Capitolo 2
Belfast era fresca e solleticata dal vento proveniente dal Mar
d’Irlanda, quando riuscimmo ad uscire dall’aereo che ci aveva condotti in terra
irlandese.
Non
appena giunsi casa per ascoltare il resoconto della telefonata di Erin, mi misi in pista per preparare un bagaglio
leggero mentre Duncan si premurò di avvisare Alec e la mia famiglia
dell’imminente partenza.
Dopo
aver saputo da Alec che avrebbe raggiunto Heathrow per conto proprio, Duncan
chiamò Mary Beth per riferirle la notizia e, nel giro di mezz’ora, lei e Gordon
giunsero a casa nostra per salutarci.
Naturalmente,
Mary B consigliò più e più volte a entrambi di stare attenti e di non farci
prendere la mano, qualora fossero successi guai.
Gordon,
invece, si limitò a rimanere in silenzio, le mani ben infilate nelle tasche
anteriori dei jeans e l’aria di chi non ne poteva più di veder partire le
persone che amava, con il terrore di non rivederle più.
Lo
capii.
Neppure
io ero serena all’idea di partire, soprattutto a così breve distanza dal mio
ritorno fortunoso da quello che, per un soffio, non era stato non solo la mia
fine prematura, ma l’annientamento del mondo intero.
Sapere
di avere una bomba a orologeria nella testa non era piacevole, come non era
piacevole sapere che, per tutta la vita, avrei dovuto mantenere un controllo
ferreo sulle mie emozioni, ma tant’era.
Quella
patata bollente era caduta in mano mia, ed io dovevo gestirla al meglio.
Per
mia fortuna, sapevo di avere dei validi collaboratori. Fossi stata da sola, la
Terra sarebbe già esplosa da tempo.
Quando
infine giungemmo a Belfast, il giorno seguente alla telefonata di Erin, un
vento leggero e fresco solleticava la costa del Mare d’Irlanda.
Io
levai il capo, osservando le rade nubi bianche che solcavano il cielo irlandese
come mille piccole imbarcazioni dirette chissà dove.
In
quel mentre un’auto scura, di grossa cilindrata, si avvicinò a noi nel
parcheggio di fronte all’entrata dell’aeroporto.
Quando
il motore calò di giri fino a ridursi al minimo, dedicai tutta la mia
attenzione alla potente Mercedes Benz Guard che ci aveva raggiunti. La portiera
dell’autista si aprì e ne discese un licantropo dalla stazza non indifferente e
che indossava – udite, udite – nientemeno che una livrea scura.
O
Erin voleva fare bella figura con noi, o aveva un sacco di soldi.
Il
licantropo, scuro di capelli e dal viso affilato come un rasoio, ci squadrò per
alcuni attimi prima di dire con tono ossequioso: “Ben trovati in terra
d’Irlanda, gentili ospiti. La mia signora vi sta aspettando con impazienza.”
Detto
ciò, ci raggiunse con passo elegante e possente al tempo stesso e, dopo essersi
occupato dei nostri bagagli, ci tenne la portiera aperta perché salissimo in
auto.
Non
appena mi accomodai sui morbidi sedili di pelle bianco panna, scrutai
incuriosita Duncan, seduto al mio fianco, e gli chiesi: “La nostra ospite è
così benestante?”
“Ne
so quanto te” scrollò le spalle lui prima di voltarsi verso Alec che, però,
scosse il capo.
Neppure
lui ne era al corrente.
L’auto
oscillò leggermente quando l’autista risalì al posto di guida e, non appena la
Mercedes riprese la sua marcia, il licantropo che ci aveva accolti in pompa
magna tornò a parlare con cortesia. “La mia Fenrir vi attende nella sua villa
poco lontano da Green Castle, a nord di Belfast. Non ci vorrà molto per
raggiungerla. Il viaggio è andato bene?”
“Ottimamente”
disse pacato Duncan.
Era
il più indicato tra noi, per parlare, il più diplomatico. Io o Alec avremmo
fatto un gran casino, invece, lo ammettevo senza problemi. “La tua signora è
stata gentile a offrirci questo servizio.”
“L’ospitalità
è primaria, in terra d’Irlanda” chiosò diplomaticamente l’autista, prima di
lanciarmi un’occhiata attraverso lo specchietto retrovisivo e aggiungere: “Non
stento a credere che voi siate sia wicca che
custode del nostro potente progenitore, Prima Lupa. L’energia che scaturisce dal
vostro corpo, anche adesso che l’aura è a riposo, è grande e… dolce.”
Sorrisi
appena a quel commento e ammisi: “Ne sono consapevole. Mi reputo alla stregua
di un enorme vasetto di miele.”
Il
licantropo accennò un sorrisino di fronte al mio tentativo di apparire
simpatica, e dichiarò: “La mia signora apprezzerà il vostro umorismo. Non le
piacciono le persone troppo compiaciute di sé.”
“Oh”
esalai, cominciando a subodorare perché
Erin ce l’avesse tanto con Sebastian.
Alec
ridacchiò sardonico, forse giunto alle mie stesse conclusioni, o forse
sentitosi preso in causa.
Neppure
lui brillava per umiltà, questo andava detto, anche se nelle ultime settimane
era migliorato non poco.
Duncan,
limitandosi ad un sorriso di circostanza, celiò: “La tua signora scoprirà
presto che la mia Prima Lupa ama scherzare su tutto, e anche nei momenti meno
opportuni.”
A
quel punto il licantropo scoppiò a ridere di gusto. “Allora andranno d’amore e
d’accordo, Fenrir di Matlock. D’amore e d’accordo.”
“Dio
ci assista” sospirò a quel punto Duncan, sorridendomi benevolo.
Io
ricambiai con un ghigno sardonico, trovando già simpatica Erin, mentre Alec
sbuffò contrariato, forse irritato all’idea di trovare una mia emula in terra
d’Irlanda. Non aveva mai fatto mistero di non sopportare il mio carattere… mordace.
Impiegammo
quasi un ora per liberarci del traffico cittadino ma, alla fine, riuscimmo a
raggiungere una piacevole quanto intima area verde.
Una
stradina a senso unico si allungava sinuosa attraverso il parco di latifoglie
tra cui sorgevano sporadiche ville, intervallate da immensi prati fioriti e
alti muri di cinta in sasso.
Al
suo interno, protetta da quella naturale barriera di piante ed arbusti in fiore,
si trovava una piccola quanto incantevole villetta a due piani in stile
neoclassico dell’ottocento francese.
L’entrata
ad arco in stucco color panna era sorretta da due belle colonne di liscio marmo
bianco.
Una
greca in bassorilievo si dipanava orizzontalmente lungo tutto il muro, delimitando
il primo piano della villa.
Ai
due lati del portone d’ingresso, alte e frequenti finestre si intervallavano a
brevi tratti di mattoni faccia a vista e, al piano superiore, ampie porte
finestre si aprivano su balconate in
ferro battuto.
Fermata
l’auto nell’ampio cortile antistante l’imponente ingresso, il nostro
accompagnatore – presentatosi a noi con il nome di Richard – ci aprì la
portiera per poter uscire dalla Mercedes.
Affascinata,
dopo aver dato un’occhiata al bel pratino all’inglese che si perdeva nel
boschetto che circondava la tenuta, esalai: “E’ un luogo davvero delizioso in
cui vivere.”
“La
mia signora ama la tranquillità. E da qui, il nostro Vigrond è molto vicino” ci
spiegò Richard, aprendo il bagagliaio per recuperare i nostri trolley.
Dalla
porta d’ingresso, in legno scuro e ricoperta di intagli tondeggianti, fece
capolino una sottile figura di bambina che, scrutandoci curiosa e con occhi
intelligenti, fece qualche passo nella nostra direzione prima di fermarsi al
limitare dei gradini che portavano all’entrata.
Io
sorrisi spontaneamente a quella bellezza bionda di circa otto anni, abbigliata
con un semplice paio di jeans, scarpette da ginnastica e una maglietta di Hello Kitty.
Lei,
accentuando il proprio, esordì dicendo: “Benvenuti a Villa Chiara. Io sono
Penelope Durtmore, ma tutti mi chiamano Penny. La mamma è al telefono, ma
arriverà subito.”
Mamma?
Erin aveva una figlia?
Tutti
e tre ci scambiammo occhiate incuriosite mentre Richard, entrando con i trolley
alla mano, sorrise benevolmente alla bimba, chiedendole: “Penny, pensi tu a
fare strada ai nostri ospiti?”
“Li
porto nel salottino blu?” si informò allora la bimba, annuendo al gigantesco
licantropo.
“Ottima
scelta” annuì Richard prima di lasciarci nelle mani della bambina che, da
perfetta padrona di casa, si scostò dall’entrata per farci entrare.
Basiti
di fronte a questa scoperta, entrammo in silenzio nella bella villetta, camminando
in fila indiana lungo il corridoio in parquet e ricoperto da un infinito
tappeto orientale dai toni del marrone e del rosso.
Alle
pareti, ricoperte da pannelli in legno di ciliegio, piccoli quadri di scene
campestri si intervallavano a fotografie di Penny e di una donna alta e dai
folti capelli biondo-ramati – presumibilmente Erin.
Piccole
cassettiere in stile Luigi XV ricoperte di bei centrini e vasi cinesi ricolmi
di fiori freschi abbellivano l’intero ambiente, dando un’idea del gusto
sopraffino dei suoi abitanti.
Procedendo
spedita dinanzi a noi e mantenendo un’andatura abbastanza sostenuta, la bimba
si fermò più o meno a metà del corridoio e aprì una porta in legno di ciliegio,
dicendoci con un gaio sorriso: “Prego, entrate pure.”
“Grazie”
assentii io per tutti, entrando per prima.
All’interno,
il mobilio rispecchiava quello intravisto fino a quel momento.
Un’ottomana
era sistemata sotto un’alta finestra, ombreggiata da delicate tende di batista azzurro
cielo.
Nel
mezzo della stanza, due divani in stile Luigi Filippo dai variopinti cuscini
fiorati si accompagnavano a un basso tavolino in radica di legno e una credenza
a vetri, dove era esposta una bellissima collezione di bicchieri in cristallo
boemo.
Il
parquet, in quella stanza, disegnava figure geometriche romboidali, a
differenza del corridoio dove, invece, era stato disposto longitudinalmente
rispetto alle pareti.
Lo
osservai ammirata, notando lo splendore del legno e la totale assenza di
difetti prima di accomodarmi e dire, rivolta a Penny: “La tua casa è davvero
splendida.”
“Grazie.
A me e la mamma piacciono tanto questi mobili. Li aveva comprati tutti papà” sorrise
lei, accomodandosi al fianco di Alec che, con mia somma sorpresa, si scostò il
più possibile e la fissò come se avesse accanto un serpente a sonagli.
“Paura dei
bambini?” chiesi
mentalmente a Duncan fissando di sottecchi Alec, che pareva quasi terrorizzato
dalla presenza di Penelope.
“E chi lo sa?
Non conosco Alec così bene, ma direi che è sinceramente spaventato dalla bimba” commentò
divertito Duncan prima di avvertire, al pari mio e di Alec, la carezza
vellutata dell’aura di un licantropo. E non si trattava di Richard.
Un
attimo dopo aver percepito quel potere morbido e fluttuante, la porta si aprì e
al nostro cospetto si materializzò la donna delle fotografie, che si presentò
come Erin O’Hara.
Le
stringemmo a turno la mano – per i saluti lupeschi
avremmo atteso di conoscerci meglio, visto che appartenevamo a due
Congregazioni diverse – prima di tornare ad accomodarci sui divani.
Sorridendo
alla figlia prima di accomodarsi a sua volta, scegliendo per sé l’ottomana,
accavallò le lunghe gambe - abbracciate da un paio di pantaloni di lino color
oliva - e asserì elegantemente: “E’ un onore per il mio clan avere simili
ospiti. Siate i benvenuti.”
“L’onore
è tutto nostro, Fenrir di Belfast” replicò Duncan, prima di aggiungere: “Lei è
Brianna, wicca del mio branco e mia
Prima Lupa, mentre lui è Alec Dawson, Fenrir di Bradford.”
Annuendo,
Erin ci scrutò per un momento con i suoi penetranti occhi verde-azzurri prima
di soffermarsi su di me e dichiarare con sincerità: “La tua aura è come un
afrodisiaco, wicca, e assaporarla
sulla lingua è un’esperienza più unica che rara. Capisco perché i primi uomini
che vennero in contatto con il nostro progenitore ne rimasero sconvolti e ne
ebbero paura. Immagino che un simile potere potesse essere percepito persino da
loro.”
Ha ragione. Ne
erano in grado.
Dopo
gli eventi traumatici del mio rapimento, Fenrir si era chiuso in se stesso,
lasciandomi il tempo di recuperare le forze senza dover affrontare discorsi
opprimenti su ciò che ci sarebbe spettato nell’affrontare i berserkir.
Fu
per quello che quasi sobbalzai per la sorpresa quando lo sentii emergere dal
mio subcosciente così di colpo, senza alcun avvertimento.
“Vuoi farmi
morire di paura?”
Scusa. Busserò,
la prossima volta. E
nel dirlo, ridacchiò prima di scomparire così com’era venuto, in un attimo.
Sbuffando
contrariata, replicai con un sorriso di scuse: “Perdonami. Stavo discutendo con
Fenrir. Diceva che hai perfettamente ragione. Gli umani erano in grado di
percepire il suo potere e, forse, l’odio e la paura nei suoi confronti sono
nati anche da questo, oltre che dal suo aspetto apparentemente inquietante e
dalla magnifica pubblicità offerta da suo padre Loki.”
Erin
sbatté le palpebre un paio di volte prima di sorridere divertita e la figlia,
fissandomi con aperta sorpresa, esalò: “E’ davvero la custode dell’anima di
Fenrir, mamma?”
“Sì,
piccola mia” annuì Erin, prima di reclinare ossequiosa il capo e mormorare:
“Onorerai la mia casa e la mia famiglia con la tua benedizione, wicca?”
“Ne
sarò lieta” annuii prima di allungare una mano in direzione di Penny, chiedendole:
“Puoi venire qui un momento?”
All’assenso
della madre, Penny mi raggiunse fiduciosa ed io, sfiorate le sue gote paffute,
le sorrisi e appoggiai la mia fronte alla sua. “Che il Sole guidi il tuo
cammino, la Madre Terra sfami i tuoi bisogni e la Luna ti accompagni durante il
tuo sonno notturno. Che il vento ti sia compagno, il lupo guida e protettore e
la notte amica fidata. Che la tua tana sia porto sicuro dal freddo, dai nemici
e dalla malasorte. Ciò chiedo per te e per coloro che hai nel cuore.”
Detto
ciò, la baciai sulla fronte e Penny, con una piccola riverenza, mi ringraziò
prima di trotterellare al suo posto, sempre al fianco di Alec che, in silenzio,
aveva assistito a quel rito propiziatorio fissando la bambina con aria
accigliata.
Chissà
perché ne aveva così timore?
“Ti
ringrazio, wicca” disse semplicemente
Erin.
Un
attimo dopo, ombrosa in viso, ci domandò: “E ora ditemi cosa è successo, e
perché necessitate di conoscere la storia dei berserkir. Come mai questo nome è
risorto dall’oblio in cui era rintanato con tutti i suoi orrori?”
“Eri
dunque a conoscenza della loro esistenza?” le chiese Duncan, vagamente
sorpreso.
Annuendo,
Erin lanciò uno sguardo all’esterno dell’abitazione, perdendosi in
contemplazione del bosco per alcuni attimi prima di tornare a guardarci e asserire:
“Mio marito perì a causa loro. Giunsero all’imbrunire, più o meno un anno fa,
mentre io ero in ospedale con Penny, e lo uccisero nel suo studio.”
Il
mio sguardo corse alla bambina che, silenziosa e col capo chino, teneva le mani
strette in grembo, le labbra ridotte a un’esile linea color ciliegia.
Erin
la scrutò a sua volta solo per un attimo e continuò dicendo: “Cercavano i
documenti risalenti al regno di Conor Mac Nessa, signore dell’Ulster ai tempi
di Cu Chulainn. Per lo meno, è quello che è riuscito a dirci Marcus prima di
spirare.”
Alec
si adombrò in viso e parlò per la prima volta, chiedendole con la sua voce
profonda e baritonale: “Perché proprio quei libri?”
Erin
scosse il capo, il viso una maschera di impassibilità e gli occhi come
diamanti, spiegandoci ciò che sapeva. “Posso solo dirvi che lo hanno torturato,
pur di averli, ma Marcus non ha detto loro dove si trovavano gli antichi testi,
così lo hanno lasciato morente, in un bagno di sangue, mentre le sirene della
polizia si avvicinavano alla libreria dove aveva lo studio. Alcune dipendenti avevano
sentito il trambusto provocato dal loro… interrogatorio,
così decisero di chiamare le autorità, ma fu troppo tardi, per lui.”
Reclinò
mesta il capo mentre la mano destra, incessante, torturò l’anello di brillanti
che portava all’anulare sinistro.
“Sai
cosa ci sia scritto, su quei testi?” chiesi a quel punto io, stringendo le mani
in grembo con impazienza malcelata.
“Misi
alcune traduttrici al lavoro non appena mi fu possibile e, da quel poco che
siamo riusciti a capire finora, si tratta di storie tramandate da antichi
cantori sulla vita dei berserkir e sulle loro usanze, su ciò che li rende forti
e su ciò che li danneggia” mi spiegò Erin, cambiando posizione sull’ottomana e
accavallando le gambe con un gesto nervoso.
Possibile
che il mio rapimento fosse solo l’ultimo tassello di un piano molto più
complesso messo in atto da Loki?
E’ probabile.
Loki non lascia nulla al caso e quelle informazioni, lasciate nelle mani
sbagliate, avrebbero potuto danneggiarlo. Se tu avessi saputo, per esempio,
come fronteggiarli, lui non avrebbe mai potuto agire sfruttando la loro forza.
“Perché
non tornare per recuperare i documenti in un secondo tempo?” chiesi allora
prima di scorgere un particolare che, in precedenza, non avevo notato.
Sensori
di movimento alle finestre.
Erin,
avvedendosi della mia occhiata, annuì. “Tutta la casa è sorvegliata da un
sofisticato sistema di sicurezza e camere blindate si trovano nel seminterrato,
assieme a una scorta di cibo sufficiente per due mesi. Inoltre, ventiquattrore
su ventiquattro, il perimetro è pattugliato dai miei lupi. La stessa cosa si
può dire per i sotterranei della libreria, che sono più controllati del caveau di una banca. Hanno tentato di
rientrare nel mio territorio più di una volta, da quel giorno, ma sono sempre
tornati al mittente. Non hanno più potuto prenderci di sorpresa così, alla
fine, hanno desistito. All’incirca tre mesi fa sono finite le scorrerie, se non
ricordo male.”
Annuendo
grave, borbottai: “I tempi combaciano, più o meno, allora. Io sono stata rapita
da un gruppo di berserkir solo poco tempo fa e, a guidarli, era un giovane in
cui dimorava lo spirito di Loki. Ora lui è morto assieme ai suoi guerrieri, ma
temo che la faida non sia finita. Lui li ha convinti di essere Tyr redivivo e che
io, o meglio, lo spirito di Fenrir che alberga dentro di me, sia rinato per
distruggere ogni cosa. I berserkir sono fedeli a Wotan e, quando hanno saputo
della presenza dell’odiato Fenrir sulla Terra, beh, non hanno gradito.
Soprattutto considerando quanto sia deviata la loro credenza nei confronti del
nostro progenitore.”
“Il
Ragnarök, intendi?” intuì Erin,
annuendo a sua volta.
“Esatto.
Loro pensano sia qui per questo, e tenteranno di uccidermi per impedire che ciò
avvenga, non sapendo che la mia morte violenta, invece, lo scatenerà” dichiarai
lapidaria, notando lo stupore balenare nei suoi occhi chiari.
“Che
intendi dire?” chiese a quel punto Erin, con aria accigliata.
“Che
se morissi di morte violenta, o perdessi del tutto il controllo su me stessa,
il potere di Fenrir esploderebbe in tutta la sua devastante potenza, riducendo
il mondo intero in briciole” spiegai con voce resa roca dall’ansia che nasceva
in me ogni qual volta pensavo a quello che avrebbe potuto succedere se avessimo
fallito.
“Come
hanno potuto credere a Loki? Possibile che non abbiano riconosciuto in lui il
male?” mi chiese Erin, dubbiosa, scuotendo il capo come a non voler pensare
alla devastazione potenziale di cui le avevo appena parlato.
“Non
so rispondere a questo. Posso dirti che neppure io lo riconobbi, finché non fu
lui a mostrarmi il suo vero Io. E, dopotutto, si tratta pur sempre del dio
degli inganni” le spiegai succintamente, notando come anche Penny, nonostante
la sua giovane età, seguisse i nostri ragionamenti con interesse.
Doveva
essere una ragazzina estremamente intelligente e, suo malgrado, più matura
della sua età. La capivo. E molto.
Annuendo
grave, Erin si oscurò in volto e, annuendo diverse volte, disse con profonda
comprensione: “Il peso che porti è immane, wicca,
e non ti invidio. Ma capisco l’urgenza che vi muove, e vi aiuterò con ogni mio
mezzo. Domani partiremo alla volta di Emain Macha e lì vi mostrerò i documenti
riguardanti i berserkir, dopodiché andremo a cercarli per tentare di riportarli
a più miti consigli. Questo è ciò che il Consiglio ha deciso.”
Digerii
quelle parole molto più lentamente di Alec e Duncan e, quando mi resi conto di
ciò che Erin aveva detto, ormai era tardi per fermare le parole del nostro
riottoso compagno di viaggio.
Delicato
come suo solito, ringhiò un sentito: “Non se ne parla, femmina. Il tuo posto è
qui a casa!”
Penny,
evidentemente, non aveva mai sentito nessun licantropo rivolgersi così alla
madre.
Fissò
a occhi sgranati l’enorme Fenrir che le sedeva al fianco mentre lo sguardo di
Erin, da calmo e compassato che era, si tinse di fosco, puntando direttamente
alla gola del suo ospite non più tanto gradito.
Duncan,
fissando malamente l’amico, intervenne con il suo solito tono pacificatore. “Naturalmente
la tua proposta ci onora, Erin, ma non vorremmo mai allontanarti dalla tua
bambina e dal tuo branco.”
Degnando
di una sola occhiata Duncan, Erin continuò a fissare gelida Alec – che ne
reggeva lo sguardo con aria strafottente – e replicò: “Ti sono grata per le tue
cortesi parole, Fenrir di Matlock, ma la decisione è stata presa già prima del
vostro arrivo. Nessun clan della Libera Irlanda è disposto a lasciare che la
custode di Fenrir viaggi senza degna scorta, perciò abbiamo votato su chi fosse
il più adatto a seguirvi nella Cerca.”
“E
sei saltata fuori tu?” esclamò sprezzante Alec.
Il
mio branco, per una pistola caricata ad argento!
Dio,
avrei voluto strangolare Alec con le mie stesse mani! Ma chi gli aveva
insegnato l’educazione? O meglio; gliel’avevano mai insegnata!?
Erin
rispose alla sua insolenza sollevando un biondo sopracciglio e replicando
ironica: “Avresti preferito dei Fenrir vecchi e non più nel pieno delle forze?
Sono l’elemento più giovane tra i capiclan, perciò era ovvio che fossi io a
seguirvi. Questo è quanto, prendere o lasciare.”
“Lascio”
brontolò Alec, alzandosi per poi guardarci accigliato. “Non permetterò che una
femmina ci segua, lasciando a casa una bambina senza alcun genitore a
proteggerla!”
Oooh.
Scrupoli di coscienza in Alec? E quando mai?
Un
po’ confusa, fissai Alec come se lo vedessi per la prima volta in vita mia e
Duncan, frastornato non meno di me per quell’uscita inaspettata, cominciò col
dire: “Sono lodevoli motivazioni, Alec, ma…”
“Niente
ma. Non se ne parla di portarla con noi. Andiamocene. Faremo a meno di quei
documenti” sbottò Alec, inviperito.
“E
mi spieghi dove andrai a cercarli, possente guerriero?” celiò Erin, divertita
dalla sua tirata.
“Me
la caverò anche senza ficcare il naso in mezzo a dei libri ammuffiti e di cui
non capirei neppure mezza parola” sbuffò lui, intrecciando le braccia al petto
con aria burbera.
Okay,
questo era l’Alec che conoscevo!
“Allora
è vero quel che si dice di te, Alec di Bradford. Che la tua testardaggine è
sorpassata solo dalla tua stupidità” mormorò Erin, aprendosi in un sorriso
derisorio.
Sollevando
gli occhi al soffitto, già pronta a intervenire per sedare una rissa che
prevedevo imminente, vidi Duncan alzarsi per afferrare Alec prima che si
scagliasse su Erin.
A
sorpresa, però, il licantropo in questione si limitò ad espandere la sua aura
in preda all’ira più nera, forse non volendo infierire su una donna a mani nude.
O, forse, per non spaventare Penelope.
La
violenza di quell’onda metapsichica finì così per colpire fisicamente la
padrona di casa che, aggrottando la fronte, eresse una barriera per difendersi
dal suo attacco mentale.
E
mostrandoci qualcosa che mai ci saremmo aspettati.
Bloccandosi
subito mentre, preoccupata, Penny si sollevava dal divano per raggiungere la
madre – ora visibilmente impallidita – Alec sbottò esclamando: “Non sei un Fenrir!”
***
Sorseggiando
il buon the alla cannella che una domestica ci servì in splendide porcellane
decorate a motivi fiorati, fissai da sopra il bordo della tazza il volto teso e
stanco di Erin.
La
donna stava carezzando il capo biondo della figlia e, pacata, ci stava raccontando
il perché della sua nomina a capo branco.
“Non
avremmo mai potuto mettere al governo di un intero branco un bambino di tredici
anni che non aveva neppure iniziato il suo apprendistato come Fenrir presso mio
marito, e Sköll venne ucciso assieme a Marcus durante l’assalto dei berserkir.
L’unica a poter guidare il branco ero io, così il Consiglio mi nominò Fenrir
per procura. Presi sotto la mia ala Albreckt che, al compimento dei sedici anni,
assurgerà al ruolo di nuovo Fenrir del branco e, da quel momento, mi assunsi il
ruolo che, fino ad allora, era stato del mio compagno” ci spiegò Erin, sfidando
Alec con lo sguardo a ribattere al suo discorso.
“Motivo
di più per non seguirci. Sei solo una comune lupa e…” cominciò col dire lui,
prima di venire fulminato dallo sguardo di Erin. “Okay, sei una Prima Lupa, ma
non hai alcun potere. Non hai la forza di un Fenrir, né i doni di Brianna. E
avresti sempre la testa rivolta qui.”
Nel
dirlo indicò Penny che, sentendosi messa in mezzo, fissò Alec con sguardo
adamantino.
“Vedi,
Alec, quel che dici non conta nulla, qui, perché in terra d’Irlanda tu non hai
potere decisionale. E il Consiglio dei Clan ha decretato che io verrò con voi.
Penny starà dai suoi zii, protetta da un intero clan che la adora. E io so
badare a me stessa, come so badare alle mie emozioni. Pensi sia stato facile
portare a termine una gravidanza all’età di ventuno anni? Pensi che potrebbe
farlo qualsiasi lupa?” ringhiò Erin, facendo scintillare gli enormi occhi
verde-azzurri. “Pensi sia stato facile portare avanti il clan dopo aver perso
mio marito per mano dei berserkir?”
“Proprio
per questo dovresti rimanere con lei! Per non rischiare che resti senza neppure
un genitore!” sibilò a sua volta Alec adombrandosi, gli occhi percorsi da un
sentimento simile all’angoscia. Cosa
lo turbava così tanto, in quella situazione?
“Non ha tutti i
torti” mi
disse mentalmente Duncan, osservandoli con aria combattuta.
“Non lo metto in
dubbio, ma non è una decisione che spetta a noi” precisai con
tono duro.
“Vero. Ma non mi
va l’idea che la bambina rischi di rimanere senza genitori.”
“Perché date per
scontato che Erin debba morire?” brontolai a quel punto.
“Non è per
mancanza di fiducia, ma le motivazioni di Alec sono valide. Una Prima Lupa non
avrà mai la forza di un Fenrir e, volente o nolente, il suo pensiero correrà
spesso alla figlia, rendendola vulnerabile.”
“Pensi da
maschio” gli
feci notare con una punta di sarcasmo.
“Penso con
coscienza”
precisò Duncan, storcendo la bocca nel fissarmi male.
“E credi che lei
non lo faccia? Sa benissimo che questo pericolo minaccia tutti noi! Hanno
ucciso il suo compagno! E’ normale che cerchi vendetta, che cerchi il modo di
mettere al sicuro la sua creatura!” protestai, accigliandomi a mia volta,
mentre Erin e Alec si guardavano in cagnesco.
Sbuffando,
Duncan distolse lo sguardo dal mio per rivolgersi a Penny e, con voce
tranquilla, le chiese: “Tu cosa ne pensi, Penny? Vuoi che tua madre venga con
noi, con il rischio che si faccia male?”
Penny
sollevò il capo poggiato sulle ginocchia della madre e, alternativamente, fissò
tutti noi in un silenzio di tomba, spezzato soltanto dal rintocco lontano di un
orologio a pendolo.
I
suoi profondi occhi chiari ci studiarono a fondo, quasi penetrando nelle nostre
menti per comprendere se, di noi, ci si potesse fidare a sufficienza.
Lo
sguardo più lungo e accigliato lo concesse ad Alec, che resse la sua occhiata
senza battere ciglio, senza neppure emettere un fiato. La sua aura, però,
tremolò e non ne compresi il motivo.
Alla
fine di quell’attento esame, sospirò e annuì dicendo: “La mamma può venire con
voi, se vuole così. Io starò con zio Mike e zia Rachel.”
Erin
sorrise alla figlia, piegandosi per darle un affettuoso bacio sul capo mentre
Alec, disgustato, cominciò a passeggiare nervosamente per la stanza,
brontolando sommessamente prima di proclamare caustico: “Sia chiaro. Non
sopporterò neppure un piagnisteo da parte tua!”
“Ora lo
ammazzo!”,
pensai, già sul punto di levarmi in piedi per dirgliene quattro.
Duncan
mi trattenne per un braccio, replicando deciso: “Ci penserà Erin a metterlo a tacere.”
Già
sul punto di ribattere, mi azzittii quando vidi la donna levarsi in piedi per
fronteggiarlo a muso duro.
Portandosi
a poco meno di un passo da lui, lo sguardo levato a incontrare gli occhi grigi
di Alec e la mascella tesa a contenere la rabbia che sfrigolava sulla sua pelle
come olio bollente, ghignò sfacciatamente.
Penny,
mordendosi un labbro, si limitò a dire: “Ahia.”
Compresi
solo dopo qualche secondo cosa avesse voluto dire la bambina con quel commento
profetico.
Senza
dar alcun segno di preavviso, Erin scaricò un destro nel bel mezzo dell’addome
muscoloso di Alec.
Impreparato
a quell’assalto così diretto, e fisico,
lui si piegò in avanti emettendo un ‘oh’ strozzato prima di portarsi le mani
in grembo per ripararsi da un ulteriore attacco.
Massaggiandosi
la mano e squadrandolo da capo a piedi mentre lui cercava di non imprecare
davanti a Penny, Erin sibilò a denti stretti: “Rammenta solo una cosa, cane… ho messo al mondo una figlia, e da licantropa. Questo fa di me una lupa
un po’ speciale, non credi?!”
Raddrizzandosi
a fatica, Alec la fissò malissimo – anche se malissimo è un eufemismo, nel caso specifico – e, massaggiandosi lo
stomaco contuso, ringhiò: “E tu rammenta una cosa, cagna… io ho ammazzato il mio Fenrir a quattordici anni per avere
il dominio sul branco. Questo fa di me un lupo un po’ speciale, non credi?!”
Penny
si nascose automaticamente dietro il corpo della madre e Duncan, ormai stanco
di quel braccio di ferro tra i due, si levò in piedi per chetare
definitivamente le acque.
Poggiata
una mano sulla spalla di Alec, decretò perentorio: “Ora basta, Alec. Credo vi
siate ampiamente spiegati.”
“Sentitelo,
Mister Diplomazia!” brontolò Alec, scostandosi di malagrazia dal suo tocco.
Sputando
aria dalle narici per la rabbia, incanalai dentro di me l’ira febbricitante di
Alec e, come Erin, non diedi alcun preavviso del mio attacco.
Scaricai
contro l’alfa tutto il suo rancore represso e lo scaraventai gambe all’aria in
fondo alla stanza contro la pannellatura di legno, che tremò per alcuni secondi
prima di tornare alla normalità.
Se
Erin, Penny e Duncan rimasero sorpresi da quell’improvviso capitombolo, non lo
fu Alec.
Già
vittima una volta dei miei contraccolpi psichici, imprecò – stavolta senza
badare alla bambina – e mi ringhiò contro sbottando: “Cazzo, non un’altra
volta!”
Duncan
mi fissò confuso, non gli avevo mai raccontato del mio incontro-scontro con
Alec nella radura ma io, scrollando le spalle come per voler lasciare stare, lo
rabberciai acida: “Parla bene, insomma!”
Erin
mi fissò con un mezzo sorriso sul volto, tornato nuovamente di un bel color
rosa pastello ed io, strizzandole l’occhio, le confidai: “Ci vuole poco per
sistemare i bollenti spiriti di certi lupi.”
Rialzandosi
un po’ acciaccato, Alec si sistemò nervosamente i pantaloni, minacciandomi con
un dito puntato contro di me. “Questa me la paghi, streghetta.”
Gli
sorrisi divertita – quello ‘streghetta’
era più un vezzeggiativo che un insulto, detto da Alec – e replicai: “Ti
aspetto al varco. Ma, nel frattempo, vedi di non costringermi a usarti per
demolire la casa di Erin.”
Alec
non mi rispose il che, di per sé, fu un’autentica vittoria.
Duncan
si limitò a sorridermi con aria esasperata e, mentalmente, mi domandò: “Sono stato davvero troppo diplomatico?”
“Un po’. Con
Alec, certe cortesie non servono a nulla. La prossima volta, opterei per una
mossa ‘alla
Erin’. Si è rivelata molto efficace”
replicai, sorridendogli di rimando.
“Messaggio
ricevuto”
annuì lui, prima di guardare Penny e dirle: “Siamo un gruppo un po’ strano,
eh?”
“Sì”
ammise la bambina sorridendo a Duncan che, nel darle un buffetto sulla guancia,
allargò il suo sorriso fino ad illuminarsi in viso.
“Vorresti un
figlio?”
gli chiesi di punto in bianco.
“Voglio te.
Punto”
replicò lui, scompigliando i capelli di Penny prima di volgersi verso di me per
dare maggiore peso alle sue parole. “Solo
te.”