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Autore: kenjina    13/08/2013    1 recensioni
- Betulla sequel -
«Vedo che anche oggi ti sei dato da fare. Trascorri più tempo rinchiuso lì dentro, piuttosto che nella Sala del Trono, mio Re.»
Thorin fece una smorfia ironica. «Sai bene quanto non mi piaccia stare con le mani in mano.»
«Ebbene, non sarò certo io a trascinarti lontano dalla fucina tirandoti per un orecchio!» Balin strizzò un occhio, porgendogli una pergamena. «Ma forse c’è qualcuno, là fuori, che avrà il potere di osare ben oltre.»
L’altro si voltò per guardare l’anziano Nano, che aveva ora tutta la sua attenzione. Prese il rotolo di carta ancora chiuso ed osservò con interesse la cera che lo sigillava: era un albero incorniciato da sette stelle, con una corona alata in alto.
Era lo stemma di Gondor.

(tratto dal secondo capitolo)
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Salve a tutti, miei cari lettori e lettrici!

Dopo l’ennesimo taglia e cuci dei capitoli successivi, ne ho ricavato uno in più di lunghezza ragionevole, che vede l’inizio del viaggio dei Nani verso sud.

Ci sarà un po’ di movimento, lungo la strada, quindi... asce alla mano!

Grazie davvero a tutti coloro che stanno seguendo questa follia, siete una gioia. :)

Buona lettura,

Marta.

 

 

Pietra

-  sequel di Betulla -

 

 

 

03.

24 Luglio 3019 T. E.

 

C’era un incredibile via vai di Nani che entravano ed uscivano da Erebor, quel giorno. Il dì della partenza verso Gondor era finalmente giunto, insieme alla gioia e all’entusiasmo incontenibile di chiunque si fosse apprestato a partire con il Re. Lavorare per gli Uomini era un’occasione importante, che suggellava per l’ennesima volta la stima che legava le due razze. Nonostante ci fossero stati screzi in passato, come Thorin ben ricordava, Gondor era un regno che meritava il suo rispetto. E la richiesta era giunta da un Nano della sua casa, figlio di un suo caro amico e parente, e non poteva rimanere inascoltata. Inoltre, non lasciava Erebor nelle mani di un sottoposto qualsiasi, ma era ben consapevole che Dís, sua sorella, avrebbe fatto un ottimo lavoro mentre era in viaggio.

Sul suo pony nero, affiancato da Balin e Dwalin, Thorin guidava la comitiva di Nani proveniente da Moria e dai Colli Ferrosi e che lo avrebbe seguito fino ad Osgiliath, e successivamente a Minas Tirith. Non tutti, infatti, avrebbero lavorato nella città decaduta, ma alcuni, lui compreso, avrebbero dato i loro servigi direttamente al Re Elessar nella Capitale. Parte del ferro e del mithril, con gli attrezzi, partivano con loro, ma il viaggio sarebbe stato lungo e per niente facile: la prima tappa sarebbe stata l’attraversamento della Via Silvana di Bosco Atro affinché raggiungessero l’Anduin e salissero sulle imbarcazioni messe a disposizione dagli Elfi Silvani; e poiché il figlio di Re Thranduil faceva parte di quella Compagnia che stava tentando di rimettere in sesto Gondor, i Nani avevano il pieno permesso per attraversare il Reame Boscoso. Da lì alle Cascate di Rauros avrebbero impiegato poco più di una settimana di viaggio; poi avrebbero trascinato il materiale giù per i colli di Amon Hen seguendo il lungo fiume e sperando che i sentieri non fossero troppo accidentati; l’ultimo tratto del viaggio avrebbe visto il gruppo di Nani dividersi: alcuni avrebbero seguito il materiale sulle zattere che i prigionieri di Gondor avrebbero costruito per loro in quei giorni, mentre la scorta del Re avrebbe proseguito verso Osgiliath, lungo la sponda Est del fiume. Lì, dopo circa tre settimane di viaggio, avrebbero incontrato il Sovrintendente di Gondor e Signore della Città, che lo attendeva con Gimli, l’Amico degli Elfi.

Thorin storse il naso al pensiero di quell’appellativo e lanciò una rapida occhiata a Rulin che, affiancato da quelli che dovevano essere i figli, teneva per le briglie il pony di famiglia, su cui sedeva la ragazzetta con cui aveva parlato solo qualche giorno addietro. Non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, ma aveva trovato piacevole discorrere con lei, sebbene fosse stato per pochi minuti e, soprattutto, gli avesse detto indirettamente che fosse un’arrogante spocchioso. Aveva un temperamento acceso, proprio come il suo, e solo sua sorella Dís avrebbe potuto competere. Ma si erano lasciati malamente, quella sera alle officine. Non era quello il modo in cui avrebbe dovuto scoprire chi fosse in realtà – anche se non riusciva a trovarne uno alternativo.

Ma non si soffermò ad osservare quell’insolita famiglia, poiché suo cugino Dáin II Piediferro, un affabile chiacchierone, gli si affiancò per sommergerlo di domande e notizie sui loro parenti.

«E nonostante tutto, mio figlio è stato in grado di respingere quei brutti Orchi con la forza bruta della sua sola ascia!» stava dicendo il Signore dei Colli Ferrosi. «Più passano i giorni e più mi sento soddisfatto del nome che scelsi per lui alla sua nascita. Thorin III, non poteva essere più appropriato!»

Il Re Sotto la Montagna sorrise. «Avrà anche il mio nome, ma il suo coraggio e la sua bravura sono frutto del tuo operato.»

«Oh, dici bene, e questo lo so.» Dáin gonfiò il petto, orgoglioso. «Ma dimmi, cugino mio, quando avrò il piacere di conoscere tuo figlio? Stai diventando vecchio, ormai, non hai intenzione di reclamare un erede prima che sia troppo tardi?»

«Il mio erede è mio nipote Fili. Non ho intenzione di sposarmi e di mettere su famiglia.»

«E come potrebbe, del resto? Uno scorbutico come nostro zio non potrebbe avvicinare neppure la Nana più sorda e cieca della Terra di Mezzo!» esclamò Kili, che si beccò uno scappellotto dal diretto interessato.

Fili lo osservò bonariamente. «Te lo sei meritato, fratello, non fare quella faccia.»

«Solo per aver detto ciò che pensano tutti?»

Balin scambiò un’occhiata ironica con Dwalin, che incrociò le braccia in attesa della tempesta.

Thorin, infatti, corrugò la fronte e strinse gli occhi chiari – segno che il limite della pazienza era quasi superato. «Ah, sì? E dimmi, cosa dicono tutti?»

«Bel colpo, Kili. Ora che dirai? Che ha più probabilità un Orco di sposare un’Elfa, piuttosto che lui una donna?»

L’arciere scoppiò a ridere nel momento in cui Thorin si sfogò anche sull’altro nipote. I cinque Nani lo osservarono spronare il suo pony, per allontanarsi dal gruppo e trovare un po’ di silenzio. Non era adirato per le parole dei due giovani, poiché conosceva la loro lingua lunga e priva di inibizioni; né si preoccupò che lo avessero deriso di fronte a numerose ed importanti personalità. Ciò che lo faceva infuriare era proprio l’argomento.

Le donne.

Il matrimonio.

Fin da quando era giovane il padre aveva trascorso anni della sua vita a sprecare il fiato, per cercare di convincerlo a prender moglie e a dare alla luce un erede. Era il nipote del Re, del resto, e non sarebbe stato difficile trovare una Nana che volesse diventare sua moglie. Ma a lui non importava. Lui voleva fare il fabbro, voleva difendere il suo popolo e pensare di governarlo saggiamente, un giorno. Le donne erano una distrazione, e portavano solo problemi.

Inoltre non aveva mai incontrato alcuna femmina che fosse degna di essere sua moglie: non solo non erano appetibili fisicamente, così simili ai maschi per modi e aspetto, ma mancavano persino di carattere. A cosa gli serviva una donna al fianco, se questa preferiva essere la sua ombra, invece che sostenerlo come si confà ad una futura regina? Un Nano amava una sola volta nella vita, e sarebbe stato per sempre. E lui non voleva sprecare la sua unica occasione con una compagna qualunque.

Cavalcò accanto a Rulin, che camminava vicino alla ragazza dai capelli rossi sul pony, affiancato dai figli incredibilmente alti per essere dei Nani, e il carpentiere lo salutò con inchino.

«Mio signore, buon giorno.»

«E speriamo lo sia, ne avremo bisogno.»

Rulin abbozzò un sorriso. «Permettimi di presentarti i miei figli: lui è il maggiore, Tarón, e il piccolo sulle sue spalle è Trión; egli è Káir, mentre loro sono i gemelli, Trán e Káel. Sono tutti ottimi fabbri e combattenti, anche la ragazza – essendo cresciuta tra uomini. I miei figli hanno combattuto con me per difendere Erebor, e il maggiore mi accompagnò anche durante la Battaglia dei Cinque Eserciti.» disse il carpentiere, con orgoglio.

Thorin appuntò mentalmente quell’informazione, poiché ricordava di aver intravisto un paio di teste rosse tra i Nani, tanto tempo addietro; ma nonostante la notizia, rimaneva il fatto che avessero il tanto odiato sangue Elfico nelle vene, ed era un dato di fatto che non poteva ignorare.

«Figli miei, egli è il Re di Erebor, sire Thorin Scudodiquercia. Dovremmo ringraziarlo adeguatamente per l’ospitalità che ci ha riservato durante queste settimane.»

Non gli sfuggì il disinteresse della femmina, che preferiva giocare con le briglie del suo destriero, piuttosto che spostare l’attenzione su di lui. Thorin chinò lievemente il capo, privo della corona, e venne imitato dai ragazzi, che parvero entusiasti di incontrarlo personalmente. Káir avrebbe voluto dirgli che avrebbe dovuto ringraziare l’uomo che aveva di fronte per il solo fatto che potesse ancora camminare sulle sue gambe, ma il padre capì i suoi pensieri e lo ammonì con un’occhiata severa.

«Ogni amico e suddito di Re Dáin è benvenuto nel mio regno, soprattutto se ha combattuto valorosamente per difendere il nostro popolo.» disse Thorin.

Trán tenne ostinatamente lo sguardo ovunque tranne che su di lui. Si sentiva umiliata per ciò che le aveva tenuto nascosto, e adirata per quello che il padre le diceva sul suo conto. Neanche il Re in persona avrebbe potuto prendersi il lusso di infangare il buon nome della sua famiglia. Neanche si rese conto di parlare. «Io non chiamerei ospitalità l’essere insultato per il sangue che ti scorre nelle vene, padre.» disse infatti, come se il Re non fosse che a pochi piedi da loro – e come se avesse scordato la sua gentilezza di qualche giorno prima.

«Trán...» la rimbeccò il gemello, tirandole un colpo alla gamba per zittirla.

Thorin rizzò la schiena, punto nell’orgoglio da quel tono calmo ma evidentemente ostile. Sapeva bene a cosa si stesse riferendo la ragazzina, poiché lei stessa glielo aveva fatto presente indirettamente, ma fece finta di niente. «Qualcuno della mia gente vi ha arrecato offesa?»

«Abbiamo l’udito fine, se capisci cosa intendo, mio signore.»

«Dunque vi porgo le mie più sentite scuse, a nome di chiunque vi abbia oltraggiato.» Il Nano notò le nocche della giovane sbiancare per la stretta delle sue delicate mani sulle briglie, così come un colorito acceso le imporporò le guance. Ma non era certo l’imbarazzo che ricordava di averle visto in viso quando l’aveva salutata, bensì rabbia.

Nonostante questo, però, continuò a rimanere calma. Rise, senza ironia. «Non sforzarti di fingere dispiacere, mio signore. Sarai un bravo combattente e un ottimo fabbro, ma la recitazione non è un’arte che fa per te.»

Il padre arrossì per l’audacia della figlia, e borbottò qualcosa in segno di scusa. Ma anche egli, a quanto pareva, non era un bravo attore, poiché ciò che lei aveva espresso a voce alta era anche il suo pensiero.

E Thorin, questo, lo aveva capito bene, e non lo accettò. «Mi occuperò personalmente di sistemare l’ordine e le buone maniere nel caso qualcuno o qualcosa dovesse infastidire te e la tua famiglia; ma non osare mai più insultare il mio nome e il mio onore, ragazza.»

Balin, che aveva udito la conversazione a distanza, si accorse dello sforzo che il suo amico stava facendo pur di non sbottare in qualche esclamazione poco signoresca e regale. Era sicuro che qualche decennio prima sarebbe esploso senza riguardi, forte del suo orgoglio Nanico; ma anche Thorin era cresciuto e diventato più saggio di un tempo. Eppure, temette, quella ragazzina stava giocando con il fuoco. E questa volta non si trattava di un Drago rosso seduto sul suo tesoro.

«Finché tu o chiunque altro non insulterà il nostro, ovviamente. E ti ringrazio, messer Nano, ma io e la mia famiglia sappiamo difenderci meglio di quanto non creda. Lo facciamo da tre generazioni, ormai.»

Messer Nano?

Thorin inspirò pesantemente, infastidito oltre modo. Aveva tentato di essere cortese, nei limiti dei suoi pregiudizi e ricordando la timidezza che gli aveva mostrato durante i loro incontri, ma quella ragazzina senza neanche un filo di barba e dalle ridicole orecchie appuntite aveva apertamente calpestato il suo ego.

«Mio signore, ti chiedo di scusare l’audacia di mia sorella.» s’intromise Tarón, chinandosi e lanciandole un’occhiata di rimprovero. «È una ragazza impulsiva e permalosa, non voleva certo offenderti. Inoltre, siamo abituati a determinati commenti riguardo la nostra famiglia e, detto in tutta sincerità, non ci recano offesa da tempo. Ci siamo abituati.»

Il Re tirò le briglie del pony, facendolo girare per allontanarsi. Annuì, senza aggiungere altro, deciso a non sprecare ulteriori parole con quella femmina dal sangue diluito, e accelerò il passo del pony, seguito da Balin, che le rivolse un mesto e timido sorriso, a cui lei non rispose.

«Ma che ti è saltato in mente?» esclamò il maggiore dei fratelli.

Lei si strinse nelle spalle. «Ho solo detto ciò che penso. E non mi pare di essere stata scortese. Potevi evitare di baciargli i piedi in quel modo, Tarón; possiedi anche tu una dignità.»

«È esattamente questo il motivo, abbiamo una dignità.» replicò il Nano. «E neanche io voglio che venga calpestata; non dalle cattiverie, né dai battibecchi. Impara ad essere superiore a chi ti insulta, Trán. È la migliore arma che hai e che abbiamo.»

Káel, nonostante tutto, ridacchiò. «Per la barba di Durin, non hai ancora imparato a pensare prima di dare fiato alla bocca, sorella!»

I nipoti del Re, che avevano anch’essi origliato qualche parola della discussione e incuriositi da tanto temperamento, si accostarono i giovani Nani nel momento in cui il padre si allontanò per parlare con uno dei suoi allievi.

«Buon giorno, mastri Nani. Signorina. Io sono Kili...»

«... e io Fili.»

«Al vostro servizio!» terminarono in coro.

I figli di Rulin si presentarono uno dopo l’altro, tranne Trán che, come sempre, parve sospettosa. Il gemello parlò per lei. «Lei è Trán, nostra sorella. Ed è la pecora nera del gruppo, visto che è l’unica femmina della famiglia – oltre che è pessima nei rapporti sociali, ma questo lo avrete notato anche voi.»

Fili ammiccò, osservandola con curiosità. Un paio di fossette gli si formarono sulle guance barbute. «Mi pare che avessi un ottimo uso della parola, qualche minuto fa, dama Trán.»

«Non sono molto aperta con gli sconosciuti, chiedo perdono.»

Quella risposta per poco non fece cappottare Kili dal suo pony; il fratello sogghignò. «E dimmi, come puoi avere amici se chiunque, all’inizio, è uno sconosciuto?»

Lei rimase in silenzio per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo, in difficoltà. «Non ho molti amici. Ho solo i miei fratelli.»

Il tono di sconfitta con cui parlò, ben lungi da quello calmo eppure battagliero di poco prima, lasciò i due nipoti del Re quasi sconcertati.

«Non essere così melodrammatica, sorellina.» disse Káir, per minimizzare. «Hai un brutto caratteraccio, ma nessuno ti può biasimare per questo.» Gli altri risero, e così anche Fili e Kili nel vederle un sorriso in viso.

«Non mi pare di avervi mai visti in questi giorni.» disse il Nano biondo, mentre il gruppo si metteva in marcia.

«E non passereste inosservati, con il colore dei vostri capelli e la vostra altezza.»

«Dovete aver preso sicuramente da vostra madre.»

«A proposito, è di razza Elfica anche lei?»

Rimasero in apnea sommersi da tutte quelle parole. Ma i due non parevano prendersi gioco di loro, e anzi, sembravano sinceramente interessati di fare la loro conoscenza. A differenza dello zio, Kili e Fili erano troppo giovani per poter capire il dolore del tradimento e dell’abbandono di quella razza che avrebbe dovuto essergli amica, cosicché i loro pregiudizi nei confronti delle Orecchie a Punta era fondato solo sui racconti dei Nani più anziani.

«Ebbene, siamo giunti solo nell’ultima settimana prima della partenza e non abbiamo avuto molto tempo per passeggiare attraverso i corridoi di un palazzo enorme e che ci è sconosciuto.» disse Tarón. «Erebor è molto diversa dai Colli Ferrosi e purtroppo non abbiamo avuto una guida adatta.»

«Questo perché non ci siamo incontrati prima!» esclamò Kili, pimpante. «La prossima volta che soggiornerete nella nostra casa, sarei ben felice di mostrarvi le bellezze di Erebor.»

«E io verrò con voi.» aggiunse Fili. «Non mi fiderei del senso dell’orientamento di mio fratello; dopo tutti questi anni riesce ancora a perdere la strada verso la sua stanza.»

«Il più delle volte è per causa della troppa birra.» precisò l’altro.

Trán, nonostante tutto, non poté fermare un sorriso. Il suo fratello più stretto annuì. «Ebbene, saremo lieti di visitare Erebor con entrambi. E di ricambiare il favore, se doveste farci visita ai Colli Ferrosi.»

I due parvero soddisfatti della risposta e l’allegria gli si allargò vistosamente sulle labbra.

Kili schioccò la lingua. «Allora, cosa dicevamo a proposito dei vostri capelli?»

«Mi pare che Tauriel, l’Elfo femmina che incontrammo a Bosco Atro, avesse i capelli rossi; magari è una vostra lontana parente. Ricordo bene, Kili?»

Il moro parve arrossire, stupendo tutti. Mormorò qualcosa in segno di assenso, ma evitò con abilità l’argomento, che a quanto pareva gli era particolarmente spinoso.

«Ah! Purtroppo non hai indovinato, messer Kili.» fece il minore dei fratelli, Trión. «Mia madre non aveva i capelli rossi, bensì una nostra lontana nonna. E non era un Elfo.»

Non ci fu bisogno di spiegazioni per quel modo di parlare al passato della madre; era evidente che avesse abbandonato la Terra di Mezzo troppo presto.

«E avete sempre vissuto ai Colli Ferrosi?»

«Sì, sempre.» Quella volta fu la ragazza a rispondere. «E sempre tra i Nani, se la cosa vi stupisce.»

«Oh, la cosa non ci stupisce affatto.» si affrettò a dire Fili, ben capendo il tono irritato della giovane. «Siete Nani, del resto. No?»

Káel sorrise, fieramente. «A tutti gli effetti, mastro Fili!»

Ed era vero. Nonostante fossero leggermente più alti della media e più simili a giovani Uomini, non avevano mai messo in dubbio le loro origini. Erano nati da due Nani, avevano vissuto con la loro razza, e sarebbero morti tra loro – a discapito di ciò che Thorin Scudodiquercia o chi per lui insinuava sul loro conto e su quello dei loro avi.

«Vi dispiace se cavalchiamo con voi per il resto della giornata?» domandò Kili. «Mi pare di avervi visti in battaglia, ad Erebor.»

«E ci piace discorrere con qualche viso nuovo, ogni tanto.»

Trán guardò i fratelli in una tacita richiesta di aiuto, poiché i nipoti del Re si stavano rivolgendo a lei, in realtà, come se sapessero che avrebbero dovuto chiedere il suo permesso per rimanere. Ma nessun appoggio giunse da quei mascalzoni dei suoi consanguinei. Lanciò un’ultima, veloce occhiata al Re di Erebor, che cavalcava ritto e fiero più avanti, in testa ai suoi uomini e affiancato dai compagni più stretti. Si ritrovò a stringere le labbra, indecisa; ma non poteva negare che quei due giovani Nani che avevano deciso di intavolare una discussione con loro fossero decisamente più affabili del Re. Che fine avesse fatto il Nano cortese con cui aveva parlato, però, non seppe dirlo.

Così si rivolse con un timido sorriso e annuì. «Ci farebbe piacere, invece.»

E lo diceva sul serio.

 

 

5 Agosto 3019 T. E.

 

La brezza del fiume che sorgeva nelle Montagne Grigie li fece respirare nuovamente, dopo aver percorso l’Antica Via Silvana. La foresta di Thranduil non appariva più tetra come un tempo, avevano notato con sollievo i Nani che l’avevano attraversata parecchi anni prima, quando erano diretti alla riconquista di Erebor; il Re degli Elfi, aiutato dalle forze di Lórien, aveva allontanato e sconfitto il male, ed erano giunte voci che quell’immensa vastità di alberi avesse preso il nuovo nome di Eryn Lasgalen, Bosco di Foglieverdi. Ma i Nani non erano famosi per riuscire ad apprezzare la vegetazione, soprattutto se i proprietari erano gli Elfi; fu quindi un sollievo abbandonare la foresta e trovarsi in aperta campagna. L’antica strada, costruita dai loro avi per scopi commerciali tantissimi anni addietro, proseguiva verso il vecchio passaggio sull’Anduin; un tempo lì vi era un ponte in pietra, che permetteva un comodo attraversamento del letto del fiume, e che faceva proseguire la via verso il Passo Alto. Ora non rimaneva che un semplice guado e qualche pietra in rovina.

Ad attenderli vi erano un gruppo di Elfi, che si era reso disponibile a costruire delle resistenti e confortevoli imbarcazioni per discendere il fiume con facilità. Nessuno di loro era un amante delle barche, ma era il metodo più veloce e sicuro che avessero a disposizione per raggiungere Gondor. Sarebbe stato un viaggio di una settimana, al massimo, fino al raggiungimento delle Cascate di Rauros, e nel frattempo avrebbero trovato il modo di riposarsi dopo la prima tappa di marcia.

Molti di loro non avevano mai navigato un fiume, quindi fu un’esperienza interessante, e a tratti spaventosa, per la maggior parte. Soprattutto quando i flutti prendevano un po’ di velocità per qualche ripido pendio, e loro imprecavano antichi insulti in Khuzdul, pregando Mahal che li facesse arrivare a destinazione sani e salvi.

La terza notte di viaggio si accamparono lungo la sponda occidentale dell’Anduin. Il Bosco di Lórien era visibile anche nella notte: una macchia nera che si estendeva fino alle pendici delle Montagne Nebbiose. L’idea di avere il Regno Elfico più potente della Terra di Mezzo a portata di vista li rassicurò e li inquietò contemporaneamente; ma era la lontana sagoma di Dol Guldur, visibile sotto i raggi lunari dall’altra parte del fiume, a turbarli di più. Il Male aveva abbandonato quelle terre, ormai, ma i ricordi dell’oscurità che regnava sovrana solo qualche mese prima era ancora accesa nei loro animi. Quella notte, Thorin ordinò di raddoppiare il turno di guardia, e molti si trovarono ad essere d’accordo con la sua cautela.

Trán, in particolare, continuava a guardarsi intorno, stando attenta al benché minimo ed estraneo movimento. Il gemello seguitava a dirle che fosse paranoica e che attirasse la sfortuna su di sé, ma lei non vi badò più di tanto. Per fortuna, Fili e Kili erano di tutt’altro avviso e, dopo aver cenato in compagnia dello zio e dei loro compagni, si avvicinarono ai loro nuovi amici, per chiacchierare un po’ prima di dormire. In quei giorni non avevano trascorso parecchio tempo insieme, poiché viaggiavano su imbarcazioni diverse; ma ogni volta che si presentava l’occasione, i due fratelli amavano unirsi a loro, sotto lo sguardo perplesso e parecchio infastidito di Thorin.

Il Re non aveva più avuto occasione di parlare con la ragazzina, poiché questa faceva di tutto per evitarlo: sfuggiva il suo sguardo, si allontanava quando lui provava ad avvicinarsi con la scusa di parlare ai nipoti; e le poche volte che scambiavano due parole non era certo per chiacchierare civilmente. Così Thorin aveva deciso che non avrebbe sprecato ulteriore tempo né fiato, dietro a quella nanerottola insolente. Ciò che più gli dava sui nervi era il fatto che Fili e Kili, d’altra parte, la trovassero estremamente piacevole. Cosa ci fosse di piacevole in una impertinente dal sangue macchiato ancora non riusciva a capirlo. L’unica cosa di vagamente interessante, suo malgrado, era l’aspetto. Perché, nonostante non fosse una comune Nana e la sua bellezza non potesse essere calibrata per le regole della sua razza, Trán era seducente quanto il suo infinito orgoglio.

Cacciò via quei pensieri, e riuscì a sdraiarsi e a prendere sonno solo quando i nipoti tornarono nei giacigli accanto al suo. Sembravano allegri e spensierati, e ciò gli mise ancor di più malumore.

Dall’altra parte dell’accampamento, Trán rimase sveglia ad osservare il cielo e le stelle. Non lo aveva mai fatto, prima di allora; ma da quando si era messa in viaggio per quell’avventura, ogni notte non faceva altro. Si perdeva nella vastità del cielo, ricamato di puntini luminosi, e il suo divertimento maggiore era riuscire a riconoscere qualche forma familiare tra quelle stelle.

«Sorellina, perché non dormi? Dev’essere tardi.» le sussurrò Káel, che sonnecchiava a pancia in giù, accanto a lei.

«Sono irrequieta.» mormorò. «E il cielo aiuta a calmarmi.»

Il fratello si voltò sulla schiena, e la osservò. «Vuoi dirmi cosa ti turba?»

Si strinse nelle spalle, non sapendo cosa rispondere. C’erano parecchie cose che la stavano impensierendo, ultimamente. Soprattutto la fastidiosa sensazione di essere spiati. E poi, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, c’era la presenza ingombrante del Re di Erebor, che continuava ad importunarla anche durante il sonno. Sentiva la sua voce che pareva gentile e sinceramente interessata a lei; ma poi tramutava improvvisamente, e allora iniziava ad insultare lei e la sua famiglia. Le mattine seguenti, ovviamente, non riusciva a guardarlo in viso senza la voglia di dargli un pugno.

«Non è niente in particolare, davvero.»

«Sei una pessima bugiarda.» Káel ridacchiò, allungando una mano ed accarezzandola. «Vieni qui, tra le mie braccia. Qualunque cosa ti turbi, riuscirò a scacciarla via.»

Trán sorrise, e si stava per muovere quando entrambi si misero sull’attenti. Udirono indistintamente un fruscio e quello che pareva il rumore di parecchi piedi che pestavano il terreno, sulla riva opposta. Káel appiattì un orecchio sul pavimento di foglie e rimase in ascolto, mentre la Nana aguzzava la vista e osservava attentamente la sponda orientale.

«Sono parecchi, ma non troppi. Dovremmo riuscire a contrastarli facilmente.» disse Káel.

Lei annuì. «Dici che sono Orchi?»

«No, sono più leggeri. Sono Uomini.»

Un movimento alla loro sinistra li fece sussultare. Ma si trattava di Káir, che si era svegliato per il loro continuo chiacchiericcio e pareva parecchio irritato. «Ragazzi, stavo sognando! Che avete da pettegolare?»

Trán non gli rispose, rivolgendosi al gemello. «Bisogna avvertire i Re, ci pensi tu? Io sveglio nostro padre.»

Káel era già corso verso le tende reali e poco dopo tutto l’accampamento si ritrovò in subbuglio e sotto attacco. Un paio di frecce infuocate avevano attraversato il fiume e ora l’erba sotto i loro piedi bruciava. Molti corsero alla riva, per raccogliere acqua e spegnere l’incendio, mentre gli altri si armavano per la difesa. Purtroppo, tra loro, c’erano pochi arcieri, cosicché dovettero ritirarsi dalla sponda verso l’interno, per cercare protezione dalle lunghe gittate degli archi nemici.

Trán prese per mano il fratello minore, non prima di aver assicurato la sua spada alla destra. Ringraziò mentalmente il suo pessimismo, che le aveva permesso di portarsi l’arma in viaggio, e si allontanò dalla tenda, vicino agli altri Nani. La luna venne oscurata da un banco di nuvole, e per un attimo l’unica fonte di luce erano le fiammelle dell’incendio. Non videro, quindi, le zattere cariche di Uomini che, silenziosamente, si avvicinarono alla riva. Quando se ne accorsero era, ovviamente, troppo tardi.

La Nana si raggelò sul posto nel vedere la battaglia improvvisa infuriare tutto intorno a lei. I fratelli le gridarono di allontanarsi e di non compiere sciocchezze, ma lei era terrorizzata e non riuscì a muoversi. Non si era mai trovata nel bel mezzo di un combattimento e guardò la sua spada con sconcerto. Non aveva la minima idea di come muovere il braccio, perché in quel momento era convinta di non averne uno. Tutte le ore spese ad allenarsi con i fratelli parvero svanire nel buio della notte, perché dimenticò ogni singolo insegnamento.

Si guardò intorno e riconobbe il padre, poco distante, che nonostante la vista dimezzata sembrava un giovane guerriero nel pieno delle forze; vide i fratelli che lo circondavano come le migliori guardie del Re; e Kili, che dava libero sfogo alle sue precise frecce, mentre Fili combatteva poco più in là con due spade. Tra loro sbucava l’imponente figura di Thorin, che brandiva la leggendaria Orcrist nella mano destra e si difendeva con il suo famoso scudo di quercia con l’altra. Trán rimase a guardarlo, mentre uccideva con facilità assurda tre Uomini uno dopo l’altro, e si riscosse solo quando udì Trión strillare. Un Uomo, dal viso coperto, si stava dirigendo verso di loro, con una spada già insanguinata pronta a colpirli. Trán non riuscì a muoversi, paralizzata dal terrore; e sarebbero stati entrambi uccisi se non fosse che lo stesso assalitore cadde colpito da una freccia sul petto.

Poco dopo i corni degli Elfi, giunti in loro soccorso, risuonarono per la campagna. I Nani si sorpresero di quell’aiuto inaspettato, e combatterono insieme contro il comune nemico, che venne sconfitto ora con facilità. L’incendio venne spento e la luna tornò a brillare sopra le loro teste. Ci fu silenzio per parecchi minuti; Nani ed Elfi rimasero ad osservarsi, i primi increduli e imbarazzati nell’aver avuto bisogno del loro aiuto per sbarazzarsi degli aggressori. Ma un Elfo biondo e altero si fece avanti, insieme ad altri due che molto gli somigliavano. Guardò Thorin, che mosse solo qualche passo verso di loro e puntò la spada contro il terreno, ma non la ritirò.

«Inaspettato giunge il vostro arrivo.» disse il Nano, sollevando il mento.

L’Elfo portò una mano al petto. «E con un buon tempismo, aggiungerei, Thorin Scudodiquercia, Re Sotto la Montagna.»

«Gli Elfi sembrano sempre conoscere il mio nome, ma non mi pare di averti mai incontrato.»

«Io sono Haldir, Capitano dei Galadhrim e Protettore dei confini del Reame di Lothlórien. E loro sono i miei fratelli, Rúmil e Orophin.» fece l’Elfo. «Dama Galadriel ci aveva informati che sareste passati per questa via, e che avremmo dovuto prestarvi soccorso.»

Un brusio di sgomento si sollevò per il campo, ma nessuno osò chiedere come quella fattucchiera che sapeva leggere la mente potesse prevedere un evento simile.

L’unico che non si fece intimidire fu proprio Thorin, che sedò ogni chiacchiericcio. «Non avevamo bisogno dell’aiuto degli Elfi, Capitano dei Galadhrim. Avremmo potuto difenderci anche senza il vostro aiuto.»

Haldir gli si avvicinò fino a farlo sentire basso come un fungo, e lo osservò intensamente. «Bada a come utilizzi la tua lingua, Thorin figlio di Thráin. Poiché in futuro dovrai renderne conto e pagherai le conseguenze del tuo orgoglio e della tua testardaggine. E anzi, qualcosa mi dice che stai già subendo i risultati del tuo comportamento.» Lasciandolo perplesso con quell’enigma, l’Elfo lo sorpassò, fermandosi su un cadavere.

Dwalin, che lo teneva come trofeo con un piede sul busto, lo fece girare tirandogli un calcio e rivelandone lo stemma sulla sua armatura.

«Uomini di Rhûn. Credevo che gli Esterling si fossero arresi.» fece Dáin, sorpreso.

«Ci sono ancora forze del Male in azione, nel lontano Est.» fu la risposta di Haldir, che guardò verso quella direzione. «Dol Guldur è stata disinfestata con le nostre mani, ma il Male proviene da ben più lontano. Si sposterà velocemente a Sud, ora che sa che il Re degli Uomini lo regna e sta ancora cercando di risollevarne le sorti. Dovrete parlare con l’Elessar appena ne avrete la possibilità. Gondor non è ancora al sicuro.»

Thorin, che aveva rimuginato sulle parole dell’Elfo fino a quel momento, si voltò. Dall’espressione del suo viso sembrava volesse fronteggiarlo, ma chinò il capo. «Sai per caso se il fiume fino alle Cascate sia pericoloso?»

«Dovrete stare attenti, sì. Ora che sanno che siete in marcia, rallentati da ciò che trasportate e non equipaggiati per un vero scontro, potrebbero attaccarvi ovunque, in qualsiasi momento. Accampatevi il più lontano possibile dalla riva, durante la notte, o se potete evitate di fermarvi. Le barche che vi trasportano sono buone abbastanza anche per dormirci sopra.» Poi spostò lo sguardo sui figli di Rulin, che si sentirono chiamati in causa dai suoi occhi chiari ed arrossirono. «Hai occhi e orecchie fini, tra la tua gente, Re Thorin. Fanne buon uso.»

Il Nano guardò il gruppo di fratelli e fermò lo sguardo su Trán, che abbassò il suo con la scusa di accarezzare i capelli al piccolo Trión. Strinse le labbra, ma annuì. «Ebbene, seguiremo il tuo consiglio. E a nome di tutti, ti ringrazio per il vostro aiuto.»

Haldir chinò il capo. «Non è usanza degli Elfi di Lórien prestare soccorso a coloro che tanto ci odiano; ma abbiamo avuto prova di Nani che sanno andare oltre le divergenze ed i vecchi rancori. Quindi non ringraziarci, poiché è questo ciò che fanno gli amici nel momento del bisogno.»

Thorin avrebbe voluto ribattere, ma Balin lo interruppe con una mano sul braccio. «Sappiate che il sentimento è reciproco.» disse, con un profondo inchino, tanto che la barba bianca toccò per terra.

Il Capitano degli Galadhrim sparì tra gli alberi con i suoi simili poco dopo, e il silenzio tornò a regnare sovrano.

Il Re Sotto la Montagna non dovette gridare troppo forte per farsi sentire da tutti. «Qualche ferito?» Il brusio di qualcuno che parlava di lievi escoriazioni fu interrotto nuovamente dalla sua voce. «Oin, occupati di curare chi ne ha bisogno.» Quello annuì, inchinandosi e correndo a prendere il necessario. Il Re continuò. «Chi di voi è stato il primo a dare l’allarme?»

Trán e Káel persero più di un battito nel sentirsi chiamati nuovamente in causa. Il fratello la prese per mano e mosse qualche passo verso il Nano, che li osservò con impassibilità.

Thorin fece scivolare lo sguardo su di lei, che non osava guardarlo, come sempre. «Ebbene, vi sono grato a nome di tutti per la vostra acutezza. A quanto pare, avere sangue Elfico nelle vene può essere un vantaggio.»

Fu solo in quel momento che Trán alzò gli occhi sul Nano. Egli notò la mascella contrita, ma fu soddisfatto di aver richiamato finalmente la sua attenzione. «Da questo momento in poi, se mio cugino Dáin lo permetterà, voglio che almeno uno di voi e dei vostri fratelli stia di guardia durante la notte e durante il viaggio. Ovviamente, se accetterete, non dimenticherò il vostro servizio.» Vide nell’espressione della ragazza il desiderio di ribattere seccamente, ma ebbe la buona decenza di tacere; non parlava facilmente con una persona, e non lo avrebbe fatto con un pubblico di Nani in religioso silenzio.

«Posso iniziare da subito, sire Thorin.» disse Káel, portandosi una mano al petto, mentre anche gli altri suoi fratelli gli si affiancavano. «Sarebbe un onore per la mia famiglia.»

Thorin si voltò verso il cugino, che annuì. «Molto bene. Gli altri tornino a dormire.»

Trán scostò lo sguardo altrove quando notò il Re avvicinarsi a lei, le mani giunte dietro la schiena.

Thorin si fermò a pochi passi di distanza, osservando il fiume, che ora pareva una minaccia. «Hai visto bene ad affilarla prima di partire.» le disse, rivolgendo lo sguardo sulla spada e prendendola gentilmente dalle sue mani. La osservò sotto la luce della luna e lei arrossì per le parole che le rivolse poco dopo. «Hai fatto un buon lavoro; ma è inutilizzata, a quanto pare.»

«Se il motivo di questa discussione è prenderti gioco di me per le mie scarse qualità combattive, allora...»

«Ti sei spaventata, è normale. Non ti biasimo per questo, le donne non sono fatte per la guerra. Volevo ringraziarti, invece.» la interruppe bruscamente il Nano, mentre il volto gli si induriva per l’insolenza di quella ragazzetta. «Volevo ringraziarti per aver salvato le vite dei miei uomini, anche se lo hai fatto senza l’uso di un’arma.» Gliela restituì e lei la riprese, con malcelata stizza.

«Lo hai già fatto poco prima, e a nome di tutti. È sufficiente.»

Thorin aggrottò la fronte e la bloccò per un braccio quando lei fece per ritirarsi. «Ti ho offesa così tanto da parlarmi come se non avessi di fronte un sovrano, ragazzina?» le domandò, gli occhi chiari in fiamme per la rabbia. «Non ti permetto di rivolgerti a me con questo tono.»

«Tu non sei il mio re.» scandì lei, a denti stretti. «E se per offesa, mio signore, intendi aver nascosto la propria identità per sapere cosa una Nana discendente di un Elfo avesse da dire di te, e considerare la mia famiglia una disgrazia che ogni tanto potrebbe tornare utile durante le ronde notturne... ebbene, sì, mi hai profondamente offesa, sire Thorin. E dovrai fare molto più di un ringraziamento per riguadagnare la mia stima, se ciò ti interessa. Ora, gradirei andare a dormire.» disse, riferendosi chiaramente alla mano che la teneva ancora saldamente stretta per un braccio.

«Nella mia posizione chiunque avrebbe agito ugualmente. Un re deve usare ogni mezzo per scovare i propri nemici.»

«Nemici? Parli di nemici quando la mia famiglia ha rischiato di morire più d’una volta pur di combattere al tuo fianco? E solo Mahal sa che lo farebbe ancora ed ancora, nonostante il tuo disprezzo!» Trán si divincolò dalla sua presa, ma solo perché lui glielo permise. «Sì, sono offesa con te, Re di Erebor; e fintanto che continuerai con la tua arroganza e la tua cecità, allora la mia opinione su di te non cambierà. Con permesso, mi ritiro.»

Thorin la osservò allontanarsi a passo spedito, spinta da una terribile voglia di correre e scappare lontano da lui. Sospirò con pesantezza, avvicinandosi alla riva del fiume e scavalcando un cadavere, osservando il cielo. Era stato meschino ad usare la ragazza per sentire con le proprie orecchie il parere della sua famiglia su di lui, eppure quei limitati momenti in cui avevano chiacchierato era stato sinceramente incuriosito da lei. Aveva lasciato da parte ciò che rappresentava e l’aveva dimenticato per quei pochi minuti, assorbito dalla sua nuova conoscenza; poiché non erano molte le donne di carattere che aveva incontrato, e quella ragazzetta sembrava averne abbastanza per un esercito.

Ma era impertinente, e non sapeva mostrare rispetto neppure ad un Re. Se lei si sentiva offesa, lui era oltremodo oltraggiato dal suo comportamento.

Tornò alla sua branda, silenzioso e pensieroso, tanto da non sentire i nipoti che si stavano vantando del numero di nemici abbattuti. Si sdraiò dando loro le spalle, fissando il buio.

Quella notte nessuno riuscì a chiudere occhio.

 

 

*

 

Quanti scommettono che o Trán o Thorin non giungeranno alla fine della storia illesi, per mano dell’altro? :D

E dunque, si delinea anche la figura del pericolo che minaccia Gondor, ma... non è certo tutto qui. Ovviamente, perché sono sadica. Mwahah!

Ne approfitto per utilizzare questo spazietto per informarvi dell’esistenza di un fan-movie in fase di pre-produzione sulla caduta di Gondolin (per chi non sapesse di cosa sto parlando, leggete il Silmarillion. (; Ma leggetelo a prescindere. XD). Il film s’intitola Storm Over Gondolin (informazioni su http://www.stormovergondolin.com/, dentro troverete anche collegamenti a twitter e facebook), e signori e signore, io faccio parte del team. :) Sono una dei conceptual designer, e mi sono già messa a lavoro. Vi chiedo la cortesia di far girare la voce, perché necessitiamo di fan e di supporto (morale e non).

Grazie mille!

Un caro abbraccio,

Marta.

   
 
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