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Autore: AintAfraidToDie    22/02/2008    1 recensioni
Chi è Tooru? Chi è Kyo?
Io non sono io.
Sicuro di voler sapere chi sei veramente? 
- Dedicata a lui.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Die, Kyo
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 2: “Change’s Time”

 

 

 

Si cambia. È inevitabile, tutta la vita è un lungo cambiamento. 

 

Quando nasci sei un neonato: non hai idee, non hai concreti sentimenti o bisogni, se non quelli di mangiare e dormire. Sei un piccolo corpo che emana calore; che vive, senza sapere di essere vivo.

È palese che quando cresci tu cambi. Cominci a capire le cose, ti fai dei gusti personali, cominci a pensare. Cominci a vivere.

 

Il mio era un mondo ovattato. Non esistevano suoni, non esistevano emozioni.

Non provavo rancore verso mio padre e, in realtà, nemmeno disprezzavo mia madre.

 

Quando piangevo, lo facevo perché mi era entrato qualcosa in un occhio. Se sorridevo, era perché vedevo farlo agli altri. O forse cercavo ogni giorno di convincermi di questo?

 

Ero un inusuale feto che si costringeva a rimanere nel ventre della propria madre dopo averla uccisa. Sputavo sangue e parole in fogli bianchi che raccoglievano le mie uniche sensazioni.

Mi limitavo ad essere un corpo di carne.

 

Scrivevo. Scrivevo tanto: versi su versi, poesie illogiche, che spesso nemmeno io riuscivo a capire. Scrivevo, ma non rileggevo mai i miei scritti. Quei numerosi kanji vomitati sul mio povero quaderno delle note nero. Quello che mia madre mi aveva comprato, ordinando “prendici gli appunti di scuola”.

 

Sconnessi, deformati, rimarcati. Tanti, tanti kanji. Kanji su kanji.

 

Follia, irrequietezza, pazzia, voglia. Voglia di che?

 

Forse non ho mai voluto guardare in faccia la crudele - magnifica - realtà.

 

Un giorno mi feci coraggio. Era un insolito freddo pomeriggio di Primavera ed i ciliegi erano in fiore.  Ricordo distintamente che durante il tragitto da scuola a casa mi ero soffermato ad osservarli per quasi un’intera ora. Io amavo i ciliegi, senza un preciso perché.

 

A quei tempi il dolore fisico che provavo era a volte opprimente. Mia madre mi aveva portato più volte dal dottore, che però aveva catalogato i miei problemi causa della mia costituzione esageratamente debole. Prendevo delle strane pillole color arancio, dal sapore rivoltante e dolciastro. Vitamine, aveva detto il dottore.

 

Il petto mi doleva e non riuscivo a respirare. Ogni ansimo, ogni sprazzo di aria che usciva dalla mia bocca, era una fitta nello sterno. Perché i miei polmoni continuavano a lavorare ossigeno?

 

Dolore, dolore, dolore.

Pillole, pillole, pillole.

 

Era come se avessi un groppo in gola perenne, un fastidioso peso in prossimità dei polmoni, che me li comprimeva amaramente.

 

Quel giorno allungai la mia mano verso il block-notes. Tremava.

 

Quel giorno aprii il quaderno. Quel giorno lessi la mia anima. Ed urlai.

 

I miei urli si espansero con una tale forza che spaventarono mia madre.

 

“Perché urli?” Perché era bello. Perché mi piaceva.

 

Da quell’insolito freddo pomeriggio primaverile i miei dolori sparirono del tutto.

 

Urli, urli, urli.

Non più pillole, pillole, pillole.

 

Se non potevo urlare, semplicemente cantavo.

 

Il feto era finalmente cresciuto.

  
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