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Autore: Birra fredda    20/08/2013    2 recensioni
La vita normale non è per tutti. Con vita normale intendo un qualcosa tipo: genitori rompiscatole, non permissivi, che credono i figli adolescenti dai santerelli del sabato sera, scuola odiata, professori visti come satana, compagni di classe con cui combinare solo guai, tanti trip in testa, escogitare modi per andare alla festa del secolo senza dire nulla ai genitori o mettere da parte dei soldi per il nuovo tour degli U2.
Ma io mi chiamo Nicole Haner mica per nulla, eh. E sono la figlia di Brian Elwin Haner Jr., meglio conosciuto come Synyster Gates, chitarrista degli Avenged Sevenfold, mica per nulla.
La mia vita non è normale, e proprio non so come potrebbe esserlo.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You will always be my heart.'
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La giornata è passata tranquilla. O almeno, al limite del tranquillo.
Zio Matt è andato via prima di pranzo, gridando a mio padre di non farsi vedere in studio se non per dirgli che ha smesso con il commercio delle armi e vuole cominciare seriamente a lavorare al disco.
Johnny è crollato sul divano nel torpore più profondo dopo il litigio e l’abbiamo lasciato lì fino alle sei di sera, quando siamo gli siamo piombati tutti addosso gridando frasi sconnesse. Poi è rimasto a dormire da noi, tanto era stanco. Quando la notte non si fa le sue nove ore di sonno, il giorno sembra un bambino capriccioso a cui hanno tolto il sonnellino pomeridiano.
Poco fa ho parlato coi miei fratelli e con i fratelli Sanders in chiamata Skype in compagnia di Cherie e ho raccontato loro tutto ciò che mi ha detto mio padre.
“Sul serio commercia armi?” ha domandato Nathan, che mi è sembrato eccitato, piuttosto che preoccupato o irritato.
“Gli hanno salvato la vita…” continuava a dire Jim, come se fosse entrato in trance.
Alicia e Cherie erano d’accordo nel dire che, essendoci già passato e avendoci già sbattuto il muso, non capivano come potesse comportarsi in modo così irresponsabile.
Connor è stato il più polemico. “Dopo aver rischiato tante volte di essere ucciso” continuava a dire con rabbia, “non so perché voglia esporre noi, che siamo i suoi figli, a questo pericolo. È un fottuto egoista, ecco!”
E come non dargli ragione?
Al momento siamo sul divano, più addormentati che svegli.
“Vado a dormire” ci dice Cherie alzandosi, “buonanotte a tutti.” Toglie delicatamente la testa di Johnny da sopra la sua spalla, schiocca un bacio sulla guancia a suo padre, che le sorride in modo vago nel dormiveglia, ed esce.
“Mh, vado anche io” dice papà dopo un po’, togliendosi le gambe di Zacky da dosso.
Io anche sto crollando, tanto che mi accorgo appena della carezza che mi fa papà prima di uscire. Scivolo col busto, senza quasi rendermene conto e senza avere la minima voglia di fermarmi, fino a posare la testa sul petto di Zacky.
Ci addormentiamo così, uno sull’altro sul divano, con papà che ci scocca un’occhiata divertita mentre se ne sta immobile in sala con le braccia penzoloni lungo i fianchi.
 

***

 
Un rumore improvviso mi fa sussultare. Spaventata, scatto in piedi e mi giro verso la porta, da cui ho sentito provenire il rumore secco. Non mi meraviglio neanche di Zacky e Johnny che continuano imperterriti a ronfare nonostante il mio scatto svelto.
È stato papà che per aprire la porta non è riuscito a non produrre lo schiocco della chiave che gira nella toppa. Mi guarda come uno che viene beccato con le mani nel sacco.
“Non è come credi” mi dice in un soffio.
“Ah, no?” dico io sarcastica, avvicinandomi a lui.
Sembra turbato, si guarda attorno nervosamente per qualche istante, poi mi fa cenno di seguirlo. Non ho neanche bisogno di cambiarmi, in quanto porto una tuta nera e le scarpe.
Lo seguo in strada.
“Ho chiamato Carlos, il mio socio in armi” mi dice papà, mentre cominciamo a camminare in direzione della pineta, “per dirgli che voglio farla finita con questa storia.”
Lo scruto con la testa reclinata da un lato, continuando a camminare al suo fianco lungo il marciapiede. “Sei serio?” gli domando, e la mia voce risulta quasi commossa.
“Certo” mi risponde lui, sorridendomi. “Sono serio e convinto.”
“Cosa ti ha spinto...?”
“Il discorso che abbiamo avuto oggi” mi risponde in fretta, senza neanche lasciarmi finire la domanda. “Mi sono tornati in mente tutti i guai che ho dovuto passare per colpa del commercio di armi. Troppi guai. E tutti quelli che ho fatto passare ai miei amici, ho pensato che ho tre figli...”
Svoltiamo l’angolo e notiamo subito la figura longilinea e inquietante incappucciata del socio in armi di papà che ci aspetta, appoggiato a un palo della luce all’entrata della pineta.
“Non posso rovinarvi la vita, Nicole. Non... penso che sarei stato in grado di controllare gli affari, ma... ma non potevo esporvi a un simile pericolo. Avrebbero potuto usare voi per vendicarsi di me e... non potevo permetterlo” conclude papà parlando sottovoce, a voce bassa.
Ora dobbiamo solo attraversare la strada, poi saremo dinanzi a Carlos.
“Chi è, Gates, tua figlia?” chiede l’uomo, che, guardandolo alla luce pare non abbia più di quarant’anni.
“Sì” gli risponde papà. “Senti, concludiamo qui la storia e basta” dice poi, attraversando la strada a passo svelto con me accanto, che gli stringo a pugno un lembo della manica della giacca. “Per quanto riguarda i soldi dell’ultimo affare, puoi anche tenerli tutti tu, non mi interessa” continua papà, aprendo la cerniera della giacca e tirando fuori una piccola pistola dalla tasca interna.
La porge a Carlos, ma non credo che lui lo stia ascoltando. Tantomeno lo sta guardando, dato che i suoi occhi sono puntati su di me.
Accade tutto in un attimo, con un scatto repentino Carlos afferra la pistola che papà gli sta porgendo e la punta alla mia gola, appena sotto la mascella.
Merda. Merda. Merda!
Resto immobile, mentre papà mi guarda spaventato e Carlos sorride in modo minaccioso.
“Non puoi, Synyster Gates, pensare di chiudere un affare con me in questo modo” sibila Carlos, trafficando, con la mano libera, con la tasca della sua felpa scura.
Cazzo, Nicole, smettila di tremare!, penso innervosita.
Papà sta letteralmente uccidendo Carlos con lo sguardo. “Che pretendi? Ti ho detto anche che puoi tenerti i soldi” gli dice, con voce ferma.
Carlos si avvicina a me lentamente, mentre sento la tensione divenire tangibile. Non sposta la pistola fino a che non sento una lama fredda premere sulla mia gola, nel punto esatto in cui prima Carlos aveva posato canna della pistola, poi comincia a strofinare il naso sul mio collo.
Io sono ancora aggrappata con una mano alla giacca di papà, ci guardiamo terrorizzati. So benissimo che se non avessi un coltello premuto addosso, Carlos sarebbe già a terra a chiedere a mio padre di smetterla di massacrarlo. E, sempre se non ci fosse un coltello pigiato contro la mia gola, a Carlos sarebbe già stato riservato una epocale ginocchiata nelle palle da parte mia.
“Lasciala stare” ringhia papà, senza osare muoversi però.
Carlos si stacca appena da me, guarda papà con fare presuntuoso e poi mi passa una mano tra i capelli biondi con fare sensuale. Troppo sensuale.
“Tu lasciamela una sera e chiuderemo definitivamente il nostro affare” dice, alitandomi nell’orecchio. Sento il suo odore forte di tabacco come se mi stesse schiacciando.
Comincio a respirare a fatica, guardando mio padre con gli occhi spalancati dalla paura. Lui ricambia lo sguardo, spaventato quanto me ma anche incapace di fare qualsiasi mossa.
Un qualsiasi movimento falso potrebbe portare Carlos a farmi del male. Non gli ci vorrebbe molto per farmi fuori, potrebbe bastare un suo scatto e il coltello affonderebbe nella mia pelle.
“Scordatelo...” borbotta papà.
Una luce improvvisa fa scattare la mano di Carlos, che mi arpiona i capelli con più forza facendomi gemere di dolore. Papà si gira di scatto e due fari riempiono il buio.
Anche se sono girata di spalle alla macchina, capisco tutto ciò che sta accadendo. Sento uno stridere di gomme sull’asfalto, un paio di portiere d’auto sbattere con forza e dei passi.
“Brian...” riconosco la voce preoccupata di Zacky.
“Non avvicinatevi!” grida papà. “È armato.”
Sempre con una mano ben serrata tra i miei capelli, Carlos mi costringe a girarmi. Sono costretta a mollare la presa sulla giacca di papà e guardo gli altri, che mi fissano a metà tra il preoccupato e l’agitato.
Zio Matt sta stringendo i pugni e anche a distanza posso vedere che freme dalla rabbia e dalla voglia di uccidere di botte Carlos con le sue stesse mani. Zacky e Johnny si tengono un po’ in disparte, ma sono preoccupati allo stesso modo.
“Adesso, bambola, vieni con me” mi dice Carlos, cominciando a camminare all’indietro e costringendomi a seguirlo.
Camminiamo per qualche istante, fino a che non arriviamo davanti a una BMW vecchio modello. Carlos mi fa salire dal lato del passeggero e si mette alla guida, riponendo la pistola datagli da mio padre nella cintura dei jeans.
Non mi muovo, non cerco di fuggire. La paura ha preso possesso della mia mente e del mio corpo, mi impedisce di muovere un solo muscolo di troppo.
“Sta tranquilla, bambola. Passiamo una notte insieme e poi ti riporto a casa dal tuo papà” mi dice, facendomi una disgustosa carezza sul viso.
Non ho neanche il coraggio di ritrarmi, mentre il pensiero che mi ucciderà si fa spazio nel mio cervello.
Quando ho provato a suicidarmi volevo morire veramente, volevo davvero non esistere più e metter fine alla mia esistenza. Ma ora no. In questo momento voglio restare vicina a mia madre e tornare ad abbracciarla, voglio continuare a godermi papà e Zacky che si rincorrono, voglio aspettare che esca il nuovo cd degli Avenged Sevenfold, voglio ancora fare cazzate coi miei amici e… dannazione, voglio vivere!
Carlos mette in moto l’auto e a me affiora un’idea. Un’idea un po’ malsana. Se devo morire, penso rabbiosa, questo bastardo deve morire con me. Se devo morire, non devo morire per mano sua, perlomeno. Se vuole farmi del male o... o, che so, stuprarmi, io non glielo lascerò fare.
Dopotutto, ho desiderato morire così spesso che forse devo cogliere l’occasione. Magari andrò con Carlos e uscirò da questa situazione viva ma massacrata moralmente, e un giorno mi pentirò di non aver colto l’occasione quando questa mi si stava presentando dinanzi.
Abbiamo percorso appena qualche metro, che mi faccio coraggio e mi butto verso il socio in armi di mio padre. Afferro il volante con tutta la forza che ho, senza dargli il tempo di reagire o anche solo di capire cosa sta accadendo, e lo faccio girare violentemente verso sinistra.
“Che cazzo fai?!” urla Carlos, strabuzzando gli occhi.
Sbam.
L’urto è così impetuoso che mi sento volare in avanti.
Poi solo dolore, dolore e nient’altro. Sento il vetro che si conficca nella mia pelle, un dolore sordo alla testa e alla gamba. Vedo tutto nero.
No, non vedo nero. Ho chiuso gli occhi, non ci vedo e basta. Sprofondo nel nero. Più sprofondo e più sento il dolore affievolirsi.
Sono morta, penso. Sono morta e non fa male.
Pensavo che fosse solo un modo di dire, che quando si arriva in punto di morte si vede tutta la propria vita passare dinanzi agli occhi.
Mi sbagliavo: è la pura verità.
Mi vedo al mio primo compleanno, con l’orsetto di peluche che suona la chitarra tra le braccia, correre verso mio padre che mi sorride affabile dalla poltrona in sala.
Poi mi vedo a tre o quattro anni, che con mamma e i miei fratelli entro in piscina per la prima volta. Mamma spesso ricorda quel costume intero coi fiorellini con un sospiro, ben sapendo che ora non mi metterei mai una cosa simile.
Dopo mi vedo al mio primo giorno di scuola elementare. Mano nella mano con mio padre, timorosa per via di tutti gli sguardi puntati su di noi. Connor e mamma, davanti a noi che camminano incerti verso il grande portone.
In seguito mi vedo un po’ più grande, verso gli otto anni, in sala d’incisione insieme agli altri che, seduti a terra, giochiamo al gioco dell’oca.
Mi vedo scorrazzare in bicicletta per il lungomare di Huntington Beach. Mi vedo togliere i braccioli in piscina e cominciare a nuotare per davvero. Mi vedo tirare un rigore contro Jim e fare goal. Mi vedo sul palco degli Avenged Sevenfold mano nella mano a zio Matt, che saluto con un gesto timido della mano la folla di Deathbat dinanzi a me.
Mi vedo al mio primo giorno di medie andare incontro a Cherie e abbracciarla. Osservo Nathan che viene a stringermi a sua volta, che mi dice coi lucciconi agli occhi che adesso resterà da solo alla scuola elementare.
Mi vedo osservare gli Avenged Sevenfold che suonano da dietro le quinte. Mi vedo seduta su un divanetto sfondato di qualche backstage, con papà e Zacky accanto che si fanno le fusa. Mi vedo in macchina davanti al cimitero, a osservare mio padre che singhiozza davanti alla tomba del suo migliore amico.
Mi passa dinanzi l’immagine di me, Cherie, Alicia, mamma, zia Val e Gena che proviamo vestiti nel negozio più bello e costoso di Huntington Beach.
Mi vedo seduta sulle ginocchia di Johnny, a casa sua, ad assaggiare ben più di un goccio di Whiskey. Lo vedo ridere, mentre gli sorrido e gli dico se posso averne ancora un po’.
Mi vedo varcare la porta del liceo insieme a Connor. Vedo Lorenz che ci fissa ghignando nascosto per metà dallo sportellino del suo armadietto.
Vedo la mensa, i piatti mezzi pieni di pasta scotta. I miei compagni. Lorenz. Il nostro tavolino appartato e tutti noi seduti attorno ad esso che ridiamo e ripassiamo qualche materia.
Mi rivedo sfiorare per due volte la rissa con Lorenz.
Mi rivedo in piedi sulla mensola della finestra della mia soffitta, mentre sussulto al suono improvviso della voce di Johnny. Mi vedo martoriarmi la carne delle braccia, risento la voce di zio Matt che mi chiede che diavolo ho combinato.
Risento la voce di Zacky che ansima, rivedo lo sguardo cupo di Cherie. Percepisco le nostre mani strette sulla moquette dell’albergo.
Mi rivedo correre al citofono di casa e sfondarlo quasi per chiamare aiuto. Rivedo papà che si fionda addosso a Zacky e, urlando e spogliandolo, cerca di capire cos’abbia.
Rivedo mio padre allungato sotto il muraglione del porto, vedo zio che lo fa alzare e, aiutato dagli altri, lo trascina via.
L’ultima immagine è sfocata, ma riesco a capire comunque cos’è. Sono seduta sul divano di casa Sanders insieme agli altri, avrò avuto quattro o cinque anni. Zio fa una gara di flessioni contro Zacky, il quale sta perdendo miseramente. Johnny sorseggia una lattina di birra ridacchiando in un angolo, mentre papà guarda con uno sguardo di profonda nostalgia una foto attaccata alla parete dietro il divano. La foto del Rev. “Papà, non essere triste. James è sempre con noi” gli dico, sorridendogli appena. Lui annuisce e sorride a sua volta.




 photo ennesimaipoteticaNicole_zpsd86071fd.jpg













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Hi :3 eccomi tornata con questo capitolo che... aibwiowepfnqer mi dispiace tantissimo per Nicole, mi sento immensamente in colpa D:
...okay, a parte questo, ho deciso di lasciarvi anche un'idea di come sia Nic secondo me e.....

Ma nessuno mi recensisce più? :(
Io, beh, prima di cominciare a postare ho fatto una specie di scommessa con me stessa che prevede che se nella FF ci sono più capitoli che recensioni non vado più avanti, ma da un certo punto di vista mi dispiace lasciare così la storia.
Quindi boh, questo potrebbe essere anche l'ultimo capitolo... ma aspettatevi di tutto :')


Grazie a tutti quelli che leggono ancora questo prodotto della mia mente malata,
Echelon_Sun
  
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