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Autore: Black Talia    21/02/2008    2 recensioni
Un'adolescente alla ricerca dell'anima gemella alle prese con le manie e le insicurezze tipiche di quest'età. La solita storiella sdolcinata? No, dal momento che, accompagnando la fanciulla nel suo rimorchio-tour vi ritroverete faccia a faccia con assurde diete dimagranti ed impomatati maschietti alle prese con impetose strisce depilatorie.
Genere: Romantico, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi dispiace per il ritardo, comunque ecco il nuovo capitolo! Ringrazio L-Fy, Crazy Dark Queen, Laura Joe, Gabry, Aleptos e bluemary per i loro commenti.




Tipi da spiaggia


La scuola è terminata. L’odioso trillo della sveglia non infrangerà più i miei sconci sogni tra le braccia del macho azzurro, niente più cornflakes svampiti con tanto di galleggianti scaglie di cioccolato rinsecchite. Soltanto cornetti ripieni di goduriosa crema al cacao, appena munta dalla celebre mucca viola, allieteranno me e le mie maniglie dell’amore per colazione. Nessuno sdentato e sputacchiante docente di fisica si aggirerà tra i banchi scuotendo energicamente il suo pacco regalo: “Scavicchi ma non apra la prego”!
Saranno la frizzante ebbrezza di libertà che la calda stagione infonde in ognuno di noi e le esaltanti aspettative di un’estate all’insegna del rimorchio, ma una soave sensazione mi ha pervasa, facendomi sentire calda e ammaliante come un polpettone ripieno appena sfornato.
Dopo tre giorni di estenuanti preparativi, i miei bagagli sono finalmente pronti: una valigia contenente il mio armadio a tre ante maniacalmente stirato e inamidato troneggia sul pavimento della mia stanza e poi lì, in un angolino, l’arma di seduzione di ogni donzella: il beauty case. Sarebbe, infatti, fatica sprecata e occhio da panda assicurato dire ad una donna di rinunciare al proprio balsamo anti-doppie punte, l’equivalente di imporre alla lavatrice di rinunciare al Coccolino (ho sempre pensato che tra i due ci fosse del tenero… Maledetto orsacchiotto arrapato!).
Esco trafelata dal bagno, sulla mia testa troneggia un asciugamano che intrappola brutalmente la mia chioma facendomi assomigliare ad un gigantesco cotton-fioc ed indossando pattine di almeno due misure più grandi mi dirigo a colpi di “sciaf, sciaf” in camera da letto, non prima di aver sgraffignato una manciata di patatine fritte dal tavolo della cucina e aver, conseguentemente, elaborato complessi calcoli mentali sulla sconsiderata quantità di grassi e calorie che avrei trangugiato, per poi concludere con un esausto: “Al diavolo la dieta e al diavolo Pitagora!”
Appena il mio elegante piedino, ossia uno sfilatino di aromi e dimensioni trollesche, si posa delicatamente sul parquet della mia stanza, scorgo di fronte a me i bagagli e un guizzo di malizia mi attraversa il volto, rimandando la mia mente all’allettante progetto di conquista sfrenata del mio uomo ideale, che risponde al nome di “Tutto purché respiri”.
Mi siedo sul letto, contemplando i resti di autoabbronzante posati maldestramente sulle mie gambe, e penso che quel subdolo liquido giallastro stia a me come l’aglio sta al primo appuntamento, mentre mi lecco il pollice gustandomi gli, ahimè, ultimi rimasugli di nachos.
Dopo aver salutato e pazientemente ascoltato le interminabili raccomandazioni di colei soltanto che anche a Ferragosto ti guarda e asserisce con tono preoccupato “Copriti e mi raccomando non prendere freddo”, esco di casa trafelata, con gli aloni di sudore che già spuntano infidi sulla mia camicetta, e mi dirigo al piazzale degli autobus che, Dio lo benedica, si trova esattamente di fronte al vialetto di casa mia.
Avanzano impietose le malefiche pezze mentre io cammino cercando di darmi un tono; guardo il pullman, che mi avrebbe portato nel paradiso dell’ormone, come un’oasi ormai non troppo lontana: addominali scolpiti, chiappe sode e muscolose hanno infestato i miei sogni proibiti negli ultimi mesi e adesso le più sconce fantasie si realizzeranno.
Arrivata nel vasto piazzale affollato, ormai sfinita dalla canicola, guardo speranzosa di un aiuto per i bagagli l’omino dinoccolato che, da un’incantevole fototessera appuntata sulla sua divisa cremisi, deduco essere l’autista. Suddetta foto mette in risalto tutta la prorompente mascolinità racchiusa in quel sorriso tenebroso e scanzonato. Io lo osservo perplessa, per qualche secondo rimango intontita dinanzi alla tonalità giallo catarifrangente degli incisivi, abbinata in maniera impeccabile alla giacca, la quale, sapientemente sbottonata, lascia intravedere le villosità più sensuali che avessi mai ammirato, dopo i folti peli che spuntavano spavaldi dal naso dello zio Gino.
Apro e chiudo inebetita le labbra, incapace di sprigionare la profonda commozione che si aggrappa ai miei occhi, scaturita dal fetido aroma di cipolla ascellare che allieta l’atmosfera. Mi volto e ogni dubbio sembra avere una risposta quando i miei occhi, ormai lacrimanti per l’odore pungente, incrociano quelli di un energumeno piazzato come un armadio a quattro ante Ikea, dalle misure che si aggirano intorno ai 106-12-98, specificando che nel suo caso 12 non è la circonferenza della vita; l’individuo mi squadra da capo a piedi con le braccia incrociate dietro la nuca, aumentando in tal modo del 15% l’inquinamento atmosferico globale, e asserisce delicatamente: “A sordo de cacio che ta a dai na mossa a salì sur bus o me devo pià n’mese de ferie?”
Altrettanto delicata, sorrido sfoderando tutta la classe appresa prendendo appunti dagli scaricatori di porto e ribatto alla garbata richiesta: “Ma piatene pure due si nun c’hai tempo de lavatte!”
Dopo aver ascoltato le imprecazioni del coatto nazionale, l’autista sembra aver compreso la situazione e si affretta servizievole a caricare i miei averi nel pullman; io allora ringrazio e salgo nel mezzo, accolta da una piacevole sensazione refrigerante.
Percorrendo il corridoio rifletto sulla maniera sconcertante con cui il mio sacro rimorchio tour ha avuto inizio, continuando nella mia profonda meditazione decido di prendere posto accanto al finestrino di una delle ultime file, dal quale in lontananza intravedo un miraggio, un’oasi fertile e rigogliosa in un deserto arido e incolto, un manzo moro, abbronzato e dal fisico statuario.
Mi asciugo le bave gocciolanti e lo osservo mentre cammina lungo l’asfalto infiammato, sale sul pullman (perdo tre anni di vita cercando di trattenere l’entusiasmo che mi assale), avanza con sguardo languido verso il mio sedile (quattro anni), sorride verso di me (sto già pensando di scavarmi la fossa), supera il mio posto (mi tuffo dentro la fossa), si siede due posti dopo il mio e guarda ammaliante il fusto con cui avevo avuto il piacere di conversare poco prima e soavi come un gattino fra i maroni le sue parole mi lacerano i timpani: “Ciao amore, scusa ma ho trovato traffico”.
Il pullman inizia lento a muoversi ed io, dopo aver coperto la fossa, saluto il mio paese e per un attimo mi sento come quella polla di Lucia Mondella, credendo nell’amore eterno e salutando, come lei aveva fatto con i suoi monti, i cassonetti e gli spacciatori.

  
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