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Autore: Para_muse    21/08/2013    2 recensioni
Una storia che è nata leggendo un libro, guardando un film, una serie tv e amando due attori.
Sybil è una ragazza indifesa e sofferente. Cosa le succederà dopo l'incidente accaduto per sbaglio? E come la prenderà quando, a causa dell'incidente, scoprirà di aver perso la memoria? E come riuscirà a ricordare se non avrà nessuno al suo fianco ad aiutarla? La fortuna sarà dalla sua parte quel giorno...Jensen la guiderà nel lungo tragitto dei suoi ricordi, insieme alla sua anima perduta.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Jensen Ackles, Misha Collins, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 7
Time to Time
 
 
Quando quel mattino, dopo aver lasciato Justice Jay per un ennesimo giorno scolastico, io e Jensen ci dirigemmo come al solito sul set, dove stavano costruendo una stanza che sarebbe servita per una scena che avrebbe girato quel giorno della sesta stagione di Supernatural. Avevano già confermato su alcuni siti che Supernatural sarebbe continuato per una settima e ottava stagione, bhè più contento di Jensen in quel periodo non c’era nessuno. Più per la felicità che avrebbe avuto un ruolo assicurato e quindi soldi certi, era felice di restare ancora unito con la seconda famiglia: il cast, la crew, e il resto dei ragazzi della CW.
Insieme, braccio contro braccio, ci dirigemmo verso mister Singer, dove si sarebbe parlato di un possibile colloquio con Maria, la donna italiana del guardaroba.
Quando Jensen con un amichevole pacca a Robert, spiegò la situazione, mister Singer fu più che d’accordo che avrei dovuto darmi un po’ da fare, in fondo alle apparenze io ero in piena forma ormai, potevo essere libera di andare dove volevo, perciò si mise d’accordo con Jensen per quel pomeriggio di preparare un contratto da farmi firmare, per essere tutto il regola, e seguire le solite prassi contrattuali.
Quando mister Singer scappò per indicare ai ragazzi della crew come disegnare un particolare simbolo a terra inerenti a demoni – o quella roba strana che trattava la serie – Jensen mi strinse una mano nella sua, e ci avviamo fuori dal set, percorrendo bianchi corridoio pieni di porte, e poster della serie tv attaccati a intervalli quasi regolari. Prendendo l’ascensore salimmo di solo un piano, e appena le porte scorrevoli si aprirono, un’enorme stanza dal tetto enorme, si presentò ai miei occhi.
- Wow – sussurrai restando più che a bocca aperta: scioccata e rimbecillita. Come avrei potuto lavorare qui? Con tutto quel materiale che pendeva da altissima grucce. 
- Sì, sono tantissimi! – borbottò Jensen, avvicinandosi ad un gruppo di donne e ragazze della mia stessa età che cucivano, tagliavano, strappavano e sporcavano stoffa in un grande tavolo da lavoro.
- Ehi Jensen! -. – Guardate c’è Jensen! -. – Ehi Jensen! -. – Jensen! Cosa ti porta da queste parti? -. Fu tutto un vociare di voci femminili che mi fecero sorridere. Alzai un braccio in segno di saluto, che fu ricambiato con un coro di – Salve -. – Ciao -. 
- Buongiorno signore, come va? – domandò Jensen cortese, avvicinandosi ad una donna piegata con il collo, intenda a lavorare con ago e filo su una maglia grigia.
- Maria, mi dedichi un minuto? – domandò gentile Jensen, alla signora che mi aveva provocata al piano di sotto, spaventandomi.
- Si, eccomi – borbottò, lasciando la maglia sul tavolo da lavoro, voltandosi a guardarci. – Dimmi tutto figliolo! – esclamò, sfregano la mano sul braccio tornito di Jensen. Lui sorrise e indicò uno dei corridoio che divideva vari stand pieni zeppi di blue jeans, maglie grigie, giacche di pelle, camicie a quadretti, abiti neri, trench. Insomma un’infinità di vestiti. Un’enorme guardaroba.
Maria si alzò dalla sedia consumata in cui era seduta, e seguendo la scia di Jensen, tutti e tre ci appartammo a parlare.
- Mi chiedevo, Maria, se ti andava di prenderti sotto l’ala la mia amica Sybil? Cosa ne pensi? Può esserti utile qui ai piani alti? – domandò Jensen cortese, mettendo gli occhioni per non farsi regalare un no.
- Bhè, non so, lei è capace a cucire? – domandò, lasciandomi uno sguardo di sbieco, come se avessi fatto qualcosa di male. 
Jensen allora mi squadrò un po’, e poi mi fissò dritto negli occhi disperato. Alzando le spalle, scossi la testa. – Bhè insomma non me cavo alla grande, cucivo il minimo e indispensabile nel guardaroba del teatro. Però so classificare, etichettare e sistemare al suo posto ogni vestito. Se questo può essere d’aiuto… - sussurrai, fissando prima Jensen e poi la donna, sperando di riuscire ad incastrarla con lo sguardo da cucciolo, un po’ come quello di Jensen.
- Cosa ne pensi Maria? Potrebbe esserti d’aiuto? Magari potresti insegnarle dove è sistemato tutto, e potrebbe farvi come da facchino…ahi! – borbottò d’un tratto Jensen, quando gli pestai un piede. Non mi andava di andare e venire dalla postazione ago-filo, al tavolo di cucito, porgendo e prendendo quello che serviva e non.
- Potrebbe etichettare e sistemare i vestiti prima e dopo che vengono utilizzati sul set. Sistemarli sulla carella e fare su e giù dal piano di sotto, dai vostri camerini, diciamo un lavoro come postino consegna guardaroba, ecco! Anche se non penso che esista… - borbottò portandosi una mano al mento, fissandomi. Poi esclamò: - Sarebbe perfetta anche come manichino, chissà quanti vestiti a misura di donna reale potremmo fare addosso a lei! -. Sgranai un attimo lo sguardo, preoccupato per quella signora un po’ strana e dalla mente contorta.
- Può andare bene anche il postino guardaroba, basta che ha qualcosa da fare. Mi raccomando Maria, trattala bene eh! – borbottò Jensen, spingendoci di nuovo fuori dal corridoio, portandoci verso le altre donne, che continuavo imperterrite il lavoro.
- Bene, io vado, aspetto il postino di sotto per i primi cambio di scena! – esclamò Jensen, lasciandomi con buffetto sulla guancia.
Le ragazze salutarono a coro, e poco dopo calò il silenzio, sentendomi inequivocabilmente tutti gli sguardi addosso.
- Allora ragazze, questa è Sybil, sarà una specie di postino, che etichetterà, farà un po’ di ordine ai cataloghi, e porterà i vestiti, facendo un po’ di scale, e un po’ su e giù con l’ascensore. Insomma è nuova, salutate in coro! – esclamò Maria, facendo un gesto con la mano, come se le donne fossero un’orchestra. 
- Ciao Sybil! -. – Buongiorno! – borbottai, rossa d’imbarazza, fissandole una ad una. Chi più giovane e chi no, mi sorrisero tutte. Quando mi avvicinai  e mi sedetti su un posto libero accanto le più giovani, fissando quello che stavano facendo, mi incuriosii, e iniziai a fare domande, ma non prima che loro le iniziassero a farle a me:
- Stai con Jensen? -. – Ci sono voci in giro, che dicono che state insieme! -. – La sua casa è grande come dicono? -. – Sei stata in quella di Malibù? -. – Hai conosciuto Justice Jay? Sua figlia? Non la porta quasi mai sul set! -.
La testa iniziò a farmi male con tutte quelle domande, ma cercai di rispondere a quelle a cui potevo senza esitazione. 
- No, non sto con Jensen, e la sua casa è okay; e no, non sono mai stata in quella di Malibù – borbottai, abbassando lo sguardo sulle mie dita, che si stringevano tra di loro.
- La bambina? E’ bella come il padre? – domandò una ragazza mora, dagli occhi verdi, fissandomi curiosa. 
Io alzai semplicemente lo sguardo, e poi lo spostai su Maria, che aspettava come tutte le altre la risposta, ma appena il mio sguardo si posò sul suo, sembrò risvegliarsi, e battendo le mani, richiamò tutti all’attenzione e al lavoro.
- Scusale, sono sempre pettegole – sussurrò qualcuno al mio fianco. Una ragazza dai capelli scuri, e dalla pelle panna, silenziosa, aveva continuato a cucire con ago e filo una giacca nera da donna.
- Si l’ho notato. Tu non lo saresti? – domandai, curiosa di sentire la risposta.
- No, sinceramente. Non ha importanza la bambina, la casa, e tutto il resto. Io qui lavoro solo per l’attore, non per la persona – borbottò, alzando lo sguardo, sorridendomi cortese.
- Tu cosa avresti fatto? – domandò questa volta lei, curiosa di sentire la risposta. Io alzai le spalle, e sorrisi divertita.
- Non lo so, se fossi attratta da Jensen… -. – Perché non lo sei? – domandò ironica interrompendomi, continuando però a cucire.
Mi tolse qualsiasi risposta possibile da bocca. Non sapevo cosa rispondere in realtà. Volevo dire si, aveva voglia di farlo sapere a tutti, ma sarebbe stato inutile, visto che per Jensen apparivo come la sorella minore da proteggere.
- Sybil! – mi richiamò Maria, facendomi alzare lo sguardo verso di lei. – Si? -. – Che ne dici se inizi a prendere i vestiti che gli stylist hanno richiesto, e li appendi sul carrello? – domandò, sollecitandomi a iniziare e a darmi una mossa. Io annuii e balzando dalla sedia, stavo per dirigermi verso una delle ragazze che Maria aveva fatto smettere di lavorare per aiutarmi.
- Secondo me, è meglio se ti svegli un attimo, e vedi come si comporta Jensen con te. Io vi vedo in modo diverso da una sorella e fratello – borbottò la ragazza, continuando a cucire.
Fermandomi un attimo a riflettere sorrisi tra me e me, e lasciandole una carezza sulla spalla, mi voltai e corsi in direzione di Rachel, prima che Maria potesse sollecitarmi di nuovo. Quando afferrai il foglio con un paio di codici, capii che dovevo seguire le indicazione tra un stand ed un altro di vestiti, trovando poi la sezione alfabetica, e il codice numerico del vestito in questione.
Perciò inizia a fare zig e zag da una parta ad un'altra dei vari corridoio, prima che potessi arrivare finalmente ad un giubbotto di pelle marrone scuro, che avrei dovuto appendere, e poi consegnare all’attore al piano di sotto. Quello sarebbe stato l’outfit di Dean per quella scena, ovvero di Jensen. Sorrisi tra me e me, contenta che ci saremmo visti più volte al giorno con lui, almeno non sarei rimasta sempre con facce poche conosciute. Non avrei dovuto portare i vestiti solo a lui, sicuramente gli altri – Jared, Misha, Mark – avrebbero avuto bisogno di qualche outfit dal guardaroba, perciò mi rallegrai un po’ e a fine giornata sarei, tornata a casa, con il sorriso sul volto e dalla mia famiglia. Già, famiglia.
 
- Cosa pensi di fare dopo il lavoro? – domandò Jensen, facendomi voltare sullo stipite del suo camerina, prima che potessi uscire con il carrello.
A quella domanda, in un primo momento non seppi rispondere, ma poi sorrisi e alzando le spalle, ironicamente dissi: - Tornare a casa tua, ovvio no? – borbottai, girandomi di nuovo, per uscire dal camerino.
- No, aspetta! – esclamò di colpo, fermandomi di nuovo al di fuori della stanza. Mi voltai a fissarlo, sorridendo sardonico.
- Lo so che torni a casa insieme a me, ma pensavo avessi progetti con le ragazze del piano di sopra – sussurrò, aggiustandosi la giacca di pelle che gli avevo portato, insieme al resto del vestiario. Strinsi le sopracciglia in una ruga di espressione stupida. – No certo che no! Non riuscirei mai a legare con una sola di loro -. “Forse una”, pensai, ricordando la ragazza dai capelli scuri e dalla pelle panna, di cui non sapevo nemmeno il nome. 
- Perché non provi a socializzare con qualcuno di loro? – domandò sorridendomi apprensivo. Lo fissai e notai nel suo sguardo segni di rancore. Come se volesse nascondermi l’idea di non volere più una coinquilina.
- Certo – dissi, - ci proverò non preoccuparti! – conclusi, chiudendomi la porta alle spalle, con mille dubbi incollati sotto le suola delle scarpe ma con uno ben risolto: Jensen era abbastanza strano, e lunatico se si poteva definire tale.
La parole bipolare lampeggiava sulla mia fronte come un’insegnate a neon tipo quelli con su scritto “open”.
 
- Andiamo? – la voce di Jensen, appena un sussurro, mi fece saltare in aria per mezzo centimetro dalla sedia. 
- Mi hai fatto spaventare – borbottai, fissandolo tetra, nel suo cambio d’abiti normale, senza trucco, senza sangue o finte cicatrici sul volto.
- Scusami, non volevo – disse, dimostrandosi preoccupato, e poco dopo accigliato, quando vide le mie mani e le mie braccia tutte scarabocchiate dal pennarello. 
- Cosa hai combinato? – domandò, stringendomi con delicatezza il polso con le dita. Sorrisi divertita, e portandomi la mano libera dietro la nuca, per un insopportabile dolore al collo, spiegai quello che mi era successo quel pomeriggio con un paio di vestiti.
- Non riuscivo a memorizzare alcuni codici, e allora per ricordarli, me li scrivevo sul braccio. Non so perché ma non riesco a catalogarli e organizzarmi con la mente – sbadigliai stanca, e lasciando andare il braccio, mi abbassai le maniche del maglione a righe.
- Dai andiamo a casa, ti fai una doccia e vai a letto – sussurrò, appoggiandomi una mano sul capo, la lasciò scivolare con una carezza sulla guancia, facendo scorrere il pollice sullo zigomo, prima di lasciarmi andare, per togliere di mezzo il materiale che stavo già catalogando.
Mi voltai verso il computer, e mentre con una mano lasciavo la firma sul libro delle presenze – una cosa al quanto assurda, ma che Maria controllava periodicamente una volta a settimana, cercai di scrivere gli ultimi numeri seriali, ma la concentrazione fu così tesa, che un filo dentro la mia testa si ruppe in due parti; ciò mi obbligò ad abbandonare il computer con un sbruffo, dedicandomi a firmare e a scrivere la data sul libro. Poi mi voltai al pc, e digitando la password uscii dal programma, lo spensi, e mi voltai verso Jensen che mi fissava con apprensione. Gli sorrisi lieta, e ci dirigemmo entrambi fuori dal guardaroba, per andare a prendere JJ dalla sua migliore amica per riportarla a casa.
Arrivati al parcheggio, notai Cliff che ci attendeva davanti al cofano del sub nero di Jensen con le chiavi dell’auto tra le mani.
- Ehi boss, tutto okay? – domandò curioso, lasciando in aria con un colpo di polso le chiavi, che Jensen prontamente afferrò senza lasciarle cadere a terra.
- Si tutto okay, Cliff. Ci vediamo domani! – aprii l’auto, e con un gesto fluido aprii la portiera, chiudendosi in auto in un batter d’occhio. Con tutta la pace del mondo invece, lasciai un abbraccio veloce a Cliff, e sorridendogli, con gioiosità mi diressi alla portiera del passeggero per aprirla e salire sopra il sedile.
Appena mi richiusi contro la portiera, l’aria che si respirava in auto era così strana e oserei pensare pesante, che mi voltai a fissare Jensen senza più quel sorriso che mi ero stampata sul volto poco prima. 
- E’ tutto apposto? – gli chiesi, mentre afferravo la cintura di sicurezza per indossarla. Non ricevetti nessuna risposta, solo l’improvviso stridulo dei pneumatici, che lasciarono il parcheggio con una piccola sgommata.
 
- Ciao papà! Ciao Sybil! – esclamò felice Justice Jay, sporgendosi dai sedili posteriori per lasciare un grosso bacio alla guancia del padre, e poi uno un po’ più cordiale a me.
- Ciao tesoro! – sussurrò ora più tranquillo Jensen, voltandosi a fissare dal finestrino se arrivavano auto, prima di infiltrarsi di nuovo nella corsia di marcia.
- Come è andata oggi a scuola, Justice? – domandai curiosa, voltandomi a fissare la ragazza dagli occhi dolci e adesso stanchi.
- Benone, ho preso una A+ nel compito di inglese. Non è magnifico, papà? – esclamò la bambina dal suo sedile, sorridendomi contenta.
- Certo tesoro! E’ tutta opera tua e delle ore passate sui libri, per questi bei voti! – borbottò Jensen, fissando la strada, stringendo il volante con una presa diversa.
- Non dovremmo festeggiare? Mi porti…ehm al McDownald’s? – domandò speranzosa, incrociando le dita. Le sorrisi e facendole un occhiolino, mi voltai a fissare Jensen, proponendogli la stessa cosa: - Sarebbe un’ottima idea, perché no? -.
- No tesoro, stasera no -. – Perché no? Papà ti prego, ci andiamo? Voglio il gelato! – esclamò frustrata JJ, mettendo le manine giunte in segno di preghiera.
- No Justice, magari un’altra volta, domani forse, ma non stasera – borbottò Jensen, fissandola dallo specchietto retrovisore.
- Papà! – si lamentò Justice triste. Desolata per la bambina cercai di fare il possibile per convincerlo: - In frigo non abbiamo nemmeno gli avanzi del pranzo, sarebbe perfetto mangiare al McDrive, e tornare a casa per mettere il pigiama e andare a letto, dai Jensen! – sussurrai, facendo lo sguardo dolce.
- Ti prego papà! – sussurrò Justice, mettendo il muso.
- Justice! – richiamò Jensen, fissandola di nuovo dallo specchietto. – Va bene, scusami! – borbottò, abbassando lo sguardo, stringendo le dita nelle altre.
- Jensen, non puoi dirle… -. Si voltò a lanciarmi uno sguardo duro, che mi fece zittire completamente. Mi voltai a fissare davanti al parabrezza, dopo però aver lanciato l’ultimo sguardo a Justice Jay, che piangeva silenziosamente dietro la frangia di capelli ormai scompigliata.
Mi fece così tanta rabbia, che non rivolsi più lo sguardo verso di lui; e quando scesi dall’auto, afferrai JJ per una mano portandola in casa, aiutandola con lo zaino.
- Vieni Justice, ti va di prepararci per la notte insieme? – domandai, cercando di tirarle su il morale con qualche crema di bellezza, e smalto per unghie rosa ai piedi.
Quando fummo pronte entrambe, uscimmo per fare una veloce cena in scatola, o qualcos’altro visto che in frigo non c’era nulla di commestibile. 
- Domani faccio la spesa, e compro tante di quelle leccornie per noi donne, che tuo padre non potrà mai e poi mai sopportarne la vista – le sussurrai all’orecchio.
Lei mi sorrise felice, e mi strinse in un abbraccio materno.
- Cosa complottate? – domandò Jensen quasi con tono di voce scherzoso, fissandoci entrambe sorridere. Ma dopo un fissarci silenzioso a vicenda, io e Justice Jay decidemmo di ignorarlo, come se non fosse nella stanza con noi.
Quando finimmo di lavarci i denti, ci dirigemmo ognuno nella propria stanza, ma prima JJ decise di farmi fare un giro nella sua stanza, in cui ero stata prima di allora, ma non avevo mai ispezionato dettaglio per dettaglio. Aveva un angolo sommerso di peluche, e mi sorpresi com’è  che non ci fosse un mostro degli acari! Justice comunque mi assicurò che venivano spolverati due volte ogni settimana, toglievo via la polvere che accumulavano. Ogni giorno poi ci giocava, e venivano spostati continuamente. 
- Guarda mi ci nascondo pure! Quando io e papà giochiamo a nascondino per casa, questo è il mio posto segreto, non mi trova mai! – esclamò ridendo e tossendo allo stesso tempo, sotto la coltre di peluche di vari colori e forme.
- Sembra divertente! Tu, tuo padre e il nascondino! – esclamai, sorridendole divertita, mentre lei stava saltando sul letto, per mettersi supina, facendosi imboccare le coperte da me.
Mi sorrise con le sole sopracciglia, mentre con le manine si tirava su la coperta a coprirsi completamente.
- Si, papà certe volte è così divertente, che non è più il mio papà, ma il mio migliore amico! E tu sei la mia migliore amica! – sussurrò, sbucando da sotto le coperte per stringermi in un abbraccio, attaccandosi al mio collo per un bacio quasi bavoso – e adorabile – sulla guancia.
Sorrisi dolcemente, e lasciandola cadere di nuovo giù, le tirai indietro i capelli per lasciarle un bacio sulla fronte.
- Dimentica la discussione di oggi, tuo padre era nervoso per il lavoro. Domani si farà perdonare sicuramente! – borbottai, lisciandole ancora con altre nuove carezze i capelli indietro.
Lei mi sorrise, e con gli occhi semichiusi borbottò: - Spero che un giorno trovi qualcuno che lo renda meno nervoso! Una mamma felice di essere la mia mamma e una fidanzata che papà ami per sempre! – poi sbadigliò e si voltò su un fianco, stringendo il peluche Dean in un forte abbraccio.
Sorrisi a quelle parole, e lasciandole un altro bacio sulla guancia, mi alzai da terra, e mi voltai avviandomi verso la porta. Spensi la luce, e mi chiusi la porta alle spalle. Prima di potermi voltare verso la mia porta, sentii una presenza alle mie spalle, abbastanza inquietante. Era Jensen che, appoggiato al muro accanto alla porta di JJ, aveva fissato sicuramente la scena della buona notte tra me e la sua bambina.
- Mi hai fatta spaventare un’altra volta – sussurrai per non svegliare JJ dall’altra parte della porta.
- E tu fai preoccupare me – borbottò, afferrandomi per un braccio, trascinandomi con forza. Presa di stizza, cercai di frenarmi sui miei piedi, ma mi accorsi che ci stavamo dirigendo nella mia stanza.
- Cosa ti è preso? Lasciami andare! – esclamai a bassa voce, divincolando il braccio dalla sua morsa quasi ferrea.
- Cosa mi prende? – domandò infuriato, entrando nella mia stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Quello per me segnò quasi un campanellino d’allarme che mi fece rizzare i capelli dietro la nuca.
- Esci dalla mia stanza -. – E’ casa mia, faccio quello che mi pare, mentre tu stai alle mie condizioni! – borbottò, facendo avanti e indietro davanti la porta, creando quasi un solco proprio li davanti.
- Stai consumando la moquette – borbottai scocciata, incrociando le braccia al petto, aspettando una sua spiegazione.
- Senti Sybil, noi non andremo più d’accordo se la cosa andrà avanti in questo modo – borbottò, fermandosi e iniziando a parlare tramite lo specchio delle sue riflessioni. Adesso più calmo, prese un bel respiro e si fermò.
- Che cosa vuoi dire? – domandi preoccupata, fissandolo allo stesso modo. Le sue sopracciglia si accigliarono, il suo viso divenne una maschera di concretezza.
- Se tu sei qui a stravolgere la vita a me e a mia figlia è solo perché la mia compassione l’ha voluto, perché se solo ci avessi riflettuto un secondo di più forse ti avrei abbandonato sopra il cofano di quell’auto, da sola, al freddo, e sicuramente non saresti stata in questo momento qui, a parlarmi e a fissarmi con quegli occhi da cerbiatta che ti ritrovi – borbottò, abbassando lo sguardo come a sfuggirvi. 
- Io sto cercando di aiutarmi con tutti i mezzi possibili che mi ritrovo, ma se tu continui a frenarmi, a cercare di fare a modo tuo, non posso continuare a farlo: non posso più continuare ad aiutarti se mi vieni contro -. – Jensen, io volevo solo… -. La sua mano si alzò e mi fece zittire, facendomi innervosire. Un insolito tic alle dita mi portò a morderle.
- Sybil quello che è successo oggi non è stato un mio gesto da padre perentorio verso una figlia viziata, perché Justice Jay non lo è affatto! Non ho cresciuto una bambina che vuole tutto ai suoi piedi, e che, appena alza un dito tutto le verrà concesso: NO! Io ho cresciuto mia figlia con le buone maniere, e un’ottima educazione. L’ho cresciuta da solo, e voglio continuare a farlo, senza l’interferenza di nessuno -. – Nemmeno la mia – borbottai, stringendo le dita in un pugno chiuso, portandomelo alla tempia.
- Esatto. Non voglio che tutto quello che è successo oggi, si ripeta un’altra volta. Interferisci nel mio rapporto con JJ, e la mia compassione avrà una fine, e mi dispiace dirlo ma sarà così. Non voglio che mia figlia cresca con l’idea sbagliata di qualcuno che… -. Gemetti e stringendo gli occhi in una morsa, li riaprii puntandoli verso lo sguardo stupito di Jensen. Le sue parole morte sulle labbra semi aperte, restarono tali fin quando non sbreccai il silenzio: - Se pensi che io sia un’idea sbagliata per lei, allora smettila di aggrapparti agli specchi e di costruire altarini, perché so che tu non mi vuoi più qui dentro, so che mi vuoi fuori dalla tua vita, dal quadro perfetto di famiglia che ti sei creato con quella bellissima bambina. Io sono una pennellata di nero sul quel quadro pulito, ma non posso farci nulla Jensen, non sono io! Non so chi sono! Sono vuota dentro, sono rotta e tu non riesci a ripararmi. Lo vedo: le preoccupazione sul tuo volto quando percepisci i miei continui mal di testa, i vuoti di memoria, gli incubi orribili che ti racconto, gli svenimenti. Secondo te verrei da te a raccontarteli se sapessi che sarebbero inutili per le ricerche sul mio passato? No, non sarei qui! Recito quando vedo buio e non riesco a riprendermi da quei forti mal di testa? No Jensen! Io. Non. Sarei. Qui. Non sarei qui adesso se fossi me stessa! – sussurrai, battendomi la mano sul petto, frustrata, con le lacrime che mi solcavano le guance a fuoco. Con un singhiozzo, chiusi gli occhi e lasciai andare un sospiro di sollievo quando li riaprii con un sorriso mesto e pieno di rimorso.
- Ho solo chiesto aiuto, quando ho visto la luce alla fine del tunnel quel maledetto giorno dell’incidente. Ho solo chiesto aiuto, e quando sono tornata indietro, ritornando in questa vita ho riaperto gli occhi e ti ho visto. Ho pensato che fossi un angelo, e adesso ho scoperto che lo eri. Un angelo compassionevole. Ringrazio Dio ancora una volta, adesso, per avermi mandato te, e non importa che tu decida di mandarmi via o di farmi restare, ma voglio solo dirti che lo so, sono un’idea sbagliata di persona, per te e soprattutto per Justice Jay. Soprattutto per lei, e mi dispiace tanto, ma non posso farci nulla perché sul serio, non so chi sono più ormai Jensen. Non lo so più ormai – singhiozzai, lasciando che altre calde lacrime bagnassero i miei palmi mentre nascosi il viso pieno di vergogna tra di essi.
Sentii i suoi palmi caldi scivolarmi sulle braccia, sulle spalle e poi sulla schiena, avvicinandomi al suo petto, stringendomi in un abbraccio.
- Ssh -. 
Le sue labbra scivolarono sulla mia tempia, e le mie dita salirono sulle sue spalle, stringendogli convulsamente la maglia scura in una morsa.
- Mi dispiace tanto – singhiozzai. – Dispiace anche a me Syb, non sai quanto – gracchiò con voce roca, lasciandomi un bacio o due sulla pelle accaldata. 
Tirai su col naso, e alzai lo sguardo verso il suo, tirandomi indietro con la testa. Le sue braccia continuarono a circondarmi, e le sue mani corsero in un continuo gioco altalenante sulla mia schiena, facendo quasi sciogliere l’intenso dolore accumulato.
- Io non volevo dirti quelle cose, ferendoti. Volevo solo che tu capissi quando io ci tengo a te, ma che ho bisogno dei miei spazi, e volevo mostrarti i miei limiti che non possono e non voglio che vengano superati ancora – sussurrò, alternando lo sguardo da una parte del viso all’altra.
- Jensen la stessa cosa vale per me, ma io tengo a te tanto quanto Justice Jay, lei adesso fa parte della mia vita come se fosse… - la parola figlia non riuscì a formularsi e la mia lingua restò tra i denti. 
- Lo so, ma un passo alla volta sarebbe fantastico… - sussurrò, interrompendo il gioco di mani, per lasciare che il palmo della sua mano, stringesse la mia guancia umida dalle lacrime.
- Un passo alla volta – ribadii anch’io, sorridendogli appena.
- Iniziamo con qualcosa su cui poter basare il rapporto che hai con Justice, d’accordo? – sussurrò dolcemente, sorridendomi. Corrugai la fronte, e lo fissai incuriosita.
- Qualcosa, come? – domandai, corrucciando la fronte.
Le sue labbra si schiusero, e inevitabilmente la sua lingua li inumidì prima che potessero sorridere un’altra volta.
- Come qualcosa di inaspettato… - sussurrò, prima di abbassare lo sguardo sulle mie labbra e avvicinarsi imperterrito con le sue, in un bacio pieno di sentimentalismo e dolcezza. Qualcosa di soave, di appena palpabile, come una piuma nel posarsi leggera sul palmo della mano. 
Le sue labbra restarono immobili sulle mie, e il suo respiro si udì percettibilmente, prima che potessero schiudersi in un sospiro, e lasciare che giocassero con le mie in una presa leggera sul mio labbro superiore. Il mio shock forse fu sintomo della mia inattività. Ma quando le sua labbra si spostarono appena, scivolando sul mio collo come in un abbraccio da amanti, i miei pensieri esplosero come una bomba, e le mie mani scivolarono intorno alla sua mascella, facendogli rialzare il viso per fissarlo dritto nei suoi occhi. In quel momento capii che si poteva dire tanto senza dire una parola. Perciò chiusi di riflesso i miei, e mi avvicinai alle sue labbra, suggendogli quello superiore con ingenuità come se fosse stato il mio primo bacio. Si, forse lo era, nella mia nuova e strana bizzarra vita, lo era. Jensen sembrò capirlo, e le sue labbra giocarono con le mie quasi con struggente lentezza e con la stessa mia identica ingenuità. Gemetti irritata e quasi sconvolta. Per Jensen quello sembrò tutt’altro tipo di segnale, perciò si tirò indietro preoccupato, fissandomi.
- Non ho detto di fermarti – sussurrai, priva di vergogna, avvicinandomi al suo viso per rubargli un altro bacio.
- Aspetta – sussurrò, tirandomi indietro, appoggiando la fronte alla mia. – Io… - sussurrò.
- Scusami, forse ho esagerato – sussurrai sconvolta e rossa in viso, tirandomi indietro. Se si era già pentito bhè non potevo negarglielo.
- No, non hai esagerato, anzi in realtà potevamo fare di meglio, ma… forse stiamo correndo un po’ troppo – sussurrò, puntando lo sguardo sul mio, mentre le sue mani strinsero le mie in una morsa.
Il mio respiro accelerato, sembrò attenuarsi, e il mio sorriso fu così spontaneo, che non riuscii a non smettere di ridere, neanche quando Jensen tentò di tapparmi la bocca con un ennesimo bacio.
- Mi piaci Sybil, ma dobbiamo rompere quei limiti lentamente, con il tempo – mormorò a ridosso delle mie labbra.
Annuii semplicemente, e con un ultimo bacio della buona notte sulla guancia, mi tirai indietro lasciandolo andare.
Il suo sorriso fu il più dolce di tutti, e quando si chiuse la porta alle spalle, il mondo mi crollo addosso.
E adesso come avrei fatto a nascondergli tutto quello che avevo escogitato quella mattina? Ero nei guai più seri.
Jensen cosa abbiamo combinato?
 



*spazio autrice*
 
Ed eccomi qui, quasi non vi sembra e non mi sembra vero giusto? :D Ahahahaah sono quasi commossa! Un nuovo capitolo, direi quasi strabiliante! .-. “se come no” direte voi xD
Finalmente qualcosa si è smosso tra i due, ci voleva qualcosa del genere? Sinceramente questa domanda me la sono posta, pensando che forse per il bacio era troppo presto, però da quando ho iniziato a scrivere questo capitolo, pensavo solo alla scena di quando l’avrei scritto e proprio in questo capitolo, alleggiava questa cosa… ora non so, voi cosa ne pensate? La domanda appunto la sto ponendo a voi: LA SCENA BACIO E’ STATA TROPPO PRESTO? Esigo una risposta u.u No, sto scherzando, fatemi sapere se vi va il vostro parere, ecco :D
Per il resto, niente, finalmente lei ha un lavoretto strambo e tutto fare per se, quindi cosa vorrebbe più dalla vita?
MILLE LITRI DI ULLUCANO! xD ahahahaha non so cosa mi prende, sarà che sono felice, ma non so per cosa.
Ah, si per il capitolo appena finito :D
Vabbè, adesso vi lascio in pace, e al prossimo capitolo, sperando in qualcosa di veloce come questo xD
 
Xoxo
 
Para_muse
   
 
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