Salve a tutti, miei cari
lettori e lettrici!
Dopo l’ennesimo taglia e
cuci dei capitoli successivi, ne ho ricavato uno in più di lunghezza ragionevole,
che vede l’inizio del viaggio dei Nani verso sud.
Ci sarà un po’ di movimento,
lungo la strada, quindi... asce alla mano!
Grazie davvero a tutti
coloro che stanno seguendo questa follia, siete una gioia. :)
Buona lettura,
Marta.
Pietra
- sequel di Betulla -
03.
24 Luglio 3019 T. E.
C’era un incredibile via vai di Nani che entravano ed
uscivano da Erebor, quel giorno. Il dì della partenza verso Gondor era
finalmente giunto, insieme alla gioia e all’entusiasmo incontenibile di
chiunque si fosse apprestato a partire con il Re. Lavorare per gli Uomini era
un’occasione importante, che suggellava per l’ennesima volta la stima che
legava le due razze. Nonostante ci fossero stati screzi in passato, come Thorin
ben ricordava, Gondor era un regno che meritava il suo rispetto. E la richiesta
era giunta da un Nano della sua casa, figlio di un suo caro amico e parente, e
non poteva rimanere inascoltata. Inoltre, non lasciava Erebor nelle mani di un
sottoposto qualsiasi, ma era ben consapevole che Dís, sua sorella, avrebbe
fatto un ottimo lavoro mentre era in viaggio.
Sul suo pony nero, affiancato da Balin e Dwalin, Thorin
guidava la comitiva di Nani proveniente da Moria e dai Colli Ferrosi e che lo
avrebbe seguito fino ad Osgiliath, e successivamente a Minas Tirith. Non tutti,
infatti, avrebbero lavorato nella città decaduta, ma alcuni, lui compreso,
avrebbero dato i loro servigi direttamente al Re Elessar nella Capitale. Parte
del ferro e del mithril, con gli attrezzi, partivano con loro, ma il viaggio
sarebbe stato lungo e per niente facile: la prima tappa sarebbe stata
l’attraversamento della Via Silvana di Bosco Atro affinché raggiungessero
l’Anduin e salissero sulle imbarcazioni messe a disposizione dagli Elfi Silvani;
e poiché il figlio di Re Thranduil faceva parte di quella Compagnia che stava
tentando di rimettere in sesto Gondor, i Nani avevano il pieno permesso per
attraversare il Reame Boscoso. Da lì alle Cascate di Rauros avrebbero impiegato
poco più di una settimana di viaggio; poi avrebbero trascinato il materiale giù
per i colli di Amon Hen seguendo il lungo fiume e sperando che i sentieri non
fossero troppo accidentati; l’ultimo tratto del viaggio avrebbe visto il gruppo
di Nani dividersi: alcuni avrebbero seguito il materiale sulle zattere che i
prigionieri di Gondor avrebbero costruito per loro in quei giorni, mentre la
scorta del Re avrebbe proseguito verso Osgiliath, lungo la sponda Est del
fiume. Lì, dopo circa tre settimane di viaggio, avrebbero incontrato il
Sovrintendente di Gondor e Signore della Città, che lo attendeva con Gimli, l’Amico degli Elfi.
Thorin storse il naso al pensiero di quell’appellativo e lanciò
una rapida occhiata a Rulin che, affiancato da quelli che dovevano essere i
figli, teneva per le briglie il pony di famiglia, su cui sedeva la ragazzetta con
cui aveva parlato solo qualche giorno addietro. Non lo avrebbe mai ammesso a
voce alta, ma aveva trovato piacevole discorrere con lei, sebbene fosse stato
per pochi minuti e, soprattutto, gli avesse detto indirettamente che fosse
un’arrogante spocchioso. Aveva un temperamento acceso, proprio come il suo, e
solo sua sorella Dís avrebbe potuto competere. Ma si erano lasciati malamente,
quella sera alle officine. Non era quello il modo in cui avrebbe dovuto
scoprire chi fosse in realtà – anche se non riusciva a trovarne uno
alternativo.
Ma non si soffermò ad osservare quell’insolita famiglia,
poiché suo cugino Dáin II Piediferro, un affabile chiacchierone, gli si
affiancò per sommergerlo di domande e notizie sui loro parenti.
«E nonostante tutto, mio figlio è stato in grado di
respingere quei brutti Orchi con la forza bruta della sua sola ascia!» stava
dicendo il Signore dei Colli Ferrosi. «Più passano i giorni e più mi sento
soddisfatto del nome che scelsi per lui alla sua nascita. Thorin III, non
poteva essere più appropriato!»
Il Re Sotto la Montagna sorrise. «Avrà anche il mio nome, ma
il suo coraggio e la sua bravura sono frutto del tuo operato.»
«Oh, dici bene, e questo lo so.» Dáin gonfiò il petto,
orgoglioso. «Ma dimmi, cugino mio, quando avrò il piacere di conoscere tuo
figlio? Stai diventando vecchio, ormai, non hai intenzione di reclamare un
erede prima che sia troppo tardi?»
«Il mio erede è mio nipote Fili. Non ho intenzione di
sposarmi e di mettere su famiglia.»
«E come potrebbe, del resto? Uno scorbutico come nostro zio
non potrebbe avvicinare neppure la Nana più sorda e cieca della Terra di
Mezzo!» esclamò Kili, che si beccò uno scappellotto dal diretto interessato.
Fili lo osservò bonariamente. «Te lo sei meritato, fratello,
non fare quella faccia.»
«Solo per aver detto ciò che pensano tutti?»
Balin scambiò un’occhiata ironica con Dwalin, che incrociò
le braccia in attesa della tempesta.
Thorin, infatti, corrugò la fronte e strinse gli occhi
chiari – segno che il limite della pazienza era quasi superato. «Ah, sì? E
dimmi, cosa dicono tutti?»
«Bel colpo, Kili. Ora che dirai? Che ha più probabilità un
Orco di sposare un’Elfa, piuttosto che lui una donna?»
L’arciere scoppiò a ridere nel momento in cui Thorin si
sfogò anche sull’altro nipote. I cinque Nani lo osservarono spronare il suo
pony, per allontanarsi dal gruppo e trovare un po’ di silenzio. Non era adirato
per le parole dei due giovani, poiché conosceva la loro lingua lunga e priva di
inibizioni; né si preoccupò che lo avessero deriso di fronte a numerose ed
importanti personalità. Ciò che lo faceva infuriare era proprio l’argomento.
Le donne.
Il matrimonio.
Fin da quando era giovane il padre aveva trascorso anni
della sua vita a sprecare il fiato, per cercare di convincerlo a prender moglie
e a dare alla luce un erede. Era il nipote del Re, del resto, e non sarebbe
stato difficile trovare una Nana che volesse diventare sua moglie. Ma a lui non
importava. Lui voleva fare il fabbro, voleva difendere il suo popolo e pensare
di governarlo saggiamente, un giorno. Le donne erano una distrazione, e
portavano solo problemi.
Inoltre non aveva mai incontrato alcuna femmina che fosse
degna di essere sua moglie: non solo non erano appetibili fisicamente, così
simili ai maschi per modi e aspetto, ma mancavano persino di carattere. A cosa
gli serviva una donna al fianco, se questa preferiva essere la sua ombra,
invece che sostenerlo come si confà ad una futura regina? Un Nano amava una
sola volta nella vita, e sarebbe stato per sempre. E lui non voleva sprecare la
sua unica occasione con una compagna qualunque.
Cavalcò accanto a Rulin, che camminava vicino alla ragazza
dai capelli rossi sul pony, affiancato dai figli incredibilmente alti per
essere dei Nani, e il carpentiere lo salutò con inchino.
«Mio signore, buon giorno.»
«E speriamo lo sia, ne avremo bisogno.»
Rulin abbozzò un sorriso. «Permettimi di presentarti i miei
figli: lui è il maggiore, Tarón, e il piccolo sulle sue spalle è Trión; egli è
Káir, mentre loro sono i gemelli, Trán e Káel. Sono tutti ottimi fabbri e
combattenti, anche la ragazza – essendo cresciuta tra uomini. I miei figli
hanno combattuto con me per difendere Erebor, e il maggiore mi accompagnò anche
durante la Battaglia dei Cinque Eserciti.» disse il carpentiere, con orgoglio.
Thorin appuntò mentalmente quell’informazione, poiché
ricordava di aver intravisto un paio di teste rosse tra i Nani, tanto tempo
addietro; ma nonostante la notizia, rimaneva il fatto che avessero il tanto
odiato sangue Elfico nelle vene, ed era un dato di fatto che non poteva
ignorare.
«Figli miei, egli è il Re di Erebor, sire Thorin
Scudodiquercia. Dovremmo ringraziarlo adeguatamente per l’ospitalità che ci ha
riservato durante queste settimane.»
Non gli sfuggì il disinteresse della femmina, che preferiva
giocare con le briglie del suo destriero, piuttosto che spostare l’attenzione
su di lui. Thorin chinò lievemente il capo, privo della corona, e venne imitato
dai ragazzi, che parvero entusiasti di incontrarlo personalmente. Káir avrebbe
voluto dirgli che avrebbe dovuto ringraziare l’uomo che aveva di fronte per il
solo fatto che potesse ancora camminare sulle sue gambe, ma il padre capì i
suoi pensieri e lo ammonì con un’occhiata severa.
«Ogni amico e suddito di Re Dáin è benvenuto nel mio regno,
soprattutto se ha combattuto valorosamente per difendere il nostro popolo.»
disse Thorin.
Trán tenne ostinatamente lo sguardo ovunque tranne che su di
lui. Si sentiva umiliata per ciò che le aveva tenuto nascosto, e adirata per
quello che il padre le diceva sul suo conto. Neanche il Re in persona avrebbe
potuto prendersi il lusso di infangare il buon nome della sua famiglia. Neanche
si rese conto di parlare. «Io non chiamerei ospitalità
l’essere insultato per il sangue che ti scorre nelle vene, padre.» disse
infatti, come se il Re non fosse che a pochi piedi da loro – e come se avesse
scordato la sua gentilezza di qualche giorno prima.
«Trán...» la rimbeccò il gemello, tirandole un colpo alla
gamba per zittirla.
Thorin rizzò la schiena, punto nell’orgoglio da quel tono
calmo ma evidentemente ostile. Sapeva bene a cosa si stesse riferendo la
ragazzina, poiché lei stessa glielo aveva fatto presente indirettamente, ma
fece finta di niente. «Qualcuno della mia gente vi ha arrecato offesa?»
«Abbiamo l’udito fine, se capisci cosa intendo, mio
signore.»
«Dunque vi porgo le mie più sentite scuse, a nome di
chiunque vi abbia oltraggiato.» Il Nano notò le nocche della giovane sbiancare
per la stretta delle sue delicate mani sulle briglie, così come un colorito
acceso le imporporò le guance. Ma non era certo l’imbarazzo che ricordava di
averle visto in viso quando l’aveva salutata, bensì rabbia.
Nonostante questo, però, continuò a rimanere calma. Rise,
senza ironia. «Non sforzarti di fingere dispiacere, mio signore. Sarai un bravo
combattente e un ottimo fabbro, ma la recitazione non è un’arte che fa per te.»
Il padre arrossì per l’audacia della figlia, e borbottò
qualcosa in segno di scusa. Ma anche egli, a quanto pareva, non era un bravo
attore, poiché ciò che lei aveva espresso a voce alta era anche il suo
pensiero.
E Thorin, questo, lo aveva capito bene, e non lo accettò. «Mi
occuperò personalmente di sistemare l’ordine e le buone maniere nel caso
qualcuno o qualcosa dovesse infastidire te e la tua famiglia; ma non osare mai più
insultare il mio nome e il mio onore, ragazza.»
Balin, che aveva udito la conversazione a distanza, si
accorse dello sforzo che il suo amico stava facendo pur di non sbottare in
qualche esclamazione poco signoresca e regale. Era sicuro che qualche decennio prima
sarebbe esploso senza riguardi, forte del suo orgoglio Nanico; ma anche Thorin
era cresciuto e diventato più saggio di un tempo. Eppure, temette, quella
ragazzina stava giocando con il fuoco. E questa volta non si trattava di un
Drago rosso seduto sul suo tesoro.
«Finché tu o chiunque altro non insulterà il nostro,
ovviamente. E ti ringrazio, messer Nano, ma io e la mia famiglia sappiamo
difenderci meglio di quanto non creda. Lo facciamo da tre generazioni, ormai.»
Messer Nano?
Thorin inspirò pesantemente, infastidito oltre modo. Aveva
tentato di essere cortese, nei limiti dei suoi pregiudizi e ricordando la
timidezza che gli aveva mostrato durante i loro incontri, ma quella ragazzina
senza neanche un filo di barba e dalle ridicole orecchie appuntite aveva
apertamente calpestato il suo ego.
«Mio signore, ti chiedo di scusare l’audacia di mia sorella.»
s’intromise Tarón, chinandosi e lanciandole un’occhiata di rimprovero. «È una
ragazza impulsiva e permalosa, non voleva certo offenderti. Inoltre, siamo
abituati a determinati commenti riguardo la nostra famiglia e, detto in tutta
sincerità, non ci recano offesa da tempo. Ci siamo abituati.»
Il Re tirò le briglie del pony, facendolo girare per
allontanarsi. Annuì, senza aggiungere altro, deciso a non sprecare ulteriori
parole con quella femmina dal sangue diluito, e accelerò il passo del pony, seguito
da Balin, che le rivolse un mesto e timido sorriso, a cui lei non rispose.
«Ma che ti è saltato in mente?» esclamò il maggiore dei
fratelli.
Lei si strinse nelle spalle. «Ho solo detto ciò che penso. E
non mi pare di essere stata scortese. Potevi evitare di baciargli i piedi in
quel modo, Tarón; possiedi anche tu una dignità.»
«È esattamente questo il motivo, abbiamo una dignità.» replicò il Nano. «E neanche io voglio che
venga calpestata; non dalle cattiverie, né dai battibecchi. Impara ad essere superiore
a chi ti insulta, Trán. È la migliore arma che hai e che abbiamo.»
Káel, nonostante tutto, ridacchiò. «Per la barba di Durin,
non hai ancora imparato a pensare prima di dare fiato alla bocca, sorella!»
I nipoti del Re, che avevano anch’essi origliato qualche
parola della discussione e incuriositi da tanto temperamento, si accostarono i
giovani Nani nel momento in cui il padre si allontanò per parlare con uno dei
suoi allievi.
«Buon giorno, mastri Nani. Signorina. Io sono Kili...»
«... e io Fili.»
«Al vostro servizio!» terminarono in coro.
I figli di Rulin si presentarono uno dopo l’altro, tranne Trán
che, come sempre, parve sospettosa. Il gemello parlò per lei. «Lei è Trán,
nostra sorella. Ed è la pecora nera del gruppo, visto che è l’unica femmina della
famiglia – oltre che è pessima nei rapporti sociali, ma questo lo avrete notato
anche voi.»
Fili ammiccò, osservandola con curiosità. Un paio di
fossette gli si formarono sulle guance barbute. «Mi pare che avessi un ottimo
uso della parola, qualche minuto fa, dama Trán.»
«Non sono molto aperta con gli sconosciuti, chiedo perdono.»
Quella risposta per poco non fece cappottare Kili dal suo
pony; il fratello sogghignò. «E dimmi, come puoi avere amici se chiunque,
all’inizio, è uno sconosciuto?»
Lei rimase in silenzio per qualche secondo, poi abbassò lo
sguardo, in difficoltà. «Non ho molti amici. Ho solo i miei fratelli.»
Il tono di sconfitta con cui parlò, ben lungi da quello
calmo eppure battagliero di poco prima, lasciò i due nipoti del Re quasi
sconcertati.
«Non essere così melodrammatica, sorellina.» disse Káir, per
minimizzare. «Hai un brutto caratteraccio, ma nessuno ti può biasimare per
questo.» Gli altri risero, e così anche Fili e Kili nel vederle un sorriso in
viso.
«Non mi pare di avervi mai visti in questi giorni.» disse il
Nano biondo, mentre il gruppo si metteva in marcia.
«E non passereste inosservati, con il colore dei vostri
capelli e la vostra altezza.»
«Dovete aver preso sicuramente da vostra madre.»
«A proposito, è di razza Elfica anche lei?»
Rimasero in apnea sommersi da tutte quelle parole. Ma i due
non parevano prendersi gioco di loro, e anzi, sembravano sinceramente
interessati di fare la loro conoscenza. A differenza dello zio, Kili e Fili
erano troppo giovani per poter capire il dolore del tradimento e dell’abbandono
di quella razza che avrebbe dovuto essergli amica, cosicché i loro pregiudizi
nei confronti delle Orecchie a Punta era fondato solo sui racconti dei Nani più
anziani.
«Ebbene, siamo giunti solo nell’ultima settimana prima della
partenza e non abbiamo avuto molto tempo per passeggiare attraverso i corridoi
di un palazzo enorme e che ci è sconosciuto.» disse Tarón. «Erebor è molto
diversa dai Colli Ferrosi e purtroppo non abbiamo avuto una guida adatta.»
«Questo perché non ci siamo incontrati prima!» esclamò Kili,
pimpante. «La prossima volta che soggiornerete nella nostra casa, sarei ben
felice di mostrarvi le bellezze di Erebor.»
«E io verrò con voi.» aggiunse Fili. «Non mi fiderei del
senso dell’orientamento di mio fratello; dopo tutti questi anni riesce ancora a
perdere la strada verso la sua stanza.»
«Il più delle volte è per causa della troppa birra.» precisò
l’altro.
Trán, nonostante tutto, non poté fermare un sorriso. Il suo
fratello più stretto annuì. «Ebbene, saremo lieti di visitare Erebor con
entrambi. E di ricambiare il favore, se doveste farci visita ai Colli Ferrosi.»
I due parvero soddisfatti della risposta e l’allegria gli si
allargò vistosamente sulle labbra.
Kili schioccò la lingua. «Allora, cosa dicevamo a proposito
dei vostri capelli?»
«Mi pare che Tauriel, l’Elfo femmina che incontrammo a Bosco
Atro, avesse i capelli rossi; magari è una vostra lontana parente. Ricordo
bene, Kili?»
Il moro parve arrossire, stupendo tutti. Mormorò qualcosa in
segno di assenso, ma evitò con abilità l’argomento, che a quanto pareva gli era
particolarmente spinoso.
«Ah! Purtroppo non hai indovinato, messer Kili.» fece il
minore dei fratelli, Trión. «Mia madre non aveva i capelli rossi, bensì una nostra
lontana nonna. E non era un Elfo.»
Non ci fu bisogno di spiegazioni per quel modo di parlare al
passato della madre; era evidente che avesse abbandonato la Terra di Mezzo
troppo presto.
«E avete sempre vissuto ai Colli Ferrosi?»
«Sì, sempre.» Quella volta fu la ragazza a rispondere. «E
sempre tra i Nani, se la cosa vi stupisce.»
«Oh, la cosa non ci stupisce affatto.» si affrettò a dire
Fili, ben capendo il tono irritato della giovane. «Siete Nani, del resto. No?»
Káel sorrise, fieramente. «A tutti gli effetti, mastro Fili!»
Ed era vero. Nonostante fossero leggermente più alti della
media e più simili a giovani Uomini, non avevano mai messo in dubbio le loro
origini. Erano nati da due Nani, avevano vissuto con la loro razza, e sarebbero
morti tra loro – a discapito di ciò che Thorin Scudodiquercia o chi per lui
insinuava sul loro conto e su quello dei loro avi.
«Vi dispiace se cavalchiamo con voi per il resto della
giornata?» domandò Kili. «Mi pare di avervi visti in battaglia, ad Erebor.»
«E ci piace discorrere con qualche viso nuovo, ogni tanto.»
Trán guardò i fratelli in una tacita richiesta di aiuto,
poiché i nipoti del Re si stavano rivolgendo a lei, in realtà, come se
sapessero che avrebbero dovuto chiedere il suo permesso per rimanere. Ma nessun
appoggio giunse da quei mascalzoni dei suoi consanguinei. Lanciò un’ultima,
veloce occhiata al Re di Erebor, che cavalcava ritto e fiero più avanti, in
testa ai suoi uomini e affiancato dai compagni più stretti. Si ritrovò a
stringere le labbra, indecisa; ma non poteva negare che quei due giovani Nani
che avevano deciso di intavolare una discussione con loro fossero decisamente
più affabili del Re. Che fine avesse fatto il Nano cortese con cui aveva parlato,
però, non seppe dirlo.
Così si rivolse con un timido sorriso e annuì. «Ci farebbe
piacere, invece.»
E lo diceva sul serio.
5 Agosto 3019 T. E.
La brezza del
fiume che sorgeva nelle Montagne Grigie li fece respirare nuovamente, dopo aver
percorso l’Antica Via Silvana. La foresta di Thranduil non appariva più tetra
come un tempo, avevano notato con sollievo i Nani che l’avevano attraversata
parecchi anni prima, quando erano diretti alla riconquista di Erebor; il Re
degli Elfi, aiutato dalle forze di Lórien, aveva allontanato e sconfitto il
male, ed erano giunte voci che quell’immensa vastità di alberi avesse preso il
nuovo nome di Eryn Lasgalen, Bosco di
Foglieverdi. Ma i Nani non erano famosi per riuscire ad apprezzare la
vegetazione, soprattutto se i proprietari erano gli Elfi; fu quindi un sollievo
abbandonare la foresta e trovarsi in aperta campagna. L’antica strada,
costruita dai loro avi per scopi commerciali tantissimi anni addietro,
proseguiva verso il vecchio passaggio sull’Anduin; un tempo lì vi era un ponte
in pietra, che permetteva un comodo attraversamento del letto del fiume, e che
faceva proseguire la via verso il Passo Alto. Ora non rimaneva che un semplice
guado e qualche pietra in rovina.
Ad attenderli
vi erano un gruppo di Elfi, che si era reso disponibile a costruire delle
resistenti e confortevoli imbarcazioni per discendere il fiume con facilità.
Nessuno di loro era un amante delle barche, ma era il metodo più veloce e
sicuro che avessero a disposizione per raggiungere Gondor. Sarebbe stato un
viaggio di una settimana, al massimo, fino al raggiungimento delle Cascate di
Rauros, e nel frattempo avrebbero trovato il modo di riposarsi dopo la prima
tappa di marcia.
Molti di loro
non avevano mai navigato un fiume, quindi fu un’esperienza interessante, e a
tratti spaventosa, per la maggior parte. Soprattutto quando i flutti prendevano
un po’ di velocità per qualche ripido pendio, e loro imprecavano antichi
insulti in Khuzdul, pregando Mahal che li facesse arrivare a destinazione sani
e salvi.
La terza notte
di viaggio si accamparono lungo la sponda occidentale dell’Anduin. Il Bosco di
Lórien era visibile anche nella notte: una macchia nera che si estendeva fino
alle pendici delle Montagne Nebbiose. L’idea di avere il Regno Elfico più potente
della Terra di Mezzo a portata di vista li rassicurò e li inquietò
contemporaneamente; ma era la lontana sagoma di Dol Guldur, visibile sotto i
raggi lunari dall’altra parte del fiume, a turbarli di più. Il Male aveva
abbandonato quelle terre, ormai, ma i ricordi dell’oscurità che regnava sovrana
solo qualche mese prima era ancora accesa nei loro animi. Quella notte, Thorin
ordinò di raddoppiare il turno di guardia, e molti si trovarono ad essere
d’accordo con la sua cautela.
Trán, in
particolare, continuava a guardarsi intorno, stando attenta al benché minimo ed
estraneo movimento. Il gemello seguitava a dirle che fosse paranoica e che
attirasse la sfortuna su di sé, ma lei non vi badò più di tanto. Per fortuna,
Fili e Kili erano di tutt’altro avviso e, dopo aver cenato in compagnia dello
zio e dei loro compagni, si avvicinarono ai loro nuovi amici, per chiacchierare
un po’ prima di dormire. In quei giorni non avevano trascorso parecchio tempo
insieme, poiché viaggiavano su imbarcazioni diverse; ma ogni volta che si
presentava l’occasione, i due fratelli amavano unirsi a loro, sotto lo sguardo
perplesso e parecchio infastidito di Thorin.
Il Re non aveva
più avuto occasione di parlare con la ragazzina, poiché questa faceva di tutto
per evitarlo: sfuggiva il suo sguardo, si allontanava quando lui provava ad
avvicinarsi con la scusa di parlare ai nipoti; e le poche volte che scambiavano
due parole non era certo per chiacchierare civilmente. Così Thorin aveva deciso
che non avrebbe sprecato ulteriore tempo né fiato, dietro a quella nanerottola
insolente. Ciò che più gli dava sui nervi era il fatto che Fili e Kili, d’altra
parte, la trovassero estremamente piacevole. Cosa ci fosse di piacevole in una impertinente
dal sangue macchiato ancora non riusciva a capirlo. L’unica cosa di vagamente
interessante, suo malgrado, era l’aspetto. Perché, nonostante non fosse una
comune Nana e la sua bellezza non potesse essere calibrata per le regole della
sua razza, Trán era seducente quanto il suo infinito orgoglio.
Cacciò via quei
pensieri, e riuscì a sdraiarsi e a prendere sonno solo quando i nipoti
tornarono nei giacigli accanto al suo. Sembravano allegri e spensierati, e ciò
gli mise ancor di più malumore.
Dall’altra
parte dell’accampamento, Trán rimase sveglia ad osservare il cielo e le stelle.
Non lo aveva mai fatto, prima di allora; ma da quando si era messa in viaggio
per quell’avventura, ogni notte non faceva altro. Si perdeva nella vastità del
cielo, ricamato di puntini luminosi, e il suo divertimento maggiore era
riuscire a riconoscere qualche forma familiare tra quelle stelle.
«Sorellina,
perché non dormi? Dev’essere tardi.» le sussurrò Káel, che sonnecchiava a
pancia in giù, accanto a lei.
«Sono
irrequieta.» mormorò. «E il cielo aiuta a calmarmi.»
Il fratello si
voltò sulla schiena, e la osservò. «Vuoi dirmi cosa ti turba?»
Si strinse
nelle spalle, non sapendo cosa rispondere. C’erano parecchie cose che la
stavano impensierendo, ultimamente. Soprattutto la fastidiosa sensazione di
essere spiati. E poi, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, c’era
la presenza ingombrante del Re di Erebor, che continuava ad importunarla anche
durante il sonno. Sentiva la sua voce che pareva gentile e sinceramente
interessata a lei; ma poi tramutava improvvisamente, e allora iniziava ad
insultare lei e la sua famiglia. Le mattine seguenti, ovviamente, non riusciva
a guardarlo in viso senza la voglia di dargli un pugno.
«Non è niente
in particolare, davvero.»
«Sei una
pessima bugiarda.» Káel ridacchiò, allungando una mano ed accarezzandola.
«Vieni qui, tra le mie braccia. Qualunque cosa ti turbi, riuscirò a scacciarla
via.»
Trán sorrise, e
si stava per muovere quando entrambi si misero sull’attenti. Udirono
indistintamente un fruscio e quello che pareva il rumore di parecchi piedi che
pestavano il terreno, sulla riva opposta. Káel appiattì un orecchio sul
pavimento di foglie e rimase in ascolto, mentre la Nana aguzzava la vista e
osservava attentamente la sponda orientale.
«Sono parecchi,
ma non troppi. Dovremmo riuscire a contrastarli facilmente.» disse Káel.
Lei annuì.
«Dici che sono Orchi?»
«No, sono più
leggeri. Sono Uomini.»
Un movimento
alla loro sinistra li fece sussultare. Ma si trattava di Káir, che si era
svegliato per il loro continuo chiacchiericcio e pareva parecchio irritato.
«Ragazzi, stavo sognando! Che avete da pettegolare?»
Trán non gli
rispose, rivolgendosi al gemello. «Bisogna avvertire i Re, ci pensi tu? Io
sveglio nostro padre.»
Káel era già
corso verso le tende reali e poco dopo tutto l’accampamento si ritrovò in
subbuglio e sotto attacco. Un paio di frecce infuocate avevano attraversato il
fiume e ora l’erba sotto i loro piedi bruciava. Molti corsero alla riva, per
raccogliere acqua e spegnere l’incendio, mentre gli altri si armavano per la
difesa. Purtroppo, tra loro, c’erano pochi arcieri, cosicché dovettero
ritirarsi dalla sponda verso l’interno, per cercare protezione dalle lunghe
gittate degli archi nemici.
Trán prese per
mano il fratello minore, non prima di aver assicurato la sua spada alla destra.
Ringraziò mentalmente il suo pessimismo, che le aveva permesso di portarsi
l’arma in viaggio, e si allontanò dalla tenda, vicino agli altri Nani. La luna
venne oscurata da un banco di nuvole, e per un attimo l’unica fonte di luce
erano le fiammelle dell’incendio. Non videro, quindi, le zattere cariche di
Uomini che, silenziosamente, si avvicinarono alla riva. Quando se ne accorsero
era, ovviamente, troppo tardi.
La Nana si
raggelò sul posto nel vedere la battaglia improvvisa infuriare tutto intorno a
lei. I fratelli le gridarono di allontanarsi e di non compiere sciocchezze, ma
lei era terrorizzata e non riuscì a muoversi. Non si era mai trovata nel bel
mezzo di un combattimento e guardò la sua spada con sconcerto. Non aveva la
minima idea di come muovere il braccio, perché in quel momento era convinta di
non averne uno. Tutte le ore spese ad allenarsi con i fratelli parvero svanire
nel buio della notte, perché dimenticò ogni singolo insegnamento.
Si guardò
intorno e riconobbe il padre, poco distante, che nonostante la vista dimezzata
sembrava un giovane guerriero nel pieno delle forze; vide i fratelli che lo
circondavano come le migliori guardie del Re; e Kili, che dava libero sfogo
alle sue precise frecce, mentre Fili combatteva poco più in là con due spade.
Tra loro sbucava l’imponente figura di Thorin, che brandiva la leggendaria
Orcrist nella mano destra e si difendeva con il suo famoso scudo di quercia con
l’altra. Trán rimase a guardarlo, mentre uccideva con facilità assurda tre
Uomini uno dopo l’altro, e si riscosse solo quando udì Trión strillare. Un Uomo,
dal viso coperto, si stava dirigendo verso di loro, con una spada già
insanguinata pronta a colpirli. Trán non riuscì a muoversi, paralizzata dal
terrore; e sarebbero stati entrambi uccisi se non fosse che lo stesso
assalitore cadde colpito da una freccia sul petto.
Poco dopo i
corni degli Elfi, giunti in loro soccorso, risuonarono per la campagna. I Nani
si sorpresero di quell’aiuto inaspettato, e combatterono insieme contro il
comune nemico, che venne sconfitto ora con facilità. L’incendio venne spento e
la luna tornò a brillare sopra le loro teste. Ci fu silenzio per parecchi
minuti; Nani ed Elfi rimasero ad osservarsi, i primi increduli e imbarazzati
nell’aver avuto bisogno del loro aiuto per sbarazzarsi degli aggressori. Ma un
Elfo biondo e altero si fece avanti, insieme ad altri due che molto gli
somigliavano. Guardò Thorin, che mosse solo qualche passo verso di loro e puntò
la spada contro il terreno, ma non la ritirò.
«Inaspettato
giunge il vostro arrivo.» disse il Nano, sollevando il mento.
L’Elfo portò
una mano al petto. «E con un buon tempismo, aggiungerei, Thorin Scudodiquercia,
Re Sotto la Montagna.»
«Gli Elfi
sembrano sempre conoscere il mio nome, ma non mi pare di averti mai incontrato.»
«Io sono Haldir,
Capitano dei Galadhrim e Protettore dei confini del Reame di Lothlórien. E loro
sono i miei fratelli, Rúmil e Orophin.» fece l’Elfo. «Dama Galadriel ci aveva
informati che sareste passati per questa via, e che avremmo dovuto prestarvi
soccorso.»
Un brusio di
sgomento si sollevò per il campo, ma nessuno osò chiedere come quella
fattucchiera che sapeva leggere la mente potesse prevedere un evento simile.
L’unico che non
si fece intimidire fu proprio Thorin, che sedò ogni chiacchiericcio. «Non avevamo
bisogno dell’aiuto degli Elfi, Capitano dei Galadhrim. Avremmo potuto difenderci
anche senza il vostro aiuto.»
Haldir gli si
avvicinò fino a farlo sentire basso come un fungo, e lo osservò intensamente. «Bada
a come utilizzi la tua lingua, Thorin figlio di Thráin. Poiché in futuro dovrai
renderne conto e pagherai le conseguenze del tuo orgoglio e della tua
testardaggine. E anzi, qualcosa mi dice che stai già subendo i risultati del
tuo comportamento.» Lasciandolo perplesso con quell’enigma, l’Elfo lo sorpassò,
fermandosi su un cadavere.
Dwalin, che lo
teneva come trofeo con un piede sul busto, lo fece girare tirandogli un calcio e
rivelandone lo stemma sulla sua armatura.
«Uomini di
Rhûn. Credevo che gli Esterling si fossero arresi.» fece Dáin, sorpreso.
«Ci sono ancora
forze del Male in azione, nel lontano Est.» fu la risposta di Haldir, che
guardò verso quella direzione. «Dol Guldur è stata disinfestata con le nostre
mani, ma il Male proviene da ben più lontano. Si sposterà velocemente a Sud,
ora che sa che il Re degli Uomini lo regna e sta ancora cercando di risollevarne
le sorti. Dovrete parlare con l’Elessar appena ne avrete la possibilità. Gondor
non è ancora al sicuro.»
Thorin, che
aveva rimuginato sulle parole dell’Elfo fino a quel momento, si voltò. Dall’espressione
del suo viso sembrava volesse fronteggiarlo, ma chinò il capo. «Sai per caso se
il fiume fino alle Cascate sia pericoloso?»
«Dovrete stare
attenti, sì. Ora che sanno che siete in marcia, rallentati da ciò che
trasportate e non equipaggiati per un vero scontro, potrebbero attaccarvi
ovunque, in qualsiasi momento. Accampatevi il più lontano possibile dalla riva,
durante la notte, o se potete evitate di fermarvi. Le barche che vi trasportano
sono buone abbastanza anche per dormirci sopra.» Poi spostò lo sguardo sui
figli di Rulin, che si sentirono chiamati in causa dai suoi occhi chiari ed
arrossirono. «Hai occhi e orecchie fini, tra la tua gente, Re Thorin. Fanne
buon uso.»
Il Nano guardò
il gruppo di fratelli e fermò lo sguardo su Trán, che abbassò il suo con la
scusa di accarezzare i capelli al piccolo Trión. Strinse le labbra, ma annuì.
«Ebbene, seguiremo il tuo consiglio. E a nome di tutti, ti ringrazio per il
vostro aiuto.»
Haldir chinò il
capo. «Non è usanza degli Elfi di Lórien prestare soccorso a coloro che tanto
ci odiano; ma abbiamo avuto prova di Nani che sanno andare oltre le divergenze
ed i vecchi rancori. Quindi non ringraziarci, poiché è questo ciò che fanno gli
amici nel momento del bisogno.»
Thorin avrebbe
voluto ribattere, ma Balin lo interruppe con una mano sul braccio. «Sappiate
che il sentimento è reciproco.» disse, con un profondo inchino, tanto che la
barba bianca toccò per terra.
Il Capitano
degli Galadhrim sparì tra gli alberi con i suoi simili poco dopo, e il silenzio
tornò a regnare sovrano.
Il Re Sotto la
Montagna non dovette gridare troppo forte per farsi sentire da tutti. «Qualche
ferito?» Il brusio di qualcuno che parlava di lievi escoriazioni fu interrotto
nuovamente dalla sua voce. «Oin, occupati di curare chi ne ha bisogno.» Quello
annuì, inchinandosi e correndo a prendere il necessario. Il Re continuò. «Chi
di voi è stato il primo a dare l’allarme?»
Trán e Káel
persero più di un battito nel sentirsi chiamati nuovamente in causa. Il
fratello la prese per mano e mosse qualche passo verso il Nano, che li osservò
con impassibilità.
Thorin fece
scivolare lo sguardo su di lei, che non osava guardarlo, come sempre. «Ebbene,
vi sono grato a nome di tutti per la vostra acutezza. A quanto pare, avere
sangue Elfico nelle vene può essere un vantaggio.»
Fu solo in quel
momento che Trán alzò gli occhi sul Nano. Egli notò la mascella contrita, ma fu
soddisfatto di aver richiamato finalmente la sua attenzione. «Da questo momento
in poi, se mio cugino Dáin lo permetterà, voglio che almeno uno di voi e dei
vostri fratelli stia di guardia durante la notte e durante il viaggio.
Ovviamente, se accetterete, non dimenticherò il vostro servizio.» Vide
nell’espressione della ragazza il desiderio di ribattere seccamente, ma ebbe la
buona decenza di tacere; non parlava facilmente con una persona, e non lo
avrebbe fatto con un pubblico di Nani in religioso silenzio.
«Posso iniziare
da subito, sire Thorin.» disse Káel, portandosi una mano al petto, mentre anche
gli altri suoi fratelli gli si affiancavano. «Sarebbe un onore per la mia
famiglia.»
Thorin si voltò
verso il cugino, che annuì. «Molto bene. Gli altri tornino a dormire.»
Trán scostò lo
sguardo altrove quando notò il Re avvicinarsi a lei, le mani giunte dietro la
schiena.
Thorin si fermò
a pochi passi di distanza, osservando il fiume, che ora pareva una minaccia. «Hai
visto bene ad affilarla prima di partire.» le disse, rivolgendo lo sguardo
sulla spada e prendendola gentilmente dalle sue mani. La osservò sotto la luce
della luna e lei arrossì per le parole che le rivolse poco dopo. «Hai fatto un
buon lavoro; ma è inutilizzata, a quanto pare.»
«Se il motivo di
questa discussione è prenderti gioco di me per le mie scarse qualità combattive,
allora...»
«Ti sei
spaventata, è normale. Non ti biasimo per questo, le donne non sono fatte per
la guerra. Volevo ringraziarti, invece.» la interruppe bruscamente il Nano,
mentre il volto gli si induriva per l’insolenza di quella ragazzetta. «Volevo
ringraziarti per aver salvato le vite dei miei uomini, anche se lo hai fatto senza
l’uso di un’arma.» Gliela restituì e lei la riprese, con malcelata stizza.
«Lo hai già
fatto poco prima, e a nome di tutti. È sufficiente.»
Thorin aggrottò
la fronte e la bloccò per un braccio quando lei fece per ritirarsi. «Ti ho
offesa così tanto da parlarmi come se non avessi di fronte un sovrano, ragazzina?»
le domandò, gli occhi chiari in fiamme per la rabbia. «Non ti permetto di
rivolgerti a me con questo tono.»
«Tu non sei il mio re.» scandì lei, a denti
stretti. «E se per offesa, mio
signore, intendi aver nascosto la propria identità per sapere cosa una Nana
discendente di un Elfo avesse da dire di te, e considerare la mia famiglia una
disgrazia che ogni tanto potrebbe tornare utile durante le ronde notturne...
ebbene, sì, mi hai profondamente offesa, sire Thorin. E dovrai fare molto più
di un ringraziamento per riguadagnare la mia stima, se ciò ti interessa. Ora,
gradirei andare a dormire.» disse, riferendosi chiaramente alla mano che la
teneva ancora saldamente stretta per un braccio.
«Nella mia
posizione chiunque avrebbe agito ugualmente. Un re deve usare ogni mezzo per
scovare i propri nemici.»
«Nemici? Parli
di nemici quando la mia famiglia ha rischiato di morire più d’una volta pur di
combattere al tuo fianco? E solo Mahal sa che lo farebbe ancora ed ancora,
nonostante il tuo disprezzo!» Trán si divincolò dalla sua presa, ma solo perché
lui glielo permise. «Sì, sono offesa con te, Re di Erebor; e fintanto che
continuerai con la tua arroganza e la tua cecità, allora la mia opinione su di
te non cambierà. Con permesso, mi ritiro.»
Thorin la
osservò allontanarsi a passo spedito, spinta da una terribile voglia di correre
e scappare lontano da lui. Sospirò con pesantezza, avvicinandosi alla riva del
fiume e scavalcando un cadavere, osservando il cielo. Era stato meschino ad
usare la ragazza per sentire con le proprie orecchie il parere della sua
famiglia su di lui, eppure quei limitati momenti in cui avevano chiacchierato
era stato sinceramente incuriosito da lei. Aveva lasciato da parte ciò che
rappresentava e l’aveva dimenticato per quei pochi minuti, assorbito dalla sua
nuova conoscenza; poiché non erano molte le donne di carattere che aveva
incontrato, e quella ragazzetta sembrava averne abbastanza per un esercito.
Ma era
impertinente, e non sapeva mostrare rispetto neppure ad un Re. Se lei si
sentiva offesa, lui era oltremodo oltraggiato dal suo comportamento.
Tornò alla sua branda, silenzioso e pensieroso, tanto da non sentire i nipoti che si stavano vantando del numero di nemici abbattuti. Si sdraiò dando loro le spalle, fissando il buio.
Quella notte nessuno riuscì a chiudere occhio.
*
Quanti
scommettono che o Trán o Thorin non giungeranno alla fine della storia illesi,
per mano dell’altro? :D
E
dunque, si delinea anche la figura del pericolo che minaccia Gondor, ma... non
è certo tutto qui. Ovviamente, perché sono sadica. Mwahah!
Ne
approfitto per utilizzare questo spazietto per informarvi dell’esistenza di un
fan-movie in fase di pre-produzione sulla caduta di Gondolin
(per chi non sapesse di cosa sto parlando, leggete il Silmarillion. (; Ma
leggetelo a prescindere. XD). Il film s’intitola Storm Over Gondolin
(informazioni su http://www.stormovergondolin.com/,
dentro troverete anche collegamenti a twitter e facebook), e signori e signore, io faccio parte del team. :) Sono una dei conceptual
designer, e mi sono già messa a lavoro. Vi chiedo la cortesia di far girare la
voce, perché necessitiamo di fan e di supporto (morale e non).
Grazie
mille!
Un
caro abbraccio,
Marta.