Capitolo 3
Distesa sull’enorme letto a baldacchino della stanza offertaci dalla
nostra ospite, ristetti a lungo ad ammirare il riflesso della luna sul
medaglione che Duncan portava al collo.
La
luce diafana e bianco latte che penetrava dalla finestra si rifletteva sulla
superficie dorata del lupo, mentre la mezzaluna d’alabastro spiccava come
ghiaccio sulla pelle abbronzata di Duncan.
Sorrisi
leggermente nello sfiorare quella fredda pietra dura e Duncan, aprendo gli
occhi dal sonno leggero che lo aveva preso, mi fissò dubbioso prima di
chiedermi: “Non riesci a dormire, Brie?”
“No.
Pensavo a Penny, che ha perso suo padre in maniera così tragica. Sia per lei
che per Erin, deve essere stata dura” sussurrai, mentre la mia mano danzava tra
la peluria sottile del torace di Duncan.
“E’
una donna di valore e, lo ammetto, sbagliavo a pensare che l’amore per la
figlia potesse rallentarla. Proprio quell’amore la spingerà fino al limite” ammise
lui, tornando a chiudere gli occhi prima di sospirare leggermente. “Inoltre,
credo che Penny abbia la stessa forza di volontà di colei che l’ha messa al
mondo, perciò non mi preoccuperei per lei.”
Allargai
il mio sorriso, ben sapendo che quel genere di coccole gli piacevano un sacco. Sempre
con una mano sola, mi avventurai tra la selva di peli sottili fino a
raggiungere il capezzolo bronzeo, che titillai dolcemente tra le dita.
Un
sospiro lungo, prolungato, profondo, fece vibrare il suo corpo enorme e disteso
sulle lenzuola candide e fresche di bucato.
Quel
sospiro mi rese più audace e, allungandomi su di lui, baciai con la leggerezza
delle ali di una farfalla l’altro capezzolo, che si inturgidì subito,
rizzandosi fiero dinanzi a me.
A
quel punto Duncan riaprì gli occhi, mi sorrise e commentò: “Non vorrai usarmi a
tuo piacimento solo perché non riesci a dormire, spero.”
Lo
fissai come se stessi realmente pensandoci e lui, scoppiando a ridere
sommessamente, mi rovesciò sulla schiena. Fulmineo, si portò sopra di me
dicendomi sulle labbra: “Ti lascerei fare qualsiasi cosa, in un altro momento,
ma non stasera, non qui.”
“Geloso
del fatto che Alec possa sentire?” ironizzai, poggiando le mani sui suoi
fianchi snelli.
Lui
annuì senza remore ed io, scoppiando a ridere, lo baciai sulle labbra prima di
rilassarmi e lasciare che le mie mani cadessero nuovamente sul materasso, ora
del tutto inerti.
“Scusa,
ma proprio non mi va” borbottò, tornando a stendersi al mio fianco.
“Nessun
problema. Mi rifarò” ridacchiai, poggiandomi a lui per poi sussurrare: “Vorrà
dire che ti terrò abbracciato tutta la notte.”
“D’accordo”
annuì Duncan, dandomi un casto bacio sulla fronte. Un attimo dopo, chiuse nuovamente
gli occhi e, neppure dieci secondi dopo, dormiva già.
Sbuffando,
commentai tra me: “Io, questo potere,
no, eh?”
***
Era
l’alba e, dopo aver dato un bacio a Duncan – ancora insonnolito nel letto e
desideroso di continuare a dormire – ero scivolata fuori dalla camera per
andare in giardino ad apprezzare il sorgere del sole e il profumo del giardino
bagnato di rugiada.
Toltami
le scarpe, cominciai a passeggiare sull’erba umida, godendo della frescura
della terra e del profumo speziato del terreno impregnato d’acqua.
Chiusi
gli occhi dopo aver ammirato i colori caldi e febbricitanti delle aiuole
ricolme di fiori.
Camminai
tra esse, lasciandomi guidare dagli altri sensi e godendo del respiro del vento,
che portò con sé il canto delle allodole e dei passeri, unito al fruscio
sommesso di alcuni conigli intenti a mangiare pigramente.
Sorrisi
leggermente, assaporando sulla lingua il loro profumo di prede, prima di
riaprire gli occhi quando avvertii un’altra presenza, ben più minacciosa, a
poca distanza da me.
Solo
e immerso nei propri pensieri, Alec comparve oltre il profilo della villetta,
le mani strette dietro la schiena e la fronte aggrottata.
La
sua cicatrice, pallida sulla gota abbronzata, era tesa, le labbra piegate all’ingiù
come se qualcosa lo turbasse.
Sembrava
non essersi accorto di me e ne ebbi la conferma quando, incrociando il mio
sguardo, sobbalzò leggermente.
“Buongiorno”
sussurrai nell’avvicinarmi.
Non
c’era davvero alcuna necessità di alzare la voce, visto che avrebbe potuto
udire un mio sospiro a un centinaio di iarde.
“A
te” replicò lui, avvicinandosi con passo strascicato prima di notare i miei
piedi nudi e chiedermi: “Dialoghi con la Madre?”
“Cosa
te lo fa pensare?” replicai curiosa.
Scrollando
le spalle, Alec mi spiegò: “So che a volte, quando vuole comprendere meglio le
proprie visioni, Beverly si stende nuda sull’erba o, come nel tuo caso,
passeggia per ore a piedi scalzi.”
“Diciamo
che mi piace sentire la terra sotto i piedi, ma sì, è un buon metodo per avere
maggior controllo sui miei doni” ammisi, continuando a passeggiare.
Inaspettatamente,
mi seguì.
“Cosa
ti ha portato fuori a quest’ora?” gli domandai, voltandomi a mezzo per
scrutarlo in viso.
Sollevando
un sopracciglio con ironia, lui disse per contro: “Non c’è bisogno di
intavolare una conversazione, ragazza. A me piace anche il silenzio.”
“Ero
sinceramente incuriosita ma, se non vuoi parlare, sto zitta” replicai con
altrettanta ironia, facendo spallucce.
Tornando
a guardare dinanzi a sé, lo sguardo sempre accigliato, Alec ammise: “Per la
verità, mi stavo chiedendo se Sarah fosse riuscita a cavare qualcosa dal
cellulare di Lot.”
Rabbrividii
leggermente nel sentire il nome del berserkr che era morto tra le mie braccia,
implorando il perdono per gli errori commessi.
Lo
avevo odiato, per un po’, ma alla fine avevo compreso quanto anche lui fosse
stato solo manovrato da Loki per i suoi scopi, e non me l’ero sentita di non
concedergli il beneficio del perdono.
Non
era stata colpa sua, alla fine dei conti. Certo, avrebbe potuto rifiutarsi di
torturarmi, ma era partito dal presupposto che io fossi il male incarnato. Come
non comprenderlo?
“Come
mai pensavi proprio a questo?” mi informai, ripensando a quando Alec aveva
controllato nelle tasche dell’ormai morto Lot nel tentativo di trovare qualcosa
che fosse utile per la nostra cerca.
Oh,
trovare il cellulare era stata una gran scoperta. Peccato avesse avuto un
codice PIN all’accensione.
Oltre
a diverse chiavi di accesso di cui non sapevamo nulla, se non dopo aver
oltrepassato il primo scoglio di sicurezza digitale del telefono.
Lasciarlo
nelle mani di Sarah che, con i computer, aveva più dimestichezza di noi tutti,
ci era sembrata la scelta migliore ma, almeno fino a quel momento, non era
riuscita a trovare il bandolo della matassa.
Curioso
che Alec vi stesse pensando proprio in quel momento.
L’ombra
sul volto di Alec si appesantì e il suo silenzio si prolungò per diversi
minuti, quasi che quella domanda apparentemente innocua potesse preludere a
sconvolgenti verità di cui lui non voleva mettermi a conoscenza.
Preferii
non insistere, sapendo bene quanto potesse essere labile il confine tra la
calma e l’ira, in Alec e, imitandone il silenzio, proseguii con lui nella
passeggiata attorno alla villa ascoltando i rumori della città poco lontana e
le voci delle persone a noi vicine.
Penny,
da brava bambina di otto anni, stava facendo impazzire la madre nel tentativo di
evitare di spazzolarsi i denti. Erin invece, con la fermezza e la falsa
docilità di una mamma esperta, la stava blandendo con svariati elogi tra cui,
inaspettatamente, la lusinga di piacere maggiormente ad Alec.
Se
quella uscita scatenò in me un sospiro meravigliato, in Alec sortì un effetto
davvero insolito; divenne paonazzo in viso e, con una scusa assurda, si dileguò
dal mio fianco, inoltrandosi nel boschetto a passo svelto.
Fermandomi
ad osservare la sua figura imponente mentre si immergeva nelle ombre offerte
dalle piante, sollevai ironica un sopracciglio e mi chiesi se la più grande
paura di Alec fossero i bambini.
Di
certo, Penny l’aveva sconvolto, in qualche modo.
Fin
dal loro primo sguardo, Alec ne era rimasto colpito, anche se non avrei saputo
dire in che maniera. E la bambina, a sua volta, era parsa attratta da lui come
solo i bimbi sanno fare; con una sincerità disarmante e senza spiegazioni.
Forse,
a Penny mancava il padre, e Alec glielo ricordava in qualche modo – non avevo
visto foto di Marcus, in casa, per cui non avevo idea di come fosse.
O
forse, cosa assurda di per sé, Penny aveva visto in Alec qualcosa che l’aveva
convinta ad avvicinarsi a lui.
In
ogni caso, Alec ne era terrorizzato.
“Vai
a capirli, gli uomini” dissi tra me, con una spallucciata e un risolino.
Di
certo, non mi sarei messa a fare il confessore di Alec per carpirne i misteri,
perché avrei collezionato di sicuro più insulti che segreti.
Se
avesse voluto parlare della sua strana idiosincrasia nei confronti di Penny,
sarebbe stato lui a cercare me o Duncan, non certo il contrario.
Convinta
di ciò, me ne tornai tranquilla in casa, oltrepassando l’entrata e salutando
con un cenno Serena – la governante – che, armata di piumino per la polvere e
stracci vari, si stava apprestando a dare una rinfrescata all’atrio.
“Buongiorno,
Brianna. Se gradisce la colazione, è già pronta in cucina” mi disse la donna
con un sorriso, prima di mettersi a lavorare.
“Troppo
gentile, Serena. Ne approfitterò subito” annuii e corsi verso la cugina, che si
trovava all’altro lato della villetta.
Non
appena la raggiunsi, vi trovai Duncan impegnato a servirsi del caffè appena
fatto, mentre di Penny ed Erin non vi era ancora traccia.
Richard,
invece, era seduto su una comoda sedia di vimini sulla terrazza che dava sul
giardino, una tazza di the in una mano e il piattino di porcellana nell’altra.
Salutato
Duncan con un sorriso e un bacio, presi per me una tazza di caffè e sussurrai:
“Spero di non averti disturbato, quando sono scesa.”
“Affatto”
scosse il capo lui, annusando l’aria e storcendo il naso. Dubbioso, mi domandò:
“Sei stata in compagnia di Alec?”
“Già.
L’ho incontrato in giardino. Pareva davvero pensieroso” gli spiegai
sommariamente, sorseggiando il buon caffè bollente. “Aaah. Dio sia lodato.
Buonissimo.”
Ridacchiando,
Duncan mi allungò un sandwich con pollo e insalata e commentò: “Se le
piantagioni di caffè andassero tutte in fumo, moriresti.”
Sgranando
gli occhi con espressione allarmata, affondai i denti nel panino prima di
bofonchiare: “Non penfarlo nemmeno, è fiaro?”
Lui
si limitò a ridacchiare. Un attimo dopo, si volse a mezzo al pari mio quando
percepimmo l’aura leggera di Erin avvicinarsi assieme ai passi trotterellanti
di Penny che, per prima, mise piede nella cucina.
Tutta
sorridente e abbigliata con una camicetta a pizzi e una gonnellina a balze
bianche e azzurre, ci salutò con un ampio gesto della mano e un ‘buongiorno’ trillante e gaio.
Velocemente,
si guardò poi intorno prima di accigliarsi un poco, notando la mancanza di Alec.
Ugualmente, si avvicinò alla consolle della cucina per prendere una focaccina
e, allegra, ci disse:“Vi siete svegliati presto.”
“L’alba
era affascinante” ammisi, strizzandole l’occhio nell’aggiungere: “Sai, anche
Alec la stava ammirando.”
Penny
si illuminò tutta mentre Erin, scuotendo la testa, prese una tazza di caffè per
se stessa. “Che ho mai fatto per meritarmi una simile figlia degenere?”
Duncan
ridacchiò, si bevve il suo caffè e commentò sarcastico: “Mai saputo che alle
donne piacciono i bei tenebrosi?”
Io
fissai ironica Duncan, replicando: “E’ per questo che la prima volta che ci
incontrammo mi squadrasti a quel modo? Volevi far colpo su di me?”
“Ovvio”
ammiccò al mio indirizzo. “Mi sei piaciuta subito, sai?”
Erin
ridacchiò di quello scambio di battute e, prendendo per sé un croissant alla
crema, esalò: “Speravo avrebbe aspettato un po’ prima di prendere una cotta.”
Sentendosi
interpellata, Penny afferrò la sua ciotola di latte e, dopo averla portata in
terrazza, si sedette al fianco di Richard, borbottando scocciata: “I grandi si
divertono tanto a prendere in giro i più piccoli.”
“E’
la prassi, a stóirín1. Non
devi farci caso” le confidò Richard, sorridendole benevolo prima di darle un
buffetto sulla guancia.
Penny
sorrise a quel vezzeggiativo ed io, guardando Erin in viso – che osservava
meditabonda la coppia sulla terrazza – dissi sommessamente: “Le vuole molto
bene.”
“Rich
darebbe la sua vita per Penny, senza neppure pensarci due volte. Non è solo un
ottimo Hati, ma anche un caro amico e un compagno fidato per entrambe” sospirò
Erin, sorseggiando ancora del caffè. “Se non ci fosse stato lui, probabilmente
entrambe saremmo morte per lo strazio. Penny volle assolutamente vedere suo
padre, nonostante il coroner mi avesse sconsigliata di mostrarglielo. Non ci fu
verso di scrollarle di dosso quell’idea ma, alla fine, pianse a dirotto e solo
Rich fu in grado calmarla.”
Trattenni
il respiro, sconvolta, mentre Duncan scrutava la bimba sulla terrazza con occhi
pieni di uno sconforto palpabile.
Erin,
sorridendo mesta, ci spiegò: “Ebbe la forza di non mettersi a piangere di
fronte agli Anziani ma, quando le esequie furono finite e ci trovammo a casa da
soli, solo io, lei e Rich, scoppiò in un pianto irrefrenabile e chiamò per ore
e ore il suo papà. Si addormentò tra le braccia di Rich solo a notte fonda. Da
quel giorno, Penny si è sempre appoggiata a lui.”
Dopo
un momento passato a scrutare il viso stanco di Erin, nonostante si fosse
appena alzata, tornai a guardare Penny che, amabilmente, stava chiacchierando
con Richard mentre faceva colazione.
Per
un attimo, mi chiesi come avrei reagito io se, la notte in cui i miei genitori
erano morti, li avessi visti nell’auto accartocciata, sanguinanti e privi di
vita.
Sapevo
per averlo provato sulla pelle cosa significasse lottare contro un berserkr,
quindi non faticavo ad immaginare lo spettacolo orrendo cui era dovuta essere
testimone la bambina.
E
ancora una volta, in quelle poche ore, mi chiesi come avesse potuto, una bimba
così piccola, trovare così tanto coraggio per andare avanti e sorridere di
fronte a quella vita talmente ingiusta da strapparle a quel modo il padre.
Non si tratta di
giustizia, Brianna. Sono le leggi superiori della vita e della morte, né più né
meno, intervenne
dentro di me Fenrir, sorprendendomi come suo solito.
Sospirando
leggermente, azzannai una brioche e, ruminando contrariata, protestai dicendo: “Sarà anche così, ma vallo a spiegare a
Penny che suo padre è morto perché qualcun altro potesse vivere!”
Non lo si deve
capire, ma accettare. Come tu hai accettato di perdere i tuoi genitori e Duncan
i suoi,
replicò pacato Fenrir.
“E il premio per
averli persi è stato il trovarci e l’innamorarci?”
Non esistono
premi per tali sacrifici, mia cara. Doveva andare così e basta. Una volta che
il sasso inizia a rotolare dalla collina, non si sa dove andrà a fermarsi, motteggiò
Fenrir, con voce piena di comprensione.
Storcendo
la bocca, ingollai un po’ di caffè prima di chiedere: “Io sono il sasso o la collina?”
Uno o l’altro,
pari è. Puoi essere il sasso, e un filo d’erba, una sporgenza rocciosa, o la
semplice terra smossa devieranno il tuo corso da una parte all’altra senza che
tu possa fare nulla per impedirlo. Allo stesso modo, tu puoi essere la collina,
e il sasso scivolerà su di te senza che tu possa fermarlo, poiché la gravità lo
spinge verso valle. Le forze che governano ogni cosa sono così grandi e così
incomprensibili che noi poveri esseri fatti di carne e sangue possiamo solo
percepirne in parte il potere, ma non possiamo certo pretendere di piegarne il
volere.
“Quindi, devo
accucciarmi e sperare che il sasso non mi centri in faccia?”
Fenrir
ridacchiò e dichiarò: No, Brianna. Vivi
come ti dice la coscienza, ma non tentare di sconfiggere il Fato, poiché esso è
insondabile. Piega ciò che puoi piegare, ma non tentare di scardinare le leggi
dell’Universo, poiché ti è impossibile, anche con i miei poteri.
“Fosti tentato
di farlo, in passato?” chiesi d’impulso, sfiorata da un pensiero
proveniente dai suoi ricordi.
Con
estrema infelicità, mista a un rammarico vecchio di secoli, Fenrir mormorò: Imparai a mia volta che l’essere figlio di
un dio e di una titanessa non mi dava comunque abbastanza potere per piegare il
Fato al mio volere. Minacciare di morte il padre degli Asi non mi portò certo
alcun giovamento, esattamente come sbranare la mano di Tyr. Non riebbi indietro
Avya e fui costretto a uccidermi per impedire che il mio potere si scatenasse,
distruggendo ogni cosa.
“Il Ragnarök è
il Fato che ci attende? Alla fine, non riusciremo a evitarlo?” chiesi turbata.
Il Ragnarök,
l’Apocalisse, l’Armaggedon… sono i vari nomi con cui le genti descrivono la
fine di un Ciclo. Lo stesso Universo è ciclico. Si estende e si ritrae
all’infinito, e nei suoi confini si nasce e si muore infinite volte, sospirò Fenrir.
“Quindi, la
leggenda che parla di te…” tentennai dubbiosa, lasciando che il mio sguardo
scivolasse pigro sulle persone presenti nella stanza.
Erin
stava finendo di mangiare un sandwich al pollo e Duncan, in apparenza, sembrava
avere a sua volta un colloquio silenzioso con la sua specialissima anima
immortale.
Il potere di
distruggere ogni cosa deve pur appartenere a qualcuno, no?, ironizzò Fenrir
a quel punto. Loki lo sapeva e, da bravo
dio del Caos e degli Inganni, pensò bene di istigarmi a sufficienza perché
dessi inizio al Ragnarök. Ma anche lui aveva fatto i conti senza il Fato. Non
era il mio momento, come non era il suo. Io porterò sempre con me il potere
della distruzione, ma non è giunto ancora il tempo per scatenarlo.
“Quindi, Loki ha
fallito anche stavolta a causa del Fato avverso?”
Se vogliamo
vederla così, sì. Ma soprattutto, perché voi eravate forti a sufficienza per
batterlo.
Storsi
il naso, non vedendoci quella gran differenza. “Allora, tutta la faccenda di te che divori ogni cosa, è vera? Farai
così, alla fine di tutto?”
E’ un’allegoria,
mia cara. Ma sì, contribuirò come coloro che hanno il mio stesso fardello da
portare sulla schiena, ammise Fenrir, con voce grave.
“Che gran culo,
che hai…”
brontolai tra me.
Forse sconto il
fatto di essermi comportato da irresponsabile e irriverente semidio nei primi
secoli della mia esistenza, chissà?, ironizzò ancora Fenrir, pur sembrandomi
vagamente imbarazzato da quell’accenno al suo passato non proprio edificante.
“Una sorta di
scambio equivalente?”
Non mi chiamo
Edward Elrick2, Brianna, brontolò Fenrir, riferendosi ad un
anime giapponese che, per più di un anno, mi aveva tenuta incollata al
televisore. Evidentemente, a Fenrir non era affatto
piaciuto. Però, se vuoi vederla così, sì,
può essere stato una sorta di scambio equivalente.
“Quindi, devo
adeguarmi al fatto che Penny, Erin, io e Duncan abbiamo perso delle persone a
noi care perché il Fato doveva bilanciare le forze cosmiche, giusto?”
Qualcosa del
genere.
“Che schifo”, brontolai
nuovamente.
Fenrir
non mi rispose, forse perché non ve n’era bisogno o forse, semplicemente,
perché non esisteva alcuna risposta valida a questo quesito.
Qualunque
cosa io avessi fatto, o detto, non avrebbe cambiato la realtà delle cose.
Dovevo
accettarlo, e andare avanti.
Come
se fosse facile!
“Pensieri
profondi?” mi chiese all’improvviso Duncan, perdendo di colpo l’espressione
assorta per dedicarmi un sorriso.
“Già.
Discussioni davvero profonde per le otto del mattino” mugugnai. Toccandomi poi
la tempia, gli domandai: “Anche la tua coinquilina ti ha parlato?”
“Esatto.
Voleva sapere se mi sentissi bene. E’ preoccupata per via di ciò che è successo
a Penny. Pensa che possa in qualche modo riportare a galla vecchie ferite, ma
io l’ho rassicurata dicendole che, con me, ho il miglior antidolorifico al
mondo” mi spiegò, sorridendo divertito.
“Oh,
sono il tuo personale lorazepam?
Interessante” celiai con un sorrisino, prima di notare lo sguardo divertito di
Erin.
Le
sorrisi, immaginando senza problemi che il nostro affiatamento le facesse
tornare alla mente ricordi di lei e Marcus, ma sapevo che negare ciò che io e
Duncan eravamo era del tutto inutile, per non dire ipocrita.
Fingere
di non amarci per evitare di far soffrire la nostra ospite era assurdo e
irrispettoso nei suoi confronti. Era come sminuire la sua forza ed Erin, di
forza, ne aveva da vendere.
L’aura
sfrigolante di Alec si insinuò all’improvviso tra le pareti di casa,
sorprendendoci tutti e cancellando quell’apparente momento di calma.
Richard
che, fino a quel momento, aveva chiacchierato spensieratamente con Penny, si
levò subito in piedi intimando alla bambina di rientrare in casa.
La
bimba non si fece pregare due volte e, correndo al fianco della madre, rigida e
tesa non meno di me e Duncan, chiese turbata: “Che succede?”
“O
Alec è infuriato con qualcuno, oppure…” cominciai col dire io, prima di
interrompermi nel momento stesso in cui lo vidi comparire nello specchio enorme
della veranda.
Richard
perse di colpo la sua rigidità e fissò basito l’uomo privo di sensi che Alec
stava trasportando sulle spalle a mo’ di sacco di farina mentre noi, non meno
scioccati, lo scrutammo scaricare quel peso morto sul prato di fronte a casa.
Con
un ringhio sibilato tra i denti, Alec commentò sprezzante: “Forse dovreste
alzare un poco di più le difese, signora,
se non volete che dei ficcanaso di altri branchi girino indisturbati sulla
vostra proprietà.”
Erin
arricciò le labbra per quell’implicito rimprovero mentre Richard, senza neppure
far caso al tono derisorio di Alec, si piegò su un ginocchio per tastare la
gola dell’uomo steso a terra privo di sensi.
“Che
è successo?” chiese Duncan, uscendo per primo sulla veranda, mentre io lo
seguivo dappresso ed Erin restava con la figlia accanto al piano cottura.
Con
un cenno del capo, Alec indicò l’uomo esanime e ringhiò: “L’ho beccato a poco
meno di un miglio da qui, in un’auto degna di James Bond. Aveva tutto l’armamentario
necessario per effettuare registrazioni ambientali a distanza di sicurezza.”
Richard
annusò l’uomo un paio di volte. “E’ un neutro ma non è del nostro branco, né
del Consiglio d’Irlanda, ne sono sicuro.”
“E’
un cane di Sebastian” sentenziò con disprezzo Alec, sorprendendoci ancora di
più.
“Che
cosa?!” esclamai, irrigidendomi subito.
“Ho
sentito il suo odore fetido in ogni poro della pelle di questo tizio. Di certo
ha giocato d’astuzia, mandando un neutro. Se non fossi andato in giro per il parco,
non avrei mai notato il suo odore. In lontananza, lo si può tranquillamente
scambiare per un umano” ci spiegò Alec, dando un calcio leggero al fianco
dell’uomo con il suo stivale di cuoio nero.
Un
mugolio sordo si levò dalla gola del neutro e Richard, voltandolo supino, gli circondò
il collo con l’enorme mano e ringhiò: “Stai bene attento a ciò che fai, feccia.”
Gli
occhi dell’uomo si spalancarono, storditi, le palpebre scivolarono su e giù un
paio di volte prima che la vista fosse sufficientemente a fuoco, permettendogli
di scorgere il guaio colossale in cui si trovava.
Subito,
le sue membra cominciarono a tremare convulsamente e Alec, piegandosi su un
ginocchio accanto alla sua vittima, snudò le zanne già pronunciate e sibilò:
“Allora, cane spelacchiato, cosa ci facevi qui, senza permesso, a curiosare per
la tenuta della signora?”
Un
balbettio frenetico e senza senso si levò dalla sua gola schiacciata dalla mano
possente di Richard mentre anche Duncan, apparentemente infuriato, sembrò voler
dare il suo contributo per spaventarlo ulteriormente.
Il
tremito aumentò a dismisura ed io, levando esasperata un sopracciglio quando
anche Duncan iniziò a ringhiare al suo indirizzo, guardai un momento Penny
prima di dichiarare: “Bene, iniziamo la prima lezione sul mondo maschile,
Penny. Questo è ciò che fa il maschio medio per ottenere ciò che vuole.
Ringhia, sibila e minaccia a vuoto.”
Penny,
pur se spaventata, riuscì a racimolare un sorriso ed io, sogghignando non
appena notai le espressioni contrariate dei tre maschi, aggiunsi: “Questo,
invece, è quello che fa una femmina nella media. Usa il cervello.”
Scesi
i due gradini di cotto fiorentino di cui era ricoperta la veranda per raggiungere il prato, mi avvicinai al
trio di licantropi e, scrollando con noncuranza una mano al loro indirizzo, ordinai:
“Levatevi, prima di bruciargli ogni pensiero con la paura che gli state
instillando dentro!”
Duncan
fu il primo a scostarsi, subito seguito a ruota da Richard che, con un cenno
ossequioso del capo, sussurrò un modesto ‘sì,
wicca’, prima di retrocedere.
Come
suo solito, invece, Alec rimase al suo posto e sogghignò al mio indirizzo, ironizzando:
“Tutti bravi cagnolini, eh, lupacchiotta?”
Ghignai
divertita e gli domandai: “Vuoi che ti faccia sentire un’altra volta il tocco
del mio potere, Alec?”
“No,
grazie” brontolò l’alfa, alzandosi in piedi prima di chiedermi: “Vuoi
friggergli il cervello?”
“No.
Quello lo stavate egregiamente facendo voi” replicai, sfiorando il viso del
neutro con le dita di una mano, catturando così la sua attenzione e il suo
sguardo allucinato. “La paura brucia le informazioni, e io voglio sapere cos’è
venuto a fare.”
Detto
ciò, soffiai leggermente sul viso dell’uomo inondandolo col mio potere e, come
aprendo una porta, mi ritrovai a fissare lo sguardo su un lago placido,
completamente immoto.
Quella
vista mi scioccò a morte e mi riportò indietro subito, costringendomi a sedermi
a terra per lo sgomento.
Solo
una cosa poteva creare quel vuoto, quella calma innaturale per una mente umana.
E il solo pensiero che Sebastian potesse aver fatto questo a uno dei suoi mi
fece venir voglia di vomitare.
Duncan
fu subito da me, premuroso e, sfiorandomi le spalle con le sue mani calde, mi chiese:
“Tutto bene? Sei impallidita di colpo.”
“Sembra
tu abbia visto un fantasma, ragazza” commentò Alec, la spavalderia del tutto
cancellata dal suo volto, ora serio e attento.
“Sebastian
lo ha completamente annichilito. Non avrebbe mai potuto dirvi alcunché. E’…
vuoto. E’ una coppa vuota” sussurrai sgomenta, lo sguardo fisso in quello
spaventato del neutro.
“Che
intendi dire?” ringhiò Alec, irritandosi immediatamente.
“Ha
un solo ed unico compito. Non risponde ad altro che a ciò che gli ha ordinato
di fare Sebastian” mi spiegai meglio, rimettendomi in piedi con l’aiuto di
Duncan. “Per questo ho detto che è vuoto. Non ha altri pensieri oltre quello
che gli ha imposto Sebastian.”
“Ma…
è un neutro! Non risponde alla Voce di Fenrir” replicò Richard, fissando basito
l’umano ai nostri piedi.
Reclinando
il capo con aria quasi colpevole, Alec replicò torvo: “Può eccome, anche se in
maniera differente da un licantropo.”
Sorpresa,
mi volsi a guardare Duncan, che sembrava imbarazzato non meno di Alec e
Richard, mettendo a parole la mia domanda inespressa, asserì: “Spiegatevi
meglio, per favore.”
Fu
Duncan a parlare.
Mesto,
esalò con voce roca: “La Voce di Fenrir, sui licantropi, impone un ordine, ma
non causa danno alcuno al lupo mannaro, a livello celebrale. E’ normale che sia così. Ma, se usata su un
neutro… ha effetti devastanti. Non dovrebbe mai essere usata su chi non è in
grado di sopportarla.”
Alec
smise di fissare malamente il neutro e aggiunse: “La mente del neutro non è
insensibile al potere come quella degli umani, ma neppure forte come quella di
un licantropo, quindi può essere danneggiata dalla Voce di Fenrir, se essa è
rivolta contro di lui. Nel caso specifico, quel figlio di…”
Interrompendosi
in tempo quando si ricordò della presenza di Penny, Alec si corresse terminando
di dire: “…quello scellerato ha fritto il cervello di questo tizio,
imponendogli l’ordine di spiarci.”
“Quindi,
non potremo neppure scoprire perché
dovesse spiarci” sospirai, guardando
Erin che, in silenzio, aveva ascoltato tutta la spiegazione. “Pensi di poterlo
fare accompagnare a casa da uno dei tuoi licantropi? Non penso possa rientrare
da solo, a questo punto, e non credo tu voglia tenerlo qui nel tuo giardino.”
“Avrà
un salvacondotto fino al porto di Douglas, ma di più non farò, per lui” replicò
rigida Erin, sorridendo forzatamente alla figlia per poi dirle: “Vai in camera,
piccola, e preparati. Tra poco partiamo per andare a Emain Macha.”
“Va
bene” annuì controvoglia Penny, correndo via oltre la porta della cucina.
Io
tornai a guardare il corpo tremante dell’uomo, divorata dal disgusto e
dall’odio nei confronti di Sebastian e Fenrir, dentro di me, ammise roco: Avrei preferito che questo potere non
giungesse fino a voi.
“Lo hai mai
usato?”
Ahimè, sì, mia
cara. Prima di conoscere Avya, non ero esattamente ciò che tu definiresti un
bravo ragazzo.
“Eri un semidio…
mi hai spiegato come ragionano gli immortali.”
Non è una
scusante, credimi.
“No”, mi limitai a dire.
Perso.
Sebastian
aveva sacrificato uno dei suoi, facendolo perdere per sempre in se stesso, e
per cosa? Cosa voleva, da noi? Cosa stava cercando? Perché aveva preso quella decisione così tremenda?
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1 a stóirín (gaelico irlandese):
letteralmente, piccolo tesoro.
2
Edward Elrick: personaggio dell’anime giapponese Full Metal Alchemist. E’ un
alchimista e, secondo la logica di quell’anime, per ogni desiderio esaudito
tramite l’uso dell’alchimia, deve corrispondere uno scambio equivalente, più o
meno importante in base a ciò che si è ottenuto. Più la richiesta è ingente,
più il prezzo è alto, anche la vita stessa, se necessario.