Salve, sono francy91. Dato che qualcuno non ha ben compreso la trama di questa
storia, ve la spiegherò il più chiaramente possibile.
Sakura ama Touya e glielo dice. Shaoran le dice quelle parole perché ha capito i
sentimenti della ragazza nei confronti del fratello. Poi, Touya, dopo essere
stato baciato, se ne va dalla stanza di Sakura, la quale tenta di strangolarsi
per la vergogna e l’umiliazione, ma perde solo i sensi. La ragazza, però, non sa
che anche Touya la ama, beh, a suo modo naturalmente (un modo molto ambiguo).
Touya nasconde ciò che prova e dice a Sakura che i suoi sentimenti e quel bacio
lo disgustano. Può risultare sconvolgente, ma è la cruda verità.
Questa storia verrà scritta da me (che interpreterò la parte di Sakura) e dalla
venerabile Faffy (che, invece,
sarà Touya).
Bene, ora che (spero) è tutto chiaro, buona lettura.
Come la colomba, serpeggiante di desiderio, che vola con le ali spiegate nel
cielo perso e crudo; come la spezia orientale, potente, che provoca prolisso
piacere; come la rugiada che, simile ad acido, brucia la mia candida pelle e mi
trapassa, come una lama in uno specchio d’acqua, turgido e torbido di resti
umani; come le nocche sulla porta quando aspetti la Morte: Sua Maestà Infernale
raccoglierà trionfante le mie reliquie d’amore.
Comincio a brancolare nel buio…
Non c’è più spazio, non c’è più aria per cui vivere…
(… mi disgustano … mi disgustano … mi disgustano … mi)
Se vedessi la luce chiuderei gli occhi, se ascoltassi il canto delle allodole e
degli usignoli serrerei le finestre, se percepissi il profumo dell’amore mi
laverei con sangue e assenzio, per odorare di ferro tagliente.
Give me the
redemption,
Yes I’m wrong,
yes I’m right,
I just want to
feel my soul beneath my feet.
My bleeding love
is turning to madness.
It feels like
heaven’s darkening
And hell’s
whitening… softening…
Splendore fiabesco, come non anelarti?
Come non desiderare che questo virginale rossore impallidisca fino a diventare
pietra di luna? Come non essere tormentata dall’eco esasperante delle sue
parole? Come non chiedere redenzione dei peccati commessi e agognati?
Quando amare significa scoprire la
tenera pelle bagnata dalla luna e scorticata dall’aria davanti al pugnale
argentato che, così simile al mio corpo, riflette il tuo crudele profilo,
proprio in quel momento sarò sicura di amarti. E quel momento è arrivato.
I muscoli si contraggono il sangue
riceve la sua contropartita di lacrime, che seccano le mie infide vene curve e
le spine della…
Il campanello mi riscuote come campane
vespertine, ossessive e insaziabili, rimpinguate dalle fedeli e caduche ed
inutili e divine preghiere dei credenti, di coloro che portano le perle in
croce, di coloro per cui la via della perdizione è un viale affollato di corpi
nudi e pulsanti…
La mia fronte sanguina, come se una corona di spine mi consacrasse con il frutto
della mia passione… Sento il denso liquido purpureo colarmi sugli occhi… Il
sangue, lo stesso sangue che scorre nelle sue vene… Vorrei assaporarlo fino a
sentire le mie viscere contorcersi insopportabilmente… Lo gusterò come la lupa
affamata che sbrana il mite agnello… Ah, sì…
Paura. Della. Mia. Stessa. Coscienza.
Ormai inesistente, certo, ormai subdola e dall’ineffabile corruzione… Non si può
negare, ormai preda del più sfrenato e incontrollabile inconscio.
Scendo le scale intrecciando sagome mute e suoni bui.
Come le cicatrici della notte,
come il bagliore vermiglio della perdizione,
come il gigante che porta la vergine rapita nelle sue grotte
pronto a saziare la sua sadica, violenta ossessione,
così l’amore morde la mia carne
infestata dai feroci, spietati, selvaggi insetti del peccato,
così l’amore inghiottisce le scarne
speranze di candore fuggito, strappato, sbranato.
La mia mente lavora, inserisce, elimina, taglia, cuce, copia, strappa, incolla,
infrange, ripristina, collega e tesse delebili reprensioni.
E’ mattina. Le finestre riflettono il noioso e soffocante grigio delle nuvole
che accecano il sole velato, dallo sguardo perso.
Le scale sembrano così numerose … così molteplici e fitte… Le scendo
apaticamente, osservando i miei piedi muoversi come il sole a mezzogiorno, che
sembra non spostarsi mai.
Appoggio il palmo caldo e sudato alla porta lignea, salatamente lucida e
odorosa. La apro, finalmente.
-Ciao Sakura, ma non dovresti essere a scuola?-. Un sorriso disgustoso stampato
in faccia, ecco Yukito.
Mille demoni ringhiano dentro di me con versi animaleschi, bestiali. Vedo corpi
sudici strisciare sensualmente e mordere i loro stessi cuori con denti di
ghiaccio e lingue di avorio… Odore di umido, sapore di amara dannazione…
E pensare che quel sorriso lo amavo qualche anno fa.
La gelosia contamina la mia mente sussurrandomi parole sporche e infangate e
suggerendomi il peccato, striscia attorno a me per stringere poi la sua morsa
vitale e infuocata; i suoi denti stimolano la mia pelle come piume che
solleticano un organo stonato, le sue parole mi restituiscono il fantasma della
realtà effimera, il suo gutturale canto dissimula la mia coscienza arenata…
Abbandonata su quell’isola sperduta sussultante di cannibali: la terra del
mordace vizio.
-Non stavo bene, allora non ci sono andata. Anche tu dovresti essere a scuola…-,
constato infastidita, poggiando un braccio allo stipite della porta.
-Oggi la mia classe va in gita, ma io e tuo fratello non partecipiamo perché
abbiamo da fare.-. Sta sogghignando con gli occhi rivolti altrove. Mi mordo
l’interno della bocca, appena sotto il labbro inferiore.
Sciocco, sciocco, sciocco… Per colpa tua la mia felicità si è tramutata in
umiliazione, per colpa tua ciò che avrebbe dovuto essere lucente è opaco e
inconsistente. Ti ho amato sino a quel
momento e me ne vergogno, mi odio e mi detesto per questo.
-Sono venuto per Touya. C’è?-, affermi guardando oltre le mie spalle per
scorgere la vaga ombra di mio fratello.
Ti diverte? Il mio sguardo truce nei tuoi confronti provoca quell’insopportabile
sorriso sornione? Davvero ti piace fissarmi, vestita di lividi? Godi veramente
nel contemplare beatamente la mia sofferenza da te, oh sì, da te causata? Mi
osservi con quegli occhi superbi perché hai ciò che anelo, possiedi le braccia
che desidererei mie, contamini le labbra che io stessa ho toccato senza alcun
pudore e con suo disprezzo, dardeggi la pelle porosa e oscura che bramo
lacrimosamente.
-A quanto pare, no.-.
Sorridi. Sono solo immagini distorte della mia mente solo questo solo questo
solo questo solo questo solo questo solo questo solo…
-Mmh, sarà andato a lavoro, non perde mai l’occasione di guadagnare qualcosa.
Comunque sono venuto anche perché doveva darmi un CD. Sicuramente sarà nella sua
camera, quindi se vuoi potresti…-.
-Certamente.-, taglio la sua frase.
Ascolto i violini stonati suonati con grazia, le corde si spezzano sotto il
leggero e magico tocco dell’archetto.
Quelle impressioni sul suo sadico sorriso sono tutte false: sto impazzendo. Vedo
le immagini che desidero aborrire, vedo le spine che voglio strappare dal mio
corpo e vedo tutto così dolorosamente spento, come se fossi annebbiata da un
respiro d’incenso.
Gli faccio cenno di aspettarmi nell’ingresso, salgo rapidamente le scale e sono
subito davanti alla porta della stanza di mio fratello. È da tanto tempo che non
vi entro, da quell’ultima volta.
Appena poggio la mano fredda e asciutta sul pomello della porta è inevitabile il
flashback indesiderato.
Ricordo che avevo undici, forse dodici anni. Ero a casa da sola e stavo
studiando in cucina, perché le pareti della mia camera erano appena state
ridipinte di bianco e quindi non potevo entrarvi. Spesso Touya e Yukito
studiavano insieme il pomeriggio dopo la scuola e quel giorno le cose non
cambiarono. Appena giunsero a casa presero posto sulla parte del tavolo opposta
alla mia. A quei tempi amavo Yukito, così invece di studiare lo contemplavo e
sorridevo, beata dalla sua presenza. Ad un certo punto Touya sembrò infastidito
e mi avvertì che sarebbero andati in camera sua per non disturbarmi. Ovviamente
cercai di dissuaderlo, poiché non volevo essere privata della presenza di
Yukito, ma non ci fu verso e così restai sola in cucina. Stavo studiando inglese
e avrei dovuto tradurre un brano riguardante lady Diana, ma non ci riuscivo
proprio: frasi che si accavallavano, parole che non conoscevo, tempi che non
riuscivo a rendere in giapponese… Così pensai di chiedere aiuto a mio fratello,
il che era anche una scusa per vedere Yukito, senza dubbio. Così arrivai davanti
alla camera di Touya con in mano il libro d’inglese, il quaderno e la penna.
Poggiai la mano sul pomello particolarmente freddo e…
I fuochi ardenti si contorcevano nell’aere umido di benzina che alimentava
sempre di più quella folle fiamma.
Arsa viva da quel calore urlante e dal cupo ringhio maledetto, lasciai cadere a
terra ciò che avevo in mano e mi afflosciai come una spada fra le fiamme. Il
fumo del loro piacere si espanse retrocedendo, i gemiti e i sospiri scoppiarono
per lasciare spazio alle punture inclementi del gelo.
Non oso ricordare oltre, rimembrare il romanticidio che stese un luttuoso velo
nero sul mio amore.
Spalanco la porta. La stanza è buia, le persiane sono chiuse, ma dalle fessure
regolari presenti su di esse filtra polvere d’alluminio, fumo perlaceo aleggia e
mostra le labili ombre del letto e dei mobili.
Mi chiudo la porta alle spalle ed esploro con desiderio crescente la camera
opalescente. Il letto è sfatto, le lenzuola sparse sul letto e anche a terra,
formando morbide ed ondeggianti pieghe, simili a piaghe di pelle morta e
cartacea. Il cuscino sembra nero a causa della penombra; lo prendo e sfilo la
fodera: odora di lui, dei suoi capelli corvini, della sua pelle del colore della
sabbia in un annacquato tramonto primaverile. La sostituirò con la federa del
mio cuscino, appena se ne andrà Yukito.
All’improvviso, come una farfalla nera in un pozzo bianco, il mio occhio viene
catturato dalla scrivania, più esposta alla luce rispetto al resto della stanza.
Su di essa si posano cornici dure e solenni che racchiudono le foto di me e
Touya da piccoli. Non è una novità, ci sono in tutte le stanze, ma le osservo lo
stesso.
Una mi cattura particolarmente: ci sono io, a circa cinque anni, nel cortile di
casa. Mio padre aveva appena comprato una piscina gonfiabile e io ero davanti ad
essa, i piedi affondati nell’erba, le gambe magre leggermente divaricate, il
ventre lievemente all’infuori, le braccia esili penzolanti. Il mio corpo non era
né in posizione frontale né di profilo, ma il mio volto era puntato dritto verso
la macchina fotografica. Nella foto indosso solo un paio di mutandine bianche di
cotone e le mie gambe bianche sembrano risplendere di luce propria. Il volto è
decorato da un mezzo sorriso e da uno sguardo davvero molto
strano: gli occhi, strizzati per via del sole, si congiungono con le
sopracciglia in modo da formare un’immagine orientalmente perfetta; sembro una
piccola geisha o una danzatrice del ventre. Ricordo che quella foto fu fatta da
Touya.
E ricordo anche che quel giorno sentii per la prima volta la parola sexy.
Me la disse lui.
Disse che, a cinque anni, vestita solo di mutandine e con uno sguardo
penetrante, ero sexy.