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Autore: Eleonors    14/08/2013    2 recensioni
I tetti di Londra si stavano avvicinando sempre di più, e il panorama era fantastico.
Se fossi stata con le mie amiche, o con la mia famiglia, probabilmente me lo sarei goduto.
Già, la mia famiglia. In effetti, non ero del tutto sicura di volere lì la mia famiglia, perlomeno i miei genitori; dovevo ancora smaltire il rancore che provavo per loro.
Non avevo nessuna tragica storia familiare alle spalle; mio padre non era un alcolizzato e non mi picchiava, mia madre era fin troppo presente, la mia sorellina Laura era più che perfetta.
L’unico, piccolo inconveniente era che mi avevano nascosto di avere un fratello. Un fratello maggiore.
E me l’avevano nascosto per quasi sedici anni, cioè per tutta la mia vita.
Ed era per quel motivo che ora mi trovavo su un aereo, diretta a Londra, da sola.
Per conoscere una persona che avrei dovuto conoscere da sempre, per “recuperare il tempo perso”.
Comunque, il mio fratellone (perché, da quanto avevo capito, aveva circa quattro anni in più di me) non era un comune inglese. No, ovviamente. Era Liam Payne. Già, uno dei membri degli One Direction.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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New family
 

Era notte l’ultima volta che Harry aveva viaggiato sul Nottetempo e i suoi tre piani erano pieni di letti dal telaio di ottone. Ora, di prima mattina, era stipato con un assortimento di sedie spaiate, casualmente raggruppate vicino ai finestrini. Qualcuna sembrava essere caduta quando l’autobus si era fermato brutalmente a Grimmauld Place; alcuni maghi e streghe si stavano rialzando in piedi, brontolando, e le borse della …”
“I gentili passeggeri sono invitati ad allacciare le cinture di sicurezza e a rialzare i sedili. Ci stiamo avvicinando alla pista d’atterraggio.”
L’annuncio venne ripetuto per tre volte in inglese, francese e tedesco dalla voce metallica preregistrata dello speaker di bordo.
Sospirando, riposi la mia copia di Harry Potter e l’Ordine della Fenice nella mia mega-borsa e mi allacciai la cintura, naturalmente riuscendoci dopo circa sedici tentativi. Ovviamente Madre Natura non avrebbe mai potuto dotarmi della grazia necessaria ad allacciare la cintura di un aereo in un colpo solo, no. Sarebbe stato chiedere troppo. Sbuffai di nuovo, beccandomi un’occhiataccia dal mio vicino di sedile, che assomigliava in modo inquietante al mio prof di fisica, e mi voltai per osservare fuori dal finestrino.
I tetti di Londra si stavano avvicinando sempre di più, e il panorama era fantastico.
Se fossi stata con le mie amiche, o con la mia famiglia, probabilmente me lo sarei goduto.
Già, la mia famiglia. In effetti, non ero del tutto sicura di volere lì la mia famiglia, perlomeno i miei genitori; dovevo ancora smaltire il rancore che provavo per loro.
Non avevo nessuna tragica storia familiare alle spalle; mio padre non era un alcolizzato e non mi picchiava, mia madre era fin troppo presente, la mia sorellina Laura era più che perfetta.
L’unico, piccolo inconveniente era che mi avevano nascosto di avere un fratello. Un fratello maggiore.
E me l’avevano nascosto per quasi sedici anni, cioè per tutta la mia vita.
Ed era per quel motivo che ora mi trovavo su un aereo, diretta a Londra, da sola.
Per conoscere una persona che avrei dovuto conoscere da sempre, per “recuperare il tempo perso”.
Tutte le volte che ci pensavo, mi sentivo strana. Con Laura non avevo tempo perso da recuperare, era nella mia vita da … sempre, immagino, e la conoscevo come conoscevo me stessa. Anzi, meglio, dato che a volte facevo cose di cui io stessa mi stupivo. Ma immagino sia normale per una quasi-sedicenne con gli ormoni impazziti e un caratteraccio come il mio.
Comunque, il mio fratellone (perché, da quanto avevo capito, aveva circa quattro anni in più di me) non era un comune inglese. No, ovviamente. Era Liam Payne. Già, uno dei membri degli One Direction. Immagino che se fossi stata una persona normale sarei stata contenta, ma per me uno shock alla vota era più che sufficiente. Insomma, scoprire di avere un fratellastro inglese che non hai mai visto, e poi sapere che fa parte di una delle band più famose del mondo, è troppo in una volta sola.
Oltretutto, ero venuta a saperlo proprio il giorno in cui quello stronzetto del mio prof di matematica aveva fissato una “verifichetta semplice semplice di ripasso”. Su tutto il programma di seconda. Disequazioni comprese. Per la settimana dopo.
Inoltre le cuffiette del mio iPhone erano defunte a metà mattinata, per l’ennesima volta, così mi era toccato ascoltare i discorsi della mia prof di storia su qualcosa che riguardava il Medioevo.
Dire che ero incazzata non rende esattamente in modo corretto la situazione.
Avevo urlato contro a tutti i poveri stolti mortali che avevano osato rivolgermi la parola, Kevin (il mio quasi-migliore amico) compreso.
Appena arrivata a casa, stavo per accasciarmi sulla sedia del tavolo in sala da pranzo dopo un “ciao” borbottato a mia madre, quando mi accorsi che anche mio padre era presente.
E che tutti e due sembravano avere gli occhi lucidi.
Cercando di essere il più cordiale possibile (uno sforzo immane per me, dat che ero davvero affamata) chiesi: “Mamma? Papà? Tutto a posto?”
Loro si guardarono un momento negli occhi – quando lo facevano sembrava si parlassero in una lingua conosciuta solo a loro due, cosa che per me era segno di quanto ancora si amassero-  si girarono verso di me e mia madre rispose: “No, in realtà, Ele. Siediti, dobbiamo dirti qualcosa. “
Io mi sedetti lentamente sul divano. Sembravano sentirsi quasi in colpa. Che mia madre avesse sbagliato il lavaggio del mio maglione preferito, tingendolo di qualche colore orrendo, tipo il giallo? No, a mio padre non sarebbe importato granchè.
Io sorrisi (sembrava probabilmente il ghigno psicopatico di un serial killer, ma ciascuno fa ciò che può e io avevo davvero fame ed ero davvero scazzata) e dissi (leggi: ringhiai): “Certo, ditemi.”
Mia madre prese un respiro profondo, mentre mio padre guardava verso il basso, come se – di nuovo- si sentisse in colpa. “Ele, tu hai un fratello.”
Io guardai i miei genitori con aria scettica e risposi: “No, io ho una sorella.”
Mia madre fece un sorrisetto tirato e rispose: “Non solo. Tu hai anche un fratellastro.”
Io aggrottai le sopracciglia e sbottai: “Ah, sì? E dove è stato per tutto questo tempo, se si può sapere?”
Mio padre sospirò, e mormorò: “Ele, tu … tu non sei la figlia della mamma.”
Io sbuffai e risposi: “Ma certo. Papà, non so se te ne sei accorto, ma non sono esattamente dell’umore per sentire gente che parla per indovinelli.”
Lui si irrigidì, e sospirò di nuovo. Guardò mia – credo- madre negli occhi, come a chiederle scusa, e poi disse a mezza voce: “Ok, allora. Penso di … doverti delle spiegazioni.”
Per i seguenti dieci minuti avevo ascoltato la sua spiegazione, con le labbra serrate in una linea, apparentemente impassibile. Ma dentro stavo crollando. Mi sentivo un’estranea in casa mia.
“Ecco, tu sai che io … ho sempre viaggiato molto per lavoro. In particolare quando … quando ero nell’azienda dove lavoravo prima. E … e una volta ero in viaggio in Inghilterra. Mi sono fermato con dei colleghi a Wolverhampton e ho conosciuto … Karen, tua madre.” L’espressione sconvolta sul mio viso non lo fermò. “Mi ha chiamato dopo qualche mese e mi ha detto che aspettava te.”
Mia – come dovevo chiamarla ora?- madre intervenne e disse: “io non mi sono arrabbiata con lui … Mi aveva già spiegato tutto e avevamo chiarito. Karen ci ha chiesto di tenerti, perché all’epoca aveva problemi economici e aveva già tre figli. Io ti ho adorato fin da subito, e anche tuo padre.”
Mio padre riprese a parlare. “Te l’abbiamo detto solo ora perché anche Liam è venuto a saperlo in questi giorni, e ci ha detto … di volerti conoscere.”
Io chiesi in tono monocorde: “Come si chiama?”
Mio padre mormorò: “Si chiama Liam Payne. Sappiamo che è in una band piuttosto famosa ora … “
Mia madre cercò di fare un sorriso, e disse in tono dolce: “Allora … vuoi conoscerlo?”
Io non dissi nulla. Semplicemente, mi alzai, ripresi il mio zaino di scuola e uscii di casa.
Sapevo perfettamente dove andare. Giulia, la mia migliore amica.
Senza di lei non so sinceramente come avrei fatto a superare tutto. Era riuscita a calmarmi e a farmi ragionare.
Dopo qualche ora, ero tornata a casa. Avevo detto ai miei genitori di voler incontrare Liam. Sarei stata da lui per tutto il periodo delle mie vacanze estive, tre mesi. Avevo bisogno di andarmene da lì, da un posto a cui non ero più sicura di appartenere.
Avevo trascorso il poco tempo che mi separava dalla partenza guardando tutti i concerti, le interviste e i video buffi della band di mio fratello. Credo che nemmeno la più sfegatata delle Directioners potesse aver visto più video di me. Volevo sapere più che potevo su di lui: il modo in cui rideva, il suono della sua voce, come reagiva alle domande imbarazzanti. Avevo sentito la sua voce solo una volta, al cellulare, mentre ci stavamo mettendo d’accordo per il periodo di tempo che avrei trascorso da lui.
Perciò, ecco il motivo per cui in quel momento mi trovavo su un aereo della British Airways, da sola. Con un vicino sgradevole e nemmeno poi così pulito.
Guardai di nuovo fuori dal finestrino, la pista di atterraggio era sempre più vicina. Sbirciai sullo schermo del mio cellulare (avevo attivato l’Airplane Mode, con la mia sfiga avrei potuto anche far precipitare l’aereo) e vidi che erano le due e mezza.
Imprecai – almeno così credevo- a bassa voce.  
Il bodyguard/tuttofare/schiavetto di mio fratello sarebbe arrivato solo due ore dopo. Bè, almeno avrei potuto tentare di rendermi presentabile.
Sussultai mentre le ruote dell’aereo colpivano il cemento della pista.
Ormai mancava poco, l’aereo rallentava sempre di più. Con un gemito d’orrore, mi resi conto che pioveva. Forte.
Naturalmente avevo un ombrello, ma i miei meravigliosi capelli tendevano a trasformarsi in qualcosa di molto simile al mantello di una pecora quando pioveva. Non per niente il mio soprannome era Shawn the Sheep (volevo bene a Giulia, ma quando faceva queste cose l’avrei uccisa. Per vendicarmi l’avevo soprannominata Carmen la Capra).
Così, mi rassegnai al pensiero che mio fratello mi vedesse in uno dei miei momenti peggiori, afferrai la mia megaborsa e mi preparai a scendere dall’aereo.
 
 
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Ero seduta ormai da circa un’ora e mezza nella sala d’aspetto di Heathrow. Ero andata a sistemarmi in bagno circa venticinque volte – non che potessi migliorare di molte il mio aspetto- ma decisi che una volta in più non avrebbe ucciso nessuno. Così, mi avviai trascinando dietro di me la mia valigia di dimensioni bibliche verso il bagno.
Appoggiandomi a un lavandino, mi osservai allo specchio. Wow. Ancora peggio dell’ultima volta che avevo controllato. I miei capelli scuri –quasi neri- erano ridotti a una massa informe, come se due gatti ci avessero appena litigato dentro. Non feci neppure lo sforzo di pettinarli, avrei rotto qualche dente al pettine, probabilmente. Ero pallidissima e le mie occhiaie avrebbero tranquillamente potuto fare concorrenza con quelle di un membro della famiglia Cullen. Sospirai, chiedendomi cosa avrebbe pensato mio fratello di me.
In generale, la mia faccia non mi faceva completamente schifo. Cioè, tranne quando avevo le mie cose oppure le palle veramente girate, cosa che accadeva – purtroppo per chi era costretto a starmi accanto- con una frequenza allarmante.
Avevo gli occhi color nocciola (mia mamma diceva che erano dorati, credo per consolarmi), i capelli neri, nulla di speciale.
Ero bassina, magra, nulla di speciale.
Ero andata a sbirciare le foto delle altre sorelle dei componenti della sua band: erano tutte bellissime, nulla con cui io potessi reggere il confronto.
Sbuffai, allontanando una ciocca di capelli che mi era caduta sul volto.
Improvvisamente, il mio cellulare iniziò a suonare.
Le altre donne che c’erano nel bagno mi squadrarono, scuotendo la testa, mentre mi precipitavo fuori dal bagno alla (quasi) velocità della luce. Erano le quattro e mezza.
Mi guardai freneticamente intorno nell’aeroporto, finche una mano non si posò sulla mia spalla.
Credendo che fosse un Probabile Aggressore/Scippatore, mi girai e gli rifilai una manata violenta sullo stomaco, e lui si piegò in due tossendo per il dolore, mentre ansimava qualcosa che suonava più o meno come “Sister … Payne … bodyguard …”
Oh, merda. Avevo appena colpito il bodyguard di mio fratello. Guardandolo, aveva proprio l’aspetto da guardia del corpo. Era uguale a Dwayne The Rock, forse in un’altra situazione l’avrei trovato divertente. La sua mano era grossa più o meno due volte la mia faccia. Appena mi resi conto dell’errore, mi portai una mano alla bocca, arrossendo furiosamente. Avevo la pessima abitudine di arrossire velocemente e facilmente. Combinazione letale, per chi come me fa figura di merda ovunque e dovunque.
Ululai, in un inglese pessimo:”Oddio, I’m sorry! I tought that you were a thief so …”
Lui, intanto, si era ripreso, e mi aveva sorriso.
“Don’t worry, I’m used to it. Your brother is waiting for you, let’s go.”
Io feci un sorriso stentato e lo segui. Mi sentivo come se qualcuno avesse appena fatto sparire le mie budella. Non era una bella sensazione.
Il mio disagio si acuì quando vidi il mio riflesso: i miei capelli tendevano ad arricciarsi sulle tempie, e ora sembravo la versione mora e bruttina di Shirley Temple.
Chinai la testa, abbacchiata. Mr bodyguard mi chiese, sorridendo: “What’s your name, darling?” Wow, gli piacevo anche se avevo tentato di fracassargli la milza?
“Eleonora. And yours?”
Scommisi con me stessa che si chiamasse Mike, Scott o Dwayne. Un nome da duro, insomma.
“Theodore.”
Tentai disperatamente di non scoppiare a ridere, e il risultato fu che iniziai a tossire convulsamente. Lui sorrise, divertito, e disse: “I know it’s funny, El. You can laugh, I won’t kick you.”
Scoppiai finalmente in una risata liberatoria, e lui rise con me. Beh, almeno su qualcuno avevo fatto buona impressione.
“You have got a good punch, El. And don’t worry, your brother will surely love you.”
Io mormorai: “I’m not really sure about that.”
Lui mi fece l’occhiolino e rispose: “If you want, you can take me as older brother instead of him.”
Ridacchiai, e esclamai: “Of course I will, Theodore.”
Continuammo a parlare per tutto il tragitto, così riuscii a non pensare al fatto che c’era Liam ad aspettarmi.
Quando frenammo, però, mi sembrò che qualcuno mi avesse appena fatto ri-ingoiare le budella che erano sparite poco prima. Ricoprendole di piombo, però.
Presi un respiro profondo e guardai fuori dal finestrino: ci eravamo fermati davanti a una villa in mattoni rossi, in un quartiere residenziale di Londra.
Aveva un giardino sul davanti, sapeva di casa.
Appena scesi dall’auto, il freddo e umido clima londinese mi colpì. Mi strinsi nella mia giacca di pelle e nel mio maglione.
Appena arrivai al vialetto che conduceva alla porta di ingresso, tutte le mie paranoie mi assalirono. E se non gli fossi piaciuta? E se non fossi stata abbastanza? E se non avrebbe più voluto vedermi?
Feci dietrofront. I miei obbiettivi erano, in quest’ordine: le chiavi della macchina, la macchina, l’aeroporto e il mio letto, sul quale meditavo di stare sepolta sotto le coperte.
Purtroppo, la mia fuga venne bloccata da Theodore, che, sbuffando, mi afferrò per la vita, mi caricò sulle sue spalle e senza badare alle mie minacce in italiano mi depositò davanti alla porta e aprì con il suo mazzo di chiavi.
Cercai di nuovo di svicolare, ma mi spinse dentro.
Inciampai sul tappeto che si trovava nell’ingresso, rischiando di rompermi il naso, ma riuscii a aggrapparmi a un tavolino e a non precipitare. Theodore mi osservò divertito scuotendo la testa. Gli lanciai una delle mie occhiate assassine brevettate (riuscire a sopravvivere con quindici maschi in classe affinava questo tipo di abilità) e lui immediatamente smise di ridere. Sembrava quasi spaventato.
Cercando di non iniziare a ridere come una iena per la crisi d’ansia che sentivo vicina, entrai nel soggiorno.
 
 
 
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Entrai con gli occhi piantati a terra, non avevo la forza di alzare lo sguardo (e non volevo inciampare di nuovo in tappetini traditori).
Presi coraggio, alzai lo sguardo, mi stampai in faccia un mega sorrisone falso e mi preparai a presentarmi nel modo più simpatico e originale possibile quando una voce maschile calda e roca disse: “So she was the problem, Liam? Another one of your little whores?”
Scoccai un’occhiata di sufficienza all’idiota che aveva appena parlato. Un’idiota decisamente figo, a dire il vero … ma comunque stupido. Harry, quello con i capelli ricci. Non volendo incazzarmi fin da subito con uno degli amici di mio fratello, lasciai correre.
Un ragazzo alto, con gli occhi scuri e i capelli corti, alzo gli occhi al cielo, si alzò dal divano su cui era seduto prima e disse: “No, Haz. She’s my little sister. You’re welcome, Eleonora.”
Lo guardai in faccia per la prima volta, e mi sentii mancare il respiro. Mio fratello. Mio fratello.
Tutto quello che volevo era che mi abbracciasse, ma non sembrava intenzionato a farlo. In fondo, che cosa dovevo aspettarmi? Non mi conosceva.
Così, tornai a fissare i miei piedi e dissi: “Hi, Liam. Nice to meet you.”
Una voce squillante e allegra esclamò: “Your little sister? You had to told us about her!”
Improvvisamente, realizzai che nella stanza oltre a mio fratello c’erano anche altre quattro persone. Cazzo cazzo cazzo. Rialzai lo sguardo, e osservai con attenzione gli altri quattro componenti degli One Direction. Erano tanto belli quanto sembravano nelle foto. Insomma, non era giusto. Nessuno può essere così carino e bravo a cantare insieme.
Io quando cantavo producevo suoni simili allo sfregamento delle unghie su una lavagna.
  C’erano Louis – quello che aveva appena parlato- che mi sorrideva come se fossi Babbo Natale o qualcosa del genere, Niall, che mi osservava attentamente mentre mangiava un bacchetto di patatine grosso come il mio zaino di scuola – presi nota mentalmente di chiedergli dove ne avesse trovato uno così grande- Zayn, che mi gurdava anche lui come se mi fosse spuntato un terzo occhio, e Harry, l’idiota, che mi fissava scioccato.
Ok, non volevo che gli amici di mio fratello mi odiassero, ma … “So it seems like I’m not one of the “Liam’s little whores”. Think before you speak.” Gli dissi, in tono condiscendente, con un sorriso sprezzante dipinto sul viso.
Lui mi scoccò un’occhiata omicida. Ci ero abituata, perciò non feci una piega e sorrisi amabilmente.
“Whoa, Liam! I can’t believe that she’s so cute!” ululò Niall, sputacchiando patatine dappertutto. Io diventai paonazza, e abbassai lo sguardo verso il pavimento. Liam borbottò: “Keep calm, Niall. She’s too little and …”
Zayn fece un sorriso furbo e rispose: “Don’t think so, bro. How old are you, honey?”
Borbottai qualcosa di simile a un “Sixteen”.
Zayn continuò a sorridere, sempre più divertito, dato che il cipiglio di Liam si stava incupendo. “Seen, Li? I always feel so alone since Perrie left me …”
Niall lo stoppò, gridando: “Shut up, bro. I saw here before you so …”
Io sbarrai gli occhi e li fissai, sorpresa. Quella conversazione era sicuramente una presa per il culo nei miei confronti, e non avevo intenzione di stare lì ad ascoltarli. Soprattutto non con Harry che continuava a fissarmi come se gli avessi bruciato la macchina, e che disse al biondino: “I think you deserve better, Niall. I’m gonna take her.”
Non avevo intenzione di fare una delle mie solite scenate isteriche in stile tragedia greca/ Sharpay Evans , perciò feci un sorriso tirato a Liam e gli chiesi: “Can you show me my room, please?”
Lui mi osservò, confuso e un po’ rattristato: “Don’t you want to stay here a little bit longer?”
Io gli sorrisi, rassicurante, e dissi: “I’m sorry, but I’m a little tired …”
Lui disse, ancora un po’ triste: “Sure. Follow me.”
Così salimmo al piano superiore. Vidi circa dieci porte affacciate su un corridoio. Il pavimento era di parquet in legno chiaro, lucido, e scommisi con me stessa che da solo valesse circa due volte casa mia.
Aprì la porta dell’ultima camera a destra – probabilmente ci avrei messo giorni prima di ricordarmi quale fosse- e si spostò per lasciar passare me e la mia valigia. L’unica parola che mi veniva in mente era wow.
Era spaziosa, con un letto a due piazze, e un armadio enorme. Avevo una scusa in più per fare shopping, non che me ne servissero.
“Wow, è fantastica! Cioè, it’s wonderful!”. Senza pensare a quello che stavo facendo, mi buttai su di lui e lo abbracciai.
Lui si irrigidì, e si allontanò di scatto, staccandosi da me.
Anche io mi allontanai velocemente di tre passi, e con un sorrisetto tirato dissi: “If you don’t mind I need time to clean my room. I won’t take dinner, I’m not hungry.”
Lui cercò di avvicinarsi di più a me, ma io indietreggiai nuovamente.
Sospirò e mormorò un: “Ok.” Piuttosto dispiaciuto, prima di tornare in corridoio, chiudendo la porta.
Io mi buttai, sul letto, impedendomi di pensare a ciò che era appena successo. Avrei avuto tempo dopo per una crisi di pianto, ora dovevo sistemare la stanza e avvertire Giulia che non ero fuggita per il terrore.
Così presi il telefono e aprii WeChat.
La mia migliore amica era online, così aprii una videochiamata. Appena lo schermo mostrò l’immagine della sua faccia, mi accorsi che ero nei guai. Era incazzata. Parecchio incazzata.
“Perché cazzo non mi hai avvisato prima che eri arrivata? Credevo che tu fossi scappata a Londra e che ti avessero stuprato o ucciso e che non ti avrei più rivisto e che non mi avresti più prestato il tuo maglione rosso …”
“Grazie, Giu, ti amo anche io … “ bofonchiai roteando gli occhi.
Lei rise, divertita, e poi, con una luce maniacale negli occhi, esclamò: “Ok, ora raccontami tutto.”
 
 
 
 
                    *     *   *   *   *   *   *   *   *   *
 
 
Ero – contro ogni aspettativa- sopravvissuta a due ore di videochiamata con Giulia ed ero riuscita a far stare tutti i miei vestiti nell’armadio, gli shampoo, gli scrub e le maschere in bagno e i libri sugli scaffali, anche se avevo la testa piena di bernoccoli, provocati da qualche libro particolarmente pesante che mi era caduto in testa.
Ok, avevo finito.
Non avevo più nulla a cui pensare a parte Liam.
Mi buttai sul letto, raggomitolandomi, e scoppiai a piangere, soffocando il singhiozzo nel cuscino.
Piangevo per Liam, piangevo perché non mi sentivo abbastanza bella o speciale per meritare di essere sua sorella, piangevo perché mi mancava la mia famiglia di prima, piangevo per quello che aveva detto Harry, che non ero abbastanza neppure per Niall.
Piansi finché non diventai esausta e i singhiozzi si affievolirono.
Respirai profondamente un paio di volte, e decisi che era ora di riprendersi.
Sapevo che non avrei più pianto; dovevo solo sfogarmi, poi sarei riuscita ad affrontare la situazione lucidamente.
Mi alzai dal letto e mi diressi verso il bagno.
Mi osservai nello specchio, e per poco non strillai per lo spavento.
Sembravo Samara.
Il mascara e la matita erano colati fino al manto, avevo gli occhi arrossati e gonfi, e i capelli che sembravano una di quelle allegre balle di fieno che si vedono nelle fattorie.
“Santo cielo!” sbottai.
Avevo trascorso ore per cercare di risultare decente. Perché, perché, perché esistevano le crisi di panico?
Tirai fuori lo struccante dal beauty-case e cecai di togliere quella specie di maschera che si era formata sulla mia faccia, e di domare i miei capelli.
Mi ci volle un quarto d’ora, e dico solo questo.
Tornai nella mia stanza e vidi che erano circa le otto, ma ero comunque spossata.
Così tirai fuori da uno dei cassetti – ero orgogliosa di essere riuscita a sistemare tutto, e di essere anche riuscita a chiudere l’armadio- il mio pigiama, che consisteva in una improbabile maglietta nera di mio padre con un camion sul davanti. Davvero imbarazzante, ma non sarei mai stata una ragazza sexy neppure se ci avessi provato, perciò non aveva senso farlo.
Chiusi le tende, lasciando uno spiraglio che faceva passare le luci di Londra – adoravo le tende, in Italia avevo le tapparelle, che puntualmente riuscivo a far uscire dai cardini tutte le volte che le tiravo su - mi buttai sotto le coperte, tirandole su fino al mento e chiusi gli occhi.
 
 
 
Mi ero appena appisolata, quando il bussare insistente di qualcuno alla porta mi fece alzare di scatto dal letto. Cioè, cercai di alzarmi, dato che ero arrotolata nel piumino. Ricordandomi che avevo chiuso a chiave la porta, tentai di scendere dal materasso, senza spaccarmi il naso sul parquet e aprii la porta.
Mi si parò davanti un sorridente Niall, che però, vedendo la mia faccia – evidentemente gli occhi erano ancora gonfi e rossi- smise di sorridere.
“Everything’s ok?” mormorò, preoccupato, cercando di guardarmi negli occhi.
Io abbassai lo sguardo e risposi, cercando di essere convincente: “Sure, Niall. Do you nee-“ lui mi interruppe, sbuffando, e borbottò: “You aren’t ok, I’m not stupid.”
Mi afferrò il mento e mi costrinse a fissarlo negli occhi, mormorando: “If you need someone to talk with, I’m here. And I’m sure you need someone. So … why were you crying?”
Entail di negare, ma una sua occhiataccia mi fece desistere.
Così dovetti farlo entrare in camera mia, e gli dissi del abbraccio mancato con Liam.
Lui mi osservò per qualche secondo, poi si alzò di scatto dal letto e sbottò: “I’m gonna talk with that moron about that.”
Io lo afferrai per un braccio, e in tono supplichevole gli dissi: “No, please, it’s ok, it’s ok. I don’t wanna have troubles with him, please …”
Lui mi lanciò un’occhiataccia e ignorando la mia richiesta, disse: “Do you want to go downstairs for dinner?”
Io abbassai di nuovo lo sguardo, tolsi la mano dal suo braccio e scossi la testa. Lui rimase fermo per qualche secondo, dopodiché si avvicinò a me e mi abbracciò.
Io, sorpresa, non ricambiai subito, ma dopo qualche attimo mi rilassai e ricambiai, seppellendo il viso nella sua maglietta.
Dopo parecchio tempo, si staccò da me sorridendo dolcemente, mi scompigliò i capelli – cazzo, pure lui ci si metteva- e scese le scale. Merda.
 





Angolo autrice
Ciao a tuttii :33 Mi farebbe un sacco piacere se recensiste, soprattutto se pensate che c'è qualcosa che non vada, almeno miglioro. Baci <3 <3
  
  
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