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Autore: ValeryJackson    18/08/2013    1 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi sveglio di soprassalto. Sono tutta sudata.
Ormai faccio lo stesso sogno ogni notte. I botti. L’astronave. La famiglia uccisa. Quegli strani uomini. La donna che scappa e che alla fine mi chiama per nome.
Non riesco ancora a capire se tutto questo sia un sogno o un ricordo. Molto probabilmente la prima. So solo che ormai sta diventando un’abitudine. Svegliarmi di scatto, intendo.
Con mani tremanti, cerco il medaglione perennemente appeso al mio collo. Non appena lo trovo, lo stringo fra le dita e lo premo contro la bocca. Chiudo gli occhi e faccio dei grandi respiri. La pietra blu è fredda contro le mie labbra. Ma serve a calmarmi. Ogni volta che faccio un brutto sogno, ogni volta che faccio quel brutto sogno, il mio medaglione è l’unica cosa che riesce a tranquillizzarmi. Mi infonde calore. A volte mi basta solo sfiorarlo, per sentirmi subito meglio.
Dopo un altro paio di respiri, controllo l’orario. Sono quasi le sette. Sospiro. Tanto vale alzarsi. Molto probabilmente Mary starà già preparando la colazione.
Sospetto fondato. Mary è in cucina che cuoce qualche uovo al tegamino. Non fa caso a me quando mi siedo, ancora assonnata. Ormai si è abituata anche lei alle mie continue alzate mattutine. È da un po’ che mi sveglio prima delle sette. Lei non sa che è per via dei miei brutti sogni, ma non ho intenzione di dirglielo. Si preoccuperebbe solo inutilmente.
Non appena le uova sono cotte, si volta verso di me e mi sorride. << Dormito bene?>> mi chiede, mettendole in un piatto e posandomelo davanti.
Sbadiglio. << Una meraviglia >> mento.
Lei non dice altro, così mangio le mie uova in silenzio. Cosa che mi fa veramente piacere. Se c’è una cosa che non sopporto, è l’interrogatorio appena mattina, quando ho ancora gli occhi chiusi, i capelli arruffati e la bocca impastata dal sonno.
Non appena finisco di fare colazione, corro in bagno e mi lavo. Poi vado in camera e accendo il telefono. Ci sono due messaggi. Il primo è di John.
“BUONGIORNO!  ♥”
Sorrido. Sono passati dieci giorni dalla festa di beneficenza. Dieci giorni in cui non ho fatto altro che pensare alle parole di John. << Sai, forse sono innamorato di te. Aspetto di esserne sicuro, per dirtelo, comunque.>>
Cavolo, quelle parole mi hanno ucciso! Perché mai ha dovuto pronunciarle?! Ma non è tanto quello il problema, quanto il fatto che io sia rimasta in silenzio quando me le ha dette. Stupida! Stupida! Stupida!
Sono. Una. Stupida.
Digito velocemente un buongiorno e invio il messaggio.
Non so  se mi si ripresenterà mai più l’occasione giusta per dire a John che lo amo. Perché si, ci ho pensato molto in questi giorni e sono giunta a una conclusione. Lo amo. Solo che lui non lo sa. E forse non lo saprà mai.
Sospiro e cerco di non pensarci, nonostante nella mia mente si focalizzi sempre il suo bellissimo viso.
Apro il secondo messaggio. È di Mia.
“TUTA OGGI. NON TE LO DIMENTICARE. CREDO CHE WALLACE CI FARA’ CORRERE ANCORA!”
Sbuffo, esasperata. Odio educazione fisica. E odio il fatto di dover indossare la tuta. Mi fa sentire una stupida, e un’emarginata. Non che io non lo sia già. Rispondo a Mia con un semplice ok e apro l’armadio.
Non ho molta scelta. Prendo la tuta grigia e rossa e me la infilo. Poi mi lego velocemente i capelli in una coda di cavallo. Almeno non dovrò perdere tempo a prepararmi. Questa storia, dopotutto, ha un suo lato positivo.
Afferro al volo lo zaino, esco di casa e monto sulla bicicletta. Non ho molta fretta, dato che sono in forte anticipo, quindi decido di fare una passeggiata.
Adoro sentire sulla pelle l’aria invernale.
 
Come non detto, questa mattina sono arrivata in ritardo.
Purtroppo alla prima ora avevo lezione di Chimica Avanzata, così quella stronza della Corelli mi ha messo una nota. Poi alla seconda ora ho avuto un compito in classe a sorpresa. Di storia! Non che la cosa mi sorprenda più di tanto. Ogni tanto la prof se ne esce con queste cose. Quindi in teoria avrei dovuto essere preparata. Errore! Il compito è andato uno schifo. Come d'altronde il resto della giornata.
Alla quarta ora Matematica mi ha anche interrogato. Che barba!
Quindi, come a mettere una bellissima ciliegina in cima a questa fantastica torta, ora ho ginnastica. Urrà!
Siamo tutte in fila in fondo alla palestra, pietrificate. Il professor Wallace ci passa davanti, guardandoci con occhio critico. Sta giocherellando con una palla. Ghigna. Quell’espressione non mi piace.
<< Bene, ragazze!>> esclama, urlando un po’ troppo. Vorrei tapparmi le orecchie ma non lo faccio. << Oggi si gioca a Dodgeball.>>
Un coro di no e di proteste si leva per tutta la palestra.
<< Ma professore!>> obbietta Jessica, facendosi portavoce del gruppo. << È un gioco da uomini!>>
Il professore fischia con forza nel suo fischietto, nonostante non ce ne fosse alcun bisogno. << Non è affatto un gioco da uomini!>> sbraita. << È un gioco da americani! Quindi, se non volete essere rimandate nella mia materia e venire qui in vacanza per dei corsi estivi, vi conviene non obbiettare!>>
Nessuno lo fa. Il professore sorride. << Bene!>> esclama, entusiasta. << Dividetevi in due squadre!>>
Non che mi aspettassi chissà che cosa, per carità. Sapevo già in principio quale sarebbe stata la mia squadra. Ma questa, questa è una cosa sleale!
Tutte le cheerleader si sono unite con le superallenate, vale a dire tutti quei maschiacci che hanno vinto dei tornei di lotta libera e di lancio del peso un anno si e l’altro pure. Insieme sono una squadra fortissima.
Dall’altra parte, invece, ci siamo noi. Le nullità. Non fraintendetemi, non ho niente contro le mie compagne. Ma queste! Queste sembrano appena uscite dalla scatoletta del piccolo chimico! Tutte minute e occhialute, guardano le palle davanti a noi come se fossero fatte d’acido. Verranno eliminate tutte prima di metà partita.
Guardo Mia. Sembra aver pensato la mia stessa cosa.
Abbozza un sorriso e alza le spalle. << A quanto pare siamo la loro unica possibilità.>>
Deglutisco. Non voglio essere la loro unica possibilità. Vorrebbe dire prendersi tutte le peggiori pallonate in piena faccia. Quindi passo.
Il professore soffia nel fischietto per richiamare la nostra attenzione. << Allora, ragazze. Le regole sono semplici. Al mio via, correte a prendere le palle. Chi riesce ad afferrarne una deve lanciarla. Se colpisce un avversario, il colpito è eliminato. Se l’avversario blocca la palla che avete lanciato, allora il lanciatore è eliminato. Vince la squadra che ha almeno un componente in campo. Mi raccomando, non voglio risse o spargimenti di sangue. Ok? Bene. E… andate!>>
Soffia ancora nel fischietto. Tutte ci precipitiamo a prendere i palloni. Ovviamente io non riesco a prenderne neanche uno, e la maggior parte va all’altra squadra, che inizia ad eliminare i componenti della mia come se fossero bolle di sapone.
Qualcuna della nostra squadra è riuscita ad acciuffare qualche palla, però. Ed è riuscita a colpire alcune ragazze esultanti e molto probabilmente distratte. Bene, non tutto è perduto.
Vedo Mia correre ad afferrare due palloni per poi lanciarli contro le avversarie. Ne elimina due. La imito. Afferro un pallone e lancio. Questo va dritto contro la gamba di una ragazza.
Il prof fischia. << Eliminata!>> La ragazza china il capo sconsolata e se ne va. Io raccolgo un’altra palla.
Passano alcuni minuti. Molte ragazze sono state eliminate. Nell’altra squadra sono rimaste in cinque. Nella mia siamo solo tre.
Una bionda corpulenta dell’altra squadra afferra una palla e fa fuori l’occhialuta al mio fianco. Lei esce di corsa. Sospiro. Bene, ora rimaniamo solo io e Mia.
Mia prende una palla e la lancia contro una ragazza, colpendola in pieno petto. Anche io faccio lo stesso. Ma la colpisco solo ad un braccio. Abbastanza, però, per essere eliminata.
Tre contro due. Mi sembra ragionevole.
Come non detto.
Mentre Mia si piega per afferrare un’altra palla una ragazza ne lancia una e la colpisce sulla schiena. Mia barcolla all’indietro e cade.
Le ragazze esultano. Wallace fischia. << Eliminata!>>
Mi sento salire un groppo in gola. Corro verso Mia e l’aiuto ad alzarsi. Lei mi guarda negli occhi. << Falle fuori >> sibila a denti stretti, con disprezzo. Annuisco leggermente. Mia va a sedersi e io mi volto a guardarle.
C’è Jessica che sorride, e non mi sorprenderebbe se fosse stata lei a lanciare quella palla. Molto probabilmente è proprio così. Mi guarda con aria di sfida. << Ora tocca a te >> mima con le labbra, ghignando.
Ingoio un po’ di saliva e guardo le altre due. Sono più grosse di me di almeno una spanna. Non ce la farò mai.
Resto immobile, a guardarle.
<< Che c’è, Rigida?>> urla Jessica, raccogliendo una palla da terra. << Hai forse paura?>>
Non so perché, ma quel soprannome, quel soprannome che non sentivo da tanto tempo, fa scattare qualcosa nel mio cervello. Sento un nuovo sentimento impadronirsi di me. Rabbia. Stringo i pugni.
<< Bene >> continua lei. << Sarà più divertente.>>
E carica. Porta il braccio indietro e lancia la palla. Anzi, la lanciano tutte e tre. Contemporaneamente.
Sono spacciata, me lo sento. Eppure c’è qualcosa che non va. Le palle vanno… piano. Troppo piano. È come se andassero… a rallentatore. No, un secondo. Stanno andando a rallentatore! Il tempo si è fermato! O forse sono io che sto andando più veloce?
Non perdo tempo a pensarci. Mi piego all’indietro, sulla schiena, e schivo la prima palla. Alzo appena lo sguardo per capire che, nella posizione in cui mi trovo, devo bilanciare il peso sul braccio destro. Evito la seconda. Guardo la terza arrivare. Sta per cadere sui miei piedi. Con un rapido balzo faccio forza sul braccio che ho a terra e sollevo le gambe, facendo una specie di ruota. La palla cade per terra.
Alzo lo sguardo. Non so quanto veloce sia stata la mia azione, ma sono tutte e tre allibite. È il mio momento d’agire.
Mi alzo con uno scatto e corro a prendere una palla. La lancio. Colpisce dritta nello stomaco l’avversaria. Eliminata.
L’altra ragazza sembra riprendersi. Mi guarda con sguardo truce e poi lancia una palla. Mi concentro. Anche questa sembra andare più piano. Alzo una mano e la blocco. Lei è senza parole. Sento l’adrenalina scorrermi nelle vene e pomparmi il cuore. Una morsa mi invade lo stomaco. Un’energia inspiegabile si impadronisce di me, facendomi sentire le gambe più resistenti, le braccia più forti. Ho una sensazione di déjà-vu. Sorrido. Lancio la palla e colpisco quella ragazza in faccia. Eliminata.
Restiamo solo in due. Io e Jessica. Ci fissiamo. Lei ha in mano una palla. È la botta decisiva. Non devo sbagliare.
Sospiro e mi giro di spalle. È insensato, lo so. Ma il mio istinto mi dice di fare così. Non so perché, ma ho smesso di pensare. Ora ascolto solamente quello che mi dice la pancia.
Sta per caricare, me lo sento. Immagino il suo volto, dipinto da un ghigno soddisfatto.
Chiudo gli occhi. Sento un brivido dietro la schiena. La palla sta per arrivare. È come se sentissi l’aria spostarsi insieme a lei. Eccola. Alcune ragazze della mia squadra mi gridano di voltarmi. Io non lo faccio.
È qui, la sento. Apro gli occhi. Scatto in una capriola all’indietro, dandomi la spinta con una gamba. Stendo l’altra gamba, e con una violenza e potenza inaudita, che non avrei mai creduto di possedere, colpisco la palla al volo. Quella torna indietro.
Atterro su entrambi i piedi e mi volto. Jessica si regge con una mano il naso sanguinante. Il prof soffia nel fischietto. << Eliminata!>>
Poi non capisco più niente. Una decina di ragazze si scaglia su di me, applaudendomi e menando urla di gioia. Alcune esultano, altre mi sollevano da terra e mi fanno saltare in aria. Sorrido. Abbiamo vinto. Ho vinto.
Quando mi riposano a terra, il professore si avvicina. << Complimenti, Hart >> dice, abbozzando quello che in teoria dovrebbe essere un sorriso.
Lo ringrazio, poi guardo Jessica. Sono un po’ preoccupata per il suo naso rotto.
Se n’è già andata. Di una cosa sono sicura, però.
Questa di certo me la farà pagare.
 
Suona la campanella.
Finalmente è ora di pranzo. Io e Mia ci dirigiamo a passo svelto nella mensa. Afferriamo un vassoio e ci mettiamo in fila.
Io prendo le patatine, lei uno yogurt magro. Ad entrambe viene servito un piatto che la cuoca chiama “carne misteriosa”. Una cosa è certa. Non ho intenzione di mangiarla.
Andiamo verso un tavolo vuoto e ci sediamo. Abbiamo già iniziato a mangiare quando arriva John. Ha il volto pallido e l’espressione leggermente rabbuiata. Noto che il suo piatto è semi-vuoto.
<< John, è tutto ok?>> gli chiedo, preoccupata.
Lui sospira e spezza un pezzo di pane. << Si, si. Tutto ok.>>
Aggrotto la fronte ma non faccio altre domande. Si vede che c’è qualcosa che non va.
Proprio quando apro la bocca per parlare, al nostro tavolo si fionda qualcuno. È Jessica.
Ovviamente non si siede, ma resta in piedi, con i palmi poggiati davanti al vassoio di John. Lo guarda. C’è qualcosa di malizioso nel suo sguardo, nonostante abbia tutto il naso coperto da cerotti bianchi. Vedendola così, sorrido. Ma sorride anche lei. Non a me, però.
<< Allora, John >> dice, un po’ troppo entusiasta. << dove ci incontriamo per la nostra ricerca?>>
Ricerca? Quale ricerca? Di che cosa sta parlando?
John irrigidisce la mascella ma non alza lo sguardo dal pane. << Non lo so, poi vediamo >> dice.
<< Sai, avevo pensato che forse potremmo vederci a casa mia. O magari a casa tua, come vuoi. Dove abiti?>>
John fa roteare gli occhi, esasperato. << Senti, Jessica, ti ho detto che non lo so. Ora, se non ti dispiace, vorrei mangiare. Ne parliamo dopo, ok?>>
Lei mi lancia una fugace occhiata, prima di rispondere. Gli fa l’occhiolino. << Ok.>> Sorride e se ne va, sculettando.
John non alza lo sguardo, ma chiude gli occhi. Mia mi guarda in attesa.
Fra tre. Due. Uno…
<< Di che accidenti stava parlando?!>> sbotto, all’improvviso.
John riapre gli occhi. << Niente >> dice, fingendosi disinteressato. << Si tratta solo di una stupida ricerca…>>
<< Di una stupida ricerca? Tu devi fare, con lei, una stupida ricerca?>> Sono furiosa. Fra tanti compagni che John poteva avere, proprio con Jessica doveva capitare. Perché?
Lui mi guarda, imbarazzato. << Non ho scelto io di fare con lei la ricerca!>> si giustifica. << È stata la prof di Storia! Ha deciso le coppie in ordine alfabetico, ed io sull’elenco sono subito dopo di lei.>>
Sento montare la collera. Quella gallina squinternata madre di un’oca deve uscire un pomeriggio per incontrarsi con John. Il mio John.
Senza volerlo, spezzo la forchetta di plastica. << E dai, non te la prendere >> mi implora lui. << È soltanto un’inutile ricerca di Storia.>>
Lo guardo, e mi perdo nei sui occhi. Suona strano, ma la prima cosa che riesco ad immaginare è a quando ci si perderà Jessica. Sospiro. << Promettimi solo che non ti farai abbindolare da lei. Quella ragazza è un’arpia e sa come far cadere tutti i ragazzi ai suoi piedi.>>
John mi fissa, e sorride. << Ma io non sono come tutti gli altri ragazzi, lo sai >> mi dice.
<< Promettimelo >> insisto.
<< Te lo prometto >> fa allora lui. << Ti fidi di me?>>
Annuisco leggermente, lui si china su di me e mi bacia.
Non è di lui che non mi fido. È di quell'oca giuliva a cui ho rotto il naso.

Angolo Scrittrice
Ciaoooo!!!
Si, si, lo so. Sono io. Prima di lanciarmi i pomodori, però fatemi parlare.

Mary: Non vogliamo ascoltarti!
Fa silnzio tu!
Mary: Non ti fai sentire per quasi un mese e poi pretendi che ti ascoltiamo? Hai idea di quanti piatti ho dovuto lavare prima che tu ti decidessi a postare un nuovo capitolo?!
*sbuffa* Parli come mia madre.
Mary: Come?!
Niente!
E adesso, vai via!
Bene, ora che siamo soli, vi spiego. In realtà il capitolo era pronto già da un po', ma dato che sono andata al mare e che lì non c'era connessione, non ho potuto aggiornare. Lo so, fa un po' schifo...
*evita un pomodoro* Smettila!
Ma vi dico che era essenziale per capire bene la storia ;)
Bene, detto questo, voglio farvi gli auguri per il ferragosto passato e augurare Buon Compleanno al mio sogno proebito, Percy Jackson. (Si, gente, il personaggio del libro! Oggi è il suo compleanno e in teoria (ho fatto i conti) compie 22 anni! **)
Bien bien. Detto questo, voglio dirvi che il prossimo capitolo è in fase di scrittura, quindi dovrei essere un po' più veloce a pubblicarlo, o almeno spero! ;)
Che altro... Ah, si. Ho iniziato a scrivere una nuova storia per il fandom di Percy Jackson, con personaggi tutti nuovi e alcuni dei vecchi. Vi potrebbe interessare? se si, fatemelo sapere. La pubblicherò a breve! :D
Va beh, ho detto tutto.
Me lo lasciate un commentino, vero? Un commentino piccino picciò? Un commentino piccino piccino piccino piccino...
Ok, basta. Avete capito! Commentatee!!
Ciao! :D

ValeryJackosn


  
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