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Autore: _SamanthadettaSam_    13/08/2013    6 recensioni
Dal testo:
"- Davvero pensi di poterti nascondere, di scappare da questo inferno chiamato Dark Lake? ahahahahah -
La vecchia si alzò dalla sedia, incrociando i suoi occhi spenti in quelli glaciali del ragazzo.
- Potresti farlo sai? Scappare da qui, e rifarti una vita. Ma a Lei basterà annusare l'aria, e in meno di un minuto, sarà già sulle tue tracce. E senza che tu te ne renda conto, ti troverai il suo fiato sul collo, e i suoi denti nella tua carne. -"
Un'antica creatura si è risvegliata,
Una città maledetta,
Sei ragazzi speciali,
Il destino dei propri cari è nelle loro mani.
"Non si può scappare dalla Creatura.
Non si può scappare da Dark Lake."
Genere: Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Dark Lake - Capitolo 1

14 anni dopo…

Stava albeggiando su Dark Lake. Dormivano ancora tutti e la città era circondata dal silenzio totale.
Le strade erano sommerse dalla nebbia che passeggiava tranquilla, sentendosi la padrona della città.
Una figura apparve alle porte di Dark Lake. Indossava dei pesanti jeans neri, stracciati sulle ginocchia, delle converse molto rovinate e una felpa nera. Il volto di tale figura era al sicuro da occhi indiscreti dentro il cappuccio con sopra disegnato un teschio. Essa guardava i tetti delle case con minuziosa attenzione. Sembrava volesse imprimersi nella mente ogni tegola che il suo sguardo scorgeva. Si sistemò il borsone sulla spalla e camminò a passo sicuro tra le vie piene di nebbia. Malgrado la scarsa visibilità, passeggiava tranquilla, finché non si fermò davanti a un portone anonimo come tutti gli altri. Tirò fuori dalla tasca un foglietto stracciato, dal cappuccio uscì un naso appuntito, dove spiccava un piccolo piercing. La figura bussò forte alla porta, senza preoccuparsi di aver svegliato coloro che dormivano all’interno. Si sentì chiaramente un paio di borbottii e un attimo dopo, la porta si aprì, rivelando un giovane uomo. Egli era più alto della figura, aveva lunghi capelli biondi e due occhi azzurri. Egli osservò la persona davanti a lui per un attimo perplesso, ma poi la sua espressione mutò regalando un sorriso alla figura.
- Allora non scherzavi l’altro giorno a telefono. – Disse il biondo, facendo accomodare la persona in casa.
- Dovresti sapere che se mi metto in testa qualcosa, la faccio. – Disse la figura appena entrata, gettando il borsone a terra e togliendosi il cappuccio dalla testa. In quella casa comparve un altro giovane uomo, dai capelli neri eccezion fatta per una ciocca verde, due occhi acquamarina, un piercing al naso e al sopracciglio e un improbabile pizzetto.

Duncan.

 

***

 

- Cosa ti ha riportato qui, fratello? – Chiese il biondo, offrendogli una tazza fumante di caffè e sedendosi di fronte a lui.
Il moro non gli rispose, era concentrato ad osservarsi intorno. L’amico si era sistemato bene:
La casa aveva due piani, il primo ospitava una cucina ordinata e un salotto con un comodo divano, sopra dovevano esserci le camere da letto e i bagni.
- Evelyne. – Rispose dopo un po’ lui, facendo scomparire il sorriso sulle labbra del ragazzo.
Gli raccontò del sogno che aveva avuto qualche settimana prima, di aver sognato sua madre, di averla sentita dire di tornare da lei, a Dark Lake perché aveva bisogno di lui. Era stato un sogno strano, ma terribilmente reale al tempo stesso. Quel piccolo avvenimento lo aveva spinto a fare le valigie e ritornare nella sua città natale.
- Geoff, dimmi che sta succedendo qui. – Sapeva che se la madre le era comparsa in sonno, scomodandosi dalla tomba, un buon motivo c’era eccome.
Egli aprì bocca, ma non disse niente, poiché la sua compagna e suo figlio stavano facendo capolino.
Geoff si alzò e salutò la donna con un bacio a stampo sulle labbra. Duncan si perse a guardarla.

Non era cambiata molto.

Si era fatta crescere i capelli, che le scivolavano liberi sulla schiena, gli occhi color ambra erano sempre quelli della dolce surfista che si era trasferita lì coi genitori, appena sedici anni fa.
- Bentornato a casa Duncan. – Sussurrò la donna, porgendo il pargolo nelle braccia del padre e abbracciando il punk.
Lui ricambiò l’abbraccio un po’ impacciato. Non era abituato più a dimostrazioni d’affetto.
- Sei riuscita a mettergli la testa a posto eh, Brigette? – A quella domanda la coppia rise di gusto.
- Vieni Duncan, ti presento una persona. – Disse lei, mostrandogli il neonato che adesso guardava tutti incuriosito, soprattutto Duncan.
- Forza fratello, prendilo in braccio! – Esclamò Geoff, circondando le spalle della bionda con un braccio.
Il moro guardò entrambi, per poi passare lo sguardo sul bambino. Molto lentamente lo prese in braccio. Il neonato piagnucolò leggermente per il distacco dalla madre, ma subito dopo cominciò a osservare incuriosito il ragazzo che lo teneva.
Duncan aveva paura di fargli del male. Quelle mani erano sporche anche se le aveva lavate così tante volte. I crimini che aveva commesso gli erano entrati sotto pelle, percorrendo le vene fino ad arrivare al cuore, rendendolo anno dopo anno sempre più arido.
Quelle mani avevano rubato, picchiato, sparato, quasi ucciso. Aveva pagato col carcere, anche se dopo l’esperienza dietro le sbarre non aveva combinato niente, davanti a quell’anima bianca, si sentiva incredibilmente e orrendamente colpevole.

Senza alcun motivo.

- Hai un posto dove stare? – Chiese gentilmente Brigette.
Duncan scosse il capo, senza guardarla.
- Non preoccuparti. Qui sei il benvenuto fratello. A meno che tu non voglia andare da tuo padre… -
Il moro alzò lo sguardo di scatto guardando in modo severo l’amico.
- Preferisco morire piuttosto che chiedere aiuto a mio padre. – Sospirò, tentando di calmarsi.
- Grazie per la vostra ospitalità. – Rivolse un mezzo sorriso ai due, porgendo alla bionda il neonato.
- Farò un giro per la città, credo di tornare domani mattina. – Disse il punk, alzandosi il cappuccio sulla testa e aprendo la porta d’ingresso.
- Domani mattina? Dove passerai la notte? – Chiese preoccupata Brigette.
- Nella tana del lupo. – E con quella piccola frase, Brigette e Geoff capirono tutto.

 

***

 

Camminò a lungo, fino ad arrivare alla zona residenziale. Cercò con lo sguardo un posto adatto a lasciare il suo messaggio. Scelse un muro mezzo abbattuto, posto proprio davanti villa Fisher.
Prese dalla busta di plastica la bomboletta spray verde, che aveva comprato in un negozio di ferramenta. Si alzò il colletto della felpa a coprirgli la bocca con una mano, mentre l’altra agitava la bomboletta e spruzzava il suo contenuto sul muro. Scrisse in fretta il suo messaggio, ghignando sotto il tessuto pesante dell’indumento nero. Dopo che il suo capolavoro fu ultimato, gettò la bomboletta ormai vuota a terra, si mise le mani in tasca e ritornò sui suoi passi, verso un bar lì vicino.

 

***

 

Il vento di Ottobre le stava congelando la faccia. Le borse della spesa erano particolarmente pesanti. Gwen camminava a fatica sulla salita che portava alla zona residenziale. Appena arrivò davanti casa sua si fermò di colpo, gli occhi sgranati verso un punto ben preciso. Il muro quasi del tutto demolito davanti a lei era stato imbrattato con un messaggio.

 

Nella tana del lupo, ci sono dieci lupacchiotti e venti agnellini.
Cosa fai lì Cappuccetto Nero? Vieni, Papà Lupo ti aspetta.

 
Agli occhi di una persona nomale, sarebbe sembrata senza senso, ma non per Gwen. Lei sapeva perfettamente cosa volesse dire e chi l’aveva scritto. I lupacchiotti simboleggiavano le ore, gli agnellini i minuti. La tana del lupo era il melo al centro della foresta. Cappuccetto Nero era il suo nome in codice, Papà Lupo quello di… Duncan.

Quanti anni erano passati? Ben quattordici.

Di sicuro era successo qualcosa di eclatante per farlo tornare. La mora rimase ferma con gli occhi sgranati davanti quel messaggio per qualche minuto. All’improvviso, come colpita da un fulmine, corse dentro casa, posò le buste della spesa in cucina e uscì. Cominciò a correre con tutta la forza che aveva in corpo verso la foresta.
Non ci mise molto ad arrivare al melo. Controllò l’ora sull’orologio.

19:20

Mancavano ancora tre ore. Si sedette sul prato, appoggiando la schiena sul tronco dell’albero. Si tolse le scarpe e immerse i piedi tra i fili d’erba.
Chiuse gli occhi, ripensando all’ultima volta che lo aveva visto.
Si erano sentiti in quegli anni, fino a quando Duncan non finì in prigione. Non si ricordava neanche più il perché era finito al fresco, ma non le importava ricordarlo. Qualsiasi cosa avesse fatto, lui rimaneva sempre il suo migliore amico, il bambino che le tagliò i capelli sotto quel melo.
E con questi pensieri, Gwen si addormentò.

 

***

 

Il buio.

Il suo elemento. Ormai vedeva benissimo anche nelle notti più buie, quasi tutto quello che faceva lo svolgeva dopo il tramonto. Percorse il sentiero che portava al melo lentamente, gustandosi tutte le sensazioni che sentiva passo dopo passo. Aggirò senza problemi il grosso masso e per poco non si scontrò col maledetto ramo basso che si dimenticava sempre di schivare.
Quattordici anni e niente lì era cambiato. Arrivato al melo, trovò lei, addormentata.

Lei si che era cambiata.

Il suo cuore per un attimo si fermò, osservando il volto rilassato dell’amica.

Si, era cambiata molto.

I capelli era cresciuti e li teneva ben legati in una morbida coda di cavallo. Il loro colore però era sempre lo stesso.
Nero e petrolio.
Indossava un lungo giubbotto nero, stretto in vita da una cintura blu notte.
Era a piedi nudi, di fianco a lei, le sue scarpe abbandonate sul prato. Si avvicinò cauto al suo viso, mentre le narici del moro furono invase dal suo famigliare profumo di giacinto e rosa. Si avvicinò ancora di più, finché le sue labbra non furono vicine al suo orecchio.
- Sveglia Cappuccetto Nero. – Sussurrò lui, facendo svegliare immediatamente la ragazza. Si sedette di fronte a lei a gambe incrociate, osservando divertito l’espressione stupita e assonnata della mora. Gwen si guardò in giro spaesata prima di ridere e agitare sconsolata la testa.
- Non sei cambiato affatto Papà Lupo. – Disse lei, guardandolo dritto negli occhi.
Duncan costatò che gli stessi pozzi d’ossidiana che aveva lasciato tanti anni fa, non erano cambiati.

E ne fu felice.

Gwen osservò per la prima volta dopo quattordici anni il suo migliore amico. La prigione lo aveva rafforzato. Aveva sviluppato un po’ di muscoli. Aveva abbandonato la cresta alla moicana, lasciando una massa disordinata di capelli neri, dove spiccava una ciocca verde. Il piercing al sopraciglio era sempre là, adesso accompagnato da un altro posto sul naso. Per il resto non era cambiato affatto. Osservò più attentamente i suoi occhi acquamarina e li trovò profondamente cambiati.

E ne fu spiacevolmente sorpresa.

- Cosa ha spinto il tuo brutto faccione a presentarsi si nuovo qui? – Chiese “gentilmente” la mora.
Duncan le raccontò del sogno e di Evelyne.
Gwen senza dire una parola, s’infilò le scarpe, si alzò e volse lo sguardo alle cime degli alberi.
- Che cosa sta succedendo Gwen? – Chiese sotto voce il moro, come per paura che qualcuno li potesse sentire.
La ragazza fece cenno di seguirla, mentre scendeva verso un altro sentiero, fin ora mai percorso dal ragazzo.
Camminarono in silenzio, finché non giunsero sulle sponde del lago.
Duncan sgranò gli occhi incredulo. – Ma che cazzo..? –

Angolo dell'Autrice:

Questo capitolo è semplicemente sensazionale, si comincia già a entrare nell'atmosfera misteriosa di Dark Lake eh?
Vi avviso che già dal prossimo capitolo accadranno cose molto strane...
Se volete seguire anchei miei scleri da scrittrice e varie anticipazioni sulle storie... vi consiglio di visitare la mia pagina facebook.
Qui sotto il link:

https://www.facebook.com/SamanthadettasamEfp

Ricordatevi di lasciare tante piccole grandi recensioni ;)
Un bacione:^.^:
Sammy
   
 
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