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Autore: Brooke Davis24    20/08/2013    2 recensioni
Sono trascorsi mesi dall'avventura presso l'Isola che non c'è: Henry è stato salvato, Emma e gli altri hanno fatto ritorno presso la Foresta Incantata, Hook è tornato a salpare verso mete conosciute e sconosciute. Galeotte furono Neverland e la Jolly Roger.
Tratto dal primo capitolo:
"Erano trascorsi mesi dall’ultima volta che l’aveva visto e il suo cuore mancò istintivamente un battito: non si concedeva spesso il lusso di pensare a quel passato recente, perché, tutte le volte che accadeva, bruciava la consapevolezza di aver commesso un errore del quale, a distanza di tempo, si pentiva amaramente. La sua mente, infida, le fece ripercorrere ancora e ancora le immagini dell’avventura presso l’Isola che non c’è, quando, alla ricerca di Henry, erano partiti a bordo della sua nave e, preso il largo, avevano lottato fianco a fianco, bene e male uniti sullo stesso fronte per amore di un’unica persona."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atto IV

La vita è inopportuna. Le persone con i loro pensieri sono inopportune. Il tempismo è inopportuno. Lei era inopportuna.
 
Fu tutto quello che Emma riuscì a pensare, mentre le labbra di Uncino si muovevano a formare quesiti retorici ai quali non avrebbe dovuto rispondere. O forse sì? Non lo sapeva ancora. Emma non era mai stata un tipo da convenzioni, non aveva mai seguito le regole e le aveva odiate con tutta se stessa. Non riteneva fosse corretta l’idea che qualcuno potesse imporre un obbligo, un divieto, un modello di comportamento ad altri esseri umani, arrogandosi il diritto d’influenzarne l’esistenza più profondamente di quanto non fosse concesso. Quale principio supremo poteva avere l’ardire di negare l’amore di due persone solo per il fatto che non fossero di sesso opposto? Quale regola logica in grado di strappare un figlio ad un padre poteva essere fatta valere al fine di alimentare l’odio tra due persone che avevano smesso di amarsi, facendo ricadere le conseguenze di quella condizione sull’unica persona che avrebbe dovuto essere preservata? Cosa c’era di giusto nel rinchiudere anziani e bambini in case di riposo ed orfanotrofi, dando vita ad un sistema che distruggeva le opportunità di chi vi era immesso? Chi aveva il diritto di darle dell’eroina e pretendere che salvasse il mondo?
 
Emma aveva subito, visto e combattuto più ingiustizie di quante non avrebbe dovuto e, probabilmente, era per quello che amava infrangere le regole. Le era sempre piaciuto. Era come se una parte di sé, quella abbandonata e in cerca di attenzioni, si sentisse continuamente in dovere di ricordare alla Emma più tenera e fragile cos’avessero dovuto affrontare, quali brutture quegli occhi verdi avessero colto, quante carezze avesse aspettato inutilmente a lenire il rossore dei ceffoni che le sue guance avevano ricevuto, quante esperienze l’avessero incattivita. E s’incattiviva ogni volta, ogni qualvolta ci si aspettava che seguisse la strada più giusta, la più travagliata ma quella considerata moralmente corretta. Non aveva annaspato abbastanza per una vita intera? Non meritava di affrontare il resto dei suoi giorni con un biglietto di prima classe tra le dita?
 
Immobile, ascoltò il rumore del suo respiro e il fruscio creato dal vento che, come il più ardito amatore, corteggiava e seduceva alberi e foglie, rami e steli d’erba, fiori e animali. Le venne quasi da ridere – Ma non lo fece! -, quando si rese conto di star vivendo quella scena a rallentatore, e si sentì la protagonista di uno di quei film che aveva sempre guardato con una nota di profondo scetticismo. Si era chiesta spesso come gli autori potessero pensare di far immedesimare gli spettatori in quel modo: non era possibile formulare tutti quei pensieri in una manciata di secondi, non era possibile che un istante di esitazione si trasformasse in un arco di tempo dalla durata indeterminata. E, invece, eccola lì, Emma Swan, principessa nonché figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro, in tutto il suo splendore ad arrovellarsi su questioni che nemmeno il Dalai Lama avrebbe potuto avere a cuore in una situazione simile.
 
Ma perché stupirsi, in fondo? Non era soltanto Emma Swan, la figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro, la Salvatrice. Era anche e soprattutto Emma Swan, la giovane donna che mentiva, che sviava, che fuggiva, che si trincerava dietro mura di cinismo così fitte che i cinesi e la loro Muraglia sarebbero impalliditi al loro cospetto. Era quello che aveva sempre fatto, era quello che la vita l’aveva abituata a fare: scappare. E non intendeva darsela a gambe nel solo senso fisico del termine! Quando parlava di sé come una fuggiasca, intendeva ricomprendere in quella definizione un numero quanto più svariato di accezioni e, tra di esse, era ricompresa anche la fuga col pensiero. Dinanzi ad un Uncino bello come non mai, inchiodata alla corteccia di un albero da quegli occhi blu come il mare, tutto quello che riuscì a fare fu cercare una via di scampo e la trovò; con la mente, tornò all’Isola che non c’è.
Come ho già detto, Emma era inopportuna.


http://www.youtube.com/watch?v=rtOvBOTyX00

Non si era ancora abituata a tutto quel trambusto, non ne aveva avuto il tempo e una parte di lei aveva creduto sin dall’inizio che non avrebbe mai smesso di stupirsi dinanzi a quelle stramberie. Erano trascorse poche ore dal momento in cui Uncino e Tremotino avevano condotto la nave attraverso gli ambigui sentieri magici del portale, consentendo a tutti loro un (almeno per il momento) sicuro approdo sull’Isola che non c’è, tra le onde di un mare illuminato dal chiarore argenteo dei fasci lunari, ed Emma aveva faticato a convincersi che tutto quello fosse vero. Nemmeno da bambina si era concessa un lusso così grande da figurarsi un’avventura con alcuni dei personaggi più amati, temuti, odiati da grandi e piccini e, se non si fosse trovata nella situazione di temere per la vita di suo figlio, avrebbe affrontato quegli stessi avvenimenti con una disposizione d’animo molto diversa, certamente più cinica.
 
Tutto quello che le era dato sapere in quel momento, tuttavia, non aveva avuto a che fare con la razionalità e i suoi interrogativi, né con la parte di sé che chiedeva spiegazioni. L’unica cosa cui la sua mente era riuscita a pensare in tutte quelle ore era Henry e il suo cuore, nel saperlo in pericolo, aveva mancato tanti di quei battiti da averle fatto perdere il conto. Sospirando per l’ennesima volta, aveva chinato lo sguardo verso il basso e si era soffermata sul candore delle sue mani giunte, con la puerile convinzione che potesse bastare a rendere le sue preghiere più squillanti, più facili da udire a chiunque si fosse dato la pena di ascoltare le sue intrinseche urla. Il vento fresco, in un alito persistente, le aveva mosso i capelli, sollevandoli per qualche istante dalle spalle per poi farveli ricadere; e, ogni volta che era accaduto, Emma aveva avuto l’impressione che pesassero sempre di più e che, poco alla volta, la sua schiena s’ingobbisse, il suo respiro si mozzasse e che tutta la luce di cui il signor Gold le aveva parlato, quella che si supponeva fosse dentro di lei, fosse risucchiata dalle tenebre più profonde.
 
«Emma?» l’aveva chiamata una voce e, benché non fosse abituata a sentire il suo nome venir fuori dalle labbra di quella persona, si era voltata in quella direzione; e il suo sguardo doveva aver inviato una richiesta d’aiuto di proporzioni inusitate, perché Uncino le aveva sorriso dolcemente, come provasse una strana, particolare tenerezza per lei, e le si era accostato ancora un poco, guardandola dall’alto. «Vieni con me!» le aveva detto e le aveva porto la sua mano. Una sensazione piacevole e spiacevole al contempo si era impossessata di lei a quel gesto, una sensazione di deja-vu che l’aveva fatta sentire colpevole, in difetto nei confronti dell’altro: la sua mente le aveva nitidamente riproposto l’immagine dell’espressione di lui, quando lo aveva abbandonato sulla pianta di fagioli, dopo averle chiesto di usare il suo super-potere per appurare la sua sincerità; e, ad essa, era seguito il ricordo delle sue parole, quando, chiusa nella cella che un tempo aveva ingabbiato Tremotino, le aveva confessato che, no, lui non l’avrebbe lasciata indietro, non l’avrebbe abbandonata. E aveva mantenuto la promessa! Lo stesso fatto che fosse lì, a qualche passo da lei, ne era stata una dimostrazione.
 
Silenziosamente, aveva riposto la propria mano in quella di lui, si era alzata e, nel fronteggiarlo, per una frazione di secondo, si era chiesta se fosse saggio accondiscendere a quella richiesta. Ma lei non si era sentita saggia in quel momento e, forse spinta dal peso che portava sulle spalle, lo aveva seguito senza protestare, lasciando che la sua mano giacesse in quella calda che, pur estranea, aveva riscaldato la sua in più occasioni. Quando erano giunti a destinazione, Emma non si era quasi accorta di star sorridendo, né di aver scosso il capo divertita; era stato Uncino a farglielo notare e a chiederle spiegazione, mentre si era diretto verso la propria scrivania e si era accomodato su una sedia posta al di là di essa.
 
«Ridevo di David. Ci ha guardati con aria piuttosto contrariata e, una cosa tira l’altra, ho ripensato al gancio che ti ha assestato a Storybrooke.» gli aveva confessato, ignorando deliberatamente in formicolio sparso che aveva avvertito alla mano nel momento in cui Uncino aveva lasciato la presa.
 
«Aye! Ha un temperamento piuttosto aggressivo per essere il Principe Azzurro. Lo immaginavo più…» si era interrotto, versando in due calici il contenuto di una brocca della stessa antica fattura. «… Azzurro, direi!»
 
«Non puoi negare di essertele cercate.» lo aveva rimbeccato Emma, dopo la risata che l’osservazione di lui le aveva suscitato, rimanendo ferma a pochi passi dall’uscio. Non era stata sicura di aver fatto la scelta giusta a seguirlo, perché le era capitato spesso di sentirsi a disagio in sua presenza.
 
«Ho solo fatto quello che andava fatto, donna.» le aveva risposto, tendendo il braccio buono verso di lei, il calice tra le dita in un tacito invito a prenderlo e accomodarsi. Emma aveva accondisceso: qualcosa le aveva suggerito che il contenuto di quel bicchiere fosse più convincente di qualsiasi possibile perplessità e, così, si era seduta.
 
«Ed eccoti qui!»
«Aye.» L’aveva imitata, trangugiando buona parte del contenuto del calice, che aveva nuovamente riempito fino all’orlo poco dopo. Il suo sguardo, fisso nel vuoto, si era incupito e a lungo un silenzio carico di tensione era aleggiato tra loro, non perché non avessero nulla da dirsi, quanto, piuttosto, perché non avevano saputo da quale parte iniziare e come farlo. Alla fine, era stata lei a rompere il ghiaccio.
 
«Immagino non sia facile…» Uncino l’aveva guardata, le sopracciglia espressivamente inarcate come solo lui sapeva fare. «Rumplestilskin, intendo.» aveva aggiunto e, nell’osservare il cruccio su quel bel viso mascolino, Emma si era sentita meno sola. La consapevolezza di non essere l’unica a condividere un tormento l’aveva fatta sentire compresa e, benché avesse avuto piena coscienza della diversa portata delle loro angustie, quello strano modo di condividere che avevano le era stato di giovamento.
 
«Ho passato più tempo di quanto non avrei dovuto nel tentativo di lasciare questo posto per poter uccidere Tremotino…» le aveva detto, portandosi il bicchiere alle labbra con avidità, ed Emma aveva provato una forte empatia per quell’uomo che avrebbe dovuto tenere distante da sé. La sua mente e il suo animo, in uno stato di compartecipazione dettato dalla sofferenza per la condizione in cui si trovava, avevano tentato di figurarsi l’acredine e, insieme, la voglia di redenzione che Uncino doveva provare e, a tutto questo, avevano aggiunto il senso di colpa per non aver reso giustizia alla memoria della donna che Tremotino gli aveva portato via. «Ed eccomi qui ad esplorarne le profondità proprio con lui come ospite d'onore.»
 
I loro occhi si erano incontrati e avevano a lungo sostenuto l’uno lo sguardo dell’altra, in una tacita conversazione che gli stessi Emma e Uncino si erano imposti di non ascoltare: troppi interrogativi, troppe perplessità sarebbero sorti  se solo si fossero concessi quel lusso. Emma avrebbe dovuto fare i conti col fatto che l’uomo fosse tornato per lei e con il possibile significato di quel gesto; e Uncino… Beh, avrebbe dovuto fronteggiare gli stessi interrogativi!
 
«Hai deciso come procedere, come ci muoveremo?» aveva tagliato corto lei, bevendo ancora dal calice ormai quasi del tutto vuoto, mentre il calore e la distensione dei nervi provocata dall’alcool avevano cominciato a fare effetto. Un lieve rossore sparso le aveva colorato guance e labbra e, prima di risponderle, Uncino si era concesso un lungo, ultimo istante per osservarne la bellezza.
 
«Aye. Dobbiamo procedere per tappe e farlo il più velocemente possibile. Domani, ne parleremo in gruppo e decideremo come muoverci.» le aveva detto, una ruga profonda a solcargli la fronte. Emma doveva essersene accorta, perché lo aveva osservata con la stessa, preoccupata intensità, con la stessa ruga sulla fronte. Era un po’ come guardare al suo specchio, uno specchio che gli rimandava indietro la stessa immagine. Le sorrise. «Non è necessario che tu sappia altro, per il momento, tesoro. Non ti renderebbe più facile il sonno.» Il tono della sua voce e tutta la sua espressione avevano tradito l’indirizzo che la conversazione stava per prendere. «A quello, potrei benissimo provvedere io.»
 
«Hook…» l’aveva redarguito lei, il solito atteggiamento difensivo ed esasperato di cui la sapeva capace.
«Ti ho offerto la mia nave e i miei servigi, ricordi? Ti sto offrendo il servizio completo. Non vorrai mica rifiutare!» l’aveva stuzzicata e lei aveva alzato lo sguardo al cielo, dirigendosi verso la porta. Quella bevanda, qualunque cosa fosse, le aveva dato alla testa ed Emma desiderava con tutta se stessa evitare situazioni troppo imbarazzanti. Se per sé o per Uncino, non era ancora dato saperlo! «Emma?» Lei si era voltata, poggiando la mano allo stipite della porta in attesa che Uncino parlasse ancora. «Lo troveremo, te lo prometto!»
 
«Ne sei sicuro?»
Eccola lì, la Emma fragile e insicura in tutto il suo arcano, limpido, implacabile splendore. Con la tempia poggiata al legno della nave, lo aveva guardato come mai aveva fatto da che si conoscevano e, sgomento, l’uomo aveva scorto una versione di Emma che aveva creduto impossibile vedere così presto. Mai aveva pensato che un onore simile gli sarebbe stato concesso. Lentamente, si era alzato e, con passi lenti e calibrati, l’aveva raggiunta; quando i suoi occhi erano stati ad una manciata di centimetri di distanza da quelli verdi e belli che lo osservavano con cotanta innocenza, non aveva potuto fare a meno di prenderle la mano e portarsela alle labbra.
 
«Aye.»
Le labbra si erano schiuse dolci sulla pelle eburnea di Emma e, per tutto il tempo in cui avevano sostato sull’epidermide di lei, gli occhi blu posti su quel volto mascolino non avevano abbandonato i suoi, come a volerle testimoniare quanto profondamente credesse in quelle parole, quanto tenacemente si sarebbe impegnato affinché quei propositi si realizzassero, come a volerle infondere il coraggio che, in quel momento, Emma non riusciva a trovare dentro di sé. Con quella tenerezza che pareva riservasse solo a lei, infine, le aveva sorriso e, perfino quando, ripercorsi all’inverso i corridoi della nave, lei aveva raggiunto i suoi genitori, quel sorriso e quella tenerezza erano rimasti a lungo impressi nella sua mente, lenendo il dolore e gli affanni dati dalla lontananza di Henry.


Spazio dell'Autrice:

Mi scuso infinitamente per l'assenza e il conseguente ritardo, ma una serie di ragioni mi hanno impedito di continuare la storia, alla quale ho comunque ripensato intensamente. Spero di avervi ripagato dell'attesa almeno un pochino e di non avervi deluso, se ancora qualcuno legge. Grazie, grazie di cuore.
Summer, posso solo dirti che AMO, AMO, AMO le tue recensioni, la loro lunghezza, il modo in cui esprimi e mi rendi partecipe dei tuoi sentimenti nel corso della lettura. E' un onore e un privilegio poter suscitare in te questi sentimenti ed è un onore e un privilegio conoscegli. Quindi, ancora, ti ringrazio dal profondo del cuore!
Annachiara, il tuo commento non mi ha assolutamente turbata o infastidita, mi ha, anzi, molto lusingata. Essere letta dai sostenitori della coppia è infinitamente bello, ma essere letta e anche apprezzata da chi i Captain Swan non li digerisce, beh, oltre che un miracolo è un regalo fin troppo grande. Ti ringrazio per esserti soffermata a scrivere quattro parole e per aver letto la mia storia, soprattutto, nonostante i tuoi gusti si indirizzino verso tutt'altre preferenze.

P.S. Spero non ci siano troppi errori, ma è troppo tardi per correggere. Ci ritornerò ovviamente domani. ;)
  
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