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Autore: Drown    18/08/2013    0 recensioni
I ricordi possono far male fino ad uccidere, e proprio per questo vanno affrontati.
Sempre.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Memories.

Capitolo 1


Chiuse la porta alle sue spalle.
Infilò la chiave nella serratura e girò. Il rumore dell’ingranaggio che funzionava la fece sentire sollevata.
Era tutto fuori.
Nessuno era lì, a parte lei.
“Ed è questo il vero problema, forse.” pensò inavvertitamente.
Ricaggiò giù quelle parole, pesanti come pietre, che le rimasero piantante in gola.
Non doveva fare certi ragionamenti. Era stupido ed inutile. Soprattutto inutile.
Tanto che poteva cambiare? Nulla.
“Basta.”
Posò il mazzo delle chiavi sul tavolino del soggiorno adorno di vecchie fotografie, si tolse la pesante pelliccia maculata e si diresse verso il bagno del suo freddo appartamento.
Era presto, solo le nove di sera, ma si sentiva stremata, come se quell’ennesima giornata vuota le avesse risucchiato le poche energie rimaste nella sua vecchia anima.
 Forse aveva solo bisogno di dormire.
Sì, un po’ di riposo le avrebbe fatto bene, avrebbe cancellato tutto.
Si sfilò frettolosamente la maglietta leopardata troppo stretta e troppo scollata, evitando accuratamente di posare gli occhi sul proprio corpo, fingendo quasi non esistesse. Via anche la gonna rossa, con quello spacco che mostrava le sue gambe gonfie.
Non perse tempo e, sempre senza guardarsi, infilò una lunga camicia da notte bianca.
La odiava.
Era così… così… da vecchia.
Scosse le spalle, tanto cosa importava? Non c’era nessuno.
Era il momento.
Lo sapeva, e sentì le viscere attanagliarsi. Non voleva.
Si sedette con lentezza  sul bordo della vasca da bagno rosa e respirò profondamente.
“Va tutto bene.”
Non era vero, e pensarlo non la calmava.
Si alzò a fatica, la schiena le doleva a causa dei tacchi da 11cm che aveva portato per tutto il giorno.
Il dottore gliel’aveva detto: “Signora, guardi, con la schiena in queste condizioni sarebbe meglio se evitasse di continuare a camminare con scarpe come quelle che porta… Delle calzature ortopediche sarebbero l’ideale per la sua situazione.” Lei inizialmente aveva storto la bocca rosso fuoco. L’idea non le piaceva, non le piaceva per niente. E glielo disse, al dottore, che non era minimamente disposta a mettersi quelle cose ai piedi. Lui aveva scosso le spalle e l’aveva guardata con compassione, in quel modo che lei odiava, ma non aveva ribattuto.
Adesso pagava le conseguenze della sua stupida ostinazione.
Accese la luce sopra al lavandino.
Un paio di stanchi occhi blu, dalle palpebre di un azzurro intenso,  la fissarono.
La matita nera era un po’ colata, e l’ombretto era sbavato. Sembravano gli occhi di pagliaccio triste. O forse lo erano.
Spostò lo sguardo sulle labbra rosso fuoco, senza trascurare le guancie di un rosa troppo intenso e finto.
Schiuse leggermente la bocca, osservando quei suoi denti così rovinati, storti e giallognoli.
Neppure lo sbiancamento del dentista era servito a qualcosa.
La richiuse, serrandola forte.
Girò la manopola del rubinetto e aspettò che l’acqua si scaldasse. Appena raggiunse la temperatura adatta si tirò indietro i capelli biondo paglia cotonati, chiuse gli occhi e si buttò il liquido bollente sulla pelle del viso.
Sentì il trucco colarle, prima lungo gli zigomi, per poi scendere alle guance e giungerle fino al mento.
Quando alzò il viso e si rivide nella superficie  dello specchio al suo posto c’era una maschera con due solchi neri che le scavavano il volto. Lacrime di pece.
Prese una salvietta e finì ciò che l’acqua aveva iniziato; si struccò completamente, metodica e precisa, senza fretta.
Gli ultimi furono gli occhi. Chiuse le palpebre per togliersi l’ombretto, e, dopo aver finto, aspettò prima di riaprirle. Inspirò.
Quindi lasciò che l’intensa luce artificiale della lampada tornasse ad abbagliarla.
“Vecchia. Persa. Sola.”
La pelle del viso era cadente e raggrinzita come quella di una pesca troppo matura, solcata dalle profonde cicatrici del tempo: rughe.
Queste, come un’intricata ragnatela, si intrecciavano lungo la sua fronte, diventando più profonde all’altezza degli occhi e, soprattutto, attorno alla bocca, ora di un rosa pallido e malaticcio.
Era questo il suo vero trucco, quello naturale, a cui non bastava un po’ d’acqua calda per andare via.
Si concentrò su ogni singolo segno, dal più marcato a quello quasi invisibile che le percorreva la tempia sinistra, cercandone di nuovi ed esaminando ogni singolo centimetro di pelle con metodo, come si fa con un rito che si è ormai abituati a ripetere.
Sentì gli occhi inumidirsi e qualcosa di caldo uscirne fuori.
“Stupide lacrime. Stupida.”
Voleva smettere, ma non ci riusciva, ormai, lo sapeva, era troppo tardi.
Quelle odiate gocce salate continuavano a colare, interminabili.
Era insopportabile. Quella non era lei, non poteva esserlo!
Non poteva veramente nascondersi dietro quel viso rugoso, rovinato dagli anni, sporcato dai decenni. No. Era ancora giovane, doveva esserlo.
Rimase ad osservare quella caricatura di sé stessa per un tempo infinito. I secondi erano secoli, e i secoli erano secondi.
Ad un certo punto, inspiegabilmente calma, con una decisone ed una freddezza che non le erano mai appartenute tanto come in quel momento, spense la luce e si diresse in camera.
Aprì il cassetto del comodino e, sempre con quell’insolita apatia, prese il piccolo barattolo che v’era dentro.
Andò in salotto e si sedette davanti alle foto in bianco e nero ritraenti una bella ragazza che sorrideva e mandava baci all’uomo invisibile e dimenticato dietro l’obbiettivo.
Sollevò il tappo del blister. Era già mezzo vuoto, ma il suo contenuto era più che sufficiente per quella sera.
Senza esitazione ingoiò cinque pastiglie.
Poi sei.
Quindi finì tutti sonniferi.
Mentre gli occhi le si chiudevano non smise di osservare l’avvenente ragazza delle fotografie. Chissà, forse, con un po’ di fortuna, avrebbe ripreso a vivere. 

   
 
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