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Autore: Aetherios    16/08/2013    0 recensioni
La storia di una ragazza che dalla morte della madre ha visto il suo mondo cambiare.
Tutto ciò che credeva era solo finzione e la sua favola viene distrutta da chi più amava.
L'amore. Ogni tipo di amore.
Tema centrale della sua vita, l'amore le ha offerto il paradiso ma soprattutto l'inferno.
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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12 Giugno 2003

 

Isabelle era nella sua stanza. Nessuno le aveva spiegato realmente cosa era successo ma non aveva bisogno di sapere, lei aveva visto. Neanche la persona con la più fervida fantasia poteva immaginare una cosa del genere, eppure lei, aveva visto tutto. La sua tata, Maddalena, le aveva fatto indossare un vestito nero, uno di quelli che Isabelle odiava. Troppo stretto, troppo nero, troppo triste, ma, come avevano detto loro, era adatto all'occasione. Un funerale. Il primo a cui Isabelle partecipava ed era proprio quello della madre. Strano il destino, il giorno prima la piccola Isa non sapeva minimamente cosa fosse la morte, invece in quel momento ne era completamente impregnata, ne poteva percepire l'odore, un odore acre e spiacevole, un odore di fiori, bianchi, che riempivano la casa. Era seduta sul suo letto, era già pronta, aveva persino un nastro di raso nero fra i capelli, doveva essere perfetta, quindi non doveva essere se stessa. La porta della stanza si aprì e Maddalena entrò nella stanza e annunciò semplicemente ''E' ora di andare''. Aveva le lacrime agli occhi, quella donna, la sua secondo mamma, non aveva smesso di piangere, invece Isabelle non aveva versato una lacrima, persino sua fratello Sebastien, che non piangeva mai, neanche quando si era rotto un braccio, era in lacrime in camera sua. Con un piccolo balzo Isabelle scese dal letto e prese la mano di Maddalena.

-Dov'è papà?

Chiese semplicemente ma la donna non disse nulla, il silenzio era rotto solo dai suoi singhiozzi disperati. Isabelle si sentiva male, lei non riusciva a piangere, perché? Era una bambina cattiva?

Uscirono dalla casa ed entrarono in auto, stranamente guidava Bernard, il padre, anch'esso vestito di nero, in un elegante completo con una camicia candida e una cravatta nera. Vestito come lui, seduto accanto al padre, c'era Sebastien. Aveva gli occhi lucidi, rossi, segnati da ore di pianto. Lui si voltò verso di lei e Isabelle non riuscì a tenere il suo sguardo così abbassò gli occhi, non riusciva a guardare suo fratello in quelle condizioni. Arrivarono in chiesa, c'era un sacco di gente, gente che Isabelle non conosceva. Si sedettero ai primi banchi, davanti a loro c'era una bara ricoperta completamente di rose bianche con una sola rosa rossa, in mezzo e la foto di Michelle, la mamma, di fronte ad essa. Dietro di lei si udivano persone che parlucchiavano, altre piangevano, altre rimanevano in silenzio ascoltando il parroco che parlava di morte, di rinascita, di perdono e di compassione. Isabelle lo ascoltò poco o niente, fissa sulla fotografia della mamma, lei si ricordava bene quando era stata scattata quella foto, erano nelle campagne parigine, l'estate di un anno fa o forse due, Bernard aveva chiesto alla moglie di girarsi e a sorpresa le aveva scattato una foto. Nonostante tutto fosse stato improvviso, quella fotografia era la preferita di Isabelle, mostrava davvero la sua mamma. Dopo quasi un'ora uscirono dalla chiesa, lei non aveva mai lasciato la mano di Maddalena e suo padre non le aveva degnato di uno sguardo, neanche quando la bara fu portata al cimitero e sepolta sotto un cumulo di terra. La gente si avvicinava a lei, sconosciuti che dicevano di aver conosciuto sua madre, lei dicevano ''Condoglianze'', ''Mi dispiace'', ''Fatti forza'', parole per Isa quasi inutili, neanche le loro lacrime erano utili, non l'avrebbero portata indietro, quindi perché piangere? ''Maddalena, accompagna a casa Isabelle''.

-Papà....

Disse semplicemente la bambina ma il padre di nuovo, nonostante avesse udito tutto, non la degnò di uno sguardo. Isabelle si sentì responsabile, Bernard la ignorava ogni qual volta lei faceva qualcosa di male finché la bambina non si arrendeva e diceva ''Scusami, ho sbagliato'' e tutto tornava alla normalità, ma stavolta cosa aveva fatto di male?

Maddalena la portò a casa, le preparò la cena e le rimboccò le coperte con la promessa che tutto sarebbe andato per il meglio ma Isabelle sapeva che non era così, nulla sarebbe stato più lo stesso, neanche lei.

 

Quattro mesi dopo.

 

L'estate era passata velocemente, la casa si era riempita di persone che volevano dare una mano ma Bernard aveva cacciato tutti dicendo che tutto andava per il meglio. Il giorno dopo il funerale lui era già tornato nel suo ospedale invece Sebastien era sempre arrabbiato, se la prendeva con tutto e con tutti, persino con Isabelle che cercava di capire suo fratello ma non ci riusciva. Maddalena l'aiutava a far tutto ma lei era caduta in un silenzio doloroso, Isabelle, la logorroica della casa, quella bambina che non si teneva un fagiolo in bocca neanche a pagarla, non parlava più, se non interpellata e le risposte erano brevi, spesso con un semplice ''Si'' o un semplice '' No'', niente più di questo. Bernard sperava che con l'inizio della scuola tutto sarebbe tornato come prima ma come poteva pensare una cosa del genere? Possibile che non capiva ciò che provasse la figlia?

C'era un nuovo arrivo a casa Rousseau, alcuni amici avevano consigliato a Bernard di comprare un cucciolo a Isabelle, e quel piccolo cane, Shiba, ora le faceva compagnia.

-Perché devo tenerlo io? Non lo puoi dare a Seb?

Aveva protestato la bambina, non voleva occuparsi di un cane, doveva pensare a studiare, doveva iniziare la quarta elementare. ''Ma è così carina. Non ti piace? Sicuramente diventerete ottime amiche'', l'aveva incalzata Maddalena.

-Non mi piace.

Dopo un mese dall'inizio della scuola le cose non erano cambiate, anzi, forse erano peggiorate. Isabelle non usciva più di casa, con la scusa dei compiti non faceva altro che passare interi giorni nella sua stanza, scendendo solo per il pranzo o per la cena che consumava quasi sempre sola con Maddalena, Bernard e Sebastien non c'erano quasi mai.

''Dobbiamo fare qualcosa'' ''Non tocca neanche il pianoforte'' ''Forse dovremmo portarla da un medico'', erano questi i discorsi che ascoltava Isabelle quando si nascondeva dietro le porte. Aveva una malattia? Cosa stava facendo di sbagliato? Eppure era sempre un'allieva modello e non disubidiva mai ne al padre ne a Maddalena. ''Domani la porto da un mio amico, tutto tornerà come prima''. Isabelle odiava quella frase, nulla sarebbe mai tornato come prima, tanto meno lei.

Il giorno dopo Maddalena le fece indossare un nuovo vestito, Isabelle avrebbe dovuto parlare con un signore, un dottore della testa, che l'avrebbe aiutata ma lei non si sentiva bisognosa d'aiuto? Lei era così, semplicemente. Per la prima volta, dopo mesi, Bernard e sua figlia si ritrovarono da soli, nel tragitto in macchina fra la loro casa e l'ufficio del dottore. Non proferirono una singola parola, Isabelle percepiva solo i loro respiri e il battito del proprio cuore, nulla di più.

Dopo quasi una mezz'ora di strada, finalmente arrivarono dal dottor. Conrad, un esperto di psicologia infantile, così c'era scritto sulla targhetta appesa alla porta. Il dottore era uno strano tipo, leggermente panciuto, con due baffoni grigi sotto il naso che nascondevano un leggero sorriso, sempre stampato in faccia, ad Isabelle quell'uomo faceva simpatia. La bambina si sedette sulla poltrona di fronte al medico ed esso iniziò a farle delle domande, tante domande, a cui Isabelle rispose sempre, con lo sguardo fisso su di lui, senza tradire la minima emozione. Per un attimo il sorriso sul volto del dottor Conrad scomparve e le chiese di andare nella camera affianco a giocare con delle bambole. ''E' molto più grave di quanto pensassi, non è una reazione normale per una bambina di dieci anni''. Furono queste le uniche parole che riuscì a percepire, poi il vuoto. Isabelle si sedette sulla sedia ma non toccò quelle bambole poggiate sul tavolo di fronte ad essa. Passarono dieci minuti, forse un quarto d'ora, e Bernard e il dottore entrarono nella stanza e si avvicinarono a lei. ''Piccola, che ne dici di fare amicizia con altri bambini?'', non era Bernard a parlare ma il dottore, neanche in quel caso il padre aveva rivolto la parola a sua figlia. Isabelle annuì senza neanche sapere a cosa andasse incontro. Prese la mano del dottore ed entrarono in un'altra sala, un po' più grande e con molti più giocattoli. C'erano cinque bambini, tre maschi e due femmine, giocavano fra loro. ''Perché non provi a far amicizia? Anche loro sono come te.'' Disse il dottore la lasciarono da soli, lì. Perché erano come lei? Ecco ciò che si chiedeva Isabelle. Le due bambine giocavano a prendere il thè, lei le guardò con una faccia schifata, altri due bambini invece combattevano, si picchiavano e nessuno arrivava a separarli. Seduto su una sedia, in fondo, c'era l'ultimo bambino, piangeva in silenzio e guardava il pavimento oramai bagnato dalle sue lacrime. Isabelle curiosa si avvicinò.

-Perché piangi?

Il bambino alzò la testa verso di lei, il suo volto era bagnato di lacrime, singhiozzò un'altra volta e poi finalmente si decise a parlare ''La mia mamma, lei è morta''. Isabelle si sedette accanto a lui, pensò subito che anche la sua mamma era morta ma lei non stava piangendo, forse era quello il comportamento sbagliato per cui il padre non le parlava, forse doveva piangere. Isabelle abbassò il viso e chiuse gli occhi stringendoli con forza, doveva piangere, doveva riuscirci, così il padre le avrebbe rivolto di nuovo la parola. Strinse i pugni con forza, cercò di concentrarsi ma quello che ottenne fu solo un ''Sembri un pomodoro'' dal bambino al suo fianco. Era diventata rossa in viso e aveva gli occhi lucidi ma per la rabbia.

-Sei solo uno stupido, anche la mia mamma è morta ma io non frigno come un neonato.

Disse Isabelle alzando la voce e il sorriso di presa in giro che il bambino aveva sul volto, scomparì in meno di un secondo lasciando lo spazio ad un nuovo pianto, ancora più insopportabile.

Sembrava più grande di lei, forse di due o tre anni, forse andava già alle scuole medie, eppure era lì, a piangere davanti ad Isabelle. Lei si sentì subito responsabile, in fondo con quella faccia da ''pomodoro'' l'aveva fatto anche sorridere.

-Io mi chiamo Isabelle...

Disse la bambina strusciando i piedi sul pavimento, le scarpe nuove le provocavano fastidio. ''Io mi chiamo PIERRE'', disse lui asciugandosi le lacrime con la manica della felpa.

-Fai le scuole medie?

Chiese curiosa Isabelle, per lei era un sogno cambiare scuola. ''La seconda media'', disse lui, ora orgoglioso, con un sorriso sul viso, un sorriso ancora bagnato da quelle lacrime che incontrollate non smettevano di scendere.

-La seconda media? Hai 13 anni quindi, io ne ho 10.

Disse sorridendo Isabelle e lui l'apostrofò ''Sei una bambina''. Venne infastidita da ciò che disse il ragazzino così con una spinta improvvisa lo fece cadere a terra.

-Tu sei un bambino, tu piangi come un bambino, tu ti fai buttare a terra da una bambina di 10 anni.

Isabelle si sentì per un attimo forte ma quel momento fu interrotto dal dottor Conrad che entrò nella stanza prendendo in braccio la bambina e portandola via. Isabelle si poggiò sulla spalla dell'uomo guardando indietro, vedendo ancora quel ragazzino a terra che la guardava con gli occhi spalancati, color nocciola, illuminati da qualcosa di nuovo ma ancora scosso per la reazione della bambina. Isabelle aveva avuto una reazione, negativa, ma pur sempre una reazione. I due dottori capirono che quella nuova tecnica avrebbe potuto aiutarla a tornare di nuovo alla normalità. Quella di della bambina non fu la prima visita, ce ne furono altre, così come gli incontri fra Isabelle e Pierre. I due bambini avevano trovato qualcosa, qualcosa che non riuscivano ancora a definire ma sicuramente avrebbe aiutato sia l'uno che l'altro ad attraversare il dolore oramai radicato dentro di loro.

   
 
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