Fandom: CSI
Tipologia:
one
shot
Rating:
per
tutti
Genere:
introspettivo,
generale, triste
Personaggi:
Heather
Kessler, Gil Grissom
Pairing:
vaghi
accenni a Heather/Grissom
Epoca: ambientata appena
dopo la fine della puntata 6x15 – Pirates of Third Reich
Avvertimenti:
nessuno
Riassunto:
Gil
Grissom dopo aver impedito a Heather di commettere una sciocchezza di cui si sarebbe
pentita, la porta a casa sua, piangente, per cercare di lenirle un po’ del
dolore che stava provando.
Disclaimer:
anche
se Gil lo vorrei tutto tutto per me, non mi appartiene, purtroppo :D i
personaggi appartengono alla CBS, a Jerry Bruckheimer e a chi li ha creati.
Persone fortunelle U.U
Dunque, dopo aver amato alla follia questa
serie (e spin-off vari) da quando tanti tanti anni fa ho visto per la prima
volta una strana pubblicità su Italia 1, mi decido a pubblicare qualcosa su
questo fandom anche se sono ancora molto intimorita proprio per l’amore che ho
di questo programma.
Ormai, però, non ho più scuse, quindi mi
butto! :D
Trovo che la storia d’amore tra Gil e Sara
sia molto bella, ma è più forte di me, io Grissom lo vedo con Lady Heather, non
posso farci niente, sono troppo belli insieme.
Questo è solo un piccolo omaggio, sperando di
aver mantenuto i personaggi per quello che sono, in caso contrario sono ben
accette critiche e quant’altro, amo molto questi personaggi e questa serie, per
cui sarebbe per me un enorme dispiacere averli snaturati.
Vi lascio alla lettura, spero, piacevole!
Una croce stretta tra le dita
Heather
stringeva con forza la croce che lui le aveva restituito, dopo averla ritrovata
sul pavimento di quella casa, mentre le lacrime continuavano a rigarle il
volto, cercando a stento di restare impassibile e non permettere a quell’uomo
di osservare il suo dolore.
Lui
ormai non aveva più il diritto di oltrepassare quel sottile velo che c’era tra
di loro, lo aveva perso da anni, così diversi e così simili, così legati un tempo
e poi divisi in un attimo, in una parola che aveva chiuso tutto.
Una
parola che aveva pronunciato tanti anni prima, lui, così inesperto del suo
mondo, ma così affascinato e affascinante che aveva ammaliato persino lei con
poche parole e una leggera carezza.
Stringeva
la croce Heather mentre lui la guardava con quei suoi occhi blu di un mare
profondo che avrebbe voluto che la inghiottisse in quell’istante così da poter
tornare da sua figlia, dalla sua piccola paffuta bimba che le sorrideva appena
nata, mentre la stringeva tra le mani, in quell’abbraccio sicuro e intimo che
solo una madre è in grado di compiere.
Lei,
però, non era stata in grado di proteggere sua figlia, era finita in un
deserto, costretta a mangiarsi la sua stessa mano, costretta a ogni secondo di
quell’orrore che lei non era stata capace di evitarle.
Come
poteva definirsi ancora una madre dopo tutto quello?
Come
poteva lui guardarla in quel modo?
Aveva
sentito la rabbia impossessarsi di lei a ogni frustata inflitta a quell’uomo,
quel mostro che le aveva portato via la sua bambina, la sua piccola e unica
figlia che non avrebbe mai più rincontrato e ogni volta che avrebbe chiuso gli
occhi, l’avrebbe vista su quel freddo letto d’acciaio e i ricordi del suo
sorriso e dei suoi occhi sarebbero per sempre scivolati via come sabbia tra le
dita.
Quelle
stesse dita che stringevano la croce, ancora e ancora, anche quando lo sguardo
dell’uomo si era fatto più vicino e il suo respiro le gelava la pelle, perché
nulla sarebbe riuscito a scaldarle quel gelo che si stava via via impossessando
di lei, del suo corpo, della sua anima, di quel cuore che aveva smesso di
battere non appena l’aveva guardata ormai morta, giacente in un anonimo
obitorio, cadavere tra tanti.
No,
lei non era uno tra tanti, lei era la sua bambina, quella piccola peste che le
correva lontano e rideva, rideva senza lasciarsi afferrare, e lei felice le andava
dietro, attenta a ogni caduta di quell’esile creatura che aveva appena imparato
a camminare velocemente.
E
poi l’afferrava, facendola volare, volare lontano, librandosi in quei sogni che
avrebbe avuto tutta una vita per realizzarli, e invece qualcun altro l’aveva
afferrata di nuovo, strappata al volo materno, alla vita.
La
sua piccola Zoë.
Continuò
a stringere la croce anche quando le prese le mani tra le sue, in quel gesto
che sapeva, essere così intimo e profondo per lui, così restio a qualsiasi
contatto umano, così timoroso di ciò che un’altra persona avrebbe potuto
scorgere in lui se si fosse avvicinato troppo.
E
lei lo aveva conosciuto, forse meglio di chiunque altro, le aveva permesso di
avvicinarsi, di toccare il suo mondo, e lei lo aveva fatto, e aveva ceduto a
quegli occhi blu e alla sua mente, e si era bruciata. Si era bruciata a fondo e
ancora sentiva il calore provenire da quelle scottature che le aveva lasciato dopo
quella notte.
Aveva
pensato spesso a lui, ma mese dopo mese il suo viso era scemato e la sua voce,
un lontano ricordo, ed era strano che fossero passati così tanti anni dal loro
ultimo incontro, in fondo Las Vegas era una piccola città e prima o poi ci s’imbatteva
anche nella persona che si cercava di evitare.
E
lei lo aveva evitato, anche se era stato facile, molto facile, visti i loro
mondi così distanti, che sarebbe stato più probabile incontrarsi per caso in
qualche capitale europea come semplici turisti americani.
Sorrise
a quel pensiero che per un attimo la trasportò via dal suo dolore, in una di
quelle città dove avrebbe camminato per ore insieme a sua figlia senza perdersi
neppure un piccolo angolo di quei posti, neppure un volto, una ruga, un odore o
un suono.
E
poi forse sarebbe apparso lui, quell’uomo che ancora le stringeva le mani e si
avvicinava a lei poco a poco, e avrebbero parlato e parlato fino a prosciugarsi
la gola, perché era sicura che a Zoë, Gil Grissom sarebbe piaciuto e l’avrebbe
colpita, così come aveva colpito lei anni prima, quando tutto andava bene e lui
le guardava le labbra.
«Dovrei
andare adesso.»
«Non
ti lascio andare a casa da sola in queste condizioni» perché non la lasciava
andare e si dimenticava nuovamente di lei? Era stato lui a mettere la parola
fine, come qualunque sottomesso, aveva il potere di dire basta, e lo aveva
fatto. Si era sottomesso a dei sentimenti, prendendo a calci l’importanza
primaria e unica che dava al lavoro, e lo aveva fatto per lei, soltanto per
lei.
Poi
aveva detto basta, aveva sigillato e gettato via tutto quello, come se fosse
stata cosa di poco conto, come se quel tè fosse stato soltanto quello, come se
i loro discorsi fossero stati soltanto l’ennesima indagine, l’ennesimo studio
da compiere. Come se quelle carezze e quei tocchi fossero stati soltanto un
sogno, qualcosa di mai avvenuto.
Eppure
poteva ricordare ancora adesso il sapore delle sue labbra, la sensazione che
aveva provato quando aveva frantumato quella barriera che lo divideva dal mondo,
avvicinandosi a lei, passo dopo passo.
Ed
era tutto svanito, e ora non aveva più alcun diritto di dirle cosa doveva o non
doveva fare, l’aveva trascinata lì soltanto perché era troppo sconvolta per
opporsi, troppo addolorata per allontanarlo.
In
fondo, in quel momento, aveva avuto bisogno di lui, dei suoi occhi, della sua
voce, del suo abbraccio e del suo conforto, lo sapeva, ed era inutile mentire a
se stessa.
Adesso,
però, aveva ripreso quel controllo perduto nel deserto, e in quel momento non
poteva permettere a quell’uomo di toccarla dentro, anche se non ci sarebbe mai
stato un momento perfetto per lasciarglielo fare.
Semplicemente,
Gil Grissom non aveva più il diritto di far parte della sua vita.
Allora
perché non riusciva ad alzarsi e andarsene da lì? Ad allontanare quelle mani
così forti che iniziavano a darle un insperato tepore?
Zoë
non c’era più, la mostruosità dell’uomo se l’era portata via, gliel’aveva
strappata per sempre e lei aveva bisogno di quel contatto, in quell’istante aveva
bisogno di Gil perché sapeva che lui avrebbe rispettato il suo dolore, avrebbe
rispettato le sue lacrime e i suoi silenzi, lo avrebbe fatto senza stupide frasi
di circostanza, senza sguardi di pietà o compassione.
Sarebbe
stato lì, chiuso nel suo mondo con la paura di far entrare chiunque altro, e
questo non gli avrebbe permesso di entrare nella sua, di vita, e questo, nelle
sue condizioni, era un balsamo inatteso per le sue ferite.
Non
disse nulla Gil mentre la conduceva a sé per stringerla al suo petto, e non
disse nulla neppure Heather che si lasciò completamente andare sul suo cuore
che batteva sereno, trascinandola pian piano in un sonno profondo che sapeva,
lui avrebbe vegliato.
Si
addormentò tra le braccia dell’uomo mentre ancora stringeva la croce tra le
dita.