveva al mondo era Sereth, ma era silenziosa e aspra nei discorsi, e non riusciva a darle le risposte di cui aveva bisogno.

Dana era ancora una bambina, fuori, ma dentro di sé, sentiva ribollirle la rabbia per la sorte che il destino le aveva assegnato, perché lei sarebbe stata costretta in quelle mura fino a quando non sarebbe morta.

A servire una padrona che non esisteva, ad alimentare il culto di una Dea che per quanto la riguardava non le aveva mai parlato, o dato un segno.

Ma era tutta questione di tempo: la ragazzina in qualche modo sentiva che quella visita a Sefron, la città d’Ebano, il grande tempio del Dio Della Guerra, l’avrebbe in qualche modo turbata.

 

Taiberl percorreva pensieroso il perimetro di Sefron: c’era qualcosa in città che non gli piaceva, c’era troppa curiosità nei suoi confronti, e tutti gli ponevano domande a cui nemmeno lui aveva risposta.

Era stato accolto, più o meno calorosamente, nella famiglia di Gada, lo stregone capo, attirandosi così le ostilità di Celtern, che giorno dopo giorno si impegnava a rendergli la vita sempre più difficile.

Ciò che provocava rancore in Celtern era che Taiberl aveva un insolita abilità nel maneggiare le armi di combattimento corpo a corpo, infatti era stato battuto più di una volta da colpi sferrati con una tecnica e una precisione fuori dal comune.

Il maestro d’armi si era congratulato con il ragazzo, e Celtern, indispettito e ferito nell’orgoglio era andato a piagnucolare dal padre.

Gada aveva puntualmente fatto sospendere le lezioni a Taiberl, ma non solo quelle per il combattimento corpo a corpo: tutte le lezioni.

Taiberl si consolava dicendosi che facevano tutto questo perché lo temevano, ma la realtà era che si sentiva costantemente circondato da odio e da sguardi furiosi.

Quasi fosse portatore di qualche malattia.

Sentì dei passi alle sue spalle, ma non si voltò.

Si girò all’ultimo momento, brandendo il piccolo gladio che gli era stato donato dal maestro d’armi.

Era la vecchia che l’aveva recuperato dal lago.

- Taiberl, come membro della famiglia reale, ti consiglio di cominciare a prepararti: oggi è un giorno molto speciale, arriva qui la Gran Sacerdotessa di Deman.- gli disse Conel, superba, conquistandosi uno sguardo indispettito da parte del ragazzo.

- Tanto io non faccio parte della famiglia reale.- rispose cupo, riponendo nella fodera il gladio.

- Dai seguimi- allora insistette Conel, posandogli una mano sulla spalla.

Taiberl a capo chino la seguì, sentendosi umiliato ed abbattuto : già da quel giorno aveva deciso che prima o poi sarebbe diventato più grande delle Sette Stelle messe assieme, e si sarebbe vendicato di tutta quella cattiveria nei suoi confronti.

Se altrove gli orfani erano benvoluti, lì a Sefron lui proprio non era il benvenuto, ma gli piaceva credere che i suoi genitori fossero da qualche parte che lo osservavano crescere, aspettando il giorno in cui finalmente gli avrebbero rivelato la sua vera identità.

Seduto all’esterno del palazzo su una panchina di marmo c’era Celtern, che si stava pavoneggiando con dei piccoli giochetti di metamorfosi , facendo ridere o spaventare le ragazzine che gli stavano attorno.

Taiberl gli lanciò un’occhiata glaciale, Celtern lo ignorò.

All’interno del palazzo, invece, c’era il consueto gelo, e Gada era in piedi, immobile di fronte ad un arazzo colorato, con lo sguardo concentrato.

Quando Taiberl gli passò accanto, nemmeno lo guardò.

  
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