Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Alexiel_Slicer    20/08/2013    0 recensioni
[...] "Si avvicinò alla finestra e pulendo velocemente col palmo della mano il vetro appannato, guardò fuori: il cielo era coperto da una spessa coltre di nubi, che andavano sfumando dal bianco al grigio scuro; il sole era stato completamente inghiottito da esse e tutto veniva immerso in un'atmosfera uggiosa e malinconica. Persino il bel verde degli alberi del parco sotto casa era vittima di quella cupezza, che lo rendeva quasi nero. Osservando giù, tra le fronde che ondeggiavano al freddo vento, notò una figura scura, ricurva su se stessa, che avanzava trascinandosi dietro un carellino sghembo, di quelli che usavano gli anziani per far la spesa. Nonostante Davide spiasse i movimenti del curioso individuo dal quinto piano, vide ugualmente il giaccone logoro e malamente rattoppato. Un barbone." [...]
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
III


Uscì di corsa di casa. Era tardi, maledettissimamente tardi ed aveva gli allenamenti. Il mister gli avrebbe fatto sicuramente una strigliata d'orecchi, che non si sarebbe dimenticato mai più; non sopportava i ritardatari.
Non aveva tempo per aspettare l'ascensore, così scese le scale saltando gli scalini a tre a tre, col rischio di rimetterci l'osso del collo, poi varcò il portone, lasciando il palazzo. Iniziò a correre verso la fermata, quando una parola gli si infiltrò nelle orecchie: "Grazie". Si fermò di colpo e voltandosi vide il clochard che lo guardava. Era stato lui a parlargli, a ringraziarlo. Notò che negli occhi azzurrini dell'uomo luccicava qualcosa. Ma forse no, forse era soltanto una sua impressione. Voleva dire qualcosa, ma non ci riuscì. Il tempo complottava contro di lui, contro i suoi pensieri, impedendo al suo cervello, anche si decodificare la risposta più elementare, come un "di niente". Davide tornò con gli occhi sulla fermata e riprese a correre. L'autobus era già lì e sbracciò freneticamente, col borsone in spalla, per farsi vedere dall'autista e farsi attendere. Salì su e si abbandonò nel sedile della prima fila, posando nel posto accanto a sè il borsone che conteneva i vestiti puliti, con i quali cambiarsi.
All'interno l'autobus era deserto; una signora anziana con una pesante busta della spesa stava dietro l'autista, mentre un extracomunitario occupava l'ultima fila. Il mezzo partì barcollando un pò e lì, solo in quel momento riuscì a pensare a ciò che gli era appena accaduto. Quella mattina lui gli aveva teso una mano e quell'uomo non l'aveva afferrata, adesso, invece, quest'ultimo l'aveva fatto e lui? Lui era scappato via senza dire nulla. Si diede del cretino e sperò che al suo ritorno il barbone tenesse ancora tesa quella mano, che lui aveva involontariamente rifiutato. Quando a quel pensiero il suo animo si calmò, avvertì una strana sensazione pervaderlo. Era piacevole e calda. Era come la carezza del vento di inizio primavera. Dopo il freddo arrivava quell'arietta che ti donava tepore e ti risvegliava dal lungo letargo dell'inverno. Ero questo ciò che provava e lo rendeva ingredibilmente leggero, come se libero da ogni peso, da ogni dovere, da ogni regola e da ogni zavorra che la vita gli imponeva, fluttuasse. Quella era la soddisfazione, era il benefico effetto di un "grazie" derivato da un'azione che lui aveva fatto col cuore e in cui aveva creduto. Si rammaricò; se l'avesse saputo prima, se avesse saputo che si sarebbe sentito così si sarebbe fermato e avrebbe mandato a quel paese gli allenamenti, per una volta. Purtroppo non lo sapeva e non l'aveva fatto.
Sprofondò nel sedile, scacciò i ripensamenti e si lasciò invadere da quella calda carezza.

L'erba verde del campetto in cui si allenavano era umida, la terra morbida. I chiodini delle sue scarpe vi profondavano e presto si infangarono. Il mister era lì, vicino alla panchina che gesticolava, spiegando ciò che avrebbero dovuto fare. Davide si unì al gruppo in silenzio, ricevendo in cambio un'occhiataccia dal mister; un uomo dal volto severo e dalle guance cosparse da un'ispida barbetta nera, costellata da peletti grigi.
"Dicevo, iniziate con cinque giri di campo per riscaldarvi, poi andate ai copertoni là, per terra" e indicò un punto centrale del campo, dove vi erano due file di gomme d'auto, sei per lato, dodici in tutto. Il gruppo si avviò alla corsa, mentre Davide fu fermato da una possente mano sulla spalla. Era il mister.
"Niente più ritardi".
"Si, mi scusi".
"Intanto però ti fai dieci giri di campo, invece di cinque".
Davide, con un remissivo movimento del capo annuì ed iniziò a correre. Sentiva l'aria fredda che odorava di imminente pioggia e terriccio bagnato battergli sulle guance arrossate. La respirava inspirando dal naso ed espirando dalla bocca. Questa si riscaldava nelle sue narici e veniva rilasciata tiepida in una nuvoletta che scompariva.
Il mister non era un uomo cattivo, ma semplicemente rigido. Se c'erano delle regole lui esigeva che si rispettassero, non tollerava i ritardatari e amava quello che faceva. Era stato un grande calciatore ai suoi tempi, però dopo un grave infortunio fu costretto a mollare tutto ed adesso si limitava a sognare attraverso gli occhi dei ragazzi che allenava.
Quando l'allenamento terminò si rifugiarono negli spogliatoi. Un ambiente bianco, dalle piastrelle quadrate sui muri del medesimo colore. Qualche armadietto stava contro una parete, una lunga panca munita di appendiabiti al centro della stanza e altre ai lati. Lì, sotto una doccia calda si rigenerò dalla fatica appena compiuta. Era piacevole la sensazione rivitalizzante che si infrangeva sulla sua pelle sudata. Uscì avvolgendosi in un asciugamano e andò verso la panca, sulla quale giaceva il suo borsone con gli abiti puliti.
"Davide, dopo scendiamo giù in piazza. Vieni?". Quella domanda gliel'aveva rivolta Christian, uno dei difensori della squadra. Aveva la pelle olivastra, i capelli spettinati color della pece e le narici larghe, questo perchè sua madre non era italiana, ma bensì filippina. A Davide non piaceva molto quel ragazzo, ma per la quiete della squadra si limitava quantomeno a tollerarlo. Per i suoi gusti faceva di ogni partita vinta o persa un affare di stato, tendeva ad essere litigioso e molte volte era stato richiamato con cartellini rossi per aver attaccato briga con qualche avversario e addirittura una volta aver insultato un arbitro. Nonostante ciò non lo cacciavano; era un bravo difensore e questo era quello che contava per loro.
"Per oggi salto, sarà per un'altra volta" congedò l'invito Davide, mentre si rivestiva indossando un paio di pantaloni blu di una tuta e un felpone grigio topo.
Lasciò gli spogliatoi ed una volta fuori si accorse che il tempo, in quell'arco di tempo, era visibilmente peggiorato. Il cielo sembrava una distesa di candida ovatta. La pioggia incombeva.
Andò alla fermata, dove aspettò un quarto d'ora l'autobus. Quando arrivò e vi salì non potè provarne sollievo. Non riusciva a capire se facesse più freddo fuori o lì dentro. Si accomodò infastidito e pensò che quel freddo il barbone lo sentiva tutti i giorni, mentre lui per quei pochi minuti che era costretto a subirlo, già si lamentava.

Fu a casa per le sette di sera. Il parco si era illuminato ed i lampioni sembravano tante piccole lucciole nel buio.
Iniziava a piovigginare già da un pò; nell'autobus se acuiva l'udito poteva sentire le goccioline contro la lamiera del tetto. Adesso se le sentiva in faccia, leggere e fredde.
Si fermò davanti la panchina del barbone: l'uomo stava seduto lì, con le mani intrecciate sul grembo e gli occhi chiusi.
Davide respirò profondamente e si schiarì la voce "Ciao" disse.
Il clochard aprì gli occhi annacquati e lo guardò "Ciao" rispose con voce leggermente roca.
"Scusami per prima...ero di fretta...".
L'uomo non rispose e richiuse gli occhi.
"Cosa stai facendo?" continuò il ragazzo curioso.
"Ascolto pioggia".
"Ascolti la pioggia?" fece lui stranito.
"Si, tu non l'hai mai fatto? Io l'ho sempre fatto, sin da piccolo. E' come ninna nanna". Adesso che lo sentiva parlare davvero, con frasi lunghe e articolate percepiva nella voce un leggero accento straniero, dell'est europeo.
"Io mi chiamo Davide e tu?".
"Bartlomiej".
"Non sei italiano...".
"No, polacco".
"Come mai hai lasciato il tuo paese?".
"Lunga storia, noiosa" fece con un gesto della mano, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa.
"Ok...hai fame?".
"Mio stomaco sempre affamato".
Davide frugò nelle tasche dei pantaloni e della felpa, trovando solo un astuccio di caramelle assortite alla frutta "Prendi queste. Lo so, non sono niente, ma non ho altro di commestibile con me e nemmeno soldi...".
Bartlomiej prese il pacchetto e mise in bocca una caramella rossa. Sul suo volto si dipinse un'espressione di beatitudine "Ahhh, caramella fragola mia preferita da sempre. Grazie, tu bravo ragazzo".
Davide a quelle ultime parole non seppe che dire. Non se l'aspettava e ne era rimasto lusingato. Sentì il suo cuore perdersi in uno strano battito.
"G-grazie...adesso devo andare. Domani ti porterò qualcosa che si possa davvero definire cibo. Ciao".
Il barbone alzò una mano, coperta da logori guanti senza dita, per salutarlo, ma Davide aveva già varcato il portone.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Alexiel_Slicer